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giorno - Da Pechino a Xi'an
Negli
sterminati cortili della Città Proibita, l'atmosfera di nostalgica solitudine
in cui Puyi (il piccolo imperatore del film di Bernardo Bertolucci) vedeva
scorrere la fine della dinastia Qing ha lasciato il posto a un vociare
indistinto, a un inseguirsi di bandierine dei capigruppo lungo le scalinate, a
un accalcarsi furioso davanti alle stanze imperiali. Il turismo, che per decenni
non è esistito, è diventato una delle chiavi di volta della corsa cinese allo
sviluppo: una fondamentale risorsa dell"'economia di mercato
socialista" (per dirla con Deng), di quel doppio sistema
pubblico-privato che sta cambiando il volto al Paese, e dunque deve essere
favorito a tutti i costi, o quasi. E non è detto che debba essere alimentato da
stranieri, anzi. Ci sono occidentali, giapponesi, cinesi di Taiwan e Hong Kong,
ma la massa è quella dei turisti locali: è la borghesia nascente che sgomita
per catturare a colpi di flash il suo trofeo del palazzo imperiale.
In questa Pechino all'americana i dazibao hanno
lasciato il posto alle insegne pubblicitarie e le biciclette a un caotico
traffico di auto; le ruspe sventrano i vecchi quartieri per fare posto alle gru
che, mattone su mattone, faranno crescere la Nuova Cina.
Ma
intorno a Donghuamen, per esempio, dove l'iniziativa privata si è concretizzata
in una miriade di carretti-ristorante che preparano spiedini a verdure,
riso cantonese e dolci, la città, tra le volute di fumo dei fornelli, ha ancora
un odore. E nella vastità quieta di piazza Tian’anmen, così diversa dalle
immagini che nel 1989 portarono sui teleschermi di tutto il mondo la repressione
di Deng, al tramonto qualche anziano in divisa maoista srotola il filo del suo
aquilone a disegnare impossibili traiettorie sullo sfondo del mausoleo di Mao a
all'alba i maestri di Taijiquan salutano il giorno con movimenti lenti, imitati
da centinaia di allievi.
Ritti
a seguire la ginnastica mattutina, mi ricordano un po' gli 8.000 miliziani di
terracotta che Qin Shihuang, il primo imperatore, fece disporre a protezione del
suo mausoleo alle porte di Xi’an (vedi "Dal
fango riaffiora la memoria"). Sospesi tra una cieca determinazione al
benessere e un indissolubile legame con la tradizione, tra il ritorno alla
mistica buddhista e l'imperativo dello sviluppo economico, i cinesi di oggi
sembrano una moderna metafora di quegli antichi soldati: immobili, austeri,
circondati da un alone di invincibilità, eppure così fragili.
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