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giorno - Da Xi'an a Turpan
Per
arrivare a Dunhuang ci vogliono due ore d'aereo a un intero, imprevisto,
pomeriggio in pullman. L'aeroporto della città infatti è chiuso per lavori di
ampliamento e occorre fare rotta su Jiayuguan, in mezzo al corridoio del Gansu,
tra le catene montuose dei Qilian Shan e dei Bei Shan, "le montagne
nere".
Ora
la strada corre in un deserto di terra scura, appena macchiato di cespugli e
interrotto da rare cittadine, tutte terribilmente uguali nel loro grigiore,
tutte apparentemente quasi disabitate. Sono le città industriali della
Rivoluzione culturale, spuntate dal nulla quando Mao decise di sfruttare le
risorse minerarie della zona e, allo stesso tempo, mantenere il controllo
sull'unità territoriale del Paese anche nelle province più lontane, in un
periodo in cui il dialogo con i vicini sovietici andava scivolando sul piano
della rissa. Per questo, decine di migliaia di giovani furono sradicati dalle
città dell'Est a mandati a costruire villaggi in queste zone inospitali. Dopo
la svolta politica imposta da Deng, molte famiglie sono tornate nelle città
d’origine, dove è più facile cercare lavoro e mettere insieme piccole
fortune economiche, abbandonando al loro destino questi villaggi.
Dominata
a protetta dalle dune di Mingsha, Dunhuang spunta in mezzo al deserto del Gobi
come le oasi dei fumetti, circondata da altissimi pioppi per evitare che la
sabbia portata dal vento diventi un tormento insopportabile. Qui, ogni anno,
vengono ancora mandati 2.000 contadini della zona di Lanzhou, dove la terra,
sfruttata al di là delle sue capacità produttive, si sta via via impoverendo.
"Oggi però", ci conforta Miao, la nostra guida locale, "il
governo non impone più le sue decisioni. Perché accettino di venire a rendere
fertile questo deserto, i contadini ricevono incentivi economici e un
appezzamento di terreno da coltivare almeno in parte a cereali, assecondando le
esigenze dei piani agricoli".
D'altra
parte i grandi alberghi e il nuovo aeroporto porteranno sempre più i turisti a
Dunhuang, che potrà vivere così la sua seconda età dell'oro, grazie
all'eredità del suo radioso passato, grazie alle centinaia di piccoli a grandi
anfratti che dal 360 dopo Cristo in poi vennero scavati nell'arenaria e adornati
con le immagini sacre del Buddha e dei Bodhisattva, con la vita di Siddharta e
le scene della vita quotidiana di uno dei più importanti caravanserragli lungo
la Via della Seta. Per un millennio, le Grotte di Mogao sono state una tappa
fondamentale per i pellegrini buddhisti che migravano dall'India, per i mercanti
diretti alla Persia e alle coste del Mediterraneo, per gli eserciti inviati a
estendere i confini dell'impero a Occidente. Sfigurate dall'invasione musulmana
alla fine del Medioevo e saccheggiate all'inizio del nostro secolo dallo zelo
degli archeologi europei, le Grotte di Mogao sono il miglior ricordo che abbiamo
di un'epoca in cui non solo le merci, ma anche le idee a le religioni dovevano
superare montagne a deserti, prima ancora di vincere la diffidenza di lontani
interlocutori.
E
non c'era nemmeno quel treno sgangherato che, nello spazio di una notte, ci
porta a Turpan, nel cuore della regione autonoma dello Xinjiang Weigu’er (nota da noi
anche nella vecchia trascrizione Sinkiang). Forse sarebbe meglio dire "sul fondo",
visto che ci ritroviamo 150 metri sotto il livello del mare, con un caldo umido
soffocante appena mitigato da una pioggerellina fine: in un paio d'ore, Turpan
ci regala tutti i 15 millimetri di precipitazioni di un anno intero. Eppure, con
i 5.000 chilometri dei suoi karez, i canali sotterranei che portano all'oasi l'acqua delle
montagne, la città è di un verde invidiabile, le vigne si stendono a perdita
d'occhio.
Hanno
cominciato a costruirli secoli fa, i karez.
Enormi imbuti in pietra convogliano l'acqua in canali che corrono nel
sottosuolo, punteggiati ogni poche decine di metri da pozzi per la manutenzione,
e sboccano nei bacini artificiali che consentono l'irrigazione dei campi e la
distribuzione dell'acqua alle case. Questo prodigio idraulico ha fatto di Turpan
la capitale mondiale della produzione di albicocche secche e uva sultanina. Qui,
i cinesi addomesticano il deserto.
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