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Dai
cortili della Città Proibita, oggi spalancati alla curiosità dei turisti di
ogni parte del mondo, fino alle città-polveriera dell’inquieta area tra
Pakistan e Afghanistan, dove una bellicosa società tribale convive con le
contraddizioni dell’Islam. Diciotto giorni sull’antica Via della Seta,
attraverso meraviglie naturali e archeologiche e tutte le difficoltà di un
mondo millenario che entra prepotente sulla scena del mercato globale.
Testo di Marco Cattaneo - Foto di Daniele Pellegrini
Venti
yuan. Alla fine l’ho spuntata per venti yuan, 4000 lire e spiccioli. E adesso
questa minuscola copia del “libretto rosso” di Mao scivola in una tasca
laterale della valigia, mentre mi preparo a lasciare la mia stanza al Grand
Castle Hotel di Xi’an, un angolo di Las Vegas appena fuori dalle mura
dell’antica Chang’an, la prima capitale dell’impero cinese.
Non so bene perché l’ho comprato, ma vederli “in saldo” sulle bancarelle del
mercato che anima il quartiere musulmano della città, inutili come agende
dell’anno scorso, è stata una tentazione irresistibile. Anche se non capisco
una parola di cinese, a conti fatti mi è costato come un paio di cheeseburger del
Kentucky Fried Chichen, premiato fast food in Pechino, e senza nemmeno stare in coda per
ore nella sterminata coda di ragazzini che stazionano davanti alle vetrine accompagnati da pazientissimi
genitori.
Mentre armeggio con la valigia, allungo distrattamente una mano sul telecomando, e
l’apparecchio di fronte al letto vomita senza preavviso la concitata
telecronaca – in cinese, manco a dirlo – di un Parma-Lazio di almeno sei
mesi fa. L’indomani, sulla strada per l'aeroporto, Wan - guida turistica con
un'ammirevole padronanza dell'italiano e scatenato tifoso milanista - mi
illumina sull'amore cinese per il nostro calcio: "Il quinto canale
trasmette sempre partite registrate del campionato italiano... E ogni domenica,
'Star-sports' ne passa una in diretta". E si rallegra di aver comprato
un'antenna parabolica appena in tempo. Nel 1995, in un sussulto di protezionismo
ideologico, il governo di Deng ha proibito l'acquisto di queste antenne da parte
dei privati: "Hanno detto che i programmi occidentali sono 'inquinamento
culturale', ma non potevano obbligare tutti quelli che l'avevano già messa a
toglierla, con quello che costa... Così hanno semplicemente deciso di impedire
che se ne acquistassero di nuove".
Chissà
quale inquinamento culturale volevano arginare, se le strade di Pechino sono
tutto uno squillare di cellulari coreani, i bambini si imbottiscono di hamburger
a il più ambito status symbol della
nuova Cina è un fuoristrada giapponese...
1/3
giorno - Da Pechino a Xi'an
4/8 giorno - Da Xi'an a Turpan
9/11 giorno - Da Turpan a Tashkorgan
12/14 giorno - Da Tashkorgan a Gilgit
15/18 giorno - Da Gilgit a Karachi
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