Tra le molte novità editoriali
ve ne proponiamo tre: Blu Cina di Bamboo Hirst, Hotel Shanghai di
Vicki Baum e Il supplizio del legno di sandalo di Mo Yan.
Denominatore comune dei tre romanzi (due quali hanno come sfondo la città di
Shanghai) è la Cina della prima metà del Novecento.
BLU
CINA
Shanghai, fine anni Trenta. Nella città pulsante di vita, sede di molte
legazioni internazionali, due giovani si conoscono e si innamorano. Lui è un
diplomatico italiano, lei appartiene a una famiglia cinese di vecchia data, in
cui l’attaccamento alla tradizione si fonde con uno spirito aperto ai tempi
nuovi. Dal loro amore nasce una bambina, ma la guerra mette fine all’idillio.
Lui verrà internato in un campo di concentramento e nel ’45 tornerà in
Italia, lei finirà per risposarsi. E la bambina? Cresciuta da una tata adorata,
educata in un collegio di suore, viene mandata in Italia per cercare il padre,
che rivedrà un’unica volta, anni dopo. È sola, e porta con sé i ricordi di
una terra lontana, della sua grande famiglia cinese, i nonni e le zie dai nomi
improbabili, i rituali diversi, i sapori e gli odori, così dissimili da quelli
che si trova intorno. Eppure all’adozione da parte di una famiglia sconosciuta
preferisce l’anonimità di un istituto.
Ha così inizio la sua vita nuova, in cui Oriente e Occidente si fondono, ma il
pensiero della Cina non la lascerà mai e solo più tardi, tornando, riuscirà a
ricomporre il cerchio rimasto interrotto il giorno in cui una grande nave l’aveva
portata via da quel mondo tanto amato.
Una storia vera, più appassionante di un romanzo.
Blu è il colore dei Miao, l’antica
etnia cui appartengo da parte di madre.
Blu è il vento che risveglia la memoria, la modella e la rinnova.
Blu è la Cina che dista infiniti li.
Blu è la mia nostalgia.
Solo a sentire l'odore provavo un
senso di nausea. Così rimanevo seduta per ore davanti alla grossa scodella
piena di caffelatte ormai freddo che volevano farmi bere a tutti i costi.
Le suore credevano che io rifiutassi per capriccio. Non riuscivo a spiegare che
in Cina il latte lo bevevano soltanto i neonati, e solo il latte materno, che
non esistono formaggi né derivati.
Io non davo spiegazioni per non espormi alle ironie delle compagne dell'Istituto
che mi chiamavano «mandarina», perché erano venute a sapere che ero stata
«venduta» a un governatore cinese che era soprannominato «mandarino».
In realtà si trattava di un signore molto importante che aveva gli stessi
privilegi e autorità dei mandarini del passato. Come costume, era poligamo:
aveva moglie e concubine tutte lussuosamente vestite che vivevano con lui nel
suo palazzo.
La sua residenza era circondata da alberi di canfora e di querce, e le stanze
del suo appartamento erano piene di forsizie e tuberose.
Era un benefattore della Missione che mi ospitava in quegli anni e mi aveva
conosciuta mentre giocavo nel giardino ombroso.
Quando non era in divisa militare si vestiva con una lunga veste di seta blu, da
cui spuntavano le scarpe che erano un vero capolavoro di artigianato: ricamate
ai lati e profilate di velluto in armonia con il vestito indossato.
Bamboo Hirst
è nata Shanghai e ora vive a Londra. È sposata e ha una figlia avvocato. Si è
occupata a lungo di pubbliche relazioni, lavorando soprattuto nel campo della
moda. Prima di stabilirsi in Inghilterra, ha vissuto molti anni in Italia, che,
insieme con la Cina, resta uno dei suoi luoghi del cuore. Tra i suoi libri
citiamo Figlie della Cina, uscito per Piemme, Il riso non cresce sugli
alberi, pubblicato da Mondadori e recentemente da La Tartaruga, Passaggio
a Shanghai e Inchiostro di Cina, sempre per Mondadori, e Cartoline
da Pechino, uscito da Feltrinelli.
HOTEL SHANGAY
Mentre le Bmw scintillanti ne affollano le antiche strade, e Armani e
Prada sbarcano nei quartieri alla moda della più fashionable città d’Oriente,
il nome di Vicki Baum torna a riecheggiare con insistenza come un tam-tam, là
dove si fanno e disfano le reputazioni letterarie e si classificano i gusti
popolari, portando con sé una scia di stupori e interrogativi - «L’hai mai
letto?», «Mah, credevo di averlo letto ma non ne sono affatto sicura». «Non
conosco nessuno delle nuove generazioni che l’abbia letto». E questo è tutto
quello che si può dire o udire di Vicki Baum, forse la prima donna creatrice di
romanzi bestseller internazionali; e del suo romanzo Hotel Shanghai, storia di
una città dalle fantastiche fortune e dalle inaudite crudeltà, paradiso
cosmopolita raccontato il tutto il suo splendore e in tutte le sue
contraddizioni.
Quando pubblicò Hotel Shanghai nel 1937, Vicki Baum aveva 49 anni ed
ebbe un istantaneo successo mondiale. Raccontò le molte e diverse strade che
portarono a Shanghai nove persone, e la storia della loro vita e della città,
assediata e cannoneggiata per ottantotto giorni. Innumerevoli volte si era
combattuto per le sue strade ma mai come nell’estate-autunno di quell’anno
1937. Oggi, Shanghai è la capitale finanziaria e mondana della Cina. Per
capirla occorre risalire a quegli anni Trenta, il periodo magistralmente evocato
nel romanzo che segna il ritorno di Vicki Baum.
Chang era nato su un barcone.
Venne al mondo di notte, mentre il fiume blandiva con suoni lievi le plance. Sua
madre lo staccò dal corpo con un coltellaccio arrugginito. Al mattino era
morta. Egli non aveva padre. Il barcone era casa e dimora di molti membri della
sua famiglia e dei loro bambini. Con gli occhi dipinti sulla prua, il barcone
cercava la sua strada. Una stuoia sostenuta da canne di bambú formava il tetto.
La sorella di Chang, maggiore di lui di sette anni, andò al ricco villaggio,
dove erano all'ancora, a chiedere fagioli per il bimbo rimasto senza madre; poi
li pestò e ne trasse un liquido lattiginoso che il piccino le succhiava
avidamente dalle punte delle dita. Cosí Chang restò in vita.
Il piccolo giaceva avvolto negli stracci sul fondo del barcone, mentre il fiume
scorreva vivo sotto le tavole. Egli vedeva sua sorella, che china in avanti,
spingeva il remo e faceva avanzare il barcone. Nello sforzo le vene delle
piccole braccia si ingrossavano. Quando il neonato piangeva la ragazza lo
sollevava, se lo legava saldamente sulla schiena e poi continuava a spingere il
remo. Avanti e indietro, avanti e indietro. Il ritmo lo addormentava. Poiché
non vi erano genitori per scegliergli un bel nome, fu chiamato semplicemente Ah
Tai, Un Grande. Alla sorella rimase poi affezionato per tutta la vita, benché
non fosse che una donna. Il fiume gli fu padre e maestro. Il ragazzo crebbe e si
fece grande e robusto. Prendeva
a spallate i cugini, maggiori di lui, e li gettava da parte oppure nell'acqua.
Essi ridevano di lui. Chang aveva sempre fame e i suoi pensieri si riferivano
per lo piú al cibo. Qualche volta il barcone rimaneva fermo e inoperoso in una
insenatura del fiume, vicino a un villaggio e allora il cibo scarseggiava e
infine spariva del tutto. Chang sognava pasta, pane e cavoli bollenti. Rubava
dell'aglio da un piccolo podere e masticava un pezzo di legno come se fosse
pane.
Vicki Baum
(1888-1960), popolare scrittrice di origine austriaca, fu l’autrice di decine
di romanzi di grande successo. Musicista, poetessa, sceneggiatrice, negli anni
Trenta si trasferì con la famiglia negli Stati Uniti. Il successo della
versione cinematografica di uno dei suoi primi romanzi (Grand Hotel,
interpretato da Greta Garbo e Joan Crawford) le garantì fama duratura.
IL SUPPLIZIO DEL LEGNO DI SANDALO
Cina, 1900: provincia dello Shandong.
Sun Bing è un ribelle per caso che si ritrova a guidare una rivolta di
contadini a fianco dei Boxer, la società segreta cinese nemica delle
potenze imperialistiche straniere. Ma Sun Bing non è solo un contadino in
guerra contro un potere più grande di lui, e da cui sarà atrocemente
punito. È anche un artista, è la voce principale di una troupe dell’«opera
dei gatti » (una sorta di melodramma della tradizione popolare), è un
uomo che vive di canto e per il canto. Possiede dunque un’arma grazie
alla quale è possibile resistere anche alla più indicibile delle
torture, un’arma decisiva: la musica, contrappunto salvifico alla
violenza della vita.
Di fronte a lui, Zhao Jia, il vecchio boia grande esperto di torture,
giunto all’ultimo lavoro della sua carriera. Come Sun Bing con il canto,
anche Zhao Jia possiede una tecnica antichissima. I due maestri si
affrontano con la loro rispettiva arte cercando, nelle condizioni estreme,
di portare a termine il capolavoro della propria vita e della propria
morte.
E intorno ai due protagonisti, un gruppo di personaggi non meno
coinvolgenti: come Sun Meiniang, la figlia di Sun Bing, che vuole salvare
il padre a tutti i costi; il giudice Qian Ding, scisso tra l’amore per
Sun Meiniang e gli ordini che gli impongono di condannare Sun Bing;
Xiaojia, figlio del boia, che grazie a un baffo di tigre riesce a vedere
la vera natura animale di coloro che lo circondano.
La scrittura di Mo Yan è densa, potente, evocativa: le parole vivono
della propria fisicità, creano la realtà stessa che descrivono. Ed è
una realtà che valica i limiti della storia, per parlare con forza in
ogni tempo, per raccontare dei demoni che nidificano nel cuore umano e
della poesia e dell’amore che, fronteggiandoli, curano e salvano.
Un atto di ribellione, una storia d’amore, un atroce supplizio; sullo
sfondo, ma più che mai protagoniste, le turbolente vicende di un Paese
che sta assistendo a cambiamenti epocali, la Cina degli inizi del
Novecento immersa nel caos politico che precede il disfacimento della
dinastia imperiale.
Un grande affresco storico e umano.
Quella, mattina, mio suocero Zhao
Jia non si sarebbe mai sognato di pensare che, dopo sette giorni, avrebbe
trovato la morte per mano mia, come un vecchio cane fedele al suo dovere.
Io, una debole donna, certo non avrei mai immaginato di impugnare il
coltello che avrebbe ucciso mio suocero. Meno che mai avrei potuto credere
che quel vecchio, piovuto dal cielo sei mesi prima, fosse un boia abituato
a uccidere senza batter ciglio.
Su e giú per il cortile sgranando il suo rosario buddhista, con indosso
una veste lunga e una giacchetta corta e in testa uno zucchetto con la
frangia rossa, sembrava un consigliere in pensione o l'anziano patriarca
di una famiglia numerosa. Ma no, lui non era un patriarca e neppure un
consigliere, era il capo dei boia del ministero delle Punizioni della
capitale, la lama piú veloce della dinastia Qing, il maestro delle
decapitazioni, l'esperto delle atroci torture del passato e l'inventore di
nuovi supplizi. In quarant'anni di servizio, secondo le sue stesse parole,
aveva mozzato piú teste
delle
angurie che si raccoglievano in un anno nel distretto di Gaomi.
Quella notte, in preda all'ansia, non riuscivo a prender sonno e mi
rivoltavo sul kang. Mio padre, Sun Bing, era stato gettato in prigione da
quel cane feroce di Qian Ding, il magistrato del distretto.
Mo Yan
è nato in Cina, nella provincia dello Shandong, da una famiglia di
contadini, nel 1955. per molti anni ha lavorato al Dipartimento culturale
delle Forze armate. Ha scritto otto volumi di romanzi e racconti, dei quali
Einaudi ha finora tradotto Sorgo rosso; L’uomo che allevava i
gatti; Grande seno, fianchi larghi. In preparazione, una raccolta
di racconti. Nel 2005 gli è stato assegnato il Premio Nonino. Questa del Supplizio
del legno di sandalo è la prima traduzione del romanzo nel mondo.
Bamboo Hirst, Blu Cina, pagg. 380, Piemme, Casale Monferrato, 2005,
€ 15,90
Vicki Baum, Hotel Shanghai, pagg. 588, Bookever, Milano, 2004, €
16,50
Mo Yan, Il supplizio del legno di
sandalo, pagg. 506, Einaudi, Torino, 2005, € 20,00
Patrizia Berzuini