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DIECI CAPITOLI DI UN UOMO STRANO

 


Autore Matteo Ricci
Editore Quodlibet, Macerata.
A cura di Wang Suna e Filippo Magnini
Prima edizione 2010
Pagine 552
N. ISBN 978-88-7462-286-3
 

Per la prima volta tradotta dal cinese in lingua occidentale, Dieci capitoli di un uomo strano (Pechino 1608) fu l'opera ricciana di maggior successo. Essa costituisce, insieme a Vero significato del Signore del Cielo (Pechino 1603), un documento prezioso per l'analisi dei temi e dei problemi affrontati nel primo confronto tra civiltà cristiana europea e mondo cinese.
In vari luoghi Ricci presenta questa opera di «etica naturale» con il titolo di Paradossi; in essa espone agli interlocutori confuciani dottrine di filosofia morale sul tempo, sul mondo, la morte, il silenzio, la divinazione, la ricchezza, che inizialmente reputava per essi ignote e paradossali. E giustamente individua nella filosofia stoica dei classici latini, universalizzante ed eclettica, lo strumento privilegiato della comunicazione con i letterati cinesi. Non poteva tuttavia esporre Seneca e Orazio, Cicerone, Epitteto e Marco Aurelio nell'integrale originalità delle loro dottrine, incompatibili, su questioni fondamentali, con il cristianesimo. Egli dunque li presenta in un grandioso apparato di centinaia di criptocitazioni, costretti nelle tesi della dottrina cristiana che finisce per frapporsi come schermo tra due visioni del mondo singolarmente coincidenti. Tale convergenza riesce tuttavia a rendersi visibile, ed è per questo probabilmente che nel titolo originale cinese la paradossalità, la «stranezza» - che è anche straordinarietà - non è più attribuita alle tesi, ma all'uomo che le espone.
Se la «via stretta» che Ricci percorre non è esente da difficoltà e contraddizioni, essa costituisce un oggetto privilegiato di riflessione per chi, oggi, voglia sinceramente esaminare le possibilità di comunicazione del cristianesimo con culture complesse, quali quella cinese.
Un testo che i letterati cinesi del tempo consideravano persino di troppo avvincente lettura, una traduzione chiara ed efficace, un ampio commentario che porta alla luce centinaia di testi classici delle principali tradizioni a confronto, permettono al lettore di formarsi un'idea fondata della grandezza e delle difficoltà che segnarono il primo incontro tra Europa e Cina.

A cura di Wang Suna e Filippo Mignini


«Non si deve credere, erroneamente, di possedere ancora gli anni trascorsi.
Il Ministro del Personale Li mi chiese l'età. Allora stavo per compiere cinquant'anni e dunque gli risposi: - Non ho più cinquant'anni.
Il ministro replicò: - Intende dire che la Sua rispettabile religione considera l'"avere" simile al "non avere"?
Dissi: - No. Siccome gli anni sono già trascorsi e non so dove si trovino adesso, non oserei dire di averli ancora.
Visto che il ministro era perplesso per la mia risposta, continuai: - Ad esempio, se una persona ha cinquanta Hu di riso e cinquanta Yi d'oro e li conserva nel suo deposito, avendo la possibilità di prenderli in qualsiasi momento e di usarli come vuole, può dire di averli. Se il deposito è già vuoto, come si potrebbe credere di possederli ancora? Sommandosi, i mesi compongono l'anno e i giorni compongono il mese. Mentre trascorro un giorno in questo mondo, una volta tramontatoil sole, sia l'anno sia il mese sia la mia vita hanno un giorno in meno. La stessa cosa accade quando arrivano l'ultimo giorno del mese e l'inverno dell'anno. Per questo ho detto di non aver più i giorni e gli anni. Col crescere dell'età, giorno per giorno, diminuisce la vita: gli anni sono già trascorsi. Ora, tra il dire di averli e il dire di non averli più, in che cosa consisterebbe l'errore?
Avendo compreso la mia prima risposta, molto soddisfatto il ministro disse: - Ha ragione: se gli anni sono trascorsi, naturalmente non si può dire di averli ancora.»

Matteo Ricci nacque a Macerata nel 1552. Missionario della Compagnia di Gesù, astronomo, letterato, cartografo, matematico dotato di una memoria prodigiosa, gettò un ponte fra la cultura occidentale e quella cinese. Destinato alle missioni d'Oriente, partì da Lisbona nel 1578 e, dopo un viaggio di cinque mesi, giunse in India, dove, per quattro anni, studiò teologia e insegnò nei collegi dell'Ordine. Chiamato a Macao nel 1582, l'anno successivo entrò in Cina, rimanendovi per il resto della sua vita. Si presentò ai cinesi quale letterato occidentale in cerca di dialogo e di amicizia con la classe dirigente confuciana. La sua cultura enciclopedica lo spinse ad apprendere perfettamente il cinese, una lingua nella quale poteva scrivere e parlare. Morì a Pechino nel 1610, ottenendo dall'imperatore un terreno per la sepoltura.
I testi già apparsi sono: Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina (2000, nuova edizione 2010), Lettere (2001), Dell'amicizia (2001, nuova edizione 2010) e Dieci capitoli di un uomo strano (2010). Con Guerini e associati Il castello della memoria. La mnemotecnica occidentale e la sua applicazione allo studio dei caratteri cinesi (2016).

 

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