Prima
parte
4. Sviluppo nella dinastia Han
Con la fine della dinastia Qin e l’inizio di quella Han, il periodo della scrittura antica ebbe effettivamente termine. Durante la
dinastia Han lo scritto impiegatizio popolare divenne la forma ufficiale di scrittura
impiegata per tutti gli scopi, incluse le iscrizioni. Nella prima parte degli Han Occidentali (206 a.C.-24 d.C.) la scrittura dei cancellieri fu, come ci si sarebbe potuto aspettare,
ancora molto simile alla scrittura dei cancellieri della dinastia Qin; ma con il 1° secolo a.C. comincia ad apparire una nuova forma di questa scrittura, caratterizzata da uno stile di pennello più ondulato e regolare. Questo nuovo e modificato stile che, come la prima scrittura Qin, fu principalmente la creazione degli impiegati e dei funzionari di basso
livello delle cancellerie governative, si diffuse velocemente in tutti i livelli della società e divenne la forma di scrittura standard degli Han. Questa in un qualche modo più evoluta versione Han di
lìshū è la forma classica della scrittura dei cancellieri, ed è ancora
diffusamente praticata dai moderni calligrafi.
La transizione dallo stile del sigillo allo stile dei cancellieri e la susseguente adozione
universale dello stile dei cancellieri nella dinastia Han, rappresenta probabilmente la transizione più importante nell’intera storia della scrittura cinese. Essa contrassegna il cambiamento dall’antica forma di scrittura nella quale, a dispetto di una progressiva tendenza a una rappresentazione più
stilizzata ed astratta, possono essere distinte le radici essenzialmente pittografiche della
scrittura, a una forma di scrittura puramente convenzionalizzata. Questo cambiamento
assunse diverse forme. Nella scrittura dei cancellieri tutti i tentativi di preservare la natura pittografica dei caratteri vengono
abbandonati e la convenienza diviene il principio prioritario. Tratti arrotondati o circolari
vengono raddrizzati e linearizzati per produrre caratteri più facili da scrivere: il carattere per sole, ad esempio, nel
zhuànshū era un circolo con una breve linea orizzontale
all’interno; ora diventa un piccolo quadrato attraversato da un breve tratto orizzontale, perdendo in questo modo il suo precedente aspetto
pittografico. I componenti dei caratteri sono semplificati e consolidati; un certo numero di componenti, distinti nello stile del sigillo, vengono fusi, e a componenti che ricorrono frequentemente vengono date forme che
variano a seconda della posizione che occupano nell’intero carattere.
L’impressione generale che si ha è di una versione drasticamente sfrondata rispetto
alle forme di scrittura più antiche. Lo stile dei cancellieri nella sua classica forma Han è già sulla buona strada per diventare
kăishū, la scrittura standard ancora in uso oggi. Per una persona d’oggi ci vuole un addestramento specifico e una grande pratica per leggere un testo scritto nello stile del sigillo, mentre lo scritto impiegatizio può essere per la
maggior parte letto da chiunque abbia una buona conoscenza della scrittura standard moderna.
L’altro sviluppo importante nella storia della scrittura cinese che avvenne in questo
periodo è l’apparizione della scrittura corsiva. Le radici di questo sviluppo possono essere già osservate nella scrittura popolare Qin, dove alcuni caratteri vengono scritti in un modo particolarmente fluente e abbreviato, con una forte reminescenza delle successive forme corsive. Una scrittura corsiva
pienamente indipendente non sembra che si sia venuta a creare, tuttavia, fino all’ultima parte del primo secolo a.C., solo poco dopo lo
sviluppo maturo della scrittura de cancellieri classica Han. Entrambe queste scritture, dei cancellieri e la corsiva, furono ampiamente usate durante la dinastia Han; la prima come scrittura formale e ufficiale, la seconda
principalmente come mezzo ausiliario e informale per scrivere bozze e lettere. Il corsivo Han venne sviluppato sulla base della prima scrittura dei cancellieri Han piuttosto che sulla forma classica pienamente sviluppata di questa scrittura. Era un sistema di scrittura radicalmente semplificato, nel quale i tratti erano liberamente uniti insieme allo scopo di ottenere la massima velocità e convenienza.
La dinastia Han vide anche la nascita dello studio sistematico della scrittura cinese. Con l’apparizione del dizionario di Xŭ Shèn, il
Shuōwén jiězì, la Cina fu in possesso per la prima volta dello sviluppo e dell’analisi di una teoria della scrittura sistematicamente elaborata.
Xŭ Shèn basò la sua analisi dei caratteri cinesi sullo stile del piccolo sigillo, essendo questa la più vecchia varietà di scrittura
conosciuta alla maggior parte dei suoi contemporanei. Quando erano conosciute forme più vecchie quali
zhòuwén o gěwén e queste differivano apprezzabilmente dalle forme
zhuànshū, anche queste venivano date e analizzate. Xŭ Shèn divise tutti i caratteri in due grandi categorie –
wén o caratteri semplici non composti, e zì, caratteri composti. Il titolo del suo dizionario riflette questa
importante divisione, significando shuōwén jiězì qualcosa come “spiegazioni sui caratteri semplici e analisi dei caratteri composti”. Un
wén non può essere diviso in componenti più piccoli; zì, d’altra parte, consiste di due o più componenti che in generale sono loro stessi
wén. Xŭ classificò ulteriormente tutti i caratteri in sei categorie che chiamò
liùshū “i sei principi della scrittura”. Delle sei categorie, solo quattro sono coinvolte direttamente con la struttura del carattere. I primi due,
zhĭshì e xiàngxīng, si riferiscono a caratteri semplici
(wén) e sono di natura non-fonetica. I caratteri zhĭshì non sono pittografici, spesso sono rappresentazioni piuttosto astratte di parole; le parole che appartengono a questa
categoria generalmente non si riferiscono a oggetti fisici ma a vari concetti astratti e relazionali; esempi sono i caratteri per i numeri, le
parole di posizione (“sopra”, “sotto”) e certe altre parole difficili da dipingere in una forma più concreta. Il numero di tali caratteri è piccolo, e questo processo di formazione grafica
cessò di essere produttivo molto presto. I caratteri xiàngxīng sono pittogrammi; in un senso o nell’altro essi sono le rappresentazioni
visuali di oggetti concreti. Questa categoria di caratteri è molto più grande della
precedente, ma anch’essa cessò di essere produttiva relativamente presto nella storia dello
sviluppo dei caratteri.
La stragrande maggioranza dei caratteri cinesi appartiene alla categoria dei
zì o caratteri composti; zì a sua volta consiste di due tipi base,
huìyì e xíngshēng. La prima categoria è non-fonetica: un carattere
huìyì (significati uniti) generalmente ha due componenti grafici i cui significati presi insieme
suggeriscono un’altra parola; per esempio, secondo Xŭ Shèn, la parola per bosco è data da due alberi. I caratteri
huìyì formano una categoria abbastanza vasta; il processo, sebbene meno produttivo del processo di formazione dei
xíngshēng, ha continuato ad essere impiegato nella formazione di nuovi caratteri in tutta la storia cinese.
Xíngshēng, composti fonetici, al tempo di Xŭ Shèn formavano la più grande categoria di caratteri, e ancora oggi è così. Un
carattere xíngshēng consiste di due elementi, uno dei quali dà un indizio della categoria
semantica della parola rappresentata, e l’altro un indizio del suo suono. Xŭ Shèn cita come esempio di questa categoria la parola
hé “Fiume Giallo” che consiste del carattere per “acqua” alla sinistra e un carattere
pronunciato kě alla destra. Il componente a destra è usato per suggerire la pronuncia del nuovo carattere composto. Nella nomenclatura
moderna il componente semantico viene chiamato radicale e la parte che riguarda il suono è chiamata fonetica. Le fonetiche solo
occasionalmente coincidono perfettamente con la pronuncia del carattere composito nel quale sono usate; ciononostante, i parametri
dell’uso fonetico sono sufficientemente stretti per dare una preziosa informazione riguardo la formazione fonologica del cinese Han e pre-Han. La categoria dei composti fonetici è rimasta il processo di formazione grafica più produttivo per più di due millenni.
Le rimanenti due categorie della classificazione liùshū, strettamente parlando non si
riferiscono alla struttura grafica. I jiějiè, o “prestiti fonetici”, sono caratteri
originalmente concepiti per scrivere una parola che più tardi è stata presa in prestito per
rappresentare il suono di un’altra, spesso una parola totalmente senza relazione con essa.
Questo processo è già stato descritto nella precedente sezione. Il significato della categoria chiamata
zhuănzhù è stata dibattuta dagli studiosi cinesi per molti secoli, ma il suo preciso significato è ancora controverso.
Il Shuōwén jiězì contiene 9353 caratteri. Xŭ sistemò questi caratteri sotto 540 radicali o classificatori grafici. Questi radicali sono
elementi che un certo numero di caratteri hanno in comune e che sono in questo modo usati come mezzo per classificare le forme grafiche di quei caratteri; frequentemente
essi corrispondono ai significanti dei caratteri, ma non è sempre necessariamente così. Xŭ Shèn mostrò che la grande maggioranza dei caratteri cinesi non erano simboli grafici
puramente arbitrari che non avevano nessuna chiara relazione l’uno con l’altro, ma erano piuttosto costituiti da un numero di
componenti relativamente piccolo e che, usando il sistema dei radicali, i caratteri potevano
essere sistemati in un modo ragionevolmente logico.
Nelle sue definizioni dei caratteri, Xŭ Shèn prese in considerazione il fatto che ogni
carattere aveva una forma (xíng), un significato (yì) e un suono o pronuncia
(shēng). Una tipica entrata nel suo dizionario accenna a uno o più di questi concetti. Per esempio, la parola
shuō “riferire, spiegare”, che si trova nel titolo del dizionario di Xŭ, è definita in questo modo:
Prima di tutto viene data la forma del
piccolo sigillo; segue il significato: shuō significa “spiegare”. La frase successiva spiega la forma grafica: “esso
(shuō) deriva dall’unione di yán con duì come fonetica”.
Yán “parlare” è la parte significativa, ed è anche il radicale sotto il quale è classificata la parola
shuō. In termini di lingua moderna, è difficile vedere come duì possa essere la fonetica in una parola pronunciata
shuō, ma questo è semplicemente perché quasi due millenni di cambiamenti fonologici hanno oscurato la somiglianza originale dei due suoni. Nella ricostruzione del Cinese Antico di F. K. Li, shuō è *hrjuat e
duì è *duadg; in queste forme la somiglianza originale nel suono è molto più evidente. La forma grafica dei due componenti di
shuō (yán e duì) è spiegata nelle rispettive entrate in altro punto del
dizionario.
5. Sviluppi
post-Han della scrittura
La forma standard della scrittura chiamata
kăishū che è ancora in uso attualmente cominciò a prendere forma durante l’ultima parte della dinastia Han.
Kăishū rappresenta un’ulteriore evoluzione verso una forma di scrittura più regolare e comoda, nella quale i caratteri ondulati della scrittura dei
cancellieri si trasformano in linee dritte e con angoli più acuti. Nella sua evoluzione fu senza dubbio influenzata da nuove tecniche di scritture sviluppatesi congiuntamente alle forme corsive. Le forme di transizione tra la scrittura dei cancellieri classica e la nuova scrittura standard si possono trovare già in alcune fonti tardo Han, ma un
kăishū pienamente maturo non appare che al tempo del famoso calligrafo della dinastia dei Jin
Orientali Wáng Xīzhī (321-379). Al tempo della Dinastia del Sud e del Nord, il
kăishū emerge come la forma standard della scrittura cinese e sostituisce la scrittura dei cancellieri per tutti gli usi ordinari. È questa forma di scrittura che ha avuto un uso ininterrotto fin da quel tempo, e che forma la base di tutte le forme moderne di scrittura in Cina.
Le forme corsive della scrittura cinese (căoshū) cominciarono a svilupparsi, come già accennato, nel 3° secolo a.C. Queste prime forme di corsivo erano strettamente associate con la scrittura dei cancellieri in evoluzione, e nella loro forma matura
vennero ad essere conosciute più tardi come zhāngcăo “scrittura delle erbe”. Nel secolo successivo alla caduta degli Han Orientali, insieme alla nuova scrittura standard
kăishū si stava sviluppando la forma classica della scrittura corsiva (il cosiddetto
jīncăo “corsivo moderno”). In questa forma corsiva furono eliminati elementi più vecchi che
ricordavano la scrittura dei cancellieri e furono adottate ulteriori semplificazioni e
abbreviazioni e a un certo numero di caratteri furono date forme grafiche totalmente differenti; in generale,
jīncăo ha più tratti collegati che le forme corsive più vecchie, assumendo così un’apparenza più fluente. L’estrema
semplificazione di questa scrittura la rese difficile da leggere e in questo modo ridusse la sua praticità. Indubbiamente questa è la ragione per la quale divenne popolare un’altra forma si scrittura, intermedia tra
căoshū e kăishū. Questa scrittura, chiamata xíngshū “scrittura corrente”, adotta molte delle caratteristiche della scrittura corsiva ma nei suoi elementi fondamentali rimane molto più vicino al
kăishū, rendendolo molto più utile alla persona media come mezzo per la stesura di
documenti e nella scrittura di lettere personali. Forme di scrittura molto vicine nello spirito alla scrittura corrente possono essere già
viste in materiali risalenti all’ultimo periodo della dinastia degli Han Orientali e sembra che si siano formate in tandem con il
kăishū. Comparandolo con kăishū e căoshū, xíngshū è molto meno codificato; nelle mani di
alcuni scrittori esso diventa simile al căoshū, mentre per altri rimane molto più vicino alle forme standard.
Nel periodo della dinastia Tang kăishū e xíngshū erano diventati le due scritture
prevalenti; se le scritture del piccolo sigillo e dei cancellieri sopravvissero fu come forma di conoscenza storica specializzata. Esempi dei vari tipi di scrittura discussi in queste
sezioni sono mostrati nella tabella 4.
6. Il numero dei caratteri cinesi
Dopo la dinastia Han, con il diffondersi della scrittura il numero complessivo di caratteri cinesi proliferò abbondantemente. Le ragioni furono diverse. Nelle prime forme della scrittura era piuttosto comune usare lo stesso carattere per rappresentare due o più parole che, sebbene frequentemente vicine sia nella pronuncia che nel significato, avevano
possibilità di confusione. Presto tali parole cominciarono ad essere differenziate,
generalmente per mezzo dell’aggiunta di un componente semantico o fonetico. Alcuni esempi di questo processo sono stati già dati. Nei secoli seguenti l’unificazione sotto la dinastia Qin, venne creato un numero sempre maggiore di caratteri, sulla base del principio che richiedeva che ogni parola avesse una propria rappresentazione grafica. È stato stimato che alla fine della dinastia Shang ci fossero, in uso comune, tra i 4000 e i 5000 caratteri diversi; il
Shuōwén jiězì (nel periodo degli Han Orientali) conteneva 9.353 caratteri differenti; il rimario
Jíyùn, del periodo della dinastia dei Song Settentrionali (960-1127), arrivò a 53,525 caratteri. Come si può spiegare questo incredibile aumento del numero di caratteri? I fattori furono diversi. Una ragione
importante della moltiplicazione del numero di caratteri fu la natura cumulativa della
tradizione letteraria cinese: i caratteri usati per scrivere testi antichi venivano sempre conservati e inclusi nei dizionari anche se le parole che rappresentavano da tempo non erano più in uso. In questo modo, all’aumento del corpus della letteratura cinese seguì quello del
numero dei caratteri; alcune di queste parole provenivano dal linguaggio dialettale; in
altri casi parole dialettali e perfino straniere furono incorporate nella lingua. Anche nuovi nomi propri, sia toponimi che di persona,
arricchirono progressivamente l’inventario dei caratteri. Un altro fattore importante nella proliferazione dei caratteri fu la nascita di varianti nella scrittura della stessa parola; queste varianti (talvolta chiamate allografi) spesso coesistevano e furono spesso usate per lunghi periodi di tempo a causa della mancanza di una politica di
standardizzazione. Un’idea del numero di caratteri cinesi trovati in dizionari rappresentativi in periodi differenti può essere visto nella tabella 5.
Tabella
5 - Numero dei caratteri nei dizionari cinesi
Data |
Dinastia o periodo |
Nome del dizionario |
N. caratteri |
100 |
Han Orientali |
Shuowen jiezi |
9.353 |
VI sec. |
Liang |
Yupian |
12.158 |
601 |
Sui |
Qieyun |
16.917 |
1011 |
Song Settentrionali |
Guangyun |
26.194 |
1039 |
Song Settentrionali |
Jiyun |
53.525 |
1615 |
Ming |
Zihui |
33.179 |
1716 |
Qing |
Kangxi zidian |
47.035 |
1916 |
Minguo |
Zhonghua da zidian |
48.000 |
Fino ai tempi moderni il dizionario con il più grande numero di caratteri è stato il
Jíyùn, compilato da Dīng Dù (990-1053) e un gruppo di studiosi durante la dinastia Song. È molto chiaro, nel caso di questo
dizionario, che la ragione di questo straordinario numero di caratteri è l’inclusione di un alto numero di modi differenti nello scrivere la stessa parola. Nonostante ciò è comunque innegabile che il numero totale di caratteri cinesi in esistenza è sbalorditivo. Di fronte a questi numeri è naturale chiedersi quanti
caratteri siano in uso ordinariamente. Sicuramente nessuno potrebbe ricordare decine di migliaia di caratteri differenti, come nessuno avrebbe bisogno di un così grande numero per documentare un qualsiasi stadio
immaginabile della lingua. Come sottolineato all’inizio di questo capitolo, un carattere
cinese generalmente rappresenta un singolo morfema; sebbene il numero di parole in una lingua con una letteratura ben sviluppata sia piuttosto grande, arrivando in alcuni casi alle centinaia di migliaia, il numero di morfemi (soprattutto nativi, non presi in prestito) è molto più piccolo, arrivando generalmente alle migliaia. Questo suggerirebbe che il numero di caratteri necessario per scrivere una qualsiasi fase sincronica del cinese
dovrebbe ammontare ad alcune migliaia piuttosto che alcune decine di migliaia; e infatti è questo il caso. Ciò è sostenuto da diversi studi statistici.
I Tredici Classici Confuciani (Shísān jīng), che coprono un periodo di quasi un
millennio dalla dinastia Zhou fino all’inizio degli Han, contengono un totale di 6,544 caratteri differenti (Qian 1980); questo numero è, a dire il vero, piuttosto alto, poiché il periodo durante il quale i Tredici Classici furono scritti è molto lungo, e inoltre uno dei lavori contenuti nella collezione è lo
Ěryă, un dizionario che contiene un alto numero di caratteri strani e poco usati. Il
Shuōwén jiězì, come già indicato, contiene quasi 10.000
caratteri, ma è dubbio che tutte le parole che esso contiene fossero ancora in uso comune al tempo della sua compilazione. Studi
moderni ci portano più vicini al numero reale di caratteri necessari a una normale persona
istruita. In uno studio fatto dall’Istituto di Psicologa dell’Accademia delle Scienze
negli anni ’60, fu determinato che una normale persona con istruzione a livello universitario che non sia esperta nei campi della
letteratura cinese e della storia cinese conosce tra i 3500 e i 4000 caratteri. Uno studio
sull’edizione in quattro volumi delle opere di Mao Zedong ha trovato un totale di 2,981
caratteri. Si stima che una tipografia abbia mediamente un assortimento di circa 6.000
caratteri differenti.
Un altro modo per avvicinarsi a questo problema sarebbe quello di esaminare quanti
caratteri si trovano in uno specifico numero di composti. Guan e Tian, in un’indagine
preliminare di questo tipo hanno trovato che nel Xiàndài hànyŭ cídiăn, si trovano 1.972
caratteri in cinque o più combinazioni, e che 1.094 si trovano in 2-4 combinazioni, per un totale di 3.066. Questo si avvicina a
rappresentare il numero di caratteri che un lettore medio dovrebbe conoscere per leggere la maggior parte della prosa moderna. Alcuni caratteri per i morfemi grammaticali, i
toponimi e i nomi di persona, e parole colloquiali di alta frequenza ma che di per sé non
entrano in combinazioni lessicali dovrebbe venire aggiunte a questo numero per arrivare a una stima più realistica. Tutte queste statistiche suggeriscono che una normale persona
cinese istruita conosce e usa tra i 3000 e i 4000 caratteri. Specialisti in letteratura classica e in storia ovviamente ne conosceranno di più, poiché tratteranno regolarmente con testi
antichi contenenti numerosi caratteri non più in uso nel cinese moderno; ma anche nel caso di tali persone, è dubbio che il loro
vocabolario attivo superi i 5000 o 6000 caratteri.