Prima
parte
La nobiltà
Esistevano mandarini
importantissimi, nobilitati per azioni di guerra o per essersi distinti
grazie a eccezionali qualità, nell'esercizio del proprio ufficio. Grazie al
favore imperiale e a titolo straordinario, passavano nella categoria
superiore, quella dei nobili, gerarchizzata in dodici gradi: esistevano
quattro categorie di principi, poi i duchi (il 5° rango), i marchesi (al
6° rango), i conti (7° rango), i visconti, i baroni e i cavalieri
(dall'8° al 12° rango). Facevano parte di questa nobiltà i parenti più o
meno stretti dell'imperatore, e alcuni mandarini privilegiati, che si
distinguevano grazie al favore imperiale.
L'imperatore ne fissava la
gerarchia, che del resto non era affatto immutabile. I membri di
quest'élite si riconoscevano per il globulo rosso rubino, per le vesti blu
e soprattutto per i medaglioni ornati di draghi (per i principi) o per i
pannelli ricamati, rettangolari (per gli altri), ornati di draghi visti di
fronte e con soltanto quattro artigli (duchi, marchesi e conti) oppure di qilin
(visconti), di leoni (baroni), di tigri e leopardi (per i cavalieri di 11°
e 12° grado).
Parenti
dell'imperatore, questi nobili potevano tuttavia aspirare alle cariche
pubbliche soltanto superando regolarmente i concorsi, “come tutti gli
altri”! I loro unici privilegi consistevano nel percepire una modica
pensione, nel portare una cintura rossa o gialla, nell'ornare i propri
berretti con una piuma di pavone e nel prendersi il lusso di avere otto o
dodici portatori di palanchino. Di fatto, non avevano alcun peso effettivo
all'interno dello Stato, e alcuni mandarini particolari erano perfino
incaricati di assoggettarli completamente e perfino di frustarli quando
contravvenivano alle regole.
Questa dignità fittizia ed
aleatoria faceva sì che il popolo quasi non li considerasse. I veri
sostenitori dell'aristocrazia e della nobiltà erano piuttosto i membri di
alcune illustri famiglie, dalle quali, da secoli, uscivano regolarmente
importanti mandarini. Avendo raggiunto posizioni elevate grazie ai propri
meriti e a quella dei propri antenati, i membri di queste famiglie godevano
di un innegabile prestigio e di un vero e proprio carisma che li ponevano al
di sopra delle leggi.
La piramide
dei concorsi
Il reclutamento dei
funzionari, dicevamo, avveniva quindi quasi esclusivamente tramite i
concorsi. E questo sistema di scelta attraverso gli esami è esistito e
perdurato per tredici secoli, dal 587 al 1905; venne soppresso sei anni
prima del crollo della dinastia.
A dire il vero la “messa a
punto” di questa potente macchina amministrativa sembra risalga a tempi
molto anteriori, ovvero al III secolo a.C., e quindi alla fondazione
dell'Impero.
Nella corsa ai titoli, aspra e
difficoltosa, si distinguevano due livelli principali, e l'ultimo, il
concorso finale, aveva luogo nella capitale.
Questi esami facevano parte
integrante dei grandi momenti della vita pubblica, e anche tutte le
metropoli provinciali possedevano le proprie sedi per gli esami, edifici
importanti e curiosi, ad un unico piano, a scacchiera, molto esteso,
composto da una moltitudine di piccole celle, studioli individuali,
allineati e giustapposti lungo innumerevoli corridoi. Varie migliaia di
studenti vi si ritrovavano, inizialmente nell'edificio del proprio capoluogo
di distretto, per l'esame di primo grado, e più tardi, per i fortunati
eletti vincitori, nella capitale provinciale. Questi edifici contavano dalle
4.000 alle 20.000 celle, a seconda delle province! A Chengdu, per esempio,
alla fine del secolo scorso, si contavano circa 20.000 candidate per
sessione. Nel 1897, a Shanghai, 14.000 studenti aspiravano ai 150 posti
offerti dalla provincia, il che significa un eletto su ogni 94 concorrenti.
Un concorso difficile ma aperto a tutti, quindi. Fatta eccezione per gli
individui appartenenti alle classi “vili” e disprezzate (attori, agenti
di polizia, barbieri, portatori di palanchini, battellieri, carnefici e
figli di ribelli, istrioni e prostitute). Ognuno poteva concorrere, nella
misura in cui aveva già superato la prima “barriera”, ed era diventato
un “talento ornato”, ovvero uno studente qualificato, una specie
di “maturo”. Un candidato su dieci otteneva questo primo diploma. Il “talento
ornato”, in seguito, aspirava al titolo di “talento promettente”.
Usciti dall'accozzaglia
dei comuni mortali, questi "talenti ornati" avevano il diritto di
indossare la veste lunga, di calzare degli scarpini e di portare un berretto
particolare; ma non avevano ancora nessuna funzione e molti di loro non
andavano oltre, aumentando la folla degli inaspriti, dei declassati, che
spesso si affiliavano alle molteplici società segrete, sempre estremamente
attive in Cina. Poiché non esistevano limiti d'età per presentarsi a
questi esami, per tutta la vita questi candidati si cullavano nella speranza
di riuscire, un giorno. Pare che alcuni si siano presentati a una ventina di
sessioni successive, come il pittore Wen Cheng ming (1470‑1559) che
per 28 anni si presentò regolarmente alle prove degli esami amministrativi,
nella speranza di diventare un giorno funzionario. Alcuni conseguirono la
“laurea” a 60 anni, e si incontravano dei “dottorini freschi freschi”...
ottuagenari! Molte famiglie, talvolta anche alcuni amici, facevano collette
per pagare gli studi a uno di loro. Gli affidavano la missione di riuscire
negli esami, per poi diventare funzionario; riponevano in lui tulle le
proprie speranze e i propri sogni, tanto era elevato il prestigio (e i
vantaggi!) dell'amministrazione.
Coloro che venivano bocciati
agli esami diventavano impiegatucci, maestri elementari, precettori, medici,
farmacisti, astrologi, geomanti, lettori che declamavano nelle locande le
leggende e i resoconti epici. Oppure, nello yamen, alcuni trovavano
degli impieghi subalterni come segretari privati di capoufficio, lavori che,
anche se non ufficiali, erano pur sempre lucrativi e rispettati. I poeti, i
romanzieri e i pittori cercavano nelle città l'appoggio di ricchi
proprietari o di mercanti, e coloro che avevano determinate convinzioni
religiose si facevano monaci, buddhisti o taoisti. Alcuni, nonostante il
grave rischio di venir radiati dalle liste genealogiche del loro paese,
calcavano il palcoscenico e diventavano attori. Molti aderivano alle
società segrete, come abbiamo già detto.
Questi "respinti"
non erano più incapaci degli altri, anzi, in molte occasioni erano ben
lungi dall'esserlo, perché gli esami imponevano una tale “preparazione a
pappagallo”, una tale pedanteria, un tale formalismo imperniato
sull'apprendimento “a memoria” che, tutto sommato, gli spiriti originali
avevano problemi ad adattarsi a quella mentalità scolastica e a sottoporsi
a una preparazione che aveva come risultato un annientamento della
personalità.
L'esame di provincia,
triennale, comprendeva tre sessioni di tre giorni ciascuna, e alcuni
morivano stremati nella propria esigua celletta. Ricordiamo che i candidati
erano di tutte le età.
In programma: frasi e
riflessioni di Confucio, di Mencio e di altri savi antichi, da commentare.
Niente matematica, né scienze.
La seconda sessione riguardava
i cinque classici, i jing o "libri di una dottrina
immutabile e costante", riguardanti anche i riti e le cerimonie.
Alla terza sessione, bisognava
redigere cinque memorie riguardanti la Storia e l'arte di governare. Le
prove, sorvegliate dall'esercito e da ispettori amministrativi, erano
rigorosamente anonime, e la percentuale dei promossi, a questo livello, si
situava tra l'1 e il 2%, a seconda degli anni e delle province. I vincitori
diventati cheng yuan, studenti titolati, corrispondevano ai
baccellieri che un tempo entravano nel chiericato, nel senso medievale del
termine; possono essere considerati già dei piccoli mandarini.
Seguiti in istituti
scolastici, i progressi di questi baccellieri erano tenuti sotto controllo
costante, e i migliori tra loro talvolta venivano mandati, con una borsa di
studio, al Collegio imperiale di Pechino, l'Università dei Figli dello
Stato, un vero e proprio trampolino di lancio verso la carica di mandarino.
Ma gli esami provinciali superiori consentivano anche di progredire
parallelamente, e coloro che riuscivano, avevano diritto all'ambito titolo
di juren (una specie di laureato). A Nanchino, su 20.000 candidati
già selezionati dalla precedente barriera, soltanto 140 diventavano juren,
“uomo promosso”.
Per tutta la Cina, alla fine
del XIX secolo, venivano selezionati ad ogni sessione 1300 juren,
ovvero da 50 a 180 eletti per provincia, a seconda della rispettiva
popolazione, dato che ognuna di queste presentava tra i 3000 e i 7000
candidati. Anche queste prove duravano nove giorni di vera e propria
carcerazione. I fortunati eletti, l'anno dopo, erano invitati a spese della
provincia, a recarsi nella capitale per sostenere l'ultimo concorso.
Anche questi esami definitivi,
riservati al juren, e che portavano al “dottorato”, avevano luogo
ogni tre anni, verso il mese di giugno. Si svolgevano in tre sessioni, due
delle quali avevano luogo nel Palazzo imperiale stesso, sotto la presidenza
dell'Imperatore, che talvolta forniva gli argomenti.
A seconda del loro ordine di
uscita, questi “dottori arrivati” o jinshi (Letterati perfetti)
ricevevano già incarichi importanti. A ogni sessione, circa 3320 di loro,
tra i 5000, 7000 candidati, ricevevano quest'ambito titolo. Molti erano
ripetenti, bocciati alle sessioni precedenti. Gli ultimi 220 ammessi
ricevevano subito posti ufficiali di sottoprefetti o di scribacchini del
governo, mentre i primi 100 venivano ammessi alla famosa e prestigiosa Accademia
Hanlin, l'Accademia “della Foresta dei Pennelli”, un
vero e proprio Istituto da cui uscivano, oltre ai detentori delle cariche
più importanti dell'Impero, i 56 Prefetti dell'Alta Corte, incaricati di
controllare l'amministrazione nel suo insieme, nonché di giudicare e di
biasimare il Figlio del Cielo, l'Imperatore in persona. Capitò che lo
richiamassero ai suoi doveri, che lo redarguissero sulla sua vita privata o
per qualche trasgressione ai riti.
L'Accademia Hanlin
comprendeva 232 membri che si presumeva si perfezionassero ancora per
tre anni, nella misura in cui riuscivano a restar dentro; infatti, gli
ultimi cento in graduatoria cedevano il proprio posto ai primi cento del
concorso imperiale della sessione seguente. Ma poiché non si erano
comportati male, questi “ex allievi” dopotutto diventavano esaminatori o
redattori delle opere ufficiali. Tra questi Hanlin ci furono varie
donne. I membri della prestigiosa accademia portavano per tutta la vita il
titolo di Hanlin “Foresta dei Pennelli”.
Ma torniamo al nostro jinshi.
Nella sessione di giugno 1884, ad esempio, 6896 candidati aspirarono,
per quindici giorni di vera e propria segregazione cellulare, e in piena afa
estiva, ai 320 posti di jinshi, o “dottori perfetti”.
Il jinshi aveva diritto a un particolare costume e il Major, il
primo tra loro, otteneva fin dall'inizio il grado o il titolo di ministro o
di viceré, era quindi al vertice della piramide. L'imperatore gli faceva
consegnare un abito di gala e ordinava un fastoso banchetto in suo onore.
Alcuni ricevettero perfino in matrimonio una delle figlie dell'Imperatore.
Parallelamente agli esami
civili, che quindi vertevano sui Classici, sulle nozioni amministrative e
sulle doti redazionali dei candidati, esistevano esami militari analoghi, ma
naturalmente più imperniati sulle opere di strategia e sugli sport equestri
o il tiro con l'arco, come abbiamo già detto. Del resto, a parità di
titolo e a qualsiasi livello, un militare non era mai circondato da un
prestigio paragonabile a quello dei Letterati, gli aristocratici del sapere.
Cosi, quindi, soltanto un candidato sui 56000 di partenza, si cingeva del
titolo di “dottore perfetto” o jinshi, che gli apriva le
porte del Potere centrale. Come si può capire, pochissimi di questi
Letterati diventavano grandi mandarini.
Le altre
vie d'accesso al potere dei mandarini
Queste successione di concorsi
era l'approccio tradizionale per accedere alla carriera amministrativa
ufficiale. Ma esistevano altre vie per diventare mandarini‑funzionari.
Oltre a quella semplice della “raccomandazione” imperiale (tramite un
eccezionale favore, l'Imperatore attribuiva una carica a qualcuno), era
possibile, in effetti, acquistare un titolo accademico o un diritto
d'ammissione alla famosa Università dei Figli dello Stato.
Ma nella propria località.
Questi “parvenu” non erano affatto stimati. Baccellieri e studenti
universitari “grazie al denaro” (dalle 60 alle 110 once d’argento
circa, intorno al 1830) di fatto non facevano altro che acquistare il
diritto di presentarsi agli esami di “laurea” e quindi quello di evitare
le prime barriere; in seguito dovevano pur sempre fare i loro esami e
vincere i concorsi.
Del resto si potevano anche
acquistare delle cariche ufficiali: un posto di Primo Segretario della
capitale costava 7000 once d'argento, e quello di Sovrintendente circa 12000
once. Si acquistava il titolo, non la funzione; l’impiego non poteva
essere assolto, dato che era affidato a un “autentico” funzionario.
Questi commerci di favoritismi
universitari e di impieghi ufficiali presentavano il doppio tornaconto di
arricchire l'erario, nei momenti difficili, e di guadagnarsi dei difensori
del regime nei momenti problematici.
D'altronde, i figli dei
mandarini beneficiavano della “spintarella”; il privilegio detto dell’“ombra
paterna” consentiva di rendere più liscia la strada dei figli dei
mandarini sulla via degli esami, o anche, al termine di questi, di far loro
attribuire i posti più invidiati.
Riassumendo possiamo quindi
dire che esistevano varie vie d'accesso ai vertici dell'amministrazione; sia
ottenendo diplomi universitari, sia tramite favore imperiale, ma soltanto
eccezionalmente (con conferimento del titolo senza dover superare alcun
esame), sia infine per via ereditaria. In effetti, gli alti mandarini dei
primi quattro livelli non potevano trasmettere al figlio la propria carica,
ma soltanto una carica subalterna, a un rango estremamente arretrato, in
fondo alla gerarchia, quasi “alla casella di partenza”, inclusa tuttavia
in questa gerarchia amministrativa a cui era così difficile accedere.
Il mandarinato
cemento dell'Impero
Infine,
non si possono ricordare i mandarini senza criticare la “loro”
corruzione, citare le malversazioni, la concussione, le estorsioni, la
frode, la venalità, o senza parlare di altri difetti, ancora più gravi per
il paese: il passatismo e il comportamento reazionario, generato dalla
formazione tradizionale, fossilizzata, la preparazione “a pappagallo” e
la pedanteria dei loro studi. Conservatori esasperati, attaccati al “regolamento”,
freneranno l'evoluzione della Cina, particolarmente nel XIX secolo, che vide
il paese drammaticamente sclerotizzato. Bloccheranno ostinatamente qualsiasi
tentativo di modernizzazione. Questo è vero. Ma indubbiamente si sono anche
esagerati i loro difetti e manchevolezze, e sono stati estesi
sistematicamente all'intera istituzione dei mandarini gli abusi di potere,
le pratiche nocive o gli atteggiamenti reazionari. Indiscutibilmente ci
furono anche mandarini onesti e validi, ma alcuni avevano mentalità
ristrette e altri erano avidi e venali.
A ogni modo, per due millenni,
il ruolo dei mandarini fu immenso e contribuirono moltissimo a unificare
culturalmente l'impero. Senza il loro pugno di ferro che salvaguardava tale
unità, i particolarismi provinciali e le molteplici fronde dei feudatari
che scoppiavano regolarmente ai quattro angoli dell'Impero, quest'ultimo
sarebbe andato in pezzi a più riprese, sempre supponendo che fosse
sopravvissuto a tutti questi scossoni. Cosa che è ben lungi dall'essere
certa. I mandarini, dunque, furono il cemento dell'Impero, la garanzia e la
chiave della sua perennità.
Etienne Balazs, grande
specialista in materia, ha scritto una pagina chiarificatrice sulla loro
importanza nella società cinese: “È una società burocratica, perché
la piramide sociale che poggia sull'ampia base contadina, e i cui stadi
intermedi ospitano una classe di mercanti e un artigianato poco numeroso,
dipendenti, subordinati e poco rispettati, è comandata e determinata dal
suo vertice: il mandarinato”.
“La
classe dei funzionari letterati (o mandarini) - strato irrilevante per
numero, onnipotente per la propria forza, influenza, posizione e prestigio
è la sola detentrice del potere, la maggiore proprietaria; possiede tutti i
privilegi, e innanzitutto quello di riprodursi; detiene il monopolio
dell'istruzione. Non è affatto la proprietà fondiaria, sottoposta a rischi
ed effimera, né l'ereditarietà, spesso intaccata, e neppure l'istruzione
che conferisce all'intellighenzia il suo incomparabile prestigio.
Quest'élite improduttiva trae la propria forza di funzione socialmente
necessaria e indispensabile, di coordinare, sorvegliare, dirigere,
inquadrare il lavoro produttivo degli altri, di far funzionare tutto
l'organismo sociale. Sono i funzionari-letterati che assumono tutte le
funzioni di mediazione e amministrative: si occupano del calendario;
organizzano i trasporti e gli scambi; controllano la costruzione di strade,
canali, dighe e sbarramenti; ordinano tutti i lavori pubblici e in
particolare quelli suscettibili di correggere la crudele natura, di
prevenire le siccità e le inondazioni; accumulano riserve in caso di
carestia e diffondono con tutti i mezzi l'irrigazione.
Sono al tempo stesso gli
architetti, gli ingegneri, gli istruttori, gli amministratori e i direttori
della società. Questi manager ante litteram sono tuttavia refrattari a
qualsiasi specializzazione. Sanno svolgere un unico mestiere, quello di
governare”.
Come Mengzi (Mencio), pensano
che “coloro che si dedicano alle attività intellettuali, governano gli
altri” (e quindi vengono mantenuti da questi).
“Specialisti nell'usare
gli altri uomini, esperti nell'arte politica di governare, i funzionari
letterati incarnano lo Stato creato a loro immagine: severamente
gerarchicizzato, autoritario, paternalista ma tirannico. Stato-provvidenza
tentacolare. Stato moloc totalitario...”.
Con l'avvento del comunismo
nel 1949, la Cina non sembra aver subito sconvolgimenti particolarmente
profondi nel suo funzionamento statale già profondamente socializzato. È
bastato semplicemente cambiare il clan dei dirigenti. Autoritarismo,
dirigismo, totalitarismo erano già in atto da molto tempo. Soltanto che la
dottrina marxista ha sostituito quella confuciana.
Infine, osserva E. Balazs: “Non
c'è alcuna classe dominante la cui longevità, ricchezza d'esperienze e il
cui successo, potrebbero essere paragonabili a quella del mandarinato...
Questa costosa struttura era utile e necessaria. L'omogeneità, la durata e
la vitalità della civiltà cinese erano tali a questo prezzo”. L’alternativa
era tra la burocrazia celeste e il disordine, bisognava quindi scegliere.
a