Le
la società e le istituzioni cinesi hanno conosciuto una stabilità
sorprendente per più di duemila anni, fino all'inizio del nostro secolo,
questo è sicuramente dovuto all'esistenza della classe dei mandarini, i
funzionari letterati. Grande servitori dello Stato, incaricati dell'intera
gestione degli affari pubblici (fiscali, giuridici, giudiziari, economici,
militari, lavori pubblici ecc.) i mandarini furono l'ingranaggio
essenziale e unitario dello Stato e dell'Impero.
Ciechi ingranaggi del potere imperiale
Questo Stato totalitario,
che dirigeva tutte le attività e decideva di tutto, fu anche uno Stato
burocratico e centralizzato. "Stato - provvidenza tentacolare,
Stato-moloc totalitario" ha scritto Étienne Balazs nella sua
preziosa opera, La Burocratie
céleste.
Di fatto, questa burocrazia
imperiale deteneva un potere assoluto sull’intera società e fin nel
più profondo dell'impero. Ma i mandarini erano in primo luogo i
rappresentanti dell'imperatore e della sua autorità, e si sa quanto fosse
autocratico il potere degli imperatori cinesi. I mandarini venivano
formati in modo da essere soltanto i ciechi ingranaggi di questo
schiacciante potere imperiale. Tuttavia questo non significa che non
fossero investiti di un prestigio immenso, prestigio accresciuto dal fatto
che in Cina i funzionari del mandarinato e i letterati della classe
intellettuale si sono sempre confuse. Infatti questa classe - l'unica
nobiltà riconosciuta - non si basava su privilegi aristocratici
ereditari, né sulla proprietà fondiaria né sulla ricchezza, ma sul
merito culturale. Il reclutamento in quest'élite era riservato a coloro
che erano riusciti in difficili ed estenuanti concorsi.
Un
privilegio derivato dai meriti intellettuali
Quindi, tramite i successi
personali ai molteplici concorsi e tramite il grande prestigio conferito
dall'erudizione, il letterato vincitore si nobilitava da sé. I titoli
ereditari esistevano soltanto per i membri della famiglia imperiale e per
i discendenti di Confucio, che del resto erano molto poco numerosi, e
tutti distribuiti nella sola provincia dello Shandong, culla di questa
illustre famiglia da 26 secoli.
Profondamente originale e tipicamente cinese, questa concezione che
privilegia i meriti intellettuali su tutti gli altri (ricchezza, nascita
ecc.) doveva segnare profondamente l'Europa del XVIII e XIX secolo. I vari
movimenti rivoluzionari che nacquero allora in Occidente non mancarono di
ispirarvisi. I sistemi di reclutamento tramite concorso stabiliti in
Francia dal 1791 in poi, e durante il periodo napoleonico, o in Gran
Bretagna, per il reclutamento del suo Civil Service, dopo il 1855 -
protraendo l'esperienza messa in atto in India, dal 1800, dalla famosa
Compagnia delle Indie orientali - prendevano tutti a modello il sistema
cinese dei mandarini.
Così, in Cina, accanto all'universo plebeo delle classi sociali più
basse (contadini, artigiani, mercanti) e della classe "vile"
degli emarginati (facchini, attori, prostitute ecc.) e prima che emerga,
all'inizio del secolo appena passato, una borghesia capitalista, la casta
privilegiata dei mandarini o funzionari letterati è stata, per due
millenni, la vera e propria armatura, trave maestra della società. Questa
specie di oligarchia letteraria, relativamente poco numerosa, era davvero
molto potente in Cina; ed è per una vera e propria cooptazione che si
rinnovava, dato che era lei stessa a controllare l'insegnamento e l'intero
sistema degli esami.
Si organizzava in una doppia gerarchia, civile e militare, e ognuno di
questi due rami comprendeva nove livelli, che a loro volta si sdoppiavano
in due classi. I viceré e i governatori di provincia, per esempio, erano
dei mandarini di 1° rango, mentre i sotto prefetti venivano scelti tra i
titolari del 7° grado amministrativo. Quanto ai loro assistenti,
all'ultimo gradino di questa gerarchia, erano soltanto piccoli mandarini
di 9° grado.
Alcuni particolari della loro pettinatura e dell'abito che portavano
consentivano di riconoscerne istantaneamente il rango. Lo statuto, la
votazione (e quindi il loro avanzamento e la loro destinazione) tenevano
conto delle virtù e delle qualità di cui erano dotati, che venivano
giudicate in funzione del credo confuciano. In breve, questa casta tanto
singolare, questa nobiltà mobile e continuamente rinnovata, le cui radici
molto spesso affondavano tra il popolo, merita tutta la nostra attenzione,
perché rivestì un ruolo immensamente importante. I mandarini avevano
perfino un diritto di rimostranza nei riguardi del Figlio del
Cielo, l'Imperatore! E spesso furono la vera e propria fonte di
ispirazione della politica imperiale. Perciò, sotto molti aspetti, anche
se il tutto era coronato da un imperatore dai poteri esorbitanti, questo
sistema di "burocrazia celeste" fu di fatto piuttosto
democratico e precursore.
S'impone una prima osservazione: il termine "mandarino" non è
cinese e non ha neppure un equivalente nella lingua di questo paese. Si
usavano titoli di ogni genere che si riferivano ai gradi e alle funzioni;
a rigore, forse il termine guan funzionario, sarebbe più
appropriato. Tutti i dipendenti civili e militari dei servizi un tempo
designati con il termine collettivo di bai guan, "le cento
funzioni", portano il nome generico di guanfu, che traduciamo
a sua volta con "mandarini". Questa parola "mandarino"
deriva probabilmente dal portoghese "mandar" che significa
"comandare, ordinare... mandare a chiamare". Secondo altri
deriverebbe dal termine "mantrin" che, in India e in Malesia,
designa il "detentore delle formule", i famosi mantra del
buddhismo tantrico. "Mandarino" deriverebbe quindi dalla
deformazione della parola indiana che i portoghesi sentivano nella loro
enclave di Goa.
Poco importa: quel che è certo è che non si tratta di un termine cinese.
Per di più si deve chiarire un'ambiguità. Tutti coloro che chiamiamo
mandarini, non erano necessariamente membri (civili o militari)
dell'amministrazione pubblica, perché non tutti i letterati, diplomati,
erano continuamente in carica. Anzi! Molti erano in attesa di un posto o,
disponendo di risorse personali (beni e terreni), erano in grado di vivere
senza lavorare.
D'altra parte tradurre il termine "mandarino" con
"letterato" è comunque troppo vago, bisognerebbe precisare:
funzionario-letterato, notabile -letterato, redditiere-benestante ecc. In
ciascuno dei nove gradi amministrativi, quelli di classe B, a cui si è
già accennato, nonostante i titoli, in genere erano "di
riserva", in attesa di un posto. Così, quando parliamo di mandarini,
ricordiamo al tempo stesso i funzionari in carica, con responsabilità
effettive, e altri, a "titolo onorario", che vegetavano in
attesa di una designazione o mentre preparavano un concorso per un grado
più elevato.
Si diceva che governare il paese significasse osservare e far osservare
"le trecento regole cerimoniali e le tremila regole
comportamentali", e le complessità e le sottigliezze del
protocollo e dei regolamenti che trattavano dei più svariati argomenti.
Il codice morale era fortemente impregnato di confucianesimo e, dall'epoca
della dinastia Han, all'inizio dell'era cristiana, l'etichetta e il
cerimoniale della corte imperiale avevano ripreso e imposto dei riti che
risalivano a tempi arcaici (i culti del cielo e degli antenati, i
sacrifici ecc.) nonché tutto il credo confuciano: rispetto dell'autorità
e degli anziani, sottomissione assoluta a questi ultimi e alle tradizioni.
Verso la fine, con i Qing (1644-1911), e grazie alla diffusione
dell'ortodossia neo-confuciana, sulla Cina pesò un vero e proprio ordine
morale che poneva in primo piano le virtù di obbedienza e la cieca
sottomissione all'autorità. In Cina non era possibile scherzare con
quest'ultima. La stabilità dell'impero si otteneva a tale prezzo.
Era raro, un tempo, nell'universo, che la morale su cui si fondava la
politica non fosse caratterizzata da un'essenza religiosa o metafisica.
Invece in Cina, eccezionalmente, questa morale fu agonistica e si basò su
una tecnica e comportamenti che, certamente, erano d'accordo con quella
delle religioni più illustri, ma senza essere tuttavia prescritti da
queste: buone maniere, gentilezza, riti, virtù ecc. erano dettati dal
confucianesimo che, senza essere una religione, era alla base stessa dei
concorsi per i mandarini. E questo spiega come mai in tutti i tempi ci sia
stato un antagonismo latente tra i mandarini confuciani e i vari cleri
(buddhista, taoista, e quindi cristiano, dopo il XVII secolo). L'ideale
del mandarino era quello di diventare un "perfetto letterato",
un archetipo, una specie di brav'uomo, savio ed erudito, in grado di
"sacrificare la vita per salvare la propria virtù". E questo,
naturalmente, al di fuori delle religioni.
Un
severo controllo della vita pubblica
Il primo ruolo dei
mandarini era quindi quello di inquadrare e di dirigere il lavoro e la
vita del popolo, sia in campagna che in città. Controllavano,
coordinavano e dominavano autoritariamente l'intero corpo sociale e
l'apparato produttivo. Estremamente gerarchicizzata e ben articolata, la
macchina amministrativa era molto efficace e "ben oliata"; lo
spirito di sottomissione e la paura di venir denunciati o retrocessi
facevano il resto.
Gli ordini partivano dall'amministrazione centrale, nella capitale, e
ricadevano come una pioggia fin nei più piccoli villaggi dell'impero,
ripercuotendosi a livello di tutti gli strati della società. Sottoposta a
un vero e proprio dirigismo di Stato, le decisioni riguardanti l'intera
vita sociale ed economica del paese venivano quindi prese in alto loco. In
definitiva, con un sistema di mandarinati apparentemente democratico, la
Cina è sempre stata laica, socialista e totalitaria, nel senso che
nessuno dei settori della vita sociale ed economica sfuggiva al suo potere
decisionale e al suo controllo. Semplice ed efficace, la macchina
amministrativa risolveva tutti i problemi, decideva a proposito di ogni
cosa e in particolare controllava molto da vicino soprattutto il
commercio. Una bella continuità, quindi.
A tutti i livelli, funzionari statali, provinciali o locali, dirigevano e
controllavano la vita pubblica, gli affari nonché i lavori pubblici
(costruzioni di canali, di edifici pubblici, di muraglie difensive ecc.).
In ognuna delle capitali provinciali - variate da dieci a venti a seconda
delle epoche - lo yamen era la residenza del viceré o del
governatore. E il numero di questi naturalmente è cambiato con il tempo;
nel secolo scorso si contavano otto viceré e quattordici governatori
provinciali. Gli yamen erano spesso delle vere e proprie
cittadelle, con sale di ricevimento, residenze, abitazioni, magazzini,
armerie, tribunale, prigione ecc. In sintesi, erano la sede di un potere
forte e temuto.
Se i mandarini erano relativamente numerosi, coloro che venivano chiamati
a governare e ad amministrare erano in numero piuttosto ridotto: circa
27.000 funzionari statali (7.000 dei quali erano militari). La metà di
questi erano assegnati alla sola capitale, divisi nelle varie sedi
dell'autorità centrale; poco prima della rivolta dei Taiping (1850-1864)
il "grande" mandarinato (in carica) contava circa 80.000
persone, e 150.000 dopo; e il "piccolo" mandarinato (di riserva,
in attesa), circa 900.000. Così, molti di questi mandarini si trovavano
senza un posto e senza competenze ufficiali. Nel 1902, Elysée Reclus
forniva dati di questo tipo: "Anche se in Cina non ci saranno più
di 40.000 funzionari, tuttavia si conteranno più di un milione di
letterati". Per una popolazione che a quel tempo veniva calcolata
in circa 400 milioni di anime, il risultato è un mandarino ogni 400
abitanti, ma un alto funzionario letterato ogni 10.000 abitanti. Alla fine
del XVIII secolo, Grosser stimava che il numero degli alti
funzionari civili fosse di 100.000; tra loro si contavano 270 funzionari
imperiali, mandati in missione in provincia, e 8700 alti funzionari,
ugualmente importanti.
Si aveva cura di non mandare questi ispettori imperiali nelle province di
cui erano originari, e questo per il loro bene, per evitare qualsiasi
nepotismo da parte loro, e ogni altro abuso.
Parallelamente si contavano circa 100.000 mandarini militari.
Pur esistendo parità di titoli tra le gerarchie civili e militari, i
mandarini militari non godettero mai di tanto prestigio e di tanta stima
quanto i civili e, sempre, dovettero segnare il passo davanti ai primi,
perfino quando furono reclutati esclusivamente tra l’etnia mancese,
fondatrice dell'ultima dinastia, quella dei Qing. In Cina, nel corso di
tutto il secondo millennio, questo antimilitarismo fu tradizionale sia
negli ambienti dei letterati che in quelli popolari. Dalla dinastia Song
(960-1279) in poi, i mandarini militari provenivano da famiglie meno
illustri rispetto a quelle che fornivano regolarmente funzionari civili
coronati di grande prestigio. A causa di questa disistima generale,
l'esercito aveva problemi nel reclutare, e la maggior parte delle truppe
veniva arruolata tra la peggior feccia presente tra il popolo. Questo
fatto non contribuiva certo a rivalutarne il buon nome. Del resto, molti
ufficiali venivano dalla gavetta: 5.000 dei 7.000 già citati. Gli esami
dei funzionari militari davano molta importanza ai testi di strategia e a
quelli riguardanti le arti marziali (tiro con l'arco, sport equestri
ecc.).
I
nove ranghi della gerarchia dei mandarini
I funzionari letterati,
civili e militari, si suddividevano in gradi amministrativi, ognuno di due
livelli, come abbiamo detto. Si riconoscevano dal globulo (o pomo) delle
dimensioni di un uovo di piccione, posto sopra alcune pettinature, e dai
pannelli ricamati che, come degli sparati, ornavano il petto degli abiti
ufficiali. Ognuno dei nove ranghi dei mandarini civili si distingueva per
il tema di questo ricamo: vari tipi di uccelli. E per i militari, emblemi
raffiguranti quadrupedi. Questo buzi o pettorale ricamato sullo
sparato, mostrava quindi raffigurazioni animali, simboli di pace o di
prosperità.
Ecco, brevemente, lo schema di questi segni per ognuno dei nove gradi
amministrativi; con il nome dell'animale, tra parentesi, per i mandarini
militari.
1° grado:
buzi con gru della Manciuria (qilin per i militari); globulo
rubino, rosso uniforme.
2° grado:
fagiano dorato (leone); globulo rosso corallo cesellato o pietra rossa
opaca, scolpita.
3° grado:
pavone della Malesia (leopardo); globulo zaffiro o azzurro chiaro
trasparente.
4° grado:
oca selvaggia (tigre); globulo lapislazzuli o turchese, azzurro chiaro
trasparente.
5° grado:
fagiano argentato (orso); globulo di cristallo o pietra bianca traslucida.
6° grado:
egretta o airone argentato (pantera); globulo di giada bianca o pietra
bianca, opaca.
7° grado:
anatra mandarina o gallinella acquatica (rinoceronte); globulo di rame
dorato e lavorato minuziosamente;
8° grado:
quaglia (rinoceronte); globulo uguale a quello del 7° grado.
9° grado:
ghiandaia dalla coda lunga (foca); globulo uguale a quello del 7° grado.
La
parata dei mandarini
I mandarini in
carica avevano anche diritto a onori e vantaggi, come l'uso dei
palanchini, con 2, 4, 8 o 12 portatori, a seconda del rango; dei parasoli
(uno, due o tre...) dai colori regolamentari. Si riconoscevano inoltre per
la cintura rigida, a cerchio, ornata di fibbie e di medaglioni, le cui
forme e i cui motivi erano anche in questo caso regolamentari. Alcuni
mandarini avevano acquisito l'autorizzazione a fissare al sacrosanto
globulo che faceva parte della pettinatura, una lunga e flessibile piuma
di pavone, con uno, due o tre occhi (oppure una coda di volpe per i
militari). Per manifestare meglio la natura esclusivamente intellettuale
della loro vita e il proprio distacco dalle attività manuali e materiali,
alcuni si facevano crescere smisuratamente una o più unghie delle mani,
unghie che si attorcigliavano e rendevano difficile la presa di qualsiasi
oggetto. Particolare questo che colpiva moltissimo le persone che si
recavano in Cina.
Per presentarsi a corte, i mandarini portavano, applicata sul petto, una
lunga tavoletta d'avorio o di legno laccato, distintivo della loro
dignità, con il loro nome e l'elenco dei titoli. Di fronte all'imperatore
non dovevano distogliere lo sguardo da questa tavoletta. Inoltre, intorno
al collo, si infilavano una collana di 108 perle (numero magico, multiplo
di 9 e di origine buddhista), talvolta adornata da altre perle più
grosse. Nel suo "Vie quotidienne en Chine sous les Mandchous",
Charles Commeaux ci offre un quadro estremamente vivace, descrivendo
l'uscita di un mandarino: "Ogni volta che esce, è accompagnato da
una brillante scorta: alabardieri, portatori di fiaccole, guardie a
cavallo, palanchino, ventagli, parasoli, servitori di ogni genere che
attestano il suo rango elevato. Lui stesso, a cavallo, o portato, ha
indosso il costume utflciale, blu o viola, con l'immagine della funzione
civile, la gru o qualche altro uccello. Se si tratta di un viceré di
provincia, la processione è più solenne. Osserviamo passare il corteo di
uno di questi importantissimi personaggi. È composto da un centinaio di
uomini. In testa, due timpanisti battono su tamburi di rame. Sono seguiti
da otto portainsegna che inalberano i titoli del magistrato su tavolette
di legno laccato, e da quattordici alfieri che innalzano stendardi ornati
con le insegne del potere, a cominciare dal drago. Sei ufficiali portano
la lode del viceré, su blasoni
dotati di manico. Poi seguono due servitori, uno con un parasole aperto,
l'altro con la sua custodia. Viene quindi la guardia: due arcieri, dei
portatori di falce, di mazza, di “serpente di ferro”, di martelli, di
asce, di alabarde, di frecce, che precedono il baule in cui è custodito
il sigillo del magistrato. Dopo altri due timpanisti, due uscieri dai
lunghi bastoni, passa il corteo dei magistrati, armati di fruste, di
sciabole lunghe, di catene, coltellacci e sciarpe di seta.
Corteo poco rassicurante, che sottolinea il diritto di vita e di morte del
mandatario imperiale. Soltanto allora compare il viceré, portato sulla
sua teca dorata da otto servitori. Paggi, valletti e portatori di ventagli
lo scortano. Il corteo termina con un nuovo plotone di guardie a cavallo e
di domestici carichi degli oggetti di cui necessita il signore: berretto
di ricambio, ventagli, borsa del tabacco, scrittoio ecc. Se si sposta di
notte, bisogna aggiungere i portatori delle enormi lanterne di carta su
cui si possono leggere i titoli del viceré".
(continua nel prossimo numero -
dicembre 2005)