Il 13 novembre scorso si è avuta un’esplosione
in un impianto petrolchimico, la PetroChina, sito nella città di Jilin.
Questa esplosione ha causato la morte di cinque persone e la fuoriuscita di
un centinaio di tonnellate di benzene, un idrocarburo utilizzato come
solvente industriale e considerato come estremamente nocivo, con conseguente
inquinamento del fiume Songhua, affluente dell’Amur, fiume che segna la
frontiera tra Russia e Cina.
La città di Jilin si trova
a sud di Harbin (380 km a monte lungo il fiume Songhua) città capoluogo
della provincia nord-orientale dello Heilongjiang , famosa per il suo
festival delle sculture di ghiaccio che si svolge tutti gli anni in
occasione del capodanno cinese e, purtroppo già nota alle cronache
internazionali a causa delle violente inondazioni che l’avevano colpita
nell’agosto 1998 e che avevano causato oltre 2000 morti (vedi nn. 5 e
6
di FdO, 1998-1999).
La catastrofe industriale
è stata tenuta nascosta dai responsabili del complesso petrolchimico di
Jilin, per 10 giorni. Alcuni provvedimenti presi in città a monte di Harbin
provano che le autorità erano al corrente dei rischi d’inquinamento: a
Songyuan, nella provincia del Jilin, dove solo il 30% dell’acqua potabile
proviene dal fiume Songhua, i rubinetti delle famiglie interessate erano
stati chiusi dal 18 al 23 novembre. Lo stesso è successo a Zhaoyuan, città
frontiera tra le province del Jilin e dello Heilongjiang.
A Harbin il 21 novembre era
stata annunciata senza una parola di spiegazione la sospensione dell’erogazione
idrica in città, provocando il panico tra la popolazione che si è
riversata nei negozi e supermercati per rifornirsi di bottiglie di acqua
minerale. Alla mezzanotte tra il 22 e il 23 novembre la fornitura d’acqua
potabile viene interrotta, per poi ristabilirla solo per alcune ore nella
giornata del 23 affinché la popolazione abbia la possibilità di accumulare
delle scorte. La chiusura dei rubinetti durerà quattro giorni.
Ed è proprio il 23
novembre, ossia solo quando la macchia di benzene della lunghezza di 80 km
ha ormai cominciato a minacciare la città di Harbin e i suoi quattro
milioni di abitanti, che il governo ha finalmente riconosciuto l’esistenza
di un inquinamento massiccio dovuto al benzene del fiume Songhua, da cui la
città di Harbin trae il 90% del suo approvvigionamento idrico.
Il 24 novembre la macchia
di benzene ha raggiunto Harbin. È un passaggio invisibile e inodore in
quanto in questo periodo dell’anno il fiume è in gran parte gelato, la
temperatura è di –5° ed anche dove la corrente è abbastanza forte è
difficile distinguere ad occhio nudo l’inquinamento. Soltanto le scuole
sono state chiuse e alcune fabbriche hanno interrotto la loro produzione.
Nonostante le rassicurazioni delle autorità provinciali, ufficialmente non
è stata fornita alcuna informazione precisa sulla situazione a monte, nelle
città e nei paesi situati tra Harbin e il luogo dell’incidente. I
responsabili locali della provincia dello Heilongjiang hanno chiesto agli
abitanti di controllare l’eventuale comparsa di sintomi di avvelenamento.
Il benzene, a forti dosi, può provocare anemia e altre affezioni del
sangue, oltre a malattie renali ed epatiche. Il governatore della provincia
ha ordinato agli ospedali di tenersi pronti a fronteggiare eventuali casi di
intossicazione.
Nello
stesso giorno la storia sembra ripetersi altrove. Una nuova esplosione ha
avuto luogo in un complesso petrolchimico nei pressi della città di
Chongqing, nel sud-ovest della Cina: un morto, tre feriti e oltre 6000
persone evacuate per timore di contaminazione da benzene.
Domenica
sera 27 novembre, poiché dei prelievi effettuati all’alba avevano
dimostrato che il livello di benzene era sceso a un livello accettabile –
il livello era 30 volte superiore alla norma venerdì – il comune di
Harbin ha annunciato che l’acqua potabile sarebbe stata resa nuovamente
disponibile nella maggior parte della città e il governatore dello
Heilongjiang ha bevuto, davanti alle telecamere, un bicchiere d’acqua di
rubinetto. Lo stesso giorno, secondo l’agenzia di stampa ufficiale Nuova
Cina, Pechino ha presentato le proprie scuse a Mosca per l’arrivo
imminente della macchia inquinante in Siberia. Il primo ministro cinese, Wen
Jiabao, in visita a Harbin il giorno prima, aveva promesso la punizione dei
responsabali.
La
Cina del 9,4% di crescita annuale ha tenuto gli occhi chiusi troppo a lungo
sul degrado dell’ambiente, un soggetto considerato fino a poco tempo fa
come secondario in rapporto dell’obiettivo dello sviluppo economico. La
macchia inquinante di benzene non è che una goccia d’acqua nell’oceano
dei rifiuti industriali. Secondo l’agenzia Nuova Cina, il 70% dei fiumi
cinesi è “estremamente inquinato”, come pure 25 dei 27 laghi principali
e secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, ben 700 milioni di
cinesi non dispongono di acqua corrente di buona qualità. Per l’atmosfera,
le cose non vanno meglio. Un terzo del paese è vittima di piogge acide
devastatrici. Quattrocentomila persone muoiono ogni anno a causa di malattie
cardiache o polmonari legate all’inquinamento atmosferico, secondo la
Banca mondiale. Il Paese, infine, conta 20 delle 30 città più
irrespirabili del pianeta. Pechino, futura “capitale verde” dei Giochi
olimpici, illustra alla sua maniera il divario tra la realtà e la finzione
del discorso. In ottobre, l’aria della città è rimasta quella di una
solfara per tre giorni consecutivi. Il comune ha finito per sconsigliare ai
bambini, agli anziani e alle donne incinte di uscire di casa.
Ci vogliono delle catastrofi come quella di Jilin per suonare il campanello d’allarme,
con la speranza che almeno questa volta siano di insegnamento.