All'inizio c'è un manoscritto.
Anzi, un frammento di manoscritto: una «reliquia mutilata», un
«brandello di testo sacro» redatto, in una lingua sconosciuta, su un
rotolo di seta risalente al II o III secolo dopo Cristo. Il rotolo fu
probabilmente all'origine del misterioso assassinio di An Shigao, grande
traduttore e poeta; poi, quasi mille anni dopo, l'imperatore Huizong,
vissuto fra l'XI e il XII secolo, cercò invano di decifrarlo,
dedicandovi «tutta la sua erudizione»; finché, all'inizio del
Novecento, l'ultimo imperatore della Cina, Puyi, ne fu ossessionato al
punto da uscire di senno, e durante il volo che lo portava in Giappone
lo lacerò con i denti e ne gettò una parte dall'aereo. Quasi fosse un
dono del cielo, il frammento cadde, alla lettera, nelle mani di Zai Lan,
il legittimo erede al trono esiliato in Manciuria dalla crudele
imperatrice Cixi. Ma questo, appunto, è solo l'inizio: perché la
nipote di Zai Lan sposerà un sinologo francese (che brama di entrare in
possesso del famoso rotolo e a causa di ciò finirà in un campo di
lavoro), e da lui avrà un figlio, che a sua volta si innamorerà di una
giovane sinologa francese, la quale rimarrà anche lei fatalmente
impigliata nel groviglio di vicende che hanno al centro l'enigmatico
frammento... Fermiamoci qui: questi, infatti, sono solo alcuni dei
personaggi e delle storie che si intrecciano in un libro che (per una
volta l'immagine non è arbitraria) ha una forma a scatole cinesi,
mobile e affascinante, costituita di racconti magistralmente incastonati
in altri racconti, di memorie di antichi viaggiatori che si disciolgono
in schegge di diari, di chiose ad antichi testi sacri sullo sfondo, come
sempre, della Cina comunista, con la sua assurda ferocia.
Nato in Cina, Dai Sijie
vive da molti anni a Parigi e scrive in francese. Il suo primo romanzo, Balzac e la Piccola Sarta cinese (da cui lui
stesso ha tratto un film), è stato pubblicato da Adelphi nel 2001; il
secondo, Muo e la vergine cinese, nel
2004. Par une nuit où la lune ne s'est pas levée è apparso in
Francia nel 2007.
«Succede per esempio che, subito dopo una
fucilazione, un caposquadra organizzi una riunione sui tentativi di
evasione, durante la quale ognuno deve fare autocritica e rovistare nei
più reconditi angoli del cervello per scovarvi ogni possibile desiderio
di fuga. Il capo ha la facoltà di decidere se la riunione notturna si
terrà alla luce o al buio. Quando si svolge nell'oscurità, degenera in
un pestaggio da parte dei detenuti comuni su quelli "politici"
poiché, quando uno di questi ultimi prende la parola, non fa a tempo a
pronunciare tre frasi che viene assalito da ombre nere sbucate da ogni
dove. I compagni di prigionia della prima categoria gli saltano addosso,
gli coprono la testa con un lenzuolo, lo riempiono di calci e pugni,
dopodiché riprendono il loro posto e, protetti da una totale impunità,
continuano a fare autocritica, a promettere in tutta sincerità che si
correggeranno, mentre la loro vittima sanguina e urla di dolore
consapevole che la propria sofferenza non fa che accrescere il piacere
di quella barbarie collettiva, ordinata o avallata dal caposquadra,
dunque dall'insieme delle guardie e da tutto il sistema penitenziario».