Le
origini dell’impero cinese
La dinastia Zhou
è la terza delle Tre Dinastie ereditarie (Sandai: Xia,
Shang e Zhou), collocate dalla tradizione alle origini della
storia cinese, dopo otto sovrani mitici, cui erano attribuite
le “scoperte” e le “invenzioni” fondamentali della
civiltà umana. Una delle datazioni delle Tre Dinastie che ci
sono state tramandate pone la fondazione della dinastia Xia
nel 2205 a.C., quella della dinastia Shang nel 1751 a.C. e
quella della dinastia Zhou nel 1122 a.C. Studi recenti hanno
collocato negli anni 1046-1045 a.C. la data d’inizio della
dinastia Zhou.
La storicità
delle prime due dinastie è stata messa in dubbio nel corso
del XIX secolo, ma il ritrovamento di un gran numero di ossa
oracolari e, soprattutto, gli scavi intrapresi nel 1928 nei
pressi di Anyang, nella provincia dello Henan, hanno eliminato
ogni dubbio circa la storicità della dinastia Shang, mentre
altri scavi realizzati a partire dalla fine degli anni
Cinquanta del XX secolo nelle province dello Henan e dello
Shanxi, in aree considerate tradizionalmente come centri Xia,
hanno fornito nuovi elementi per riattribuire alla prima
dinastia un carattere storico.
La storicità
della dinastia Zhou non è mai stata messa in discussione, ma
gli straordinari progressi della ricerca archeologica ci
consentono oggi di guardare alle origini della civiltà
cinese, e quindi anche alla dinastia Zhou, in una prospettiva
diversa da quella che emerge dalla tradizione scritta. È
probabile che le prime formazioni statali presentassero un
carattere multipolare, e che le loro relazioni non fossero da
intendersi in senso verticale, lungo una linea ideale di
successione dinastica, ma bensì in senso prevalentemente
orizzontale, come rapporti tra entità diverse, in cui momenti
di conflitto si sarebbero alternati a fasi di supremazia.
Intorno alla
metà dell’XI secolo a.C. il re Wu dei Zhou, dopo aver
stabilito la capitale a Hao, nei pressi dell’odierna città
di Xi’an, nello Shaanxi, conquistò Yin, l’ultima capitale
degli Shang, situata nelle vicinanze di Anyang. Da allora i
Zhou esercitarono un dominio su un territorio molto vasto, che
nella fase iniziale comprendeva essenzialmente il bacino del
Fiume Giallo e gradualmente andò estendendosi anche al bacino
dello Yangzijiang. Va precisato tuttavia che l’organizzazione
dello stato sotto i Zhou non presentava affatto le
caratteristiche che avrebbe assunto in epoca successiva l’impero
cinese. I singoli territori erano amministrati autonomamente
dai diversi capiclan, che ricevevano l’investitura dai re
Zhou in cambio di tributi e di aiuti militari, ove necessario.
La distribuzione e la trasmissione del potere erano
legittimati da fattori di ordine rituale, che erano
espressione dei culti familiari e si conformavano a un sistema
detto zongfa, secondo cui, per ciascuna linea di
discendenza, si distinguevano un ramo principale, costituito
dai figli maggiori nati dalle mogli principali, e dei rami
secondari, formati dagli altri figli; ciascun ramo secondario
diveniva a sua volta principale rispetto agli altri rami
generatisi al suo interno.
Nel 770 a.C. i
Zhou, sotto la pressione dei “barbari” Quanrong,
trasferirono la capitale a Luoyi (oggi Luoyang, nella
provincia dello Henan). Ebbe inizio da allora il periodo detto
dei Zhou Orientali. Gradualmente si andarono affermando nel
“mondo cinese” nuovi equilibri tra i territori della
pianura centrale, che si consideravano depositari della
tradizione (il loro nome Zhongguo o “Stati Centrali”
è utilizzato oggi per indicare la Cina), e i territori
periferici, sempre più estesi e potenti. Nel VII secolo a.C.
uno di questi principati, Qi, situato a oriente, nell’attuale
provincia dello Shandong, assunse l’iniziativa per imporre
la propria egemonia su tutti i territori del bacino del
Fiume Giallo. Il pretesto era l’esigenza di coordinare le
difese contro i “barbari” e soprattutto contro il
principato meridionale di Chu, sorto sul medio corso dello
Yangzijiang. Nel 651 a.C. al duca Huan di Qi, nel corso di una
conferenza di principati, fu riconosciuto ufficialmente il
titolo di Egemone (ba): era ormai chiaro che il re
Zhou, pur essendo ancora la suprema autorità religiosa, era
ormai privo di qualunque potere politico e militare.
Nella seconda
metà del VII secolo a.C. fu il principato di Jin, situato
nell’odierna provincia dello Shanxi, ad assumere l’egemonia
e a porre la corte Zhou sotto il proprio diretto controllo, ma
successivamente dovette venire a patti col principato di Chu.
Tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a.C., i conflitti
tra i principati periferici s’andarono rapidamente
radicalizzando. Mentre in precedenza essi avevano subito in
qualche modo i freni dettati dai rituali, ora il loro
obiettivo appariva in modo sempre più esplicito quello dell’annessione
territoriale e dell’annientamento degli avversari.
Tale evoluzione
era il risultato di profondi mutamenti in ambito economico,
sociale e istituzionale. Nei principati erano in atto una
serie di riforme che modificavano la distribuzione del potere
tra i lignaggi aristocratici, violando le regole stabilite dal
sistema zongfa. Attraverso il nuovo strumento della
legge i principi limitavano le prerogative nobiliari e
affermavano il potere dello Stato. Ciò fu reso possibile
anche da quella che è stata definita rivoluzione tecnologica:
grazie al grande sviluppo conosciuto dalla metallotecnica, fu
possibile realizzare la fusione del ferro oltre un millennio e
mezzo prima che in Europa. La produzione in serie di utensili
agricoli a buon mercato ebbe effetti dirompenti sull’economia
e sulla società dell’epoca, così come la comparsa delle
prime armi in acciaio e l’invenzione di un’arma micidiale
come la balestra determinarono una vera e propria
trasformazione dell’organizzazione e delle tecniche
militari, con il progressivo declino dei carri, che in passato
avevano costituito il nerbo degli eserciti ed erano diventati
un simbolo di status sociale, essendo il loro uso
tradizionalmente riservato all’aristocrazia.
In questo
periodo di transizione, tra il VI e il V secolo a.C., visse
Confucio (551-479 a.C.). Di origini aristocratiche, egli, dopo
aver ricoperto alcune cariche nel piccolo principato di Lu
(nell’odierna provincia dello Shandong), peregrinò in
numerosi territori cinesi, cercando di diffondere la propria
dottrina etica, che voleva essere una strenua difesa delle
antiche tradizioni contro le degenerazioni del presente. Alla
lotta e alla competizione, che caratterizzavano l’atteggiamento
dei governanti dell’epoca, Confucio contrapponeva un ordine
morale fondato sul rispetto di alcune virtù fondamentali. In
quest’ottica l’etica finiva col rappresentare un requisito
indispensabile per qualsiasi attività di governo, dal livello
familiare a quello dello Stato, e la dimensione aristocratica
perdeva la sua connotazione di classe per estendersi all’umanità
intera.
La storiografia
cinese tradizionale ha attribuito agli anni compresi tra il
453 e il 221 a.C. il nome di periodo degli Stati Combattenti.
La scelta della data d’inizio è significativa: in quell’anno
il principato di Jin si divise in tre entità statali distinte
– Zhao, Wei e Han – con una serie di atti che violavano
apertamente i riti e risultavano pertanto illegittimi.
Sarebbero dovuti trascorrere ancora cinquanta anni perché la
spartizione venisse riconosciuta formalmente dal re Zhou.
In questo
periodo la crisi del sistema politico e religioso tradizionale
toccò il suo culmine, e gradualmente si crearono le
condizioni ideologiche e materiali per la creazione delle
nuove istituzioni imperiali. In generale si può notare che il
numero delle entità politiche del “mondo cinese” si andò
riducendo drasticamente. I principati minori furono annessi
uno dopo l’altro dai maggiori stati periferici, e la stessa
sorte toccò anche ai gloriosi territori della pianura
centrale. I sovrani degli stati maggiori, inoltre, assunsero
unilateralmente, uno dopo l’altro, il titolo di “re” (wang),
che in passato aveva costituito una prerogativa esclusiva del
sovrano Zhou. La dinastia continuò però a sopravvivere,
ormai priva di qualsiasi potere, fino a che, nel 256 a.C., il
regno di Qin, annettendosi i resti del dominio Zhou, non si
assunse il compito di porre termine definitivamente alla
finzione.
Nel periodo
degli Stati Combattenti furono sette i regni che si contesero
il dominio sul mondo cinese. I primi a uscire di scena furono
i regni sorti dalla divisione di Jin, impegnati a combattersi
principalmente tra di loro; alla fine del IV secolo a.C. le
maggiori potenze erano Qin nello Shaanxi, Qi nello Shandong e
Chu nell’area del medio Yangzijiang. Nel III secolo a.C.
Qin, la cui capitale si trovava nei pressi dell’odierna
città di Xi’an, non lontano da Hao, l’antica capitale dei
Zhou Occidentali, riuscì a estendere progressivamente il
proprio territorio facendo ricorso a ogni mezzo, dall’azione
militare alla manovra diplomatica, dall’inganno all’assassinio
degli avversari. Quando nel 246 a.C. Ying Zheng salì sul
trono di Qin all’età di tredici anni, la superficie dello
Stato superava già per estensione quella complessiva di tutti
gli altri. Il nuovo sovrano, appena raggiunta la maggiore
età, mostrò prontamente grandi capacità organizzative e un
eccezionale senso strategico. Sotto la sua guida, Qin riuscì
in pochi anni a realizzare l’unificazione dell’impero,
dando inizio nel 221 a.C. a una nuova era della storia cinese.
Negli ultimi
secoli del periodo Zhou si ebbe in Cina una grande fioritura
intellettuale, che accompagnò le profonde trasformazioni
economiche e sociali di cui si è fatto cenno. Si può
affermare che le radici più profonde della civiltà cinese
quale si sarebbe sviluppata nei secoli successivi affondino
proprio in questi anni, caratterizzati da una grave incertezza
politica, ma aperti al tempo stesso alle soluzioni più
originali. Maestri di morale e teorici della politica si
recavano da una corte all’altra per prestare la loro opera
di consiglieri, e i più famosi tra loro avevano al seguito
gruppi di discepoli. I capi di stato li ospitavano e cercavano
di sfruttare al massimo il loro insegnamento, nel tentativo di
individuare gli strumenti di governo più idonei e le tecniche
più efficaci per fiaccare gli avversari. Era un’epoca di
ricerca e di esperimenti, perché il vecchio mondo era
crollato e si cercava di costruirne uno nuovo.
Tra le correnti
di pensiero fiorite in questo periodo, le più importanti
erano quella dei letterati o ru, che si rifaceva all’insegnamento
di Confucio, quella taoista e quella legista. La prima
privilegiava l’etica e considerava il perfezionamento
interiore una condizione irrinunciabile per il perfezionamento
della società; per Mencio, vissuto tra il IV e il III secolo
a.C., in ogni uomo era presente un’inclinazione naturale
verso il bene, che doveva essere coltivata, mentre per Xunzi,
vissuto nel III secolo a.C., gli uomini erano inclini a
soddisfare i propri desideri individuali, e solo l’educazione
era in grado di controllare e superare le loro tendenze
egoistiche.
Xunzi ebbe come
allievi due importanti esponenti della corrente legista: Han
Feizi, che ne fu il principale teorico e Li Si, che poté
metterne in pratica i precetti come primo ministro di Qin. Il
legismo condivideva il pessimismo di Xunzi sulla natura umana,
ma, invece di tentare di superarne i difetti con l’educazione,
intendeva servirsene per rafforzare lo Stato ed esaltare il
sovrano. Attraverso lo strumento delle pene e delle ricompense
e mediante un’applicazione spregiudicata della “tattica”,
il sovrano avrebbe potuto utilizzare a proprio vantaggio la
vanità e le debolezze umane, lasciando sempre i sudditi all’oscuro
delle proprie reali intenzioni.
I taoisti
dedicarono solo un’attenzione marginale alle questioni
politico-sociali, mentre erano interessati principalmente alla
salvezza individuale; propugnavano il ritorno alla natura e il
superamento di tutti i vincoli imposti all’uomo dalla
società e dallo Stato, e per questo ritenevano che il governo
sarebbe dovuto intervenire il meno possibile nella vita degli
uomini e, allo scopo di impedire ogni competizione, avrebbe
dovuto evitare di innalzare le persone più valide.
Nel 221 a.C. il
sovrano del regno di Qin, Ying Zheng, si proclamò Primo
Augusto Imperatore (Qin Shi Huangdi). Per realizzare l’unificazione
dell’impero dopo le vittoriose campagne militari, egli
adottò una serie di misure radicali, suggerite dal suo primo
ministro, il legista Li Si: abolizione dei vecchi stati,
esautorazione dell’antica aristocrazia ereditaria,
suddivisione dell’intero territorio in governatorati e
distretti, retti da funzionari di nomina imperiale,
unificazione della scrittura e delle misure di peso, capacità
e lunghezza, imposizione di un unico scartamento assiale per i
carri. Inoltre furono abbattute tutte le fortificazioni
interne e venne costruita ai confini settentrionali la prima
Grande Muraglia, collegando le fortificazioni già erette
dagli Stati del Nord per difendersi dai nomadi delle steppe.
Il nuovo
imperatore volle anche rispondere in modo spietato a quei
letterati che condannavano il presente richiamandosi all’antica
tradizione, ordinando il primo grande “rogo di libri”
della storia cinese: tutti gli antichi testi in possesso di
privati, fatta eccezione per quelli di argomento scientifico e
tecnico, furono distrutti. In ciò egli si conformava
pienamente alla concezione evoluzionistica dei legisti,
secondo cui ogni epoca aveva una propria specificità ed era
errato pensare di poter risolvere i suoi problemi guardando al
passato.
La dinastia Qin
non sopravvisse alla morte del Primo Augusto Imperatore,
avvenuta nel 210 a.C. Una serie di rivolte scoppiate a partire
dal 209 a.C. dilagarono in tutto l’impero. Il centro dell’insurrezione
si trovava nel territorio del vecchio regno di Chu, e
inizialmente la guida venne assunta da un aristocratico
locale. Poteva apparire che fossero riapparsi i fantasmi del
passato, che il Primo Imperatore di Qin aveva cercato di
abbattere. Ma non fu così, perché alla fine tra i ribelli si
impose Liu Bang, un uomo nuovo, di umili origini, che, pur
essendo originario di Chu, non aveva nessuna intenzione di
restaurare gli antichi regni pre-imperiali.
Liu Bang assunse
lo stesso titolo coniato dal sovrano di Qin (Huangdi o
Augusto Imperatore) e fondò la nuova dinastia Han (206
a.C.-220 d.C.), che avrebbe regnato per oltre quattrocento
anni, lasciando un’impronta indelebile nella storia cinese.
La capitale venne riportata nell’area dell’odierna Xi’an,
nello Shaanxi, e le fu attribuito il nome di Chang’an (“lunga
pace”). Inizialmente, il nuovo imperatore assegnò dei
territori ai propri familiari e compagni d’armi, conferendo
loro il titolo di “re” o wang, che in precedenza
era stato utilizzato dai re Zhou e dai sovrani degli stati
pre-imperiali, ma la centralizzazione del potere introdotta
dal Primo Augusto Imperatore di Qin non venne abbandonata: fu
mantenuto in parte il sistema amministrativo dei governatorati
e dei distretti, sottoposti al controllo diretto del governo
centrale, e anche nei confronti della nuova aristocrazia fu
attuata una politica di contenimento, che sarebbe riuscita a
sventare qualsiasi velleità centrifuga o indipendentista.
Il nuovo governo
assunse inizialmente un indirizzo moderato, mirante a
consolidare le basi finanziarie dell’impero e ad alleviare
il peso insostenibile che sotto il Primo Augusto Imperatore
dei Qin aveva gravato sulla popolazione, e principalmente sui
contadini. Con l’avvento al trono dell’imperatore Wu, nel
140 a.C., l’idea imperiale fu rilanciata in tutti i campi,
con una grandiosità che in qualche misura ricordava il Primo
Augusto Imperatore dei Qin. L’imperatore Wu si guardò bene
però dal restaurare il legismo, anche se alcuni elementi di
questa dottrina furono mantenuti perché funzionali all’organizzazione
dello Stato; egli esaltò invece il confucianesimo come
dottrina ufficiale dell’impero, e ne fece il cardine su cui
fondare la sua unità ideologica e culturale. Da allora i
letterati confuciani, che erano stati perseguitati dal Primo
Augusto Imperatore dei Qin, si trasformarono gradualmente in
una classe di burocrati, vera e propria ossatura dell’amministrazione
imperiale. Per comprendere l’importanza dell’opera
realizzata in campo culturale dall’imperatore Wu, basterà
ricordare che fu soprattutto nei cinquant’anni del suo regno
che venne costruita l’immagine dell’antichità cinese che
sarebbe stata tramandata fino a noi.
In questo
periodo fu avviata inoltre una politica espansionistica nella
Cina meridionale, che fino ad allora era stata toccata solo
marginalmente dalla civiltà sviluppatasi nel bacino del Fiume
Giallo, e verso nord, oltre la Grande Muraglia, inizialmente
per bloccare le scorrerie dei nomadi Xiongnu e successivamente
per stabilire un controllo sui traffici commerciali con l’Occidente.
Intervenendo in
Asia Centrale, gli Han aprirono quel ponte tra Oriente e
Occidente noto col nome di Via della Seta, lungo la quale
sarebbero avvenuti scambi culturali decisivi per lo sviluppo
della civiltà cinese e di tutte le civiltà dell’Asia
Occidentale e dell’Europa. |