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Cina
Nascita di un impero

La vita nell'oltretomba: credenze religiose e pratiche culturali
Saggio di Tiziana Lippiello
(professore ordinario di Lingua cinese classica, Università Ca’ Foscari, Venezia
Dal catalogo a cura di Maurizio Scarpari e Lionello Lanciotti, edito da Skira)

La vita nell'oltretomba: credenze religiose e pratiche culturali

Un giorno, interrogato sulla morte da un discepolo, Confucio rispose:
“Se non hai ancora compreso la vita come puoi pensare di
comprendere la morte?”i

Al mistero della morte i Cinesi risposero con la riflessione sulla vita, identificando la fine dell’esperienza umana sulla terra con un’esistenza post-mortem in un mondo ultraterreno parallelo a quello dei vivi. Non concepita come esperienza ineluttabile e conclusiva ma piuttosto come il passaggio a una naturale condizione, la morte era parte integrante di un processo ciclico caratterizzato da un’alternanza continua e infinita del principio delle tenebre e dei morti, yin, e del principio della luce e dei vivi, yang, due forze contrarie e complementari generate da una primordiale energia vitale (qi) da cui trasse origine il mondo. In principio, la componente più pesante di tale energia, scendendo, originò la terra, mentre quella più sottile ed eterea, salendo, formò il cielo.

Vivendo tra cielo e terra, l’uomo altro non è che la quintessenza dei due tipi di forze vitali. Essendo tutt’uno con il cosmo egli nasce e perisce per confondersi nuovamente nel disordine primordiale, da cui si originano yin e yang e il mondo.

Come l’energia vitale, anche l’anima era composta di due parti: l’una, denominata hun, uranica e spirituale, al momento della morte si separava dal corpo e ascendeva in cielo, nel regno degli antenati; l’altra, po, ctonia e vegetativa, seguiva il corpo nel mondo delle tenebre. Nell’inumare il defunto, i familiari si prendevano cura del corpo (unito all’anima ctonia) nel tentativo di provvedere al suo benessere, alla sua continuità: accanto alla salma depositavano oggetti personali, stoviglie, manoscritti come viatici, e inoltre inumavano esseri umani e animali immolati per essere compagni di viaggio nell’oltretomba (erano detti xun, “compagni”).

Quando un uomo spirava, iniziavano i riti preparatori alla sepoltura. Dapprima si celebrava un rito volto a richiamare l’anima hun e indurla a ricongiungersi al corpo: tale cerimonia, nota come fu o zhaohun (richiamare l’anima), era l’ultimo tentativo di restituire al corpo esanime la vita: l’uomo, che si riteneva privo di coscienza ma ancora in vita, era adagiato sul terreno e coperto con un grande telo. Poi giungeva uno sciamano (fuzhe), saliva sul tetto dell’abitazione del morente e, rivolto a nord, il luogo dei morti, porgeva all’anima una veste dell’uomo, invocando il suo nome per ben tre volte, ogni volta implorando che tornasse indietro. Poi, non ricevendo alcun cenno di risposta, gettava l’abito verso uno degli astanti. Costui lo avrebbe poi portato nella camera ardente per deporlo sulla salma.ii Solo allora, fallito il tentativo di ricongiungere l’anima con il corpo, si accettava la morte del congiunto e avevano inizio le esequie. L’invocazione dell’anima era un rito pertinente alla vita, non alla morte: “Quando una persona cessa di respirare, i familiari piangono e invocano il ritorno dell’anima. Se essa non torna, allora ha inizio il rito funebre.”iii Con l’avvento della morte, l’attenzione dei vivi era tutta rivolta alla salma, non già alla parte dell’anima che avrebbe intrapreso il suo viaggio e non sarebbe tornata più indietro. I figli e gli altri familiari onoravano il defunto sospendendo le proprie attività quotidiane per dedicarsi alle sue cure. La salma, giacente lungo il lato settentrionale della camera ardente, era allora trasferita su un giaciglio posto accanto alla finestra della parete meridionale, a rappresentare il passaggio dal luogo del buio, del freddo, della morte (yin), al luogo della luce, del calore, della vita (yang). Iniziava così la sua vita post-mortem.iv Il figlio maggiore annunciava la morte, indi giungevano ospiti e parenti a porgere le condoglianze alla famiglia e presentare doni per il defunto: abiti, oggetti personali, ma soprattutto cibo. La salma, dopo essere stata accuratamente lavata, era rivestita con gli indumenti ricevuti in dono, indi era avvolta in numerosi strati di tessuto. Poi la cerimonia continuava all’esterno, ove era stata predisposta la fossa tombale: vi si calava la cassa sepolcrale, spesso costituita da più casse disposte l’una dentro l’altra, e al suo interno si deponeva la salma. Il feretro recava un drappo funebre di seta dipinta (mingjing): questo poteva recare il nome del defunto o scene della vita terrena e ultraterrena del defunto (fig. 1). Si riteneva infatti che l’uomo non fosse più riconoscibile dopo la morte; così, ricevute tutte le cure necessarie, sigillato nel feretro e dotato di una nuova identità, egli poteva intraprendere il suo viaggio nell’oltretomba…v

I luoghi dei morti

Luoghi dei vivi e dei morti furono sì percepiti come distinti e separati, ma nel contempo come simili, contingenti e speculari. Gli spazi per i morti, infatti, erano organizzati secondo le modalità di quelli edificati per i vivi: la scelta del sito funerario era dettata da determinati principi geomantici, applicati anche per la scelta del luogo di costruzione delle abitazioni dei morti.

Sin dalla dinastia Shang (XVI sec.-1045 a.C.) le tombe reali erano collocate in necropoli situate all’esterno della città: erano di grandi dimensioni, a pianta cruciforme, dotate di rampe d’accesso che conducevano alla fossa ove una camera lignea molto ampia (detta guo o waizangguo, “cassa esterna”) alloggiava il feretro, generalmente in legno laccato (cat. 54/847). Sotto la camera funeraria, in una fossa, giacevano le vittime sacrificali, umani e animali, e inoltre offerte di varia natura, vasi sacrificali, maschere e statue in bronzo, monili e oggetti di giada, di ceramica e di pietra.

Già all’epoca della dinastia Zhou Occidentale (1045-770 a.C.), fu introdotta l’usanza di suddividere la camera funeraria in più comparti: il feretro era solitamente collocato nella parte più profonda, circondato dagli oggetti del corredo funerario. In seguito la camera funeraria si andò evolvendo sino a divenire un complesso tombale costituito da più ambienti separati: all’interno, nella camera principale, era collocata la salma racchiusa nel feretro, mentre gli ambienti attigui erano destinati all’arredo. Qui giacevano anche le vittime inumate con la salma principale – consorti e concubine, ufficiali, soldati e animali domestici – che simbolicamente espletavano le medesime funzioni ad esse attribuite in vita. Durante la dinastia Zhou Orientale (770-221 a.C.) all’usanza di immolare uomini e animali si aggiunse la pratica di interrare figurine di vario materiale. Queste ultime svolgevano un ruolo diverso: mentre le prime erano immolate accanto al defunto come “compagni di viaggio”, le seconde concorrevano a rappresentare la sua nuova vita e il suo habitat naturale nell’oltretomba.

Col passare del tempo, la fossa tombale lasciò gradualmente il posto alle tombe ad assetto orizzontale scavate nella roccia della montagna, autentici palazzi ove la vita simbolicamente continuava: le statuine, disposte nei vari ambienti accanto agli arredi e agli utensili che evocavano la loro funzione, riproponevano i vari aspetti della quotidianità del defunto, la cui presenza aleggiava indistinta fra loro. (fig. 2)vi

Il corredo funerario: dal sacro al profano

Le figure zoomorfe che caratterizzano i decori dei vasi sacrificali di bronzo (le più rappresentative sono le maschere Taotie, su cui si veda il saggio di Wang Fengjun in questo catalogo), svolgevano una funzione apotropaica e protettiva, mentre le creature meravigliose e gli emblemi raffigurati su specchi (cat. 101/838), drappi funebri, lungo le pareti delle casse sepolcrali o delle camere funerarie (si vedano ad esempio i draghi, le fenici e le tartarughe Xuanwu, catt. 119/266, 96/157), erano segni benauguranti. 

Vasi, strumenti musicali e altri oggetti sacri sepolti nelle tombe erano veicoli per comunicare con l’aldilà: attraverso le fragranze dei cibi sacrificali, le melodie prodotte dagli strumenti musicali e i testi impressi sulla superficie dei manufatti in bronzo l’officiante il rito – in questo caso il defunto – comunicava con i propri antenati. Le maschere teriomorfe che li rendevano così belli, misteriosi e nel contempo minacciosi, proteggevano il defunto dalle insidie degli spiriti malevoli e dalle influenze nefaste della natura, mentre i prodigi che affollavano i decori erano forieri di buona sorte, felicità e prosperità nel regno delle tenebre. A partire dal V sec. a.C. circa, gli animali di buon auspicio “apparvero” sotto forma di sculture in legno o in bronzo di dimensioni naturali e furono collocati, proprio come tributi, accanto alla bara. Bellissimi e di gran pregio sono i tre esemplari in mostra: il cervo di legno laccato (cat. 58/851), l’elegante uccello ibrido in bronzo con agemina d’oro e intarsi di turchese (cat. 51/842) e la gru in bronzo (cat. 79/854).

Gradualmente, all’antica funzione religiosa degli oggetti principali dei corredi funerari se ne aggiunse un’altra, quella dell’uso quotidiano da parte dell’“inquilino” della tomba. Ciò avvenne con il consolidarsi di una concezione “profana” della morte in cui il viaggio nell’oltretomba era percepito come una mera continuazione dell’esistenza umana. Ed ecco che, accanto ai monumentali vasi rituali dell’epoca Zhou Occidentale, apparvero stoviglie per uso domestico in terracotta, accessori per la toilette quotidiana, e persino elementi architettonici come porte e finestre lungo le pareti della camera funeraria, a definirne in modo inequivocabile la sua funzione di dimora del defunto.

L’evoluzione della concezione del post-mortem nel regno meridionale di Chu (invaso e sconfitto dal regno di Qin nel 278 a.C.) nel periodo Zhou Orientale, è testimoniato da una graduale trasformazione delle tradizioni rituali relative alla sepoltura.vii Nei secoli VIII-VI nelle tombe di medie dimensioni la varietà di oggetti era alquanto limitata: si trattava quasi esclusivamente di vasi rituali in bronzo e imitazioni di questi in terracotta e ceramica, manufatti che, fino al III secolo a.C., occuparono un posto di rilievo nei corredi funerari di queste tombe.viii Qual era la loro funzione? Erano collocate nelle tombe per contenere cibi sacrificali, come avveniva anticamente durante i riti per gli antenati svolti nei templi ancestrali, oppure avevano gradualmente perduto l’originaria funzione di vasi sacrificali per assumere quella di comuni contenitori di cibo per il defunto? Le testimonianze archeologiche sembrano avvalorare quest’ultima ipotesi: infatti, già nelle sepolture del VI sec. a.C. le offerte di cibo – gli alimenti più comuni erano i medesimi consumati usualmente nel regno dei vivi, ovvero riso, carni, giuggiole ecc. – erano collocate su tavolini in legno oppure in canestri di bambù, come avveniva nella vita quotidiana. In una tomba, oltre ad un cesto contenente alcune giuggiole, furono trovati anche i bastoncini di legno con cui consumarle. Sovente i recipienti erano riposti l’uno nell’altro, pronti a essere utilizzati come contenitori per alimenti (fig. 3). Risulta pertanto evidente che avevano perduto l’originaria funzione rituale. Nelle tombe di Chu il vasellame era tutto riposto in un reparto situato nella parte superiore della cassa esterna. Inoltre, attorno al V secolo a.C., sia nelle tombe di medie dimensioni sia in quelle più modeste apparvero nuove suppellettili: alabarde, asce, pugnali, archi ed elmetti, oggetti che un tempo erano presenti solo nelle tombe degli aristocratici (si veda, ad esempio, il pugnale in ferro con elsa d’oro e intarsi di turchese, cat. 46/828). Questo nuovo elemento potrebbe trovare spiegazione negli eventi degli anni 506-505 a.C.: gli eserciti di Wu avevano invaso il regno di Chu, espugnando la capitale e costringendo il sovrano a fuggire a nord. Fu da allora che le armi provenienti da Wu, depredate al nemico, furono incluse nei corredi funerari delle tombe di Chu.ix

L’aspetto e la disposizione dei corredi delle tombe erano sempre più simili a quelli delle abitazioni, come dimostra l’inclusione di utensili per uso domestico, monili e oggetti per l’abbigliamento e la toilette quotidiani: ad esempio il brucia profumi in bronzo (cat. 33/333), lo specchio in bronzo a decoro intrecciato (cat. 35/336), la coppia di pettorali in giada e corniola (cat. 44/901), la scatola in legno laccato decorata con scene narrative (56/849) e quella, sempre in legno laccato, a forma di maiale (cat. 57/850). 

Già dal VI secolo a.C. accanto alle varie suppellettili nelle sepolture apparvero statue di legno o di terracotta: guerrieri, funzionari, concubine, danzatori e danzatrici e animali da cortile popolavano il palazzo, i suoi giardini e i terreni attigui e inscenavano le varie attività della vita quotidiana del defunto e del suo entourage. Oltre al monumentale e noto esercito di terracotta di Qin Shi Huangdi, che rende l’idea della maestosità e dell’imponenza del primo impero ma altresì della megalomania del suo artefice, altrettanto suggestive sono le più piccole statue rinvenute nelle tombe  imperiali della dinastia Han: i fanti di colore nero provenienti da Zhangling (cat. 102/940), le intrattenitrici inginocchiate (cat. 105/870), i guerrieri a cavallo dipinti (106/251), le esili figure maschili e femminili (catt. 252, 253), e infine i set di cani (109/254), buoi (110/255), pecore (111/256) e maiali (112/258) del Museo di Yangling.

Le giade funerarie

Sin dall’epoca neolitica era costumanza riporre accanto alla salma, nel luogo d’inumazione, oggetti di giada (nefrite) a forma di dischi piatti con un foro circolare al centro, noti come bi (catt. 100/829, 115/231) e altri a forma di parallelepipedi attraversati verticalmente da un foro circolare, denominati cong (cat. 39/821). Rinvenuti solo nelle tombe, non erano comuni oggetti per l’uso quotidiano: bi e cong avevano un’importante funzione rituale e, nel contempo, erano emblemi di potere. Lo testimonia il rinvenimento di queste giade nelle tombe più grandi delle culture neolitiche orientali come, ad esempio, quelle appartenenti alla cultura Dawenkou (IV-III millennio a.C.), una particolare fase della storia della Cina in cui la ricerca della distinzione sociale trovò espressione nella produzione di oggetti di giada, originariamente di terracotta o pietra: la rarità e bellezza del materiale da cui prendevano forma, la giada appunto, nobile e preziosa quintessenza della montagna, conferiva a essi un profondo ed elevato valore simbolico-rituale.

Gli scavi condotti negli anni Trenta del secolo scorso portarono alla luce una cospicua quantità di giade funerarie attribuite a un’altra delle culture neolitiche della costa orientale, Liangzhu, risalente all’inizio del III millennio a.C. Degne di menzione sono le giade bi e cong rinvenute nella tomba di un giovane nel 1982, a Sidun, nel Jiangsu: tra i centoventi oggetti interrati accanto alla salma, figuravano ventiquattro bi e trentatre cong (fig. 4).x Secondo una ricostruzione dei riti funerari che accompagnavano l’inumazione del defunto in quest’area, gli officianti il rito disponevano i bi sul terreno assieme a tre asce perforate, poi li incendiavano. Quando il rogo stava per estinguersi, adagiavano la salma sulle giade bi e poi la circondavano con un recinto di cong. Alla fine riponevano alcuni bi, i più belli e meglio preservati all’azione del fuoco, sul torace del defunto.xi

Il bi, dalla caratteristica forma discoidale, evocava il cielo, immaginato a forma sferica o semisferica. Lo si ritrova in vari contesti, sulla salma, sulla nuca del defunto, o come componente dei pettorali di giada (cat. 158); è stato ipotizzato che sulla nuca del defunto, ovvero sulla sommità del copricapo di giada, simbolicamente rappresentasse il foro d’uscita dell’anima corporea (fig. 5).xii Le giade cong, invece, dalla superficie esterna quadrangolare o prismatica e quella del foro circolare, esprimevano l’antica concezione del cosmo, con il cielo sferico e la terra quadrata.xiii Secondo tale interpretazione, avvalorata dalla presenza in molti cong di decori con maschere zoomorfe (creature fantastiche con funzioni mediatiche), fungevano da strumenti rituali, axis mundi: con essi lo sciamano stabiliva una via di comunicazione tra la terra e il cielo (fig. 6).xiv Il tema dell’uso rituale di questi strumenti è tuttora oggetto di continue speculazioni e non è da escludere che gli cong ritrovati a Sidun svolgessero semplicemente una funzione protettiva e apotropaica.

In epoca più tarda, in particolare con la fondazione dell’impero, quando, con il Primo Augusto Imperatore si diffuse il culto dell’immortalità, xv la giada, per la bellezza, la durevolezza e le proprietà alchemiche, fu associata con tale credenza. Oltre ai bi e agli cong, i vivi utilizzavano piccole giade per occludere gli orifizi della salma, intendendo così evitare la fuoriuscita dell’anima (le linfe e gli umori) e la conseguente decomposizione del corpo: due piccole giade per coprire gli occhi, due per le narici, due per le orecchie e due per la bocca, una delle quali a forma di cicala, simbolo d’immortalità (fig. 7). Da tale pratica e da quella, più antica, di ricoprire il corpo del defunto di bi, derivò probabilmente l’ambizioso disegno di confezionare una veste di giada che avvolgesse integralmente la salma, nella speranza di ritardare il più a lungo possibile la sua decomposizione. Si concepì dapprima una veste di tessuto su cui erano cuciti piccoli frammenti di giada perforati, oppure singoli accessori, come ad esempio la maschera che copriva il volto, i guanti o i calzari (fig. 8); da qui derivò la ben più pregiata veste di giada (yuyi), costituita interamente da migliaia di tessere di giada assemblate e cucite con del filo metallico (d’oro, d’argento o di rame) fino ad avvolgere l’intero corpo del defunto (cat. 120/950).xvi

Tra il 1946 e il 1992 sono stati rinvenuti oltre quaranta esemplari (alcuni dei quali preservati solo parzialmente) in tombe di varie province della Cina, risalenti agli anni compresi tra il 122 a.C. e il 182 d.C. Le forme delle tessere di giada con cui erano realizzate le vesti variavano (potevano essere quadrate, rettangolari, triangolari, circolari o semicircolari) e, in taluni casi, le decorazioni che recavano rivelavano la loro origine (in genere si trattava di frammenti di vasi o di altri oggetti). La veste di giada fu un privilegio riservato a pochi eletti: era l’imperatore o l’imperatrice a stabilire chi, per propri meriti e virtù, era degno di sfarzo, splendore e soprattutto longevità nel regno delle tenebre.

Così serrato nella giada (con il corpo e i suoi orifizi), custodito nelle proprie casse sepolcrali (l’una dentro l’altra), protetto dai soldati e confortato nella nuova dimora dai beni terreni e dalla compagnia di danzatrici, cantanti, concubine, servitori e animali, l’uomo si accingeva a condurre una vita virtuosa anche nel mondo dei morti. E chissà, forse alla fine del suo lungo cammino si sarebbe liberato anche della transeunte condizione della morte divenendo, come ci suggerisce la piccola scultura in bronzo (cat. 87/86), un Immortale tout court.

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i Lunyu XI,12. Confucio, Dialoghi, Testo a fronte. Traduzione e cura di Tiziana Lippiello, Einaudi, Torino 2006, p. 123.
ii Yili, in Ruan Yuan (1764-1849), a cura di, Shisanjing shuju, Yiwen Yinshuguan, Taibei 1989, 8 voll., vol. IV, cap. 35, pp. 1128-29; Liji, in Ruan Yuan, op. cit., vol. V, cap. 44, p. 1472. Wu Hung, Art in Ritual Context: Rethinking Mawangdui, in “Early China”, 17, 1992, pp. 111-144, in particolare pp. 112-113; Yü Yingshi, O Soul, Come Back! A Study in the Changing Conceptions of the Soul and Afterlife in Pre-Buddhist China, “Harvard Journal of Asiatic Studies”, 42, 2, 1987, pp. 363-395.
iii Commento di Zheng Xuan (127-200). Liji, in Shisanjing shuju, op. cit., vol. V, cap. 44, p. 763.
iv Secondo l’interpretazione di Kong Yingda (574-648).
v Yili, in Ruan Yuan, op. cit., cap. 35, p. 412. Sul ruolo del mingjing si veda, ad esempio, Wu Hung, art. cit., pp. 116-127.
vi Un noto esempio è la tomba del Principe Liu Sheng e della sua presunta consorte, databili rispettivamente al 113 a.C. e a un periodo compreso tra il 118 e il 104 a.C. Sulla tomba del Principe Liu Sheng e, in generale, sulla struttura delle tombe in epoca Han si veda ad esempio R.L. Thorp, Mountain Tombs and Jade Burial Suits: Preparations for Eternity in the Western Han, in G. Kuwayama, ed., Ancient Mortuary Traditions of China. Papers on Chinese Ceramic Funerary Sculptures, Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles 1991, pp. 26-39; M. Scarpari, Antica Cina. La civiltà cinese dalle origini alla dinastia Tang, White Star, Vercelli 2000, pp. 231-235.
vii A. Thote, Continuities and Discontinuities: Chu Burials during the Eastern Zhou Period, in R. Whitfield, Wang Tao, eds., Exploring China’s Past: New Discoveries and Studies in Archaeology and Ritual, Saffron, London 1999, pp. 189-204, in particolare p. 192.
viii Ibid.
ix A. Thote, art. cit., pp. 193-99.
x Per un approfondimento sulle origini e sui siti di ritrovamento delle giade cong e bi si vedano, ad esempio, Wang Wei, Liangzhu wenhua yucong chuyi (Alcune considerazioni sulle giade cong della cultura Liangzhu), in “Kaogu”, 11, 1986, pp. 1009-1016; Huo Wei, Li Yongxian, Guanyu cong, bi de liangdian chuyi (Alcune considerazioni sulle giade cong e bi), in “Kaogu yu wenwu”, 1, 1992, pp. 60-66. Wu Hung, Monumentality in Early Chinese Art and Architecture, Stanford University Press, Stanford 1995, pp. 24-44.
xi Nanjing bowuguan, 1982 nian Jiangsu Changzhou Wujin Sidun yizhi de fajue (La scoperta nel 1982 dei resti di una sepoltura a Sidun, (Wujin, Changzhou, nella provincia del Jiangsu), in “Kaogu”, 2, 1984, pp. 115-116; D.N. Keightley, Shamanism, Death and the Ancestors: Religious Mediation in Neolithic and Shang China (ca. 5000-1000 B.C.), in “Asiatische Studien”, 52, 3, 1998, pp. 763-832, in particolare pp. 786-788.
xii La giada bi compare, ad esempio, sul copricapo del principe Liu Sheng e su quello della sua consorte Dou Wan (II secolo a.C.). J. Rawson, edited by, Mysteries of Ancient China. New Discoveries of Ancient China, British Museum Press, London 1996, pp. 52-55, 170-171.
xiii Si veda, ad esempio, Zhao Qingfang, On Bi and Cong, in “Orientations”, 20, 5, 1989, pp. 78-82; K.C. Chang, An Essay on Cong, “Orientations”, 20, 6, 1989, pp. 37-43.
xiv Si veda, ad esempio, Chang Kwang-chih, Ritual and Power, in R.E. Murowchick, ed., Cradles of Civilization: China: Ancient Culture, Modern Land, Weldon Russell, North Sydney 1994, p. 66; D.N. Keightley, op. cit., pp. 774-776; Idem, The Quest for Eternity in Ancient China: The Dead, Their Gifts, Their Names, in G. Kuwayama, op. cit., pp. 12-24, in particolare pp. 14-16.
xv Sul Primo Augusto Imperatore si veda il saggio di M. Scarpari in questo catalogo.
xvi Per un’esaustiva descrizione delle vesti e di altri oggetti funerari di epoca Han si veda M. Loewe, State Funerals of the Han Empire, in “Bulletin of the Museum of Far Eastern Antiquities”, 1, 1999, pp. 5-72; si veda inoltre R.L. Thorp, art. cit., pp. 33-36.

 

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