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Cina
Nascita di un impero

Le iscrizioni sui bronzi rituali
Saggio di Attilio Andreini
(
professore associato di Lingua e letteratura cinese classica, Università Ca’ Foscari, Venezia 
Dal catalogo a cura di Maurizio Scarpari e Lionello Lanciotti, edito da Skira)

Le iscrizioni sui bronzi rituali

Anno 771 a.C.: sotto la pressione incalzante degli invasori barbari che minacciano i territori dominati dalla dinastia Zhou, i membri della famiglia Wei, al pari di altri clan nobiliari, terminano di sotterrare in ripostigli scavati all’uopo i cimeli più preziosi del loro patrimonio familiare: recipienti di bronzo che per secoli hanno costituito gli strumenti del culto ancestrale.

Ad abbandonare i loro possedimenti a Zhuangbai, un distretto di Fufeng a circa un centinaio di chilometri dall’odierna Xi’an (Shaanxi), li spinge la fretta di spostarsi al più presto verso oriente per seguire il sovrano in fuga. Essi nutrono il desiderio di poter tornare un giorno non lontano e recuperare il loro tesoro. Questa speranza però andrà delusa ed essi non rivedranno mai più la terra natale; grazie alla loro premura, tuttavia, quel tesoro, riportato alla luce nel 1976, è giunto intatto fino a noi e oggi abbiamo l’occasione di ammirarne alcuni dei pezzi più belli. Al di là del pregio intrinseco dei manufatti, dato tanto dal materiale prezioso quanto dalla squisita fattura, il valore di questo tesoro è accresciuto dal fatto che esso costituisce un vero e proprio archivio storico e genealogico. Del centinaio di bronzi a suo tempo occultati, infatti, più di una settantina reca iscrizioni; grazie a esse i discendenti dei Wei avrebbero potuto ricostruire i momenti più significativi e gloriosi della storia del clan. Ma la sorte ha voluto che fossimo noi, quasi tremila anni dopo, a gettare uno sguardo sulle vicende di questa famiglia, tra le più insigni del periodo dei Zhou Occidentali (1045-771 a.C.).

L’esempio più rappresentativo dell’eccezionalità delle iscrizioni sui bronzi di Zhuangbai è dato dal testo impresso sul Bacile di Shi Qiang (fig.), reperto che è stato dichiarato tesoro nazionale ed è custodito così gelosamente che il Governo Cinese ne ha precluso l’uscita dai confini nazionali. Il contenuto della lunga iscrizione, che documenta il primo tentativo di annotazione storiografica in Cina, è tra i più significativi di tutta l’epoca Zhou (1045-221 a.C.)

Risalente al 900 a.C. circa, il bacile fu commissionato dallo scriba di corte Qiang, che prestò servizio durante il regno del sovrano Gong (circa 917-900 a.C.). L’iscrizione si sviluppa in diciotto colonne (fig.), divise equamente in due sezioni poste una accanto all’altra e separate da una fascia centrale vuota. Il testo, in rima, esalta da principio le gesta dei primi sette sovrani Zhou e prosegue con una dettagliata ricostruzione genealogica della casata Wei, dall’antenato primo Gaozu fino a Qiang, che così scrive di se stesso:

Figlio integerrimo e fedele amico è Qiang lo scriba!
Giorno e notte, senza mai desistere, si prodiga,
E possa la sua bontà ogni giorno essere riconosciuta.
Mai osa fermarsi e, per ripagare e lodare la Sovrana Volontà, gloriosa e benevola,
Ha disposto che fosse fuso questo prezioso bacile.
Vogliano i valenti Avi e l’insigne defunto Padre accordare i loro favori,
E concedere a Qiang traboccante vigore, pace, ricchezza,
Canuta vecchiaia, anche, e lunga vita,
Sì che dell’onore di servire il Suo Sovrano sempre degno sia.

Simili a veri e propri memoriali, le iscrizioni su bronzo svolgevano una funzione documentaria delle offerte sacrificali e dei rapporti tra gli uomini e il mondo delle divinità e degli antenati già durante la dinastia Shang (XVI sec-1045 a.C.). Questo aspetto sacrale rimane costante sino alla fine della dinastia Zhou Occidentale. Di più: in una società fondata sul culto e sul rito, esso spiega la volontà di lasciare traccia indelebile del dialogo tra questo mondo e quello divino, permeando ogni attività. In tal senso, le iscrizioni registrano e tramandano ai posteri nozioni relative al calendario, all’assetto giuridico-istituzionale, celebrano vittorie militari, come pure certificano il conferimento di proprietà e di titoli, l’esito delle spedizioni di caccia, le alleanze matrimoniali, lo stato delle relazioni con le popolazioni limitrofe. 

La tipologia delle iscrizioni su bronzo varia a seconda delle epoche. Le più antiche sono semplicemente emblemi tribali impressi su recipienti rituali, o si limitano a ricordare il nome del committente del manufatto, come nel caso del pezzo (cat.), o il suo esecutore. Con l’andar del tempo esse assumono via via maggior consistenza, passando da brevi testi commemorativi delle circostanze di sacrifici in onore degli antenati, a narrazioni più lunghe e articolate redatte in occasione di cerimonie di investitura o del solenne conferimento di terre a signori feudali.

Costoro, a loro volta, non di rado commissionavano la fusione di bronzi le cui iscrizioni esaltavano di fronte agli antenati la magnanimità del sovrano e, dunque, indirettamente testimoniavano del favore conseguito presso di lui. Lo splendido recipiente hu proveniente anch’esso da Zhuangbai e battezzato Sannian Xinghu (del terzo anno di Xing) (cat. XXX) appartiene appunto a questa categoria. L’iscrizione sulla parete esterna del coperchio, che commemora la partecipazione del gentiluomo Xing a due banchetti tenutisi a corte, infatti, ne esalta i meriti agli occhi dei suoi venerabili antenati e sottintende un ringraziamento nei confronti della benevolenza reale.

Durante le dinastie Shang e Zhou Occidentale di norma le iscrizioni sono situate all’interno del vaso rituale e, a parte rari casi in cui sono incise, vengono realizzate attraverso un procedimento particolarmente ingegnoso e delicato secondo cui, al momento della fusione, l’iscrizione compare in rilievo sullo stampo. Ma perché mai tanto riguardo se, in fondo, l’iscrizione era “relegata” in un’area del vaso così poco esposta alla vista?

Ebbene, essa non era concepita per essere letta dai vivi, o almeno non solo: suoi veri destinatari erano i defunti e le divinità che, attratti dalle fragranze diffuse nell’aria, dalle libagioni e dai cibi offerti nel prezioso recipiente cerimoniale, si sarebbero uniti al banchetto.

Un’altra caratteristica delle iscrizioni che appaiono sui bronzi è data dal loro svilupparsi in verticale per colonne parallele, dall’alto verso il basso, da destra a sinistra, secondo un modo di procedere che ritroviamo ancora oggi, a volte, nei libri e nei quotidiani cinesi e giapponesi.

Ricordiamo che i testi impressi sui bronzi sono costituiti da singole unità grafiche, i “caratteri”, i quali rispettano lo stesso principio di codificazione che, da oltre tre millenni, ancora governa la scrittura cinese: le parole sono espresse attraverso elaborazioni di “disegni”. Nessun “alfabeto”, nessuna “lettera”, ma “disegni” cui viene associata una pronuncia.

Torniamo ora alla “verticalità” delle iscrizioni. Essa non fa che riprodurre il normale andamento della scrittura su quello che già da secoli era il supporto scrittorio primario, ovverosia la listarella di bambù o di legno, il cui uso è antecedente all’invenzione della carta nel II secolo a.C. Nella Cina antica il “libro” consisteva in un fascio di listarelle legate insieme da un cordoncino di seta o cuoio e facilmente srotolabile in senso orizzontale, da destra verso sinistra nel rispetto dello stesso orientamento seguito per la compilazione dei testi. Un orientamento, questo, che si rivelava necessario in quanto con la mano sinistra si teneva ferma la superficie scrittoria mentre con la destra si impugnava il pennello (fig. testi).

Come nel caso del recipiente yi rinvenuto anch’esso a Zhuangbai e commissionato dal gentiluomo Zhe (cat., foto calco), le iscrizioni sui bronzi dei Zhou Occidentali constano, di norma, di quattro parti: indicazione del luogo o della data dell’evento; breve resoconto dell’udienza o della cerimonia; elenco dei doni; dedica conclusiva.

Vi sono esempi in cui la stessa iscrizione compare su differenti bronzi: l’iterazione si spiega con la finalità di rafforzare l’effetto della preghiera e del ringraziamento. Addirittura, come per la ciotola gui (cat. XXX 05 Roberto), una identica iscrizione può essere riprodotta più volte sullo stesso oggetto, nella fattispecie sul coperchio e all’interno del recipiente:  

Era l’ottavo mese, prima fase lunare, ventiquattresimo giorno. Il sovrano raggiunse il tempio ancestrale dedicato al re Kang. Il conte Rong fece ingresso alla destra di Wei e assunse la posizione conforme al rituale. Il sovrano impartì ordini a Wei e gli donò poi paramenti rossi, morsi e briglie.

Wei replicò esaltando la grandezza e la munificenza del Figlio del Cielo. Per celebrare l’evento, Wei ha commissionato la fusione di questo prezioso gui in onore dei suoi insigni antenati e del suo defunto padre. Possano i suoi figli e i suoi nipoti custodirlo per diecimila anni e usarlo in eterno.

Vale la pena sottolineare che, in alcuni casi, la lunghezza e il tema dell’iscrizione le conferivano natura di vera e propria narrazione. Si pensi, ad esempio, al testo impresso sul recipiente xu del IX secolo a.C. battezzato Bin Gong xu (ciotola xu del duca Bin) o Sui Gong xu (ciotola xu del duca Sui) recentemente acquisito dal Museo Poly (Baoli) di Pechino: un vero e proprio racconto, che ha per protagonista il leggendario fondatore della Dinastia Xia (II millennio-XVI sec. a.C. circa), Yu, che si prodigò per salvare il genere umano dal diluvio. “Il Cielo”, recita l’iscrizione, comandò a Yu “di rimuovere dai rilievi montuosi i detriti per arginare i corsi d’acqua e volle poi che scegliesse opportunamente il luogo dove stabilire il governo. Yu scese infine tra il popolo e giudicò i meriti di ognuno”. Il testo prosegue elogiando il sovrano, esempio di virtù eccelsa, e si conclude con l’augurio del committente affinché i sudditi facciano tesoro dei favori che il Cielo dispensa per celebrare i sacrifici agli antenati. 

A partire dall’VIII secolo a.C., con la fondazione della dinastia Zhou Orientale (770-221 a.C.), l’assetto politico-istituzionale e il quadro culturale subiscono drastici mutamenti. L’indebolirsi del potere centrale permette l’emergere di domini locali sempre più autonomi. Alterati gli equilibri di forza, viene meno la necessità da parte delle nuove élites di commissionare oggetti rituali per celebrare la magnanimità e la virtù reale, per avallare la propria investitura o ratificare i propri meriti al cospetto degli antenati. L’epoca d’oro delle iscrizioni sui bronzi volge al termine. Testimoni di questo nuovo stato di cose, servono ora solo a registrare il consolidamento di alleanze militari e promesse di lealtà, codici penali e sentenze.

Da questo momento la celebrazione dei riti ancestrali si dissocia dalla necessità di produrre bronzi ad hoc e le iscrizioni sui recipienti o su altri bronzi cerimoniali non rappresentano più un mezzo privilegiato per comunicare con l’aldilà, ma diventano funzionali all’esaltazione del prestigio politico e militare dei potenti signori locali. L’aspetto delle iscrizioni va progressivamente cedendo a un certo manierismo: esse vengono impreziosite da ageminature in oro e non più semioccultate con intento sacrale, ma esibite sulla superficie esterna in tutta la loro suggestiva bellezza. La grafia si fa più sinuosa, fino a diventare un elemento integrante della decorazione (fig.).

Con la susseguente unificazione dell’impero sotto i Qin (221-206 a.C.) le iscrizioni sui bronzi perderanno definitivamente il ruolo che le aveva rese così prestigiose. Non verrà meno, tuttavia, la loro memoria che, anzi, durerà nei secoli e alimenterà la passione di generazioni di eruditi. Costoro, più interessati all’iscrizione che al bronzo sul quale era impressa, contribuirono, intorno al X secolo d.C., a un forte incremento degli studi filologici e paleografici. Le iscrizioni cominciarono a essere riprodotte a mano o trasferite mediante calchi su carta: separate dal loro supporto originale, esse poterono così diffondersi ed essere tramandate a prescindere dal destino riservato all’oggetto, il quale, in più di un caso, è andato perduto.

Questo interesse scientifico ebbe immediati riflessi anche sul piano economico e commerciale, e diede vita a un mercato antiquario sempre più fiorente, accanto al quale se ne sviluppò uno del falso altrettanto prospero, dove il ruolo dell’iscrizione era fondamentale. A volte, infatti, i falsari giungevano addirittura a contraffare reperti autentici incidendovi un’iscrizione ex novo, al fine di aumentare il valore dell’oggetto.

Per noi, oggi, le iscrizioni sui bronzi rappresentano una risorsa senza la quale mancherebbe un tassello essenziale alla conoscenza delle civiltà Shang e Zhou. Dodicimila circa sono le iscrizioni su recipienti rituali, strumenti musicali, armi e monete di cui disponiamo: un patrimonio d’informazioni ricchissimo, destinato per di più ad aumentare grazie al crescente numero di ritrovamenti archeologici.

Nell’apprezzare la raffinata fattura di questi bronzi, dunque, è opportuno essere consapevoli che, in aggiunta al loro valore estetico, essi svolgono anche la funzione di un vero e proprio archivio storico. Senza il contributo delle iscrizioni, infatti, non avremmo strumenti per testare l’attendibilità delle fonti tradizionali e una fase fondamentale della cultura cinese resterebbe un mistero insondabile.

 

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