Le iscrizioni sui bronzi rituali
Anno 771 a.C.: sotto la pressione incalzante
degli invasori barbari che minacciano i territori dominati dalla dinastia Zhou, i membri della
famiglia Wei, al pari di altri clan nobiliari, terminano di sotterrare in ripostigli scavati
all’uopo i cimeli più preziosi del loro patrimonio familiare: recipienti di bronzo che per secoli
hanno costituito gli strumenti del culto ancestrale.
Ad abbandonare i loro possedimenti a
Zhuangbai, un distretto di Fufeng a circa un centinaio di chilometri dall’odierna Xi’an (Shaanxi),
li spinge la fretta di spostarsi al più presto verso oriente per seguire il sovrano in fuga. Essi nutrono
il desiderio di poter tornare un giorno non lontano e recuperare il loro tesoro. Questa speranza
però andrà delusa ed essi non rivedranno mai più la terra natale; grazie alla loro premura,
tuttavia, quel tesoro, riportato alla luce nel 1976, è giunto
intatto fino a noi e oggi abbiamo l’occasione
di ammirarne alcuni dei pezzi più belli. Al di là del pregio intrinseco dei manufatti, dato tanto
dal materiale prezioso quanto dalla squisita fattura, il valore di questo tesoro è accresciuto dal
fatto che esso costituisce un vero e proprio archivio storico e genealogico. Del centinaio di bronzi
a suo tempo occultati, infatti, più di una settantina reca iscrizioni; grazie a esse i discendenti
dei Wei avrebbero potuto ricostruire i momenti più significativi e gloriosi della storia del
clan. Ma la sorte ha voluto che fossimo noi, quasi tremila anni dopo, a gettare uno sguardo sulle vicende
di questa famiglia, tra le più insigni del periodo dei Zhou Occidentali (1045-771 a.C.).
L’esempio più rappresentativo dell’eccezionalità
delle iscrizioni sui bronzi di Zhuangbai è dato dal testo impresso sul Bacile di Shi
Qiang (fig.), reperto che è stato dichiarato tesoro nazionale ed è custodito così gelosamente
che il Governo Cinese ne ha precluso l’uscita dai confini nazionali. Il contenuto della lunga
iscrizione, che documenta il primo tentativo di annotazione storiografica in Cina, è tra i
più significativi di tutta l’epoca Zhou (1045-221 a.C.)
Risalente al 900 a.C. circa, il bacile fu
commissionato dallo scriba di corte Qiang, che prestò servizio durante il regno del sovrano Gong
(circa 917-900 a.C.). L’iscrizione si sviluppa in diciotto colonne (fig.), divise equamente in
due sezioni poste una accanto all’altra e separate da una fascia centrale vuota. Il testo, in rima,
esalta da principio le gesta dei primi sette sovrani Zhou e prosegue con una dettagliata
ricostruzione genealogica della casata Wei, dall’antenato primo Gaozu fino a Qiang, che così scrive di
se stesso:
Figlio integerrimo e fedele amico è Qiang lo
scriba!
Giorno e notte, senza mai desistere, si
prodiga,
E possa la sua bontà ogni giorno essere
riconosciuta.
Mai osa fermarsi e, per ripagare e lodare la
Sovrana Volontà, gloriosa e benevola,
Ha disposto che fosse fuso questo prezioso
bacile.
Vogliano i valenti Avi e l’insigne defunto
Padre accordare i loro favori,
E concedere a Qiang traboccante vigore, pace,
ricchezza,
Canuta vecchiaia, anche, e lunga vita,
Sì che dell’onore di servire il Suo Sovrano
sempre degno sia.
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Simili a veri e propri memoriali, le
iscrizioni su bronzo svolgevano una funzione documentaria delle offerte sacrificali e dei rapporti tra
gli uomini e il mondo delle divinità e degli antenati già durante la dinastia Shang (XVI sec-1045 a.C.).
Questo aspetto sacrale rimane costante sino alla fine della dinastia Zhou Occidentale. Di più:
in una società fondata sul culto e sul rito, esso spiega la volontà di lasciare traccia
indelebile del dialogo tra questo mondo e quello divino, permeando ogni attività. In tal senso, le
iscrizioni registrano e tramandano ai posteri nozioni relative al calendario, all’assetto
giuridico-istituzionale, celebrano vittorie militari, come
pure certificano il conferimento di proprietà e di
titoli, l’esito delle spedizioni di caccia, le alleanze matrimoniali, lo stato delle relazioni con le
popolazioni limitrofe.
La tipologia delle iscrizioni su bronzo varia
a seconda delle epoche. Le più antiche sono semplicemente emblemi tribali impressi su
recipienti rituali, o si limitano a ricordare il nome del committente del manufatto, come nel caso del
pezzo (cat.), o il suo esecutore. Con l’andar del tempo esse assumono via via maggior
consistenza, passando da brevi testi commemorativi delle circostanze di sacrifici in onore degli
antenati, a narrazioni più lunghe e articolate redatte in occasione di cerimonie di investitura o del
solenne conferimento di terre a signori feudali.
Costoro, a loro volta, non di rado
commissionavano la fusione di bronzi le cui iscrizioni esaltavano di fronte agli antenati la
magnanimità del sovrano e, dunque, indirettamente testimoniavano del favore conseguito presso di
lui. Lo splendido recipiente hu
proveniente anch’esso da Zhuangbai e battezzato Sannian
Xinghu (del terzo anno di Xing) (cat. XXX) appartiene appunto a questa categoria. L’iscrizione
sulla parete esterna del coperchio, che commemora la partecipazione del gentiluomo
Xing a due banchetti tenutisi a corte, infatti, ne esalta i meriti agli occhi dei suoi venerabili
antenati e sottintende un ringraziamento nei confronti della benevolenza reale.
Durante le dinastie Shang e Zhou Occidentale
di norma le iscrizioni sono situate all’interno del vaso rituale e, a parte rari casi in cui
sono incise, vengono realizzate attraverso un procedimento particolarmente ingegnoso e
delicato secondo cui, al momento della fusione, l’iscrizione compare in rilievo sullo
stampo. Ma perché mai tanto riguardo se, in fondo, l’iscrizione era “relegata” in un’area
del vaso così poco esposta alla vista?
Ebbene, essa non era concepita per essere
letta dai vivi, o almeno non solo: suoi veri destinatari erano i defunti e le divinità
che, attratti dalle fragranze diffuse nell’aria, dalle libagioni e dai cibi offerti nel prezioso
recipiente cerimoniale, si sarebbero uniti al banchetto.
Un’altra caratteristica delle iscrizioni che
appaiono sui bronzi è data dal loro svilupparsi in verticale per colonne parallele, dall’alto
verso il basso, da destra a sinistra, secondo un modo di procedere che ritroviamo ancora oggi, a volte,
nei libri e nei quotidiani cinesi e giapponesi.
Ricordiamo che i testi impressi sui bronzi
sono costituiti da singole unità grafiche, i “caratteri”,
i quali rispettano lo stesso principio di
codificazione che, da oltre tre millenni, ancora governa la scrittura cinese: le parole sono espresse
attraverso elaborazioni di “disegni”. Nessun “alfabeto”,
nessuna “lettera”, ma “disegni” cui
viene associata una pronuncia.
Torniamo ora alla “verticalità” delle
iscrizioni. Essa non fa che riprodurre il normale andamento della scrittura su quello che già
da secoli era il supporto scrittorio primario,
ovverosia la listarella di bambù o di legno,
il cui uso è antecedente all’invenzione della carta nel
II secolo a.C. Nella Cina antica il “libro”
consisteva in un fascio di listarelle legate insieme da un cordoncino di seta o cuoio e facilmente
srotolabile in senso orizzontale, da destra verso sinistra nel rispetto dello stesso
orientamento seguito per la compilazione dei testi. Un orientamento, questo, che si rivelava
necessario in quanto con la mano sinistra si teneva ferma la superficie scrittoria mentre con la destra
si impugnava il pennello (fig. testi).
Come nel caso del recipiente
yi
rinvenuto anch’esso
a Zhuangbai e commissionato dal gentiluomo Zhe (cat., foto calco), le
iscrizioni sui bronzi dei Zhou Occidentali constano, di norma, di quattro parti: indicazione del luogo
o della data dell’evento; breve resoconto dell’udienza o della cerimonia; elenco dei
doni; dedica conclusiva.
Vi sono esempi in cui la stessa iscrizione
compare su differenti bronzi: l’iterazione si spiega con la finalità di rafforzare l’effetto
della preghiera e del ringraziamento. Addirittura, come per la ciotola gui
(cat. XXX 05
Roberto), una identica iscrizione può essere riprodotta più
volte sullo stesso oggetto, nella fattispecie sul
coperchio e all’interno del recipiente:
Era l’ottavo mese, prima fase lunare,
ventiquattresimo giorno. Il sovrano raggiunse il tempio ancestrale dedicato al re
Kang. Il conte Rong fece ingresso alla destra di Wei e assunse la
posizione conforme al rituale. Il sovrano impartì ordini a Wei e gli donò poi
paramenti rossi, morsi e briglie.
Wei replicò esaltando la grandezza e la
munificenza del Figlio del Cielo. Per celebrare l’evento, Wei ha commissionato la
fusione di questo prezioso gui
in onore dei suoi insigni antenati e del suo
defunto padre. Possano i suoi figli e i suoi nipoti custodirlo per diecimila anni e
usarlo in eterno.
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Vale la pena sottolineare che, in alcuni casi,
la lunghezza e il tema dell’iscrizione le conferivano natura di vera e propria narrazione. Si pensi,
ad esempio, al testo impresso sul recipiente xu
del IX secolo a.C. battezzato Bin Gong xu (ciotola xu del duca Bin) o Sui Gong xu
(ciotola xu del duca Sui) recentemente acquisito dal Museo
Poly (Baoli) di Pechino: un vero e proprio racconto, che ha per protagonista il
leggendario fondatore della Dinastia Xia (II millennio-XVI sec. a.C. circa), Yu, che si prodigò per
salvare il genere umano dal diluvio. “Il Cielo”, recita l’iscrizione, comandò a Yu “di rimuovere
dai rilievi montuosi i detriti per arginare i corsi d’acqua e volle poi che scegliesse
opportunamente il luogo dove stabilire il governo. Yu scese infine tra il popolo e giudicò i meriti di
ognuno”. Il testo prosegue elogiando il sovrano, esempio di virtù eccelsa, e si conclude con l’augurio
del committente affinché i sudditi facciano tesoro dei favori che il Cielo dispensa per
celebrare i sacrifici agli antenati.
A partire dall’VIII secolo a.C., con la
fondazione della dinastia Zhou Orientale (770-221 a.C.), l’assetto
politico-istituzionale e il
quadro culturale subiscono drastici mutamenti. L’indebolirsi del potere centrale permette l’emergere
di domini locali sempre più autonomi. Alterati gli equilibri di forza, viene meno la
necessità da parte delle nuove élites di commissionare oggetti rituali per celebrare la
magnanimità e la virtù reale, per avallare la propria investitura o ratificare i propri
meriti al cospetto degli antenati. L’epoca d’oro delle iscrizioni sui bronzi volge al termine.
Testimoni di questo nuovo stato di cose, servono ora solo a registrare il consolidamento di alleanze
militari e promesse di lealtà, codici penali e sentenze.
Da questo momento la celebrazione dei riti
ancestrali si dissocia dalla necessità di produrre bronzi ad hoc e le
iscrizioni sui recipienti o su altri bronzi cerimoniali non
rappresentano più un mezzo privilegiato per comunicare con l’aldilà,
ma diventano funzionali all’esaltazione del prestigio politico e militare dei potenti
signori locali. L’aspetto delle iscrizioni va progressivamente cedendo a un certo
manierismo: esse vengono impreziosite da ageminature in oro e non più semioccultate con intento
sacrale, ma esibite sulla superficie esterna in tutta la loro suggestiva bellezza. La grafia si fa più
sinuosa, fino a diventare un elemento integrante della decorazione (fig.).
Con la susseguente unificazione dell’impero
sotto i Qin (221-206 a.C.) le iscrizioni sui bronzi perderanno definitivamente il ruolo che
le aveva rese così prestigiose. Non verrà meno, tuttavia, la loro memoria che, anzi, durerà
nei secoli e alimenterà la passione di generazioni di eruditi. Costoro, più interessati all’iscrizione
che al bronzo sul quale era impressa, contribuirono, intorno al X secolo d.C., a un
forte incremento degli studi filologici e paleografici. Le iscrizioni cominciarono a
essere riprodotte a mano o trasferite mediante calchi su carta: separate dal loro supporto
originale, esse poterono così diffondersi ed essere tramandate a prescindere dal destino riservato
all’oggetto, il quale, in più di un caso, è andato perduto.
Questo interesse scientifico ebbe immediati
riflessi anche sul piano economico e commerciale, e diede vita a un mercato
antiquario sempre più fiorente, accanto al quale se ne sviluppò uno del falso altrettanto prospero,
dove il ruolo dell’iscrizione era fondamentale. A volte, infatti, i falsari giungevano
addirittura a contraffare reperti autentici incidendovi un’iscrizione ex
novo, al fine
di aumentare il valore dell’oggetto.
Per noi, oggi, le iscrizioni sui bronzi
rappresentano una risorsa senza la quale mancherebbe un tassello essenziale alla conoscenza delle
civiltà Shang e Zhou. Dodicimila circa sono le iscrizioni su recipienti rituali, strumenti
musicali, armi e monete di cui disponiamo: un patrimonio d’informazioni ricchissimo,
destinato per di più ad aumentare grazie al crescente numero di ritrovamenti archeologici.
Nell’apprezzare la raffinata fattura di
questi bronzi, dunque, è opportuno essere consapevoli che, in aggiunta al loro valore estetico, essi
svolgono anche la funzione di un vero e proprio archivio storico. Senza il contributo delle
iscrizioni, infatti, non avremmo strumenti per testare l’attendibilità delle fonti tradizionali e
una fase fondamentale della cultura cinese resterebbe un mistero insondabile.
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