1. Quando in Cina la durata media della vita era 35 anni.
"I problemi cinesi, anche nel caso in cui non affliggano nessuno
all'infuori della Cina, sono di grande importanza perché i cinesi costituiscono un quarto
della razza umana ... . Tutto il mondo sarà influenzato in maniera vitale dallo sviluppo
degli affari cinesi ... durante i prossimi due secoli". Queste parole di Bertrand
Russell, scritte dopo una visita in Cina nel 1921, vengono spesso citate1 anche perché
sembrano, per quanto possibile, ancor più vere oggi che 80 anni fa. I cinesi
costituiscono sempre un quarto di tutta l'umanità, ma rispetto agli anni '20 gli stessi
progressi della tecnologia che facilitano trasporti e viaggi fanno oggi sembrare meno
ardue le emigrazioni e gli spostamenti di popolazioni. D'altro lato la Cina, pur restando
nella sostanza un universo parallelo, uscendo dalla fase di isolamento nei confronti
dell'Occidente è divenuta a pieno titolo una potenza mondiale e uno dei maggiori fattori
della politica e dell'economia planetaria nel XXI secolo.
Eppure ciò che i comunisti conquistarono nel '49 era un paese
devastato da anni e anni di guerra, con una base industriale in rovina e dove povertà,
malnutrizione, epidemie e malattie endemiche esistevano ancora su larga scala. Per quanto
sia problematico esprimere un giudizio sul livello di precisione delle statistiche cinesi,
per quei periodi in particolare, secondo le stime più autorevoli nel paese la durata di
vita media era allora di 35 anni, con un tasso di mortalità infantile di oltre 250/1000
nati vivi, il che significa la morte di un bambino ogni quattro.
La successiva pianificazione e realizzazione del modello cinese di
sanità pubblica costituirono nel complesso, e comunque le si voglia esaminare, un
successo di portata storica, tanto che alcuni dei risultati furono citati nella conferenza
di Alma Ata come esempio per il mondo intero e come modello da seguire per i paesi in via
di sviluppo.
2. Grandi campagne, grandi sbalzi e grandi risultati
Le "Grandi campagne patriottiche per la salute" non mancarono di presentare aspetti quantomeno eccentrici e sostanzialmente fallimentari. Citiamo, ad esempio, la famosa "campagna contro le 4 piaghe", rappresentate da zanzare, mosche, ratti e passeri, nel torso della quale, tra l'altro, milioni di agricoltori batterono coperchi di pentole per giorni e notti allo scopo di spaventare i passeri, colpevoli di nutrirsi del grano. Solo quando i passeri morirono a milioni dopo essere caduti a terra esausti, ci si accorse che gli insetti, che sarebbero stati mangiati dagli uccelli, potevano ora divorare il grano al posto loro.
Di scala ben maggiore risultarono le conseguenze del "grande balzo in avanti" del '58-'60, fase in cui lo stravolgimento dell'economia agricola verso irrealistici obiettivi di produzione industriale determinò, almeno in alcune aree del paese, una terribile carestia. A quanto pare in quel periodo, nelle aree maggiormente colpite, la mortalità infantile arrivò al 300/1000; autori come Becker hanno stimato che i morti per questa carestia furono tra i 20 ed i 50 milioni2. Fu questa, verosimilmente, la più grave delle ricadute indesiderate di queste politiche "grandiose" alla fine degli anni '50, e in parte contribuì a costituire il motore della successiva rivoluzione culturale prolungatasi per il decennio successivo al '66. La bufera della rivoluzione culturale non mancò di coinvolgere la sanità, che vide la chiusura di molte università e istituti scientifici mentre i "privilegi" della classe medica divenivano il bersaglio delle guardie rosse. Nelle fasi peggiori di questo periodo (1966-67) si verificarono anche vari casi di persecuzione e tortura a carico di professionisti3, ma in seguito, e più in generale, per la quasi totalità dei laureati in medicina divenne obbligatorio prestare un servizio più o meno prolungato (sino a qualche anno) nelle comuni agricole. A quanto pare maggiore era il "grado" del medico e maggiore era la semplicità dell'incarico ed il relativo periodo di rieducazione. In un episodio citato da T. Hesketh e Wei Xingzhu4, il più esperto cardiochirurgo pediatrico della Cina fu spedito a piantare riso per sette anni!
Malgrado tutto, ci furono anche ricadute positive. A dispetto dell'amarezza per i maltrattamenti e della prolungata separazione forzata dai propri cari, molti medici cinesi che vissero quell'esperienza affermano oggi di apprezzare il ricordo di quel loro periodo di lavoro in campagna. Più pragmaticamente, la presenza di questa massa di valenti professionisti nelle comuni e nei villaggi fu probabilmente uno dei fattori determinanti del successo strepitoso della sanità pubblica .
L'accesso alle cure era allora universale e gratuito, tali cure erano spesso di qualità elevata, furono condotte campagne di immunizzazione di massa, si controllarono le malattie veneree; lebbra, peste e schistosomiasi furono virtualmente eradicate5, si condussero campagne contro la tossicodipendenza dall'oppio, migliorò l'igiene delle acque e la qualità dell'alimentazione; oltre un milione di medici scalzi venne istruito ai rudimenti dell'arte.
Tutto ciò, unito alla situazione di stabilità politica dopo decenni di guerra, determinò il miracolo: alla fine degli anni '70, a fronte di una spesa sanitaria pro-capite di soli 5 dollari Usa all'anno, l'aspettativa di vita del Cinese medio era arrivata a 66 anni, la mortalità infantile era scesa al di sotto del 40 (Vedi Tabella 1).
3. Le due facce dell"'arricchirsi è glorioso
Con la morte di Mao nel '76 e la fine della rivoluzione culturale, il nuovo corso politico di Deng Xiaoping ritenne che per la sopravvivenza e per l'ulteriore sviluppo, il paese dovesse aprirsi all'economia di mercato anche a scapito di un allargamento delle maglie del sistema socialista e di una possibile ridotta equità nella ridistribuzione delle risorse. Da allora, anche in virtù della politica di riforma e di apertura agli investimenti stranieri, la crescita economica in Cina si è mantenuta sullo spettacolare ritmo del 10% annuo, e il livello del reddito medio pro-capite è aumentato in proporzione.
Sul piano sanitario, nello stesso periodo, gli indicatori dello stato di salute globale della popolazione hanno visto miglioramenti meno eclatanti: nel 1995 l'aspettativa di vita era comunque salita di quattro anni rispetto al 1980 e la mortalità infantile era scesa dal 40 al 36. Si consideri per confronto che nello stesso periodo (1980-1995) in Italia l'aspettativa di vita è passata da 74 a 78 anni mentre la mortalità infantile è scesa dal 17 al 7. In effetti rispetto al trentennio precedente sembra esistere un certo rallentamento nel miglioramento dello stato di salute della popolazione cinese, il che è anche in parte fisiologico, perché avvicinandosi alla cima il sentiero diventa più difficile (Vedi Tabella 2).
Sebbene anche i dati globali del 2001 siano abbastanza positivi è stato già rilevato che da alcune aree assai povere giungono segnalazioni in controtendenza, secondo le quali a livello locale la mortalità infantile e soprattutto quella dei bambini nei primi 5 anni di vita sarebbero oggi nuovamente in aumento6. Queste segnalazioni confermano l'aumentata disparità di molti parametri fra zone rurali e aree urbane. Per evitare indebite generalizzazioni occorrerebbe quindi scorporare i dati. A tale scopo è possibile utilizzare come indice la mortalità infantile (il numero di bambini che muore nel primo anno di vita, su 1000 nati vivi) e la mortalità dei bambini nei primi 5 anni di vita perché costituiscono un buon indicatore dello stato socioeconomico e sanitario di una popolazione.
Nel nostro caso, secondo dati del ministero della sanità cinese, il rapporto della mortalità infantile tra zone rurali e urbane in Cina, è passato da 1,67 nel 1981 a 1,75 nel 1990, per raggiungere 2,93 nel 19937. Si tratta di un dato confermato da altri autori: secondo l'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) la mortalità infantile nel 25% più povero della popolazione cinese è oggi tre volte superiore a quella della popolazione urbana e nella parte occidentale del paese sono ancora le malattie infettive, la malnutrizione e la diarrea le cause principali di tale mortalità8.
Basandosi sui dati del ministero della sanità cinese e dell'Oms, nel periodo di 14 anni che va dal 1981 al 1995 è possibile verificare che il miglioramento della mortalità infantile è stato del 47,9% nelle aree urbane, ma solo dell' 8,5% nelle campagne.
L'andamento della mortalità dei bambini nei primi 5 anni di vita presenta una netta discesa (dal 60 al 44) solo dal 1980 al 1985; successivamente i dati sono altalenanti (44,5 nel 1990, 38 nel 1995 e peggioramento al 41 nel 2000). II dato relativo all'anno 2000 è tratto dal World Health Report 2000 dell'Oms (probabilità di morire entro i primi 5 anni su 1000 nati vivi in Cina = 38 ± 5 per i maschi e 44 ± 5 per le femmine). Per questi parametri non ho trovato sinora dati sufficienti ad effettuare lo scorporamento tra aree rurali ed urbane.
Si è accennato che a monte di queste cifre sono spesso i fattori economico-sociali a svolgere un ruolo di maggior rilievo. Ma anche qui occorrerà fare le debite distinzioni: ad esempio, la spesa sanitaria media pro-capite annuale, nel 1993, fu di 110 yuan (circa 13 dollari). Tale numero è tuttavia fuorviante qualora non si aggiunga che la media per le campagne fu di 60 yuan mentre quella nelle città fu di 235 yuan9, cioè ben quattro volte superiore!
In sostanza i vari dati starebbero a indicare che ci si trova dinanzi a una popolazione bimodale: campagna e città, regioni aride e floride, sudest e nordovest o - più semplicemente - nuovi ricchi e ancora poveri10. Esiste inoltre una quota di popolazione difficilmente quantificabile che, malgrado diverse contromisure del governo tese a disincentivare il fenomeno, migra dalle campagne natie verso le città, affrontando tra l'altro serie difficoltà di accesso (non avendo - spesso - le necessarie autorizzazioni) a servizi essenziali come scuola e sanità. Viste le dimensioni della popolazione, e considerando che la percentuale di Cinesi che vive nelle campagne è ancora circa del 70% (69,7% nel 1995, secondo dati dell'Oms) la volontà di regolamentare il fenomeno da parte delle autorità è comprensibile. Tuttavia questa tendenza all'inurbamento non sembra destinata a ridursi nel breve periodo e ha anch'essa le sue forze trainanti11. Applicando lo scorporamento dei dati tra aree rurali e urbane anche al quadro generale dell'economia cinese, si rileva che gli appariscenti incrementi del prodotto interno lordo non sono equamente ridistribuiti tra la popolazione (Vedi Tabella 3). Anche recentemente, certe dissonanze tra città e campagna sono state segnalate sulla stampa internazionale, come nel caso di Liangtouyuan, nello Shaanxi, dove il cronista dell'Economist si stupisce che non esista la strada e che l'amministrazione rurale non possa più pagare nemmeno i maestri di scuola12, ma in realtà non si tratta di casi isolati. Girando, la differenza tra i due volti del paese è appariscente.
In definitiva, malgrado nell'ultimo ventennio molto di positivo sia stato ottenuto, si avverte un certo rallentamento e sono maturate delle sfide per il futuro. Benché il quadro attuale sia in evoluzione, complesso e non ancora ben definito, secondo molti autori (ivi inclusi gli esperti presenti alla riunione del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite dello scorso gennaio) le tendenze attuali sarebbero segnate da:
1) una crescente differenza, in Cina, tra poveri a ricchi;
2) un rallentamento, e in qualche caso un iniziale peggioramento, dello stato di salute degli strati più deboli della popolazione (campagne, settore materno-infantile, emigrazione interna, province occidentali).
II terzo elemento dovrebbe consistere nell'identificazione dei fattori causali. Qui l'opinione comune punta l'indice verso ricadute indesiderate insite nel passaggio da un sistema sanitario collettivo/ socializzato a un sistema basato sull'economia di mercato.
4. Una sindrome cinese?
Esistono altri fattori, oltre a quelli economico-sociali, responsabili delle variazioni nel panorama sanitario cinese? Secondo Janos Annus, rappresentante generate dell'Oms in Cina, la risposta è affermativa. Tra nuove minacce e rinnovo di vecchie sfide il quadro generate della patologia in Cina sta infatti nuovamente cambiando. Sono state citati vari aspetti emergenti:
- l'incremento della diffusione dell'epatite B e della tubercolosi; -
l'attuale aumento dell'incidenza dell'aids, con reale rischio di epidemia;
- l'incremento degli incidenti nel traffico per l'aumentata
motorizzazione;
- l'incremento delle malattie cardiovascolari, polmonari e tumorali per
il mutato stile di vita (fumo, inquinamento atmosferico) nella popolazione urbana.
Malgrado esista un certo slittamento verso malattie non infettive (la prevenzione delle quali non è stata tradizionalmente parte dei programmi di prevenzione della sanità) tale aspetto riguarda specialmente la quota di popolazione urbana, più anziana, più ricca e ancora ampiamente minoritaria. Per tutti gli altri la minaccia è invece ancora rappresentata dalle malattie trasmissibili e veneree, la malnutrizione e le diarree infantili, la nuova pandemia da Hiv, il virus dell'aids. Un capitolo a parte meriterebbero gli incidenti sul lavoro, per i quali la prevenzione è ancora deficitaria e le statistiche danno risultati fuorvianti in quanto solo una minoranza viene regolarmente denunciata. In Cina, in sostanza, le "malattie dei poveri" sarebbero ancora prevalenti su quelle "dei ricchi". E anche per questi motivi, secondo il gruppo di studio di esperti Belle Nazioni Unite, i fattori prevalenti nel determinare la futura evoluzione del panorama sanitario del paese saranno quelli economici e quelli legati alle politiche sanitarie del governo. Più in dettaglio vediamo che attualmente lo slittamento verso l'economia di mercato si è concretizzato - per quanto riguarda la sanità - in una progressione di eventi composta da tre passaggi:
1) smantellamento delle comuni agricole, delle cooperative dei
medici
scalzi e dell'accesso gratuito ed universale alle cure. Di conseguenza oggi in Cina la
quasi totalità delle cure mediche (anche preventive) viene effettuata a livello
ospedaliero e il servizio viene pagato soprattutto direttamente dalla tasca del cittadino
o da assicurazioni sanitarie (private o di mutue di lavoratori) dato che si è avuta una
...
2) riduzione drastica dei finanziamenti alla sanità da parte del
governo, con decentralizzazione delle responsabilità verso gli uffici sanitari regionali
e di contea, che godono di una discreta autonomia fiscale. La quantità di danaro
disponibile a questo livello tuttavia è in genere sufficiente a coprire solo il 20-30%
della spesa ospedaliera13, limitandosi quindi alla copertura dei salari base
(molto bassi) per il personale. Di conseguenza è stato necessario assicurare una
3) relativa autonomia finanziaria alle strutture ospedaliere, che
possono e anzi devono (per sopravvivere) generare e reinvestire profitti. II prezzo della
maggior parte delle prestazioni sanitarie tuttavia non è libero, bensì viene stabilito
in principio da un ufficio delle finanze di stato ed aggiustato a livello regionale in
base alle condizioni locali. Nell'intento di favorire l'accesso alle cure, questi prezzi
sono fissati per legge a livelli assai bassi, spesso sottocosto. Stando così le cose
però l'ospedale non potrebbe sopravvivere finanziariamente se non esistessero due
eccezioni alla regola, ovvero due categorie i cui prezzi sono realistici e non sottocosto.
Tali eccezioni sono rappresentate dai farmaci e dalle nuove tecnologie e quest'ultimo
aspetto ottiene, purtroppo, un risultato esattamente opposto a quanto desiderato. Così
facendo infatti:
a) l'amministrazione ospedaliera è fortemente incentivata a promuovere
l'utilizzo di farmaci e la prescrizione di esami complessi anche quando questi non sono strettamente necessari;
b) l'ospedale, a prescindere dal livello, è incentivato a dotarsi
comunque di apparecchiature complesse, costose, spesso non sostenibili e inappropriate,
inutili o addirittura dannose;
c) la sovraprescrizione di farmaci e di esami, spesso inappropriata, fa
salire il costo per il malato, ma non la qualità delle cure.
Nel complesso si può quindi creare un circolo vizioso, una sorta di sindrome cinese che si automantiene e si amplifica, ma della quale alcune cause forse non sono poi del tutto oscure.
Una prima osservazione riguarda l'entità della spesa sanitaria del
governo centrale: questa appare decisamente ridotta quando raffrontata agli standard
internazionali. Nel 1996 solo lo 0,4% della spesa totale è stato destinato al sistema
sanitario, una percentuale che - secondo gli esperti dell'Oms Annus e Killingsworth - è
bassa sotto ogni punto di vista. Si consideri per confronto che in un paese come il Canada
questa percentuale era del 5%, cioè circa 10 volte superiore, in un periodo analogo
(1998).
Attualmente invece il supporto finanziario governativo continua a
calare progressivamente (Vedi tabella 4).
Nelle intenzioni la differenza dovrebbe essere coperta dai sistemi di
assicurazione sanitaria; un meccanismo che nella realtà non sembra però aver ancora
preso piede. AI contrario, in una recente indagine condotta dal ministero della sanità,
la percentuale di popolazione urbana priva di qualsiasi forma di copertura assicurativa
(commerciale, lavorativa o statale) delle spese sanitarie era del 27% nel 1993 ed è
aumentata al 44% nel 1998. Questo aumento potrebbe essere dovuto alla chiusura di varie
imprese statali che assicuravano i loro dipendenti (Vedi tabella 5).
I dati citati sono in sostanziale accordo con quanto riscontrato in un importante studio finanziato dalla Dgcs-Mae (Direzione generate per la cooperazione e lo sviluppo del Ministero italiano degli affari esteri) e condotto alla fine del 1999 dall'Accademia cinese di medicina preventiva col supporto tecnico dell'Istituto superiore di sanità di Roma (studio Capm-Iss). Lo studio ha toccato ambienti urbani così diversi come Pechino, Jagedaqi (Manciuria) e Lhasa (Tibet) verificando che la percentuale di non assicurati è intorno al 20% a Pechino e aumenta spostandosi verso realtà periferiche: 52,5% a Lhasa e 69% di non assicurati a Jagedaqi. La media delle tre città dà il 46,7% della popolazione urbana privo di qualsiasi forma di assicurazione sanitaria14. Per quanto riguarda l'ambiente rurale vero e proprio la disponibilità di dati è frammentaria, ma è stato stimato che meno del 10% della popolazione in campagna sia coperta da un sistema medico cooperativo o da una sua forma modificata.
Per la maggioranza dei cittadini quindi il pagamento delle cure avviene oggi di tasca propria; un meccanismo semplice, ma problematico per i meno abbienti. Si è tentato di migliorare l'accessibilità alle cure per i più poveri organizzando sistemi di pagamento rateale e con la politica del "canale verde" per i casi più gravi ("prima curare, poi farsi pagare"). Entrambi i sistemi sono però stati ampiamente abusati da pazienti o dai familiari per evitare del tutto qualsiasi forma di pagamento. Di conseguenza oggi la quasi totalità degli ospedali, per evitare il fallimento, è costretta a pretendere un anticipo in contanti per il ricovero.
Un aspetto, quest'ultimo in particolare che, come sottolineeremo fra poco, può facilmente dar luogo a situazioni drammatiche in caso di serie emergenze mediche. E d'altra parte il costo delle cure, pur basso in confronto a standard occidentali, non è alla portata di una parte importante di cittadini. Nel già citato studio Capm - Iss, si rileva che la mancanza di denaro è causa importante di non-uso dei servizi di emergenza medica: nel 20% dei casi a Pechino, 20,6% a Lhasa e ben 51,6% a Jagedaqi. Questa situazione potrebbe verosimilmente migliorare eliminando alcune distorsioni nel meccanismo di attribuzione dei prezzi. Come abbiamo visto attualmente l'ospedale deriva il suo profitto essenzialmente dalla vendita dei farmaci (che in Cina vengono spesso venduti al malato direttamente da una farmacia interna dell'ospedale) e da accertamenti o trattamenti a medio-alta tecnologia (esami di laboratorio, radiologia etc.). Questo sistema però porta in sé il germe dell'inefficienza e dell'inefficacia, oltre a far lievitare il costo delle cure sia per le patologie semplici che per quelle complesse.
Malattie banali come raffreddori e influenze vengono spesso trattate mediante fleboclisi di soluzione glucosata con vitamine e antibiotici, quantomeno non necessarie. Quasi tutti gli ospedali sono attrezzati con apposite sale di infusione per questi pazienti ambulatoriali.
II sistema attuale incentiva inoltre la domanda di tecnologie complesse, spesso non motivata sul piano clinico e inappropriata o non sostenibile. Cosi molti ospedali carenti in dotazioni basiche (come generatori elettrici, lettighe, barelle, aghi-cannula, palloni Ambu da rianimazione, cannule faringee, mascherine per ossigeno etc.) sono invece dotati di vari macchinari di non provata efficacia, ma sufficientemente complessi da rientrare nelle "nuove tecnologie". La "macchina per lavande gastriche" (nei nostri ospedali vantaggiosamente sostituita da un semplice schizzettone da 200cc) ne è un esempio pressoché ubiquitario14. Resta il fatto che pur valide o meno in termini assoluti, le tecnologie complesse sono comunque assai spesso apportate a discapito delle indispensabili dotazioni di base.
In un caso limite citato da Killingsworth un piccolo ospedale di contea da 30 posti letti privo di molte dotazioni basiche, con precaria alimentazione elettrica e privo di generatore, ha recentemente richiesto alla cooperazione internazionale una sofisticata macchina Pet15 da diagnostica per immagini del costo di diversi milioni di Euro! A prescindere da questi eccessi comunque la richiesta di tecnologie complesse non è priva di logica. I profitti derivanti, ad esempio, da una tomografia computerizzata (TC) possono infatti talora salvare l'ospedale dalla bancarotta. Ciò spiega come mai diversi ospedali si siano indebitati notevolmente pur di dotarsi di queste macchine di diagnostica avanzata. Naturalmente il prezzo di tutto ciò viene scaricato sull'utilizzatore finale. Nel nostro esempio: il prezzo di un esame TC va dai 500 ai 900 yuan (da 40 a 110 dollari); nell'interpretare questo dato si consideri che la media del reddito mensile in Cina nel 2000 è stata di 488 yuan in città e di 184 yuan in campagna. Qualche mese di lavoro è quindi necessario a pagare un esame che di per sé non può salvare nessuna vita umana qualora in ospedale non esista un neurochirurgo o la sala operatoria sia inadeguata.
In definitiva, è opinione di molti esperti che per migliorare l'equità di accesso nonché il costo e la qualità delle cure bisognerebbe stabilire prezzi adeguati (cioè non sottocosto) per le prestazioni base (visita medica, consulto, posto letto ecc.), in modo da disincentivare la sovrautilizzazione non appropriata di farmaci e tecnologie complesse.
5. Gli ostacoli a un efficace servizio di pronto soccorso
La necessità di un anticipo in contanti per il ricovero negli ospedali si scontra frontalmente con le esigenze di efficacia e rapidità del pronto soccorso. In questi casi infatti il tempo a disposizione è limitato e il paziente spesso non è neppure in condizioni di intendere o di volere. Esaurite le prime cure del "canale verde", ove il caso sia grave e si rendano necessario il ricovero, la rianimazione avanzata, una terapia intensiva o l'intervento chirurgico, il reperimento del danaro necessario - anche con la mobilitazione di parenti e amici - è spesso problematico e/o richiede quel tempo di cui, per la definizione stessa di emergenza, non si dispone affatto!
Esperienze di questo tipo fanno parte della quotidianità per medici e infermieri dei dipartimenti d'emergenza cinesi, categoria alla quale appartiene anche il sottoscritto, con un discreto manipolo di altri colleghi italiani. A partire dal 1981 infatti la cooperazione italiana, attraverso la Direzione generale cooperazione e sviluppo del Ministero affari esteri e varie organizzazioni non governative (Afmal, Aispo, Asia, Cisp, Focsiv), ha notevolmente supportato la medicina d'emergenza nel territorio cinese attuando undici programmi sul terreno sia in ambiente urbano che rurale (Pechino, Chongqing, Jagedaqi-Heilongiiang-Daxianling, Taiyuan, Lhasa-Tibet centrale e orientale, Nangchang-Guiyang e Shanghai). Si tratta in tutti i casi di programmi che sono stati focalizzati non solo sulla fornitura di equipaggiamenti ma anche e soprattutto sulla consulenza tecnico-scientifica e organizzativa, nonché sulla clinica e sulla didattica. Naturalmente lo scambio di nozioni ed esperienze è stato bilaterale; per quanto mi riguarda ad esempio posso dire che, se ho insegnato qualcosa in Tibet, molto di più è quel che ho imparato laggiù. In ogni caso, dopo tutti questi anni e dopo tanti progetti, le esperienze acquisite nell'ambito della cooperazione italiana sono state funzionali, tra l'altro, anche a capire meglio la realtà sanitaria cinese, e a focalizzare la nozione fondamentale per cui è meno utile potenziare gli aspetti clinico-tecnici indipendentemente dall'accessibilità economica al servizio.
In quest'ottica si è cercato recentemente di fondere l'apporto italiano e le esperienze cinesi nell'ambito di un simposio internazionale sugli avanzamenti della medicina d'emergenza in Cina (Aemc 2001) organizzato a Pechino lo scorso novembre dal Ministero della sanità cinese e dal Ministero degli affari esteri, sotto l'alto patronato dell'Organizzazione mondiale della sanità e dell'Istituto superiore di sanità di Roma. Da questo lavoro lo stesso governo cinese si attende un ulteriore supporto e suggerimenti finalizzati all'emanazione di una nuova serie di protocolli e linee guida per il funzionamento del pronto soccorso in Cina.
In ogni caso, qualsiasi intervento nel settore non dovrebbe perdere assolutamente di vista i grandi aspetti positivi delle riforme economiche, di cui hanno beneficiato centinaia di milioni di persone attraverso il paese. Inoltre a livello governativo le inevitabili ricadute, con i problemi di iniquità a inefficacia a cui si è accennato, sono ampiamente riconosciute e varie misure sono state a saranno intraprese per porvi rimedio. Con queste premesse, con la proverbiale intraprendenza e solerzia della popolazione cinese e coi suoi 5000 anni di storia ed esperienza alle spalle, esistono pochi dubbi sul fatto che i restanti problemi saranno risolti nel prossimo futuro.
* Questo articolo trae spunto da quanto emerso nel corso di un "ritiro" del gruppo di studio sulla sanità cinese delle Nazioni Unite, svoltosi a Pechino il 18 gennaio 2002.