Nel 1935 Nikos Kazantzakis realizza un sogno: visitare l’Estremo Oriente. Dopo una traversata in nave, che tocca anche Ceylon, Singapore e Hong Kong, lo scrittore viaggia in treno, attraversa le città a piedi o in risciò. Vuole “far pascolare” i suoi cinque sensi in piena libertà, assorbire suoni esotici, colori sgargianti, profumi delicati e odori nauseabondi, e soprattutto toccare quel mondo così lontano. In Giappone esplora le origini del teatro No, la perfezione dei giardini, la cerimonia del tè, l’eroismo dei samurai, la grazia delle geishe e lo squallore dei quartieri della prostituzione. Ma dietro all’incanto dei fiori di ciliegio, con sottile inquietudine Kazantzakis riconosce la forza di un Paese in pieno sviluppo industriale, che si affaccia con orgoglio e prepotenza sullo scacchiere mondiale. Nel “formicaio giallo” della Cina resta impressionato dall’immensità del territorio e dal caos sociale. Nella Città Proibita riflette sulla vanità del tempo: dinastie e imperi passano, la Cina resta, eterna. È un mistero ancestrale, forza ribollente pronta a esplodere dietro al sorriso più mite, terra di antinomie, caratterizzata da una bellezza più ruvida e terrigna del vicino Giappone. Ovunque Kazantzakis dialoga con vecchi e giovani, persone semplici e intellettuali, monaci e mandarini, imprenditori e geishe, un’umanità variegata che gli restituisce il sapore di una saggezza antica.
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