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Rivoluzione culturale

Sommario - Premessa - I. Mobilitazione: 1) attacco agli scrittori; 2) retroscena; 3) lancio della Rivoluzione culturale - II. L'epopea delle Guardie rosse: 1) i "sedici punti"; 2) le Guardie rosse; 3) dissidi ed epurazioni; 4) intervento militare; 5) disordini - III. Ripresa della polemica politica - IV. Predominio militare - V. Riorganizzazione iniziale - VI. Considerazioni conclusive.

PREMESSA - Della Rivoluzione culturale cinese si può trattare in due modi: tratteggiandone lo svolgimento cronologico con l'avvertenza di sottolinearne le implicazioni immediate, oppure analizzandone sistematicamente il significato politico. Sulla sua durata, ossia sui limiti cronologici, si può inoltre disputare se copra tutto un decennio (1966-'76) secondo la periodizzazione ufficialmente cinese, oppure sia limitata come fenomeno caratteristico al 1966-'69 (o 1966-'68). Senza entrare nelle discussioni in merito, precisiamo che qui ci limitiamo, prevalentemente per ragioni di spazio, al 1966-'68 e che tratteggiamo la Rivoluzione culturale secondo la sequela dei suoi sviluppi principali, rilevandone il significato.

La Rivoluzione culturale è ideata da Mao come rimedio straordinario al pericolo di involuzione autoritaria e burocratica della rivoluzione cinese. Consiste essenzialmente nella "mobilitazione delle masse", al di fuori dell'ordinario quadro direttivo immediato e capillare della macchina del Pcc, perché dalla loro "inventiva" nascano forze e iniziative popolari che permettano il rilancio della rivoluzione su basi meno legate al funzionamento, e al peso, dell'apparato.

È "culturale" nel senso di comportamento socio-politico; e ha costituito così un'esperienza unica, anche per la vecchia generazione di rivoluzionari che nel 1949 ha fatto trionfare la rivoluzione con le armi, e non con l'opera specificamente politica; e che si sono trovati contestati proprio in quel loro essere di rivoluzionari che davano a se stessi per scontato.

In un discorso pronunciato davanti ad una delegazione militare albanese il 1° maggio '67, quando la Rivoluzione culturale era ancora in corso, Mao Zedong così ne periodizzava gli eventi fino a quel momento: "... Dal punto di vista politico e strategico, la grande Rivoluzione culturale proletaria può essere distinta in quattro fasi. Il periodo che va dalla pubblicazione dell'articolo di Yao Wenyuan all'XI Plenum (agosto 1966] può essere considerato la prima fase, una fase soprattutto di mobilitazione. Quello che va dall'XI Plenum alla "tempesta di gennaio" può essere considerato la seconda fase. La terza fase è il periodo degli articoli Patriottismo o tradimento nazionale? di Qi Benyu, e Il punto chiave del libro sull'autoperfezionamento è il tradimento della dittatura del proletariato. Il periodo attuale può essere considerato la quarta fase. Nel corso della terza e quarta fase, la questione della presa del potere è quella essenziale. La quarta fase è dominata dal problema di impadronirsi dei poteri che il revisionismo e la borghesia esercitano in campo ideologico; di conseguenza, questa è una fase cruciale nella lotta decisiva tra le due classi, le due vie e le due linee, e questo diventa il tema vero e propria di tutto il movimento".

I. MOBILITAZIONE

1. Attacco agli scrittori. Il 10 novembre 1965, Yao Wenyuan pubblica sul giornale di Shanghai Wenhuibao un articolo in cui attacca violentemente un professore di storia e drammaturgo, membro della Lega democratica e vicesindaco di Pechino: Wu Han. Questi aveva scritto, nel 1961, un dramma dal titolo: Hai Rui destituito. A quel tempo il dramma non provocò particolari reazioni; ma nella critica di Yao Wenyuan viene interpretato come una critica mascherata nei confronti di Mao Zedong e una presa di posizione politica in favore del maresciallo Peng Dehuai, nel 1959 deposto da Mao perché si opponeva al Balzo in avanti e alle Comuni.

Nel suo attacco, Yao Wenyuan accusa l'autore dei dramma di esagerare i meriti di Hai Rui come personaggio storico, tradizionalmente considerato il "mandarino buono" che prende le parti del popolo contro le esosità imperiali; secondo Yao, egli invece considerò i contadini sprovveduti di coscienza di classe e perpetuò così in definitiva l'oppressione da parte del mandarinato. L'articolo di Yao venne ripreso alla fine di novembre dal Giornale dell'Apl (Armata popolare di liberazione) e in un secondo momento dal Quotidiano del popolo. Qualche settimana dopo, Wu Han tentò di fare l'autocritica sul Quotidiano del popolo; ma chi l'aveva attaccato ne prese occasione per sottolineare gli aspetti politici (e non puramente storico-letterari) del suo dramma e per fare un passo avanti dichiarando l'opera di Wu Han parte di un complotto anti-Mao e anti-partito.

Intanto nei primi mesi dell'anno '66, veniva messo sotto accusa tutto il mondo della cultura, colpevole (si diceva) di sottrarsi al primato della politica e alle ripetute direttive del partito perché seguisse la linea proletaria, andando in mezzo a contadini, operai e soldati. Vengono attaccati, oltre a Wu Han, rinomati intellettuali comunisti come Jian Bozan, Xia Yan e Tian Han, accusati di adulare la Cina del passato invece di esaltare la nuova Cina e così servire il popolo e la società socialista. Il presidente dell'Accademia delle scienze, Guo Moruo, archeologo e scrittore famoso, si sottopose all'autocritica il 14 aprile 1966; venne risparmiato dalla critica e dall'epurazione che colpì invece molti suoi colleghi.

Erano le prime battute di una campagna che trascendeva il campo letterario. Dall'8 maggio 1966, e per tutto il mese, riprendono e continuano gli attacchi contro opere letterarie, denunciando le intenzioni politiche dei loro autori. Inizia il Giornale dell'Apl con l'articolo: Fuoco sulla linea nera anti-partito e anti-socialista! a firma di Gao Ju; segue sul quotidiano Guangming Ribao l'articolo Elevare la nostra vigilanza e distinguere la verità dall'errore, a firma di He Ming. I due articoli attaccano Deng Tuo, che oltre ad essere un erudito è anche uno dei segretari del partito di Pechino, per una serie di scritti da lui pubblicati nel 1960, sulla rivista del Pcc di Pechino Il Fronte che dirigeva, sotto la rubrica generale Le conversazioni serali di Yanshan; i due articolisti denunciano in quegli scritti perfide allusioni anti-partito e anti-socialiste. Lo Wenhuibao di Shanghai attacca insieme, a firma di Yao Wenyuan, una serie di racconti allegorici pubblicati sempre nel 1960-'61 su di un quotidiano serale di Pechino sotto la rubrica Il villaggio delle tre famiglie, da Deng Tuo, Yan Han e Liao Mosha; l'accusa è identica: denigrazione del partito e del socialismo, attraverso metafore, aneddoti e allusioni storiche.

In realtà nel 1960-'62 nelle alte sfere del partito si portava avanti una revisione critica delle politiche perseguite nel 1957-'59 e non si risparmiavano appunti a Mao Zedong che le aveva promosse. Gli scritti polemici di Deng Tuo e soci erano l'eco di tali discussioni intra-partito, in chiave prevalente anti-Mao e in linea con le scelte politiche di Peng Zhen, primo segretario cittadino di Pechino e uno dei massimi esponenti del Pcc. L'attacco contro i letterati-scrittori era diretto meno contro di loro che contro chi li aveva ispirati e protetti, ossia Peng Zhen e la direzione del Pcc nella città di Pechino.

2. Retroscena. Dietro le polemiche sulla stampa si muovono eventi di capitale importanza, che danno alle diatribe il loro pieno significato. Il primo evento di carattere militare è lo stazionamento a Pechino di truppe scelte di Lin Biao, reso possibile dall'arresto ("per complotto") del capo di stato maggiore Luo Ruiqing e dalla collaborazione di Yang Chengwu (vice capo di stato maggiore) e Fu Chongbi (comandante della piazza di Pechino) con la complicità di Xie Fuzhi, il comandante delle Truppe di sicurezza. Il secondo sviluppo, di carattere politico, è la trappola tesa a Peng Zhen, messo a capo nel gennaio 1966 di un "Gruppo di studio per la Rivoluzione culturale", incaricato di formulare le raccomandazioni per la riforma del campo artistico-letterario. La trappola consiste nel fatto che gli artisti-letterari attaccati sono in gran parte uomini di Peng Zhen. Questi, fidandosi forse troppo del proprio potere politico, decide di difenderli (proteggendo insieme se stesso), e raccomanda in un documento del "Gruppo" in data 12 febbraio che la polemica venga mantenuta sul piano accademico, senza scivolare in politica.

Ma proprio tale presa di posizione mette Peng Zhen allo scoperto; dopo l'occupazione militare di Pechino da parte di Lin Biao e l'adesione delle Forze di sicurezza, Peng Zhen viene abbandonato alla sua sorte anche dagli amici. In una riunione del Politburo (4 maggio), Peng Zhen con altri due membri del "Gruppo" (Yang Shangkun e Lu Dingyi) vengono condannati. È emanata la Circolare del 16 maggio 1966 diretta ai livelli superiori del partito, dell'esercito e dall'amministrazione, dove le "Tesi di febbraio" di Peng Zhen e soci sono controbattute e sostituite con prese di posizione sulla politica essenziale a ogni opera letteraria. Sono enunciati nella Circolare, poi attribuita a Mao, i principi ispiratori della "Rivoluzione culturale".

Il 3 giugno Peng Zhen e Liu Ren, suo vice, vengono sostituiti alla guida del Pcc della città di Pechino da due dirigenti trasferiti da fuori: Li Xuefeng e Wu De. Anche Lu Dingyi, direttore del Dipartimento di propaganda del CC (Comitato Centrale), viene allontanato dall'incarico assieme al suo vice, Zhou Yang. Il Quotidiano del popolo, che nei mesi precedenti aveva subito l'iniziativa del Giornale dell'Apl, riacquista il proprio ruolo direttivo; nel mese di giugno il centro della campagna per la Rivoluzione culturale si sposta da Shanghai a Pechino, ormai in mano a Mao.

3. Lancio della Rivoluzione culturale. "Spazzar via tutti i mostri!", un articolo del 1° giugno, annuncia il lancio di una immensa ondata rivoluzionaria che toccherà i livelli della cultura (nel senso di comportamenti sociali) per sradicare i vecchi usi e costumi e crearne di nuovi. L'agente auspicato allo scopo è il pensiero di Mao, che come "arma spirituale" opererà una "trasformazione mai vista nella storia dell'umanità".

Il 2 giugno, un altro editoriale del Quotidiano del popolo (Una grande rivoluzione che tocca il cuore dell'uomo) afferma che non si tratta solo di mutare le strutture sociali, ma soprattutto l'uomo e la sua concezione del mondo. Compromessi tra la concezione borghese e proletaria non sono possibili; una delle due deve perire. E richiama il pensiero di Mao sulla lotta e le contraddizioni: "Ne esisteranno sempre, tra mille anni, diecimila anni, magari cento milioni di anni. La terra sarà distrutta e il sole si sarà spento, e ancora ce ne saranno nell'universo". Seguono: Strappiamo via lo straccio copri-vergogne della borghesia: libertà, uguaglianza, fraternità! (4 giugno), Il pensiero di Mao Zedong è il cannocchiale e microscopio della nostra rivoluzione (7 giugno), "Noi siamo i critici del vecchio mondo" (8 giugno, che diventa il motto-programma delle Guardie rosse), e Viva la grande Rivoluzione culturale proletaria! Nei titoli di questi articoli si delineano i principi direttivi della Rivoluzione culturale, che nell'articolo di Bandiera rossa è anche detta l'unico mezzo per abbattere il revisionismo.

Come preludio al ruolo delle università nella campagna politica, il 25 maggio Nie Yuanzi e altri sei giovani professori di filosofia dell'Università di Pechino affissero un dazibao in cui attaccavano il rettore in questi termini: "Intellettuali rivoluzionari, è l'ora della lotta! Uniamoci! Alziamo alta la grande bandiera rossa del pensiero di Mao, uniamoci attorno al Comitato Centrale e al presidente Mao! Infrangiamo tutti i controlli e tutti i malefici complotti dei revisionisti, risolutamente, radicalmente, completamente, distruggiamo tutti i mostri, tutti gli clementi revisionisti del tipo di Kruscev! Portiamo fino in fondo la rivoluzione socialista!".

Il 3 giugno il rettore dell'Università Lu Bing viene estromesso come "agente di Peng Zhen"; ma per ordine di Liu Shaoqi, il numero due del Pcc, appositi "gruppi di lavoro" sono incaricati di "dirigere" la Rivoluzione culturale nelle scuole. La dirigono moderando l'entusiasmo dei giovani e adattando provvedimenti disciplinari contro i più scalmanati. I "gruppi di lavoro" e i loro metodi "repressivi" diventeranno poi il capo d'accusa iniziale contro Liu Shao qi, che avrebbe cercato durante "50 giorni di terrore" di soffocare sul nascere la Rivoluzione culturale. Il 16 luglio Mao Zedong "attraversa a nuoto il fiume Yangzi" all'altezza di Wuhan, e torna a Pechino. Nel presentare propagandisticamente questo evento, la stampa ne sottolinea il significato simbolico: Mao "attraverso onde e flutti affronta la rivoluzione". Giunto a Pechino, Mao mette sotto accusa i gruppi di lavoro, che vengono disciolti il 24 luglio. Due giorni dopo, il 26, si decide di chiudere per sei mesi le università e le scuole secondarie, adducendo come motivazione la riforma "rivoluzionaria" della scuola; in realtà gli studenti più impegnati rimangono nei dormitori delle scuole e formano i primi nuclei di quelle "Guardie rosse" che assumono il ruolo di punte avanzate della Rivoluzione culturale nelle grandi città.

II. L'EPOPEA DELLE GUARDIE ROSSE

1. I "sedici punti". Nell'aprile-luglio 1966 erano avvenuti dietro le quinte numerosi cambiamenti strutturali e di impostazione politica. Per ufficializzare questi mutamenti e per annunciarli alla nazione, Mao convoca per i primi di agosto una riunione plenaria (l'XI Plenum) del CC, ammettendovi come "osservatori", con funzione di gruppo di pressione, drappelli agguerriti di soldati e studenti non membri del CC. L'XI Plenum opera un rimpasto nel Politburo, il vertice del Pcc, collocando al secondo posto, dopo Mao, il "vice presidente" Lin Biao; lo segue al terzo posto Zhou Enlai, e poi Tao Zhu e Chen Boda (due promozioni). Liu Shaoqi passa dal secondo all'ottavo posto. Deng Xiaoping per il momento mantiene il sesto posto. Zhu De e Chen Yun passano dal terzo e quarto posto (rispettivamente) al nono e undicesimo. Kang Sheng, degradato nel 1956, guadagna il settimo posto e riprende le funzioni di capo dei servizi segreti. Mao si organizza così un nuovo stato maggiore. L'XI Plenum si tiene dal 1° al 12 agosto. In apertura (5 agosto) Mao interviene con forza affiggendo un dazibao dal titolo "Bombardare il Quartiere generale"; chiede che si attacchi il "Quartier generale revisionista" di Liu Shaoqi. In un certo senso, Mao ottiene quindi meno di quanto non si fosse proposto nel cambiamento degli uomini. Ma riesce a far adottare (8 agosto) una Decisione in sedici punti, che può essere considerata la "carta fondamentale" della Rivoluzione culturale.

I sedici punti sono: 1. Una tappa della rivoluzione socialista; 2. La corrente principale e gli andirivieni; 3. Dare all'audacia il primo posto e mobilitare arditamente le masse; 4. Lasciare che le masse si educhino da sé nel movimento; 5. Applicare risolutamente la linea di classe del partito; 6. Risolvere correttamente le contraddizioni in seno al popolo; 7. Mettersi in guardia contro quelli che applicano ai rivoluzionari l'etichetta di "controrivoluzionari"; 8. Come trattare i quadri dirigenti; 9. A proposito dei gruppi, dei comitati e dei congressi della Rivoluzione culturale; 10. La riforma dell'insegnamento; 11. A proposito di denunciare per nome gli individui sulla stampa; 12. Politica relativa agli scienziati, ai tecnici e al personale delle unità di ricerca (esonerati dalla Rivoluzione culturale); 13. Come integrare il movimento di educazione socialista nelle città e nelle campagne; 14. Fare la rivoluzione e stimolare la produzione; 15. Le Forze Armate (previsti regolamenti speciali per la Rivoluzione culturale); 16. Il pensiero di Mao Zedong è la guida per la nostra azione nella grande Rivoluzione culturale proletaria.

Secondo questo documento la Rivoluzione culturale è una grande rivoluzione che "tocca l'uomo in quello che ha di più profondo". Essa come tutte le rivoluzioni urta inevitabilmente contro resistenze "che vengono soprattutto, in questo caso, da coloro che, dopo essersi infiltrati nel partito, arrivano a posti di responsabilità, ma seguono la via del capitalismo". Resistenze derivano anche dalla forza delle antiche abitudini della società. La Rivoluzione culturale mira a rivoluzionare il modo di pensare dell'uomo, anche allo scopo di ottenere risultati migliori per quantità, celerità, qualità ed economia: è sbagliato dunque opporre la grande Rivoluzione culturale allo sviluppo della produzione.

Questo quadro teorico e di generici principi operativi non può far prevedere cosa sarà in concreto la Rivoluzione culturale nei mesi seguenti. Si prospetta la mobilitazione della base, ma non si prevedono gli scontri (anche armati e sanguinosi) tra gruppi che rivaleggiano in "fedeltà a Mao". Si prevedono "andirivieni" ma non tali da sconvolgere tutto l'assetto del Pcc, compreso quello deciso dall'XI Plenum.

2. Le Guardie rosse. Il 18 agosto 1966, sulla piazza Tian'anmen si svolse una imponente manifestazione che inaugurò la fase aperta della Rivoluzione culturale. Mao portava il bracciale delle Guardie rosse, approvandone così l'esistenza e l'azione. Dopo questa data, quasi due volte al mese Mao e i massimi dirigenti del Pcc si incontrano sulla piazza con centinaia di migliaia di giovani, che vengono man mano da ogni parte della Cina, e sono incoraggiati ad accendere dovunque il fuoco rivoluzionario.

Le "Guardie rosse" pare che siano state organizzate inizialmente nella scuola media dipendente dalla Università Qinghua per essere poi estese a tutte le scuole e università. Il nome voleva rievocare un passato eroico del Pcc, durante le lotte contro il Guomindang e i giapponesi, quando alle formazioni dell'esercito rosso venivano affiancati corpi ausiliari, in lotta politica paramilitare. Una storia scientifica delle Guardie rosse del 1966 non è ancora stata scritta. Da informazioni parziali pare si possa concludere che nell'intenzione di chi le ideò dovevano essere gruppi d'assalto apparentemente spontanei ma in realtà manovrati dai promotori della Rivoluzione culturale e in particolare dalle truppe scelte di Lin Biao. L'equivoco della "spontaneità", rafforzato dal fatto dell'indebolimento dell'autorità del Pcc a tutti i livelli, portò presto alla nascita di Guardie rosse per vera iniziativa dal basso; e d'altra parte i dirigenti Pcc che si vedevano in pericolo organizzarono a loro volta le proprie Guardie rosse. Seguì una molteplicità incontrollabile di gruppi e gruppuscoli, che agivano spesso secondo l'ispirazione del momento; nella foga di "distruggere il vecchiume" si abbandonavano anche a violenze e vandalismi, e soprattutto si combattevano tra di loro.

Alle Guardie rosse si chiedeva infatti di "discutere" e cioè di approfondire alla luce dei principi gli ordinamenti e le situazioni che li toccavano da vicino; ma nel vuoto di autorità che si veniva creando non si accontentavano di un ruolo teorico: intervenivano invece direttamente avventandosi dapprima contro i bersagli più deboli, quali gli insegnanti, i monumenti e i libri "feudali" e revisionisti. In un secondo momento, fatti più arditi, le Guardie rosse si mettono a perquisire case private e arrivano poi a metter le mani anche su documenti riservati del Pcc e sugli Archivi della polizia, in cerca di "prove" per incriminare dirigenti "imborghesiti".

3. Dissidi ed epurazioni. Un "Sottogruppo del CC per la Rivoluzione culturale", con uffici distaccati nelle province e nelle maggiori città, riceve all'XI Plenum il compito e l'autorità di orientare e coordinare l'andamento della Rivoluzione culturale. A capo del Sottogruppo (Xiaozu) è Chen Boda, coadiuvato da Kang Sheng in qualità di "consigliere"; Jiang Qing, la signora Mao, è 1° vice capo; Zhang Chunqiao (l'uomo di Shanghai) ne è il vice capo; membri del Sottogruppo sono noti scrittori e artisti contestatori, quali Qi Benyu, Wang Li, Guan Feng Yao Wenyuan. Il Sottogruppo opera alle dipendenze del Politburo e quindi il suo operato è sotto il controllo anche di Lin Biao e Zhou Enlai.

Si delinea presto una divergenza sull'ampiezza e i limiti della "critica di massa", specie per quanto riguarda la sua estensione alle campagne e alle fabbriche, e sulla facoltà data alle Guardie rosse di inveire contro qualsiasi dirigente. Il Sottogruppo propende per una radicalizzazione senza limiti; Zhou Enlai e Li Xiannian (16° nella nuova gerarchia, ma potente in campo economico-finanziario) vogliono almeno salvare la produzione. Mao vuol far piazza pulita di tutti gli oppositori; Lin Biao è d'accordo.

Come soluzione di compromesso, nelle scorribande delle Guardie rosse non vengono toccate le campagne, ad eccezione di quelle immediatamente vicine alle città. Viene vietato in linea di principio anche ogni intervento di disturbo nel settore industriale; ma questo divieto non è osservato. Le Guardie rosse hanno anche via libera nel raccogliere e mettere in pubblico qualsiasi capo d'accusa contro i dirigenti del Pcc che "il Centro" ha deciso di "non proteggere"; e così non risparmiano nessuno, ad eccezione di Mao, Lin Biao, Zhou Enlai e gli uomini del Sottogruppo. Si accaniscono anche contro professori e scienziati, sindacalisti e dirigenti di fabbrica, artisti e scrittori. Ma non colpiscono a caso: gli uomini del Sottogruppo additano i bersagli.

A partire dal 23 novembre 1966 per le strade della capitale cominciano a circolare libelli di critica contro Liu Shaoqi, Deng Xiaoping, Wang Guangmei (moglie di Liu) e altri massimi dirigenti. (Liu, nel 1960 considerato "successore" di Mao, e Deng, segretario generale del Pcc dal 1956, erano "sospesi" dalle loro funzioni fin dal 23 ottobre, per decisione di una riunione di lavoro del CC, quando la loro autocritica non viene accettata). Dal dicembre, Liu è sottoposto a critiche sempre più violente, caricaturali e insultanti. Il dileggio è meno puntiglioso, ma non meno grave contro Deng e contro l'economista Chen Yun e per il maresciallo He Long. Peng Zhen viene arrestato il 4 dicembre e sottoposto a giudizio popolare insieme a Lu Dingyi, Liu Ren e Yang Shangkun; in uno stadio di Pechino, ammanettati, con un cartello di accusa al collo e a testa china, sono insultati e dileggiati per ore.

4. Intervento militare. L'apparato del Pcc cercò di reagire in propria difesa davanti al pericolo evidente di essere spazzato via in blocco, facendo leva sul delicato settore economico. A questo punto, Mao ordinò l'estensione della Rivoluzione culturale anche a fabbriche e campagne. "Se si sviluppa unicamente negli uffici, nelle scuole e negli ambienti culturali, essa si fermerà a metà strada" diceva un editoriale del 1° gennaio 1967. L'11 dello stesso mese il Comitato Centrale emanò una circolare contro "l'economismo" in cui si diceva: "Gli avversari della Rivoluzione culturale cercano di distruggere l'economia collettiva dello Stato e del popolo, per procurare un provvisorio profitto per pochi. Essi incitano le masse a rivendicare aumenti di salari e incoraggiano i contadini a reclamare più proventi". È precisamente quanto avvenne a fine dicembre 1966: incitati dai dirigenti che prendevano in contropiede i reclami contro le ingiustizie "capitaliste" portati avanti dalla Rivoluzione culturale, nascono scioperi e disordini, vengono inviate a Pechino delegazioni di lavoratori a "chieder giustizia".

Di fronte a questa impennata dell'apparato del Pcc, Mao dà l'ordine alle Guardie rosse, le sole forze alternative su cui può contare per il momento, di "prendere in mano il potere" dalle mani del legittimo comitato di partito a ogni livello. Ciò comporta l'invasione delle sedi del partito, l'arresto dei titolari, o almeno il loro esonero e la proclamazione di una direzione "di massa". Le prime occupazioni avvengono a Shanghai; seguono altre in tutte le grandi città, in quella che viene chiamata la "tempesta" o "rivoluzione di gennaio".

Nella "presa del potere" le Guardie rosse sono affiancate e sostenute da reparti militari; in realtà la fase "popolare" dell'occupazione è solo simbolica e provvisoria, in attesa che sia completata la preparazione politica e logistica per l'intervento diretto e massiccio delle Forze Armate. L'intervento diventa tanto più urgente in quanto i disordini di fine dicembre erano aggravati dalla "presa del potere" da parte di ragazzi senza esperienza, in lotta tra di loro, e incapaci di affrontare l'ostilità e il boicottaggio dell'ambiente.

Dopo metà gennaio 1967, due circolari della Commissione militare del Pcc ordinano alle truppe d'intervenire. I soldati intervengono a Shanghai, dove si sta profilando una supremazia degli elementi moderati (pochi erano i "ribelli rivoluzionari", com'ebbe a dire Zhang Chunqiao), e nelle province del Shanxi, Guizhou, Heilongjiang, Shandong. In febbraio l'intervento dell'esercito si estende a tutte le province e a tutti i settori vitali dell'economia (banche, acciaierie, centrali commerciali), scuole, uffici del partito, ministeri e uffici amministrativi ai principali livelli.

L'ordine chiedeva alle Forze Armate di "sostenere gli elementi di sinistra". Venne applicato in svariati modi; alcuni responsabili militari locali cercarono di limitare i disordini come chiedeva la "Decisione in sedici punti" e insieme di impedire l'insuccesso della Rivoluzione culturale. Altri si incaricarono di preparare l'istituzione dei comitati rivoluzionari. Così un po' alla volta l'esercito si venne a trovare nel ruolo di arbitro fra le tante fazioni e tendenze e spesso dovette sopperire alle funzioni amministrative quando i dirigenti legittimi erano stati deposti nella "tempesta di gennaio".

5. Disordini. L'intervento dei militari nelle aree cittadine si accompagna con una nuova interdizione alle Guardie rosse di penetrazione nei villaggi. All'approssimarsi della ripresa primaverile dei lavori agricoli viene proibita nei villaggi qualsiasi "presa di potere". Ma la spirale dei disordini, messa in moto dall'operazione "presa del potere" si allarga sempre di più, coinvolgendo anche alcune zone rurali. Contro le tendenze anarchiche che prendono piede interviene in maggio il Quotidiano del popolo con due editoriali dai titoli: Abbasso l'anarchismo! e L'anarchismo è il castigo dei deviazionisti opportunisti. Nel Sichuan, ad esempio, la situazione diventa drammatica con centinaia di morti e con interventi massicci da parte dell'esercito. Una Circolare delle autorità centrali riafferma che solo gli organi statali possono effettuare arresti e perquisizioni e impone alle Forze Armate di intervenire in difesa della "proprietà socialista" e per ristabilire l'ordine. Ma il centro non viene obbedito.

I disordíni sembrano direttamente legati all'intervento dei militari e al tentativo di metter fine alla libertà sfrenata delle Guardie rosse, con l'ordine agli innumerevoli gruppuscoli di formare "alleanze" e "federazioni" al livello cittadino e provinciale. Questa irreggimentazione, "forzata" secondo le promesse di democrazia diretta del 1966, è un'imposizione di disciplina inevitabile se il Pcc vuole ancora guidare la rivoluzione cinese. "I ribelli non vogliono rendersi conto che il 1967 non è il 1976", ogni fase della rivoluzione ha le sue leggi e le sue licenze.

Di fronte ai disordini, già nel febbraio di quell'anno 1967 si erano levate voci in favore di una celere riabilitazione dei dirigenti del Pcc messi frettolosamente da parte, ma ancora ricuperabili politicamente. Portavoce di questa proposta ("il vento infernale di febbraio" come venne chiamato) era Tan Zhenlin, che da allora sparì fino alla sua riabilitazione nel 1973. Di fatto venne deciso fin da allora di dare un lavoro ai "quadri rivoluzionari"; ma levando la voce contro il "vento infernale di febbraio", i fautori estremisti della Rivoluzione culturale colsero un pretesto per attaccare Zhou Enlai, che contrastava i loro passi.

III. RIPRESA DELLA POLEMICA POLITICA

Nella periodizzazione della Rivoluzione culturale, proposta da Mao Zedong agli albanesi nel maggio 1967 (v. Premessa), la terza e la quarta fase, nell'aprile-maggio di quell'anno erano riferite al problema del "potere" da assicurare al proletariato. I due articoli citati da Mao aprirono la campagna di denuncia di Liu Shaoqi, presentato come il Kruscev cinese, simbolo del "revisionismo".

Durante il mese di maggio 1967 viene poi intensificato il dibattito sull'arte e la letteratura. Opere come La città senza notte, La bottega dei Lin, Mille miglia contro vento, Le due famiglie, La vita di Wu Xun, La pianura in fiamme, Il sud rigoglioso trapiantato nel nord, Primavera di febbraio, costituivano secondo gli ideologi della Rivoluzione culturale le "otto grandi piante velenose". I modelli giusti erano invece opere come: L'assalto alla montagna della tigre, Il porto, Il fanale rosso, Sha Jia Pang, Incursione del reggimento della tigre bianca, Il distaccamento femminile rosso, La ragazza dai capelli bianchi, La sinfonia di "Sha Jia Pang".

Apparentemente la Rivoluzione culturale si riportava sugli argomenti artistico-letterari da cui era partita. Si trattava invece piuttosto di una pausa, in vista di nuovi sviluppi e in presenza di particolari difficoltà.

IV. PREDOMINIO MILITARE

Molti Comandanti militari si erano adattati ad "appoggiare la sinistra" perché tali erano gli ordini, senza molta convinzione. Trovandosi poi a dover scegliere tra varie fazioni di "ribelli", in lotta tra di loro, come "nucleo" dei comitati rivoluzionari provinciali da formare, preferivano appoggiare i gruppi meno turbolenti e meno radicali.

Tale era il caso di Wuhan, la città industriale sul fiume Yangzi, dove il comandante Chen Zaidao dava il suo appoggio a un raggruppamento chiamato "Milione di eroi" composto prevalentemente di giovani operai e minatori, e cercava di ridurre all'impotenza le Guardie rosse più scalmanate, sebbene queste avessero a Pechino potenti protettori tra gli esponenti di "sinistra". Per arrivare a un compromesso, vengono da Pechino a Wuhan il 14 luglio 1967 Wang Li (del Sottogruppo per la Rivoluzione culturale) e il gen. Xie Fuzhi. Considerando una provocazione questa interferenza di Pechino, il "Milione d'Eroi" si mette in agitazione. Le truppe di Chen Zaidao parteggiano per il "Milione". Wang Li viene catturato e malmenato. Anche Xie Fuzhi viene sequestrato. A risolvere il grave ammutinamento interviene Zhou Enlai, che ottiene il rilascio dei due e assicura la quasi impunità per gli ammutinati. Chen Zaidao è allontanato dal comando, ma non punito. Deposto invece da posizioni di potere è proprio Wang Li, assieme ai più intransigenti membri del Sottogruppo.

L'incidente di Wuhan rappresenta infatti l'inizio di una svolta che allontana maggiormente la Rivoluzione culturale dagli obiettivi del 1966. Per ottenere il pieno appoggio di tutti i militari, Mao Zedong deve concedere loro più autorità, o meglio deve mettere dei limiti ai poteri del Sottogruppo per la Rivoluzione culturale.

Il Sottogruppo era dall'estate 1966 un cervello teorico e insieme un centro propulsore e di controllo; non monopolizzava la situazione, ma tentava di farlo mettendo in difficoltà i principali rivali: Lin Biao e i soldati, Zhou Enlai e quanto era rimasto dell'apparato amministrativo. La svolta determinata dall'incidente di Wuhan, con la prospettiva di un'accresciuta influenza dei militari, innervosisce questi campioni del rinnovamento totale della Cina nel senso preannunciato dai programmi del 1966.

Sono oscuri i meccanismi politici che portano all'estromissione dal Sottogruppo di vari esponenti: Qi Benyu, Wang Li, Lin Jie, Mu Xin, Guan Feng. L'accusa per tutti è di aver auspicato un attacco in forze contro "i borghesi nell'esercito" e di aver organizzato una "Brigata Sedici Maggio" allo scopo di portare avanti tale programma. Vengono eliminati anche uomini come Yao Dengshan, il "diplomatico rosso" festeggiato come un eroe al ritorno dall'Indonesia. Si era fatto promotore, nell'estate 1967, di numerosi eccessi: venne occupato il ministero degli affari esteri e il ministro Chen Yi fu costretto all'autocritica, fu sequestrato un cargo sovietico nel porto di Dalian, il delegato commerciale italiano venne sottoposto a processo pubblico, il 22 agosto venne appiccato il fuoco all'ambasciata inglese di Pechino...

Mentre i militari prendono in mano più saldamente la situazione, le violenze dell'estate vanno man mano declinando, ma non si esauriscono se non alla fine dell'anno. Ad esempio, a Canton i disordini diventano più gravi in agosto, dopo aver imperversato per mesi, a causa dei gruppi in lotta: neppure Zhou Enlai, che vi aveva soggiornato il 14-18 aprile, era riuscito ad appianare le differenze. Dal 12 agosto al 5 settembre si scatenò una vera e propria guerriglia con centinaia di vittime. Bersaglio della "critica di massa" è il comandante Huang Yongsheng; ma proprio Huang diventa in novembre il presidente del Comitato rivoluzionario del Guangdong.

La grande stampa attacca l'estremismo. Gli istituti d'insegnamento superiore e le scuole secondarie e primarie riaprono i battenti. All'esercito vengono assegnati compiti più vasti secondo la formula: "tre sostegni e due compiti militari": e cioè sostenere la sinístra, l'industria e l'agricoltura, e controllo e istruzione da parte dei militari.

V. RIORGANIZZAZIONE INIZIALE

Negli ultimi mesi del 1967, come in una pausa d'azione, abbondano sulla stampa i temi teorici che vogliono alimentare la "critica di massa". La storia del Pcc prima e dopo il 1949 viene ripresentata secondo la più pura ortodossia maoista. Allo stesso modo viene data una versione ufficiale delle maggiori epurazioni dell'anno trascorso. Le direttive ufficiali all'inizio del 1968 insistono sulla normalizzazione dell'apparato amministrativo e fanno prevedere una prossima ripresa dei normali organi di partito. Ma gli equilibri politici al vertice sono ancora instabili. Lin Biao rafforza la propria posizione, sulla scia del nuovo peso dei militari. Il capo di Stato maggiore Yang Chengwu, il comandante della guarnigione di Pechino Fu Chongbi, il commissario politico dell'aviazione Yu Lijin vengono invece deposti, in un'oscura manovra di riequilibri di potere. Acquistano invece sempre maggiore importanza i comandanti regionali e provinciali. La ricostruzione del partito promessa a inizio d'anno va invece a rilento; il Pcc continua ad operare soprattutto attraverso le strutture politiche delle Forze Armate.

Il Sottogruppo per la Rivoluzione culturale, decimato dalle epurazioni dell'anno prima e indebolito dai sospetti che gravano sui membri superstiti (Chen Boda, Jiang Qing, Zhang Chunqiao, Yao Wenyuan), ha dapprima un senso di smarrimento. Ma si riprende presto, grazie all'appoggio di Mao; tanto che è in grado di tentare, all'inizio della primavera 1968, un rilancio della tematica di "sinistra" con cui si è aperta la Rivoluzione culturale. In realtà restano ancora in vita, nonostante le continue ordinanze che ne impongono lo scioglimento, molte "organizzazioni di massa" nate nel 1966-'67. Le assicurazioni teoriche di sinistra apparse sulla stampa si rivolgono a questi residui agguerriti, mentre essi resistono ad oltranza contro il predominio congiunto dei militari e dell'apparato risorgente. Le resistenze delle Guardie rosse superstiti induce Mao a ordinare l'Occupazione militare di alcune roccheforti dei "ribelli". Le truppe vengono così inviate a presidiare il Politecnico Qinghua di Pechino, accompagnate dalle "Squadre operaie di propaganda del pensiero di Mao Zedong" formate da operai industriali, che stazionano poi nella scuola come ausiliari del partito nel ristabilire la disciplina. Le altre università seguono l'esempio.

L'ingresso degli operai nelle scuole è inserito nell'impostazione teorica: la classe operaia deve dirigere tutto, secondo il titolo di un articolo di Bandiera rossa firmato da Yao Wenyuan. Nell'articolo (del 25 agosto) vengono enumerati i compiti della Rivoluzione culturale in quel momento: stabilire su buone basi i comitati rivoluzionari; rettificare e consolidare gli organismi del partito; semplificare le strutture amministrative; riformare i regolamenti delle unità di lavoro; inviare i quadri amministrativi per periodi di pratica nelle unità di base. L'obiettivo principale diventa allora "unificare il nostro sapere, i nostri passi, i nostri atti", come si esprimeva Zhou Enlai il 7 settembre.

Allo scioglimento delle Guardie rosse, segue l'invio degli studenti cittadini nelle zone rurali "per essere rieducati dai contadini poveri". Il provvedimento tocca tutti i giovani che hanno terminato la scuola secondaria inferiore e il trasferimento in campagna è a vita, almeno in linea di principio.

La Rivoluzione culturale è praticamente chiusa come fase di rottura, sebbene si continui a considerare ancora in corso ufficialmente in Cina, parlando di una fase di ricostruzione critica. Si apre a Pechino il 13 ottobre il XII Plenum del Comitato Centrale con la partecipazione del Sottogruppo per la Rivoluzione culturale e di altri numerosi individui (specie militari), che non fanno parte del Comitato Centrale. Il Plenum sanziona ufficialmente l'espulsione di Liu Shaoqi dal Pcc e la deposizione dalla carica di presidente della Rpc. A1 Plenum viene annunciata la prossima convocazione del IX Congresso del Pcc, che si terrà di fatto nell'aprile 1969.

VI. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

La Rivoluzione culturale, diceva Mao, "si può valutare in un rapporto di 70 a 30: il 70% va alle conquiste, il 30% agli errori". Ha certamente impresso un nuovo slancio a tutta la vita associata; ha permesso un ricambio nella sfera dirigente, ha rimesso in discussione numerose scelte politiche date per scontate. Alcuni osservatori trovano però che il prezzo pagato, soprattutto dall'economia, è stato troppo alto; per non parlare del prezzo umano. Altri ritengono che le perdite erano previste e calcolate in precedenza ed erano inevitabili per una rivoluzione di tale portata.

A proposito delle perdite in campo economico, i pareri sono discordi. Secondo il Daubier, "che la vita economica sia stata intralciata e rallentata, è innegabile. Basti ricordare la restrizione di carbone di cui abbiamo sofferto durante l'inverno 1968. Ma non bisogna parlare di crisi economica, di marasma e di carestia. In due anni di Rivoluzione culturale, non ho mai constatato una penuria sui mercati e nei negozi; sono stati nell'insieme regolarmente riforniti di tutti i generi e non è stato introdotto nessun razionamento. A parte il carbone, particolarmente nel 1968, il rifornimento di energia è stato normale e le interruzioni di trasporti relativamente minime. Le testimonianze che ho potuto raccogliere da stranieri che vivono in città lontane le une dalle altre come Shanghai, Harbin, Xi'an, Canton e Tianjin confermano essenzialmente questi dati". Il Daubier ha in parte ragione, per quanto riguarda i generi di consumo. Ma è la grande industria che ha più sofferto; ed è stata rimandata per un altro decennio la soluzione dei problemi di fondo della modernizzazione.

La Rivoluzione culturale nel 1966-'67 ha combattuto radicalmente un sistema di potere che si avviava alla burocratizzazione, come nel caso sovietico. Mao si è proposto di rompere il cerchio chiuso di un apparato monopolizzatore, che tendenzialmente viveva per i propri interessi. Ha pensato inoltre di sottrarre la Cina a quelle "leggi" economiche che giustificano un processo di accumulazione e provocano profonde disuguaglianze.

Secondo i proclami del 1966, la Rivoluzione culturale doveva dar vita a meccanismi istituzionali di controllo da parte della base produttiva e sociale (le "grandi masse") in modo che il potere politico "proletario" trovasse un'espressione istituzionale. Tuttavia quando nel 1967 vennero istituiti i comitati rivoluzionari, lo stesso Mao dovette rinunciare alla formula di democrazia diretta (quale era stata ideata nella "Comune di Shanghai") e optò invece per l'integrazione dei delegati popolari nell'apparato, mediante una triplice unione di "ribelli rivoluzionari", militari rivoluzionari e quadri rivoluzionari.

Lo indussero a ciò motivi pratici: di ordine pubblico e di sicurezza economica in particolare. Negli sviluppi che seguirono l'inverno-primavera 1967, i comitati rivoluzionari diventarono poi semplici espressioni dell'apparato, soggetti al "controllo popolare" solo nei limiti del pre-1966; e cioè in pratica attraverso il meccanismo indiretto dell'assenso.

Per la realizzazione dei programmi politici del 1966 era necessario combattere gli abiti di gestione del potere ereditati dal passato, battere il "confucianesimo", anche quello moderno simboleggiato da Liu Shaoqi; significava combattere le convinzioni superstiziose, le usanze inveterate, il comportamento mandarinale, il vecchio clientelismo della classe dirigente; bisognava insomma prendere a bersaglio la cultura, nel senso socio-antropologico del termine.

"La grande rivoluzione culturale proletaria" diceva Mao nel 1967 "è nella sua essenza una grande rivoluzione politica intrapresa dal proletariato in un ambiente socialista, contro la borghesia e le altre classi sfruttatrici; è una continuazione della lotta di lunga durata contro i reazionari del Guomindang, condotta dal Pcc e dalle grandi masse del popolo rivoluzionario sotto la guida del partito, è una continuazione della lotta di classe tra proletariato e borghesia". Mao non si illudeva che bastasse una sola Rivoluzione culturale. Diceva: "Questa è soltanto la prima. In futuro, simili rivoluzioni avranno necessariamente luogo, a più riprese ... Tutti i membri del partito e tutto il popolo devono guardarsi dal credere ... che tutto andrà bene dopo una, due, tre o quattro rivoluzioni culturali. È necessario che manteniamo una particolare attenzione e che non allentiamo in nulla la nostra vigilanza".

Per valutare i risultati della prima Rivoluzione culturale, bisognerebbe sapere quale fosse il 70% che Mao aveva in mente. Si può solo rilevare che nel 1969-'71, e più ancora nel 1973-'75, Mao ha fatto di tutto per rilanciare la Rivoluzione culturale ed ha appoggiato fino agli ultimi mesi della propria vita i radicali che se ne erano fatti campioni. Se ne può solo concludere che mirava a recuperare anche quel 30% perduto, oppure aveva qualche ripensamento sulla sua valutazione (del 1969) sul 70% di successo.

Il periodo "Rivoluzione culturale" della Cina è stato chiuso ufficialmente solo nel 1977, all'XI Congresso del Pcc. In realtà come fase caratteristica di vita politica della Cina popolare è terminato molto presto, come risulta anche dagli avvenimenti descritti nelle voci Repubblica popolare cinese e Partito comunista cinese.

M. Garzia (1979)

 

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