Alla
fine del primo piano quinquennale (1953-1957), Mao Zedong avviò la Cina verso un gigantesco sforzo di produzione
collettivo, detto il "Grande Balzo in Avanti", volto a trasformare
l'intera economia del paese e allo stesso tempo a rivoluzionare gli animi, che
a suo avviso erano troppo legati al passato. Quest'esperienza doveva mobilitare
tutte le risorse e l'intera manodopera del paese, nonché smuovere ogni settore
d'attività. Come i grandi stati moderni, la Cina sperava, tramite un terribile
sforzo e spinta da un grande slancio ideologico, di sottrarsi alla sua
situazione medievale, e alle sue strutture mentali sorpassate, per entrare
ormai in un'era di rapida crescita e di prosperità continua. Lo spirito di tale
crociata fu definito a Wuhan (nello Hubei), in occasione dell'VIII congresso,
nell'inverno 1958, ma il misticismo che l'animava si era sviluppato già
dall'inizio dell'anno.
Per
due anni (1958-1959), l'intera attività fu imposta al ritmo di slogan e di frasi
del tipo: "Qualche anno di sforzi a di lavoro per diecimila anni di
felicità", oppure "Avanzare con entrambe le gambe", per
preconizzare attività abbinate e simultanee. La gerarchia delle priorità
economiche venne quindi sconvolta; la prima parola d'ordine fu: “producete
acciaio”.Così si assistette
all'edificazione, ovunque e fin nel più piccolo villaggio, di migliaia di
“altiforni rustici”. Questa campagna fu l'elemento più assurdo di quello che si
rivelerà un errore gigantesco, un'aberrazione collettiva che in molti casi
allontanò i contadini dalle campagne, dato che quasi tutti erano impegnati a
produrre un acciaio che ormai non si sapeva più come utilizzare. E, viceversa,
gli abitanti delle città e gli studenti venivano mandati nei campi sotto la parvenza
di una pretesa "esaltazione spontanea". Di fatto nella maggior parte
dei casi vi venivano condotti militarmente. Nelle comuni si partiva al lavoro
con tamburi e ottoni in testa, con vessilli al vento, slogan continuamente
recitati pappagallescamente da altoparlanti disseminati fin nelle più piccole
risaie. L'esodo degli abitanti delle
cittàverso i campi aveva
come obiettivo riconosciuto la correzione di una certa “distorsione
socioeconomica”: lo sviluppo della classe dei tecnici, piuttosto frondista,
staccata dai contadini, e tuttavia sempre massicciamente maggioritaria, in
Cina, indispettiva i puri del Partito. Ritenevano che un'immersione nella vita
di campagna non potesse che fare loro del bene.
È
nell'agosto del 1958 che furono create le famose Comuni popolari: 26.000
di queste unità (nel 1980 se ne contavano esattamente il doppio) furono
incaricate di sostituire, previo raggruppamento, 730.000 cooperative giudicate
troppo deboli e inefficaci; diventarono delle “Squadre di produzione”. La
Comune popolare doveva essere la struttura, la leva e l'agente principale di
questa auspicata trasformazione dei mezzi di produzione, ma anche degli animi e
del modo di vita.
Fu necessario un
ridimensionamento. Dopo i prime notiziari che cantavano
vittoria, nel 1958, si palesò rapidamente la delusione e si dovette ammettere
che l’intero apparato produttivo era disorganizzato e traballante. Tanto più
che questo periodo rivoluzionario coinciderà, tra il 1959 e il 1961, con
calamità naturali (invasioni di cavallette, inondazioni, siccità), e con il
ritiro dell'aiuto economico e tecnico dei sovietici. Fu una catastrofe. Le vie ferrate erano bloccate da convogli di carbone
e di minerali alla ricerca di un normale scorrimento. Neppure la produzione
d'acciaio trovava un mercato o un equilibrio armonico. La popolazione, spossata
e cotta dal dubbio, si interrogava sulla sensatezza di quest'orgia di attività,
di questa frenesia produttiva da cui risultava ormai chiaro come si stesse
girando a vuoto. La produzione cerealicola precipitò pericolosamente: 205
milioni di tonnellate nel 1958; 150 nel 1960, mentre nel 1980 è stata di 320
milioni di tonnellate e nel 1985 di 380 milioni di tonnellate.
Ben
presto viene inoltre dato ordine di frenare i ritmi di lavoro, insopportabili o
inopportuni, o ancora di concedere ai contadini alcuni "stimoli
materiali", come diritti sull'ambiente, la concessione di piccoli terreni
individuali, e l'autorizzazione ad allevare qualche capo di bestiame minuto a
livello domestico, per esempio. Si trattava di una rinuncia lacerante e
dell'ammissione di un fallimento perché, come abbiamo già detto, il Grande
Balzo in avanti oltre ad ambizioni di decollo economico, aveva l'obiettivo di strappare
i cinesi alla loro mentalità millenaria, ai gusti, alIe tradizioni e alle abitudini
ancestrali. Si era creduto di cambiare i presupposti stessi della società: il
regime era convinto che le strutture familiari e paesane, troppo radicate nel
passato ed eccessivamente limitate, frenassero il progresso e quindi il decollo
economico. Indubbiamente quest'esperienza fu preparata male e intrapresa con
eccessiva precipitazione, ma l'autorità carismatica di Mao Zedong si mantenne
enorme e non venne intaccata. Il fatto è che questa impreparazione avrà come
conseguenza la durevole disorganizzazione del paese e che l'intera vita
nazionale ne risulterà perturbata per alcuni anni.
A
partire dal 1962, dopo l'inizio dei riordinamentodel 1960-1961, si accettò di
riconoscere il fallimento di quest'esperienza comunale; ma non tutti furono
autorizzati a dirlo e alcuni, per questo motivo, persero il posto o il grado,
come il prestigioso e scomodo maresciallo Peng
Dehuai, che aveva espresso dei dubbi sull'efficacia dell'esperienza, a
Lushan, nell'agosto del 1959. “Il capofila degli esponenti di destra perse il
suo mandarinato”, scrive Jacques Guillermaz e Mao Zedong stesso, di fronte al
fallimento, nel dicembre 1958 ha dovuto cedere la Presidenza della Repubblica a
Liu Shaoqi. Spinto dalla sua
quarta moglie Jiang Qing, Mao tenterà
una nuova esperienza motivata da un'ispirazione simile, nel 1966, con la
Rivoluzione culturale; sarà una seconda scossa altrettanto nociva, come
riconobbe il partito stesso. “In entrambi i casi, nota Jacques Guillermaz (Le Parti comuniste chinois au pouvoir,
Grand Bond en avant et Révolution culturelle) ci si trova in presenza di
un'applicazione dei due principi cardinali che continuano a guidare
l'istruzione nella Cina comunista: totale subordinazione al politico, stretta
subordinazione alle necessità dello Stato, che esclude le preferenze
individuali”.