Con l'immagine dei Cento Fiori si
indica un'ardua battaglia, un grande fraintendimento tra il potere e il popolo -
e più in particolare gli intellettuali - un episodio d'apertura liberale che
fallì. Nella primavera del 1956, il potere stesso avviò una campagna di libera
critica, che però in alcune settimane assunse proporzioni tali da far sì che
fosse necessario porvi termine e perfino prendere severi provvedimenti, perché
l'ondata contestataria e la denuncia politica del Partito avevano assunto
dimensioni e virulenza notevoli. Questo tentativo di liberalizzazione si
risolse quindi in un fallimento per il P.C.C., presto seguito da una delle purghe più spietate attraversate dal
paese. Dopo tutto, i sostenitori dell'ortodossia maoista ne uscirono
rafforzati, perché il Grande Timoniere non
aveva nascosto la propria ostilità nei riguardi di questa liberalizzazione
riformista, che aveva scatenato, ma di cui gli era sfuggito di mano il
controllo.
La marea di critiche
Il 26 maggio 1956, il responsabile
del Dipartimento della Propaganda, Lu
Dingyi pronunciò, davanti a un'assemblea di scrittori, dei discorsi dalle
risonanze liberali, nuove, sul tema che veniva chiamato dei Cento Fiori e che
riprendeva l'antico slogan: "Che
cento fiori sboccino, che cento scuole rivaleggino", una formula che
all'inizio della nostra era aveva avuto molto successo. Tre settimane prima Mao
aveva riportato in auge questa allusione storica lanciata dal grande filosofo
taoista Zhuangzi (IV - III secolo a.C.) a proposito
delle varie scuole filosofiche che fiorivano alla sua epoca, durante il periodo
dei Regni Combattenti (480-220 a.C.).
Durante quest'autentica età d'oro delle attività intellettuali in Cina, si
svilupparono in modo particolare il taoismo, il confucianesimo e la Scuola dei
Legisti. Questo discorso liberale e liberatore del 1956 avrebbe avuto una
notevole risonanza. Sostenuti da artisti, scrittori e studenti, i piccoli
partiti non comunisti che erano stati tenuti a freno, in una sorta di libertà
vigilata, per salvare una parvenza di dialogo democratico, "uscirono allo
scoperto" e intrapresero una campagna denigratoria che guadagnava una
forza sempre maggiore e si diffondeva nell'intero paese.
Di fronte a quello che sembrava
essere un allentamento nuovo e "inedito" delle pratiche coercitive
del potere, agitate riunioni di giornalisti, intellettuali e studenti
denunciarono a loro volta gli abusi e gli errori del Partito, abbandonandosi a
una critica radicale della gestione economica. D'altronde ognuno denunciò
l'assenza di libertà di opinione e di una vera legislazione civile e penale,
nonché gli abusi e gli eccessi della "nuova classe dirigente". Mao
stesso non venne risparmiato: "le sue collere, il suo orgoglio e la sua impulsività"
iniziavano a stancare. Stranamente innescata dal Partito, questa campagna
voleva sottolineare tre dei suoi errori: il settarismo,
il burocratismo e il soggettivismo. Mao
aveva detto, forse un po’ affrettatamente, che "il marxismo è una verità scientifica; non teme la critica e la critica non
potrebbe trionfare su di esso". Parole imprudenti; ci si aspettavano
delle critiche, certamente, ma sotto forma di "una dolce pioggerella e una
brezza leggera" (!). Di fatto si trattò di una marea di biasimo e di
ostilità, un diluvio di rimproveri e di forti rimostranze. Un vero e proprio
scossone politico che inizialmente lasciò i dirigenti sbalorditi e sorpresi.
La reazione del Partito contro la destra
Nella primavera del 1957 le
recriminazioni si fanno sentire in ogni ambiente. All'interno delle
amministrazioni, nei giornali, sui dazibao murali, si avvicendano appelli e
manifesti; l'università di Pechino, vera e propria sede dei contestatori, è in
fermento, e influenza ben presto le facoltà di provincia, tra cui quella di
Wuhan (nello Hubei), che si distingue in modo particolare per una campagna di
dazibao estremamente critica. I dirigenti non si trovano più ad affrontare una
denuncia del dirigismo intellettuale e artistico del partito, vengono proprio
messe in discussione la sua stessa autorità e le sue capacità di governo.
Davanti a questa rumorosa ondata di ostilità che si infrange contro di loro, le
autorità inizialmente non si esprimono, immerse in un evidente smarrimento;
queste sei settimane deliranti le hanno turbate. Ma la contro offensiva e la
reazione non tardano ad arrivare. Se Mao, il 25 maggio denuncia qualsiasi
allontanamento dal socialismo come uno sbaglio e un grave errore, l'8 giugno
l'archeologo e storico Guo Moruo se la prende con i "fiori velenosi"
di cui bisogna liberarsi, e li contrappone ai "fiori profumati" del
socialismo. Dicevano che: "Letteratura
e arte, ingranaggi e dadi del meccanismo generale, devono sottomettersi e dare
il proprio apporto per concorrere alla realizzazione del compito della rivoluzione".
II criterio politico, socialista e collettivista, deve sempre prevalere sul
criterio artistico. E aggiungevano: 'In
questo tipo di civiltà non è possibile tollerare l'individualismo, fonte di
tutti i mali... l fiori che devono sbocciare sono i fiori del socialismo".
Cento fiori, sì, ma "cento fiori socialisti"!
II contrattacco, la reazione
"contro la destra", fu quindi messa in atto; ai contestatori venne
intimato di ritrattare, e perfino di umiliarsi e di chiedere di venir puniti. A
centinaia di migliaia, i comunisti e i non comunisti che si erano comportati da
"nemici di classe, borghesi di destra", vennero mandati nelle
campagne per essere rieducati e per sentire il polso della vita contadina.
Centomila persone furono arrestate e venne lanciata un'ampia campagna di
rettifica; l'epurazione comportò revoche, sventure e rieducazioni. Tre dei
responsabili del delirio all’università di Wuhan furono fucilati.
Così, paradossalmente, questo
movimento che andava alla ricerca di una liberalizzazione, di fatto aveva come
risultato un rafforzamento dell'autorità e della dittatura del Partito,
all’interno del quale i “puri e duri”, gli intransigenti, riprendevano in mano
le redini meglio di prima. E sarà su basi “risanate” (!) che l'arte e la
letteratura dei vent'anni seguenti dovranno svilupparsi. Qualsiasi opera sarà
intesa come elemento che concorre all’edificazione del socialismo, e quindi a
esaltare e diffondere il materialismo dialettico marxista. Un quadro esaltante!
Identificandosi con la massa e con il popolo, l'artista "si Poiché, precisava Lu
Dingyi, già citato, "l’arte per l’arte è un errore di destra".
Le motivazioni di questa campagna
dei Cento Fiori possono essere spiegate dal fatto che si inseriva nel contesto
ideologico e politico della destalinizzazione
cheaveva colto totalmente di
sorpresa le autorità cinesi, nonché dal fatto che all'interno esisteva
un'effettiva corrente di malcontento generale, del proletariato delle città,
dei contadini e anche dell'intellighenzia, dato che da vari anni tutti erano
stati intensamente sollecitati e mobilitati dalla collettìvazione. Deng
Xiaoping, che soprintendette a questa operazione, ne trasse la morale: "Nel grande problema dei Cento Fiori
abbiamo acceso un focolaio per incenerire al tempo stesso i nostri nemici e le
nostre debolezze". Significava riconoscere la strana contraddizione e
l'equivoco di questo episodio; forse questa risoluzione drastica è stata
montata di tutto punto per smascherare meglio gli scontenti o gli oppositori o
forse i dirigenti hanno sottovalutato la portata delle critiche di cui erano
oggetto, e che per alcune settimane sono stati scavalcati dalla violenza di
queste.