Si pronuncia
indifferentemente il nome di Laozi per evocare un personaggio, il padre del
taoismo, che non si sa bene se fu storico o leggendario, e per designare un’opera
letteraria, redatta intorno al 300 a.C., che è il breviario della dottrina
taoista. Naturalmente l’opera viene attribuita allo stesso saggio, anche
se la storicità e l’autenticità della sua esistenza ci sfuggono. Ma
poiché questo personaggio ha preso corpo nel corso dei secoli, e spesso ha
anche ispirato gli artisti, evocheremo inizialmente l’evoluzione della sua
personalità in Cina – Laozi sarà perfino divinizzato durante la dinastia
Han – poi forniremo alcune precisazioni sulle opere taoiste e sul loro
tenore dottrinale. Ma vediamo in primo luogo come Laozi sia stato percepito
e tradotto iconograficamente dagli artisti cinesi, familiarizziamo con l’immagine
che si facevano di lui.
Le rappresentazioni di Laozi
Secondo
una solida tradizione, Laozi sarebbe nato verso il 570 a.C. e dunque sarebbe
stato contemporaneo di Buddha e di Confucio. Sembra che quest’ultimo si
sia perfino recato a trovarlo. Ma, fin dall’inizio, interferiscono alcune
leggende; sua madre l’avrebbe portato in grembo 81 anni (ovvero nove volte
nove anni, dato che il 9 è un numero magico), e sarebbe venuto al mondo con
i capelli e le sopracciglia bianche! Da cui il soprannome di Laozi, il “Vecchio
Maestro” (o anche il “Vecchio Bambino”). Ben presto gli venne
attribuita una favolosa longevità: 80 anni, poi 160, 200 anni, e anche
più!
Di colpo divenne il dio
della Longevità sotto una particolare forma, quella di Shoulao, una
delle sue emanazioni. Shoulao è molto popolare in Cina, e nei musei si
trova spesso la sua immagine (ceramica, pittura ecc...). È facilmente
riconoscibile per il cranio smisurato e calvo, a forma di proiettile e per
la fronte prominente, la lunga barba bianca, il bastone di legno, spesso
portato da un ragazzino, il suo assistente. Talvolta l’asta termina con
una testa di drago e reca appesa una zucca che si crede contenga polvere di
cinabro, indispensabile per la preparazione della droga immortale, l’elisir
di lunga vita. Oltre all’immenso cranio, deformato dall’intensità delle
sue meditazioni e pieno di “essenza di vita”, fonte di longevità, ha i
lobi delle orecchie che gli scendono verso il basso, segno di grande
saggezza, da cui deriva un altro dei suoi soprannomi, il “Venerabile dalle
lunghe orecchie”. La ricerca dell’elisir di lunga vita divenne il fine
ultimo delle pratiche magiche in cui era destinata a degenerare la religione
taoista.
Shoulao è rappresentato
talvolta in compagnia del suo giovane servitore, tal’altra di fronte agli
Otto Beati Immortali del taoismo (che gli portano doni e gli rendono
omaggio), oppure appare a cavallo di un daino, nel Paradiso taoista degli
Immortali, situato sui monti Kunlun, a ponente.
Ma talvolta è anche
portato in aria da una gru (o una cicogna), la cavalcatura che viene
frequentemente usata dagli Immortali. Si crede che questo volatile viva più
di mille anni, ed è un simbolo di purezza e di immortalità. L’abito di
Laozi di tanto in tanto è costellato di disegni che rappresentano simboli
di buon augurio (la foglia di artemisia, le corna di rinoceronte, i sapechi
d’oro, la zucca, i rotoli contenenti le scritture e la saggezza universale
ecc.). Infine, molto spesso, Shoulao tiene in mano uno scettro ruyi, la
favolosa pesca della longevità (talvolta aperta a metà, con all’interno
una minuscola gru), o ancora il fungo sacro lingzhi.
Ma quando ha l’aspetto
del savio taoista dell’Antichità cinese, Laozi è più spesso
rappresentato come un vecchio sistemato sul dorso di un bufalo; allora si
crede che stia partendo per il lontano occidente, verso la Battriana e
perfino verso il paese dei romani. In campo artistico, si noterà la
particolare importanza che assunse il taoismo durante il regno dell’imperatore
Ming Jiajing (1522-1566), fervente taoista. Allora il suo repertorio fu
pletorico, con rappresentazioni di personaggi leggendari, vari simboli e
ogni genere di allusione alla longevità.
La visita di Confucio
Laozi è anche all’origine
di un altro tema, quello della visita che gli avrebbe fatto Confucio (551‑479,
secondo le date tradizionali). Questa visita ha avuto luogo veramente? Dove?
Quando? Che cosa si sono detti, esattamente? Mistero.
Lo storico Sima Qian ci
illumina al riguardo. Ma non dimentichiamo che essendo egli funzionario alla
corte della dinastia Han, era probabilmente confuciano, e resta il fatto che
i due sistemi non erano per nulla compatibili.
Confucio si sarebbe recato
a interrogarlo a proposito dei Riti, e Laozi lo avrebbe tacciato. “Abbandona
la tua arroganza e la tua aria di sufficienza” gli avrebbe detto,
prima di esporgli i propri dubbi sul valore dell’intelligenza, della
pietà filiale e della dedizione, ovvero i principi essenziali esaltati da
Confucio. “In quanto ai riti”, aggiunse, “rappresentano
soltanto un sottilissimo strato di dedizione e di fede, e sono l’inizio
dell’anarchia. II razionalismo, scienza discorsiva, e il rispetto dei
valori sociali illusori, sono soltanto atteggiamenti artefatti, pericolosi,
nocivi. Rifiutiamo la giustizia, e il popolo ritroverà le autentiche virtù
familiari”.
In breve, erano discordi su
tutto, e da questa gara oratoria Confucio sarebbe uscito sconfitto. Si
trattava già del dibattito sull’uomo che vive “secondo natura”, e
sull’uomo “civilizzato”. Ma tutto ciò è indubbiamente apocrifo.
Laozi è “come il drago” avrebbe detto Confucio, “non sono
in grado di capirlo”. Durante la dinastia Han, quest’incontro
divenne una vera e propria leggenda popolare, e i pittori fecero a gara per
riprodurla sulle pareti delle camere funerarie (nello Shandong, nel II
secolo a.C.).
Lo storico Sima Qian fonte
principale su Laozi
In
effetti, apprendiamo dallo storico Sima Qian (145-86 a.C.) – il primo
grande storico della Cina e uno dei maggiori della storiografia mondiale e
certamente la principale fonte d’informazioni inerenti alla persona di
Laozi – che quest’ultimo, rinunciando al proprio posto d’archivista
alla corte reale della dinastia Zhou, si sarebbe ritirato ad occidente,
viaggiando su un carro trainato da un bue verde. Arrivato al Passaggio di
Hangu che si apre sul mondo dei Barbari e, ancora oltre, sul paese di Daqin
(il Vicino Oriente), trasmise a Yin Xi, il guardiano del Passaggio,
dietro sua richiesta, l’opera che aveva scritto allora, in 5.000
caratteri, a in cui esprimeva le proprie idee in modo oscuro ed enigmatico,
sul Dao (Tao) e sul De.
Quindi, prosegue Sima Qian,
“andarono insieme al di là delle sabbie mobili, e convertirono i
Barbari, nutrendosi di semi di sesamo (pianta che a quel tempo non era
cinese, ma straniera e che si riteneva avesse virtù straordinarie). Nessuno
sa che cosa capitò loro in seguito”. Yin Xi, il guardiano del
Passaggio, è diventato un importante personaggio del taoismo, il principale
discepolo di Laozi, e gli è anche stata attribuita un’opera.
Indubbiamente anche lui è
una figura leggendaria. Laozi è morto in Occidente? O nel suo paesino
natale, che secondo Sima Qian sarebbe nel distretto di Lai (l’odierna
città di Luyi, nello Henan, a 200 km in linea d’aria a sud est di
Zhengzhou)? Un’altra tradizione locale situa la sua tomba a Huaili, a
ovest di Xi’an. La questione non è chiara. “Nessuno potrebbe dirlo
con esattezza”, deplora il nostro vecchio storico, “perché Laozi
era un savio nascosto”, cioè voleva vivere nell’oscurità, lontano
dal “pantano” della vita pubblica. Per questo motivo il suo
destino resta oscuro.
All’inizio della nostra
era, mentre il buddhismo si diffondeva in Cina, i taoisti, per farvi fronte,
pensarono di “recuperare” il fenomeno e di fare della nuova religione
venuta dall’India un derivato della propria. Immaginarono che Laozi fosse
andato a convertire gli occidentali, tra cui gli indiani. Cosi questi ultimi
non facevano altro che rendere ai cinesi la propria religione, quella di
Laozi! Ed è vero che durante i primi secoli il buddhismo in Cina veniva
considerato una variante del taoismo, da cui questo tema della conversione
dei barbari occidentali da parte di Laozi, una tesi che poggiava su un libro
apocrifo spuntato all’improvviso e messo in evidenza al momento opportuno.
Questo argomento sarà il pomo della discordia per secoli, tra taoisti e
buddhisti, indignati per l’audacia di una tale pretesa... che in effetti
è decisamente contraria alla verità storica.
Questa leggendaria versione
dei fatti, che faceva di Laozi l’iniziatore delle Tre grandi religioni
cinesi – abbiamo già visto come fece capitolare anche Confucio! – sarà
colpita d’anatema in occasione della grande persecuzione del taoismo, nel
1281, al momento dell’avvento della dinastia Yuan, i mongoli adepti del
buddhismo tantrico. Perciò è essenzialmente grazie a Sima Qian che
possiamo avvicinarci al personaggio di Laozi. Lo storico del II secolo a.C.
fu il primo a raggruppare i diversi resoconti e le tradizioni leggendarie
che giravano da quattro secoli (?) a proposito del mistico, il “Vecchio
Maestro”. Il suo vero nome era Li er o Li Dan, racconta l’autore, e fu
archivista all’interno dell’amministrazione durante la dinastia Zhou, ma
nessuno sa nulla di certo. È possibile che venga confuso con l’astrologo
Dan del IV secolo a.C.? Non c’è nulla che lo dimostri. Fatto sta che
durante la dinastia Han – Sima Qian scrive verso il 100 a.C. – il
personaggio era già privo di consistenza storica, ma questo si spiega
facilmente, commenta Sima Qian, Laozi non aveva forse deciso di vivere come
un savio nascosto, da recluso, lontano dal “rumore e dalla passione”?
I rischi della celebrità
La
dottrina stessa del filosofo imponeva questa discrezione. E tuttavia, ecco
che durante la dinastia Han viene divinizzato! Divenne Laojun, un’emanazione
dal caos primordiale, equiparato a Pangu, l’uomo cosmico, il primo umano
della mitologia. Durante la dinastia Han, Laozi divenne cosi un’importante
figura eccezionale, un dio cosmico che esisteva prima della creazione stessa
dell’Universo; cioè diventava la personificazione stessa del Dao (Tao).
Come tale, venne chiamato Taishang Laojun, “Altissimo Signore del Lao”.
Taishang Laojun
Nel
II secolo, una corrente piuttosto particolare del taoismo conobbe un certo
dinamismo; metteva insieme il Laozi divinizzato e il mitico sovrano Huangdi
l’Imperatore Giallo, protettore dei fabbri e degli alchimisti. Questa
scuola, detta Huanglao, si raccoglieva intorno al Laozi daodejing, il
Libro della Via e della Virtù, l’opera attribuita a Laozi, il
Santo protettore della Scuola.
Il non-intervento (o non-agire)
diventava la dottrina politica e la mistica di questo movimento taoista che
faceva del daodejing la propria Bibbia.
Così, nel II secolo,
diventando il Santo patrono dei movimenti mistici rivoluzionari, Laozi
ispirerà dei deliri messianici che sfoceranno nella famosa rivolta della
setta dei Turbanti Gialli, nel 184. Era anche stato scelto come Santo
patrono dall’altrettanto potente setta dei Maestri celesti, fondata nel
142. Queste “chiese” si facevano forti dell’insegnamento di Laozi, che
doveva condurle verso la società perfetta della Grande Pace (Taiping). In
seguito a una crisi agraria di eccezionale gravità, dopo l’anno 170, il
patriarca della setta taoista della Grande Pace creò un vasto movimento
messianico che sfociò nella terribile sommossa dei Turbanti Gialli del 184.
Nel II secolo Laozi svolse
quindi un ruolo fondamentale, e perfino l’imperatore Huandi (147-168) lo
glorificava, (del resto faceva lo stesso per Buddha), e innalzava altari nel
suo palazzo. II sovrano gli fece costruire un santuario a Luyi, suo paese
natale; si tratta del tempio Taiqinggong, il Palazzo della Grande Purezza,
che ancor oggi racchiude una statua di Laozi di circa 4 m d’altezza.
Un’iscrizione datata 165
gli attribuisce inoltre, seguendo l’esempio dei jatakas o vite anteriori
di Sakyamuni, una serie di vite anteriori paragonabile a quelle di quest’ultimo
(81 vite nel caso di Laozi). Nel corso di una di queste metamorfosi, sarà
precisamente il Buddha Sakyamuni (!) – cosa che naturalmente farà
fremere i buddhisti – o ancora, nell’ultima delle sue incarnazioni, fu
Mani, il fondatore del manicheismo (!).
È a partire dal II secolo
che si sviluppò il neo-taoismo, o taoismo magico-religioso, miscuglio di
grossolane superstizioni, una specie di degradazione del taoismo mistico e
filosofico. Per questo fatto, gli storici della religione operano una nella
distinzione tra la religione taoista, di carattere popolare, e la scuola
filosofica iniziale del Tao.
Durante la dinastia Tang,
Laozi fu nuovamente colmato di onori ufficiali e coperto di titoli
altisonanti, ma questa volta per la semplice ragione che la famiglia
regnante aveva lo stesso suo nome, Li; e naturalmente pretendevano di essere
suoi discendenti. All’apogeo dell’Impero Tang, l’imperatore Xuanzong
stesso (712‑756) scrisse pregevoli commentari, sul Laozi daodejing. A
quest’epoca, in Cina si contavano circa 1700 monasteri taoisti, e si sa
che anche alcune principesse vi entrarono facendosi monache. A quei tempi,
il taoismo fu introdotto per la prima volta nel programma degli esami.
II libro della Via e della Virtù
Si
può dire che se il personaggio di Laozi resta misterioso e
impenetrabilmente oscuro, poco importa; esiste tramite il suo libro, ed è
solo quest’ultimo che conta! Qual è? Il Laozi daodejing. Libro
della Via e della Virtù, è, con il Zhuangzi e con il Liezi, una
delle tre bibbie del taoismo, un’opera capitale, quindi, di alta levatura
poetica, densa ma piuttosto ermetica.
I suoi 81 capitoli (ancora
9 x 9) sono composti da un mosaico di brani di prosa rimata e di poesia,
mescolati insieme, contenenti aforismi, massime, frasi sibilline, apologhi,
stanze rimate, vecchi adagi, formule magiche, strani motti ed enigmi
criptici talvolta beffardi. In breve, è una specie di guazzabuglio che ha
affascinato le menti di chi lo ha letto e dei suoi traduttori.
Tuttavia l’opera non è
facile da capire e da tradurre. Ad ogni modo l’impresa è stata portata a
termine varie decine di volte; tra il 1868 e il 1955 sono state pubblicate
più di 35 traduzioni inglesi! E in Cina gli sono stati dedicati più di 220
libri di commentari. Sono poche le traduzioni che soddisfano gli
specialisti. Questo dipende dal fatto che, anche se il libro nel suo insieme
esprime un pensiero coerente e originate, è tuttavia meno omogeneo per
quanto riguarda i particolari e lo stile.
Attualmente, dopo uno studio separato della lingua, si stima che la sua stesura si
situi intorno al 300 a.C., ma certi versi e aforismi risalirebbero a tre
secoli prima. Si immagina che l’ultimo redattore (verso il 300 a.C.)
potesse aver raccolto il pensiero di vari predecessori provenienti da un’unica
scuola. Ma infine, nonostante la sua disparità, l’insieme è valido e
affascinante.
II taoismo
La
scuola taoista si opponeva in modo radicale al confucianesimo, estremamente
ragionevole e moralista, ed esprimeva non solo una corrente di pensiero, ma
anche un modo di essere e di sentire al di fuori delle barriere morali
idealizzate. Qualcosa di anarchico e di libertario traspira da questo
insegnamento, apparentemente caotico, a cominciare dalla esposizione, che
raccomanda l’indipendenza, l’individualismo sfrenato, la contestazione
permanente, ma anche il rispetto per la vita.
D’altronde questo
pensiero, come se risorgesse dai tempi preistorici, flirta con culti
esoterici, agrari e dionisiaci, con superstizioni e pratiche magiche che si
ritiene rendano immortali i suoi beati adepti. Ma indubbiamente in questo c’è
stato un fraintendimento; se questa ricerca dell’elisir di lunga vita fa
parte del Dao, Laozi non sembra aver creduto esattamente all’immortalità
fisica, né alla sopravvivenza definitiva. Scrive che colui che è provvisto
di una pienezza di de (Virtù) è paragonabile al neonato. Si
richiama alla purezza originate: “Sono andato a trastullarmi all’origine
di ogni cosa”. La tecnica taoista faceva appello all’estasi, una
tecnica sciamanica che consente di entrare in rapporto con i misteri divini,
di “viaggiare nelle regioni cosmiche”. Questo viaggio estatico,
liberando l’anima dal tempo e dallo spazio, consente tale ritorno “al
principio di ogni cosa”, l’unità, la semplicità e la vacuità dell’essere.
Il taoismo di Laozi è l’opposto
della disperazione e dell’infelicità dell’essere. Al contrario esalta
la gioia di lasciarsi trasportare dalla corrente della vita e dal ritmo
cosmico creatore, complesso e apparentemente contraddittorio nella sua
natura. Ovunque si osserva il gioco alternato e complementare di binomi al
tempo stesso antitetici e inseparabili: femminile-maschile, notte-giorno,
sole-ombra. Nell’armonia dei contrari (Yin e Yang) risiede tutto il
segreto e l’accettazione della vita Per i taoisti, quest’armonia dei
contrari è la Realtà Prima; e bisogna adattarvisi. D’altronde, l’atteggiamento
dei taoisti si opponeva radicalmente all’ideologia dominante nella Cina
feudale per quel che riguardava la donna (e il suo ruolo nella società). A
quel tempo era degradata a occupare posizioni subalterne. L’adepto
taoista, invece, ravvivava e rafforzava la femminilità e le sue
possibilità, e in primo luogo la “debolezza”, la non resistenza, così
vicina al non-agire taoista. “Conosci la mascolinità, dice Laozi, ma
preferisci la femminilità... E potrai ritornare alto stato d’infanzia”.
Insomma, predicava quello che Mircea Eliade chiama “l’ideale arcaico
androgino di perfezione umana”. Indiscutibilmente Laozi affermava il
primato di ciò che è femminile.
Infine, non potremmo fare a
meno di riportare la famosa e pertinente osservazione di Laozi, che richiama
l’attenzione sul vuoto e sulla sua importanza, quando evocava la ruota e
la giara. Che cos’è determinante nella ruota, e che cos’è la sua
ragione d’essere? È il mozzo, cioè la parte centrale, cava, “vuota”
(!). Lo stesso vale per la giara, ciò che giustifica la sua ragione d’essere
è il punto in cui è vuota e priva di materia; la sua capacità di
contenere un volume di materia diverso da quella che la costituisce! Per
Laozi lo stesso vale per l’uomo, quando è privo di desideri e di
passioni, di illusioni; è quando l’uomo crea il vuoto nel proprio essere
che raggiunge la pienezza e che è completamente abitato dal Dao, il “Principio
supremo”.
Cosi, per i taoisti, l’Ordine
universale è una realtà, è il “Principio supremo”, il Dao (tao). Ma
questa realtà suprema non è altro che un’armonia dei contrari, la
conciliazione di ciò che è contraddittorio... degli antagonismi che
ciascuno porta in sé. Per di più, ognuno possiede una sezione del continuo
cosmico. E poiché tutti i valori umani sono fallaci, artificiosi e
artificiali... a che cosa serve ragionare! Ed è questo monismo
naturalistico – l’insieme delle cose è riducibile all’unità: “Noi
tutti possediamo una piccola sezione del divenire umano” diceva Bachelard
- che è il fondamento stesso del taoismo. Questo principio è stato la
causa della fortuna del taoismo in Cina. Del resto questa corrente di
pensiero non ha mai saputo crearsi una regolare organizzazione, strutturarsi
in clero, diventare una religione ufficiale. In breve, è ovunque e in
nessun luogo, ma fornisce alle anime mistiche delle prassi d’illuminazione,
e al volgo il soccorso di una certa saggezza, e il conforto di alcune
pratiche magiche.