Hong Kong affascina fin dal
primo momento. Questo esilarante mondo in miniatura è frutto di un riuscitissimo e
armonioso connubio delle più antiche tradizioni cinesi e del più spregiudicato spirito
imprenditoriale del XX secolo.
Una selva di grattacieli incombe sui tetti
degli antichi templi, mentre lussuosi ristoranti si trovano affiancati a chioschi
ricoperti di cataste di cibo. Il cambiamento è lessenza di questa città.
Ma quali sono le sue origini?
La scoperta di cocci di ceramica e di utensili in pietra e
in ferro in varie parti di Hong Kong attestano la presenza delluomo in
questarea fin da tempi remoti. Le naturali ricchezze della terra e del mare
incoraggiarono lagricoltura e la pesca, ma presto le sue basi riparate divennero
rifugio di pirati. Le vessazioni subite dalle comunità che si erano qui stanziate e i
disturbi al commercio costiero divennero così intensi durante la dinastia Qin (221-206
a.C.) che limperatore ordinò a tutti gli abitanti di ritirarsi dalla zona per poter
colpire massicciamente i pirati senza dover discriminare tra questi e la popolazione.
Prima che la comunità potesse reinsediarsi passarono vari decenni.
Per molti anni la Cina rimase separata dal
resto del mondo e un paese dalle caratteristiche uniche. Gli Europei arrivarono solo
allinizio del XVI secolo. Per poco più di un secolo ancora la corte fu in grado di
contenere le crescenti domande europee di accedere ai ricchi mercati cinesi, costringendo
gli europei a confinare le loro attività alla piccola colonia portoghese di Macao.
Allinizio del XVIII secolo erano già
stati fondati a Canton magazzini, da cui le società straniere commerciavano in seta, tè
e porcellane, articoli molto richiesti in America e in Europa. Questo commercio si era
rivelato dapprincipio molto fruttuoso per limpero cinese, la bilancia commerciale
per tutto il Settecento era stata favorevole alla Cina. Nei rapporti con gli europei gli
affari venivano monopolizzati a Canton da una corporazione di commercianti cinesi, e per
infrangere questa posizione il governo britannico mandò un ambasciatore a Pechino per
stabilire rapporti commerciali su nuove basi e anche lapertura di altri porti.
Lesito dellambasciata fu nullo.
Nei primi decenni dellOttocento la
situazione cambiò radicalmente: il blocco continentale imposto da Napoleone aveva fatto
quasi cessare in Europa limportazione delle merci cinesi e nel frattempo la
Compagnia delle Indie aveva trovato una merce di poco ingombro e alto valore commerciale
da esportare a Canton: loppio. La richiesta di oppio, importato liberamente e pagato
in argento, dato che le merci cinesi non basta-vano più a equilibrare la bilancia degli
scambi, crebbe di anno in anno a dismisura. Con quel traffico si arricchirono la Compagnia
delle Indie e i commercianti cantonesi, ma a scapito del popolo e dello stato cinese. La
corte imperiale era sempre più allarmata e infine si decise a inviare a Canton, munito di
poteri straordinari, il viceré Lin Zexu con il preciso incarico di vietare
definitivamente limportazione di oppio. Nel frattempo la Gran Bretagna chiedeva a
gran voce la possibilità di un maggiore accesso ai mercati ed era pronta a ripresentare
le sue richieste con un impressionante schieramento navale. Il viceré di Canton, Lin
Zexu, compì il gesto provocatorio di dare fuoco a delle casse straniere di oppio, dando
il via alla prima guerra delloppio (1839-42). Una flotta britannica, in navigazione
lungo le coste cinesi e il Fiume Azzurro, si scontrò contro una resistenza audace ma
impotente, che le consentì di imporre nel 1842 il trattato di Nanchino allumiliata
corte Manciù. Questo iniquo trattato imponeva alla Cina il pagamento di un grande
indennizzo per lapertura di porti franchi e la cessione alla Gran Bretagna
dellisola di Hong Kong. Venti anni più tardi, dopo un altro e più acceso conflitto
(Seconda guerra delloppio, 1856-60), con il trattato di Pechino del 1860 fu imposta
anche la cessione della penisola di Kowloon e, nel 1898, venne firmato il contratto
daffitto per 99 anni dei "Nuovi Territori". Hong Kong iniziò a
prosperare, nonostante che la malaria avesse colpito nei primi decenni di vita della nuova
colonia molti europei. Divenne un importante porto per navi mercantili e passeggere sulle
rotte commerciali del Sud-est asiatico e un centro per carenare e riparare vascelli. Alla
fine del secolo i movimenti annuali di valuta del suo mercato erano valutabili intorno a
50 milioni di sterline. Loppio continuò a rap-presentare la maggiore fonte di
reddito e il monopolio rappresentato dallamministrazione su tutto loppio che
veniva trattato in Hong Kong durò fino alla fine degli anni trenta. La popolazione della
colonia aumentava in seguito a ogni agitazione popolare registrata in Cina e,
allepoca della dominazione giapponese, durante la seconda guerra mondiale, era di
1,6 milioni di abitanti. Hong Kong cadde il giorno di Natale del 1941. Molti cinesi fecero
ritorno alla madrepatria, mentre altri furono deportati.
Con il ristabilimento
dellamministrazione britannica, nel 1946, la popolazione riprese ad aumentare al
ritmo di 100.000 unità al mese, cifra destinata a incrementarsi in seguito alla guerra
civile cinese. La caduta di Shanghai in mano alle forze comuniste (1949-1950) aiutò la
trasformazione di Hong Kong in un grosso centro commerciale e manifatturiero. Uomini
daffari fuggiti da Shanghai portarono nella colonia una solida esperienza
commerciale e finanziaria e nelle lavorazioni tessili e con i loro stessi capitali
installarono fiorenti industrie. Nel 1984 il trattato congiunto sino-britannico sancì il
ritorno di Hong Kong alla Cina nel 1997. Il trattato dette il via a negoziati volti a
definire il governo di questi territori nel corso dei 50 anni che seguiranno il 1997
durante i quali Hong Kong sarà considerata regione della Cina a statuto speciale.
Attualmente Hong Kong ospita sui suoi 1071
kmq una popolazione di 5,7 milioni di persone. I rifornimenti alimentari quotidiani
provengono interamente dalla Repubblica popolare cinese. Lontano dalla densa folla
dellisola di Hong Kong, il centro della colonia, vi sono ancora luoghi mai abitati
dalluomo.
Hong Kong è composta dallisola di
Hong Kong vera e propria, dalla penisola di Kowloon e, più in là, dai "nuovi
territori" che comprendono anche 235 isole.
LA VIGILIA DI HONG KONG
Il nuovo "governatore" dovrà risolvere alcuni nodi istituzionali
Il nome di colui che doveva succedere al governatore
inglese di Hong Kong, Chris Patten è stato deciso, con notevole ritardo rispetto alla
data prevista, l11 dicembre scorso da un comitato di 400 membri appositamente
nominati dal governo cinese. Tra i cinque candidati in lizza, la scelta è caduta
sullarmatore hongkonghese Tung Chee-hwa, nato a Shanghai 59 anni fa, studi negli
Stati Uniti. Il 1° luglio, questi è divenuto dunque il primo chief executive
della "regione amministrativa speciale" cinese di Hong Kong, ossia il primo
"governatore" cinese del Territorio dai tempi del trattato di Nanchino (1842).
Che Tung Chee-hwa disponesse di ottime
entrature sia nellambiente della grande industria locale che nella leadership cinese
era cosa risaputa sin dalla metà degli anni ottanta, da quando cioè il finanziere Henry
Fox, spalleggiato dagli "gnomi rossi" cinesi, aveva contribuito a far superare
al suo impero economico un momento di seria difficoltà. Proprio per questo motivo Patten
lo aveva voluto nel suo governo, assai prima che il presidente della RPC Jiang Zemin lo
includesse nel comitato preparatorio per la riannessione e formalizzasse definitivamente -
con una stretta di mano molto pubblicizzata dalla stampa cinese - il gradimento della
classe dirigente comunista.
Tung è dunque stato considerato il
personaggio più adatto a svolgere quella delicata funzione di mediazione e collegamento
tra gli interessi e le esigenze di Hong Kong e quelle - spesso contrastanti - di Pechino,
che sarà necessaria per assicurare che la transizione non generi disordini ma anche che
non metta a repentaglio la principale ragione del successo economico del Territorio e
cioè la sua originale ricetta sociale: un terzo di confucianesimo, un terzo di
imprenditorialità cinese meridionale e un terzo di fair play anglosassone.
Nonostante i suoi studi allestero, infatti, Tung ispira fiducia soprattutto per la
sua convinta adesione allo "stile" politico e culturale tradizionale a cui sia
la comunità degli affari di Hong Kong che laristocrazia comunista si ispirano:
quello confuciano, fondato sul rigoroso rispetto formale delle tradizioni e delle
gerarchie e sulloperato informale della "rete delle relazioni personali"
(è significativo, a proposito di tradizionalismo, il fatto che Tung non abbia voluto
occupare il palazzo del governatore per motivi geomantici).
Rispettoso di tale stile, sotto gli occhi
soddisfatti degli altri tycoons (primo fra tutti il più "filo-cinese" di
essi, Li Ka-shing), nelle sue prime dichiarazioni Tung ha naturalmente espresso la sua
piena adesione ai principi e alle metodologie che secondo Pechino dovranno presiedere alla
riannessione del Territorio, ma ha anche fatto capire ai suoi concittadini (e soprattutto
ai suoi colleghi grandi imprenditori) di godere di protezioni politiche forti e ramificate
e di possedere le capacità negoziali necessarie per tutelare a livello centrale gli
interessi economici di Hong Kong.
I compiti che egli ha di fronte sono
comunque gravosi. In particolare, dovrà risolvere le numerose questioni istituzionali
insorte dopo la stipulazione della dichiarazione congiunta anglo-cinese (19.12.1984).
E difficile prevedere se Tung sarà
in grado di favorire la conclusione di accordi politici tra il nuovo establishment
e lopposizione extraistituzionale; certo è che un grado minimo di collaborazione
sarà necessario per garantire che il passaggio delle consegne non sia eccessivamente
brusco.
Ma le questioni istituzionali che Tung
Chee-hwa deve affrontare non si riducono a quella elettorale: ve ne sono altre che
probabilmente hanno unimportanza anche maggiore. Si deve infatti rammentare che il
successo economico di Hong Kong, la sua stabilità sociale, il grado elevato di tutela
delle libertà fondamentali di cui i cittadini del Territorio hanno a lungo goduto non
sono dovuti tanto allesistenza di istituzioni realmente rappresentative, quanto alla
stretta adesione dellamministrazione al principio di legalità, così come elaborato
in quel common law anglosassone che ai sensi della Legge fondamentale - la
mini-costituzione di Hong Kong promulgata dal parlamento cinese nel 1990 - sarà
conservato anche dopo il 1997.
Naturalmente, il problema che si pone oggi
non è quello della minaccia diretta delle libertà economiche: nessuno pensa più che
laccesso al potere dei "continenti rossi" possa implicare per Hong Kong un
rischio per la proprietà privata o per la libertà di impresa, dato che nella stessa Cina
popolare tali valori si sono ormai irreversibilmente radicati. Anche per quanto riguarda
il comportamento della dirigenza comunista vi sono ragionevoli margini di ottimismo; si
deve infatti dare per scontato che il governo cinese abbia tutto linteresse a
maneggiare con cura quel prezioso gioiello che è Hong Kong, rispettandone il fragile
equilibrio ed evitando di incrinarne lefficienza con la propria sprovvedutezza.
E ovvio che gran parte del successo
di questa operazione dipenderà dalle strade che prenderà la riforma economica cinese e
da quanto procederà quella politica, ma in ogni caso, la Cina dovrà stare attenta a
muoversi con delicatezza, soprattutto in settori nodali come quello della libertà di
informazione, sui quali essa è estremamente suscettibile, ma sui quali è anche
assolutamente indispensabile che sappia transigere e moderarsi, affinché Hong Kong
conservi il suo ruolo di centro commerciale e finanziario internazionale.
Peraltro, i principali motivi di
apprensione sollevati dagli osservatori non riguardano tanto lintenzione di Pechino
di rispettare lautonomia che ha solennemente promesso al Territorio, quanto la sua
capacità di farlo, anche a costo di imporre alla sua stessa burocrazia labbandono
delle sue pratiche consuetudinarie meno compatibili con lefficienza di un sistema
produttivo avanzato come quello di Hong Kong.
Il timore principale infatti non è quello
di uninterferenza politica ai livelli superiori (che certo potrà aversi, ma che
tutto fa pensare che sarà il più possibile limitata), ma quello del comportamento che
terranno i funzionari cinesi di livello medio e basso distaccati ad Hong Kong, che in Cina
sono abituati a uninestricata commistione tra politica, amministrazione e affari
che, se applicata a Hong Kong, potrebbe innescare processi degenerativi di dimensioni
incalcolabili, danneggiandone irrimediabilmente il prestigio e lattrattiva
internazionale.
Soprattutto su questi temi si giocherà la
stabilità e la prosperità della regione speciale autonoma di Hong Kong, e con essa altre
importanti questioni, dalla futura integrazione della Cina con Taiwan alla rielaborazione
dei delicatissimi equilibri tra centro e periferie nella RPC. Sino a prova contraria, è
giusto dare fiducia a Pechino (che nel complesso ha sinora amministrato molto bene la sua
stessa riforma) ed è dunque opportuno guardare con ottimismo anche alla riannessione di
Hong Kong alla madrepatria. Ma ottimismo non significa mancanza di senso critico: i nuovi
padroni dovranno conquistare nella pratica la fiducia dei residenti di Hong Kong e della
comunità internazionale degli affari, e per farlo sarà più che opportuno che tutti
coloro che essi hanno voluto alla guida del Territorio, Tung Cheehwa in testa, siano
davvero capaci di esercitare con maestria larte della mediazione e del compromesso.