L'avventura dei religiosi
cristiani europei in Cina, e in particolare quella dei gesuiti, inizia nel
1552, quando San Francesco Xavier (Saverio) morì in una modesta
capanna, su un isolotto (Shangchuan, vicino a Canton). Dopo di lui, per
quattro secoli, domenicani, francescani, lazzaristi ecc., tenteranno
invano di evangelizzare la Cina. Ma senza dubbio quelli che lasciarono
maggiormente il segno nel medio Impero, proprio come in Europa, con la
loro presenza e la risonanza dei loro scritti, furono i gesuiti, nel corso
del XVII e XVIII secolo.
I primi tra loro,
provenienti dalla Missione portoghese di Macao, – che però includeva
anche italiani, tedeschi, fiamminghi ecc. - compaiono in Cina dal 1560,
sono numerosi dopo il 1580, e si sistemano a Pechino nel 1601 (Matteo
Ricci e Ruggieri).
A partire dal 1688 e per
circa un secolo, saranno prevalentemente francesi e dipenderanno più da
Versailles che da Roma o da Lisbona. Gli ultimi gesuiti giungeranno a
Pechino nel 1770. Tre anni più tardi, la Compagnia di Gesù verrà
soppressa da papa Clemente XIV, e nel 1785 arriveranno in Cina dei
lazzaristi incaricati di sostituire i gesuiti.
Per due secoli,
permanentemente, una o due dozzine di gesuiti, estremamente colti
(astronomi, matematici, fisici, cartografi, naturalisti... e
occasionalmente fonditori di cannoni!) avranno varie attività: religiose
e missionarie, diplomatiche e informative, soprattutto scientifiche
(compilare carte, redigere il calendario imperiale, costruire orologi,
automi ecc., fondere cannoni). Infine, alcuni saranno perfino pittori alla
corte imperiale (i Padri Castiglione, Attiret, Sickelpart...), o anche
architetti (nel Palazzo d'Estate, per esempio).
La loro presenza a
Pechino, fin nel cuore del Palazzo, nonché in provincia, avrà un'enorme
importanza per l'Europa, in campo artistico e filosofico. Per esempio, da
quest'incontro nascerà lo stile rococò; la moda dell'estremo oriente,
detta delle "cineserie", fiorirà particolarmente tra il 1730 e
il 1760.
D'altronde è probabile
che gli scritti dei gesuiti abbiano avuto una sicura influenza sul fiorire
delle idee che annunciano e che provocheranno la Rivoluzione francese. In
effetti gli scritti continui dei gesuiti, pubblicati e letti regolarmente
da molti, con entusiasmo, nutrirono abbondantemente le riflessioni di
persone come Leibniz, Voltaire, Rousseau, Fénelon, Malebranche,
Condorcet, Montesquieu... Oltre alle loro opere (particolarmente lavori e
racconti di viaggi), la corrispondenza spedita dalla Cina dai gesuiti, tra
il 1702 e il 1776, un po' ritoccata dagli editori parigini, (le Lettres
édifiantes et curieuses), in alcune edizioni è composta da 34
volumi. Queste Lettere edificanti ebbero un successo enorme in Francia, e
la loro influenza è evidente nell'evoluzione del pensiero, come in quella
del gusto, per esempio nella nuova passione per la porcellana, i giardini
cinesi (stranamente detti "all'inglese"!), i componimenti
pastorali ecc.
Nel bel mezzo del XVIII
secolo la Cina era all'ordine del giorno, e perfino "di moda".
Fu al centro di controversie e conflitti tra i vari ordini religiosi, che
coinvolsero perfino Versailles e il Vaticano, al momento della nomina dei
confessori dei principi, per esempio. Per interi decenni, i gesuiti furono
il bersaglio preferito dei confratelli degli ordini religiosi rivali, e la
loro condotta in Cina fu continuamente osservata e condannata. Si
rimproverava loro di essere lassisti e, nella "Querelle dei
riti", di tollerare il culto del Cielo e degli Antenati negli adepti
cinesi che avevano convertito, e che erano al massimo qualche migliaio di
persone, una vera miseria!
I gesuiti uscirono
sconfitti da una serie di crisi che ebbero un pessimo effetto sui sovrani
cinesi, gli ultimi della dinastia Ming (fino al 1644) e i primi della
dinastia Qing: una decina di imperatori si avvicendarono sul trono, tra il
1580 e il 1800, i principali tra i quali furono Wanli (1537-1620), Kangxi
(1662-1722), Yongzheng (1723-1735) e Qianlong (1736-1795).
Sebbene fossero
considerati "despoti illuminati" dai gesuiti e dai filosofi
europei, questi sovrani erano notevolmente indispettiti da questa specie
di "interventismo" europeo nei loro affari. Non capivano la
"doppiezza" dei gesuiti - alcuni dei quali erano stati eletti
mandarini da loro stessi - che si dicevano funzionari imperiali e tuttavia
continuavano a ricevere ordini dal Vaticano o da Parigi. Pur tenendo alla
presenza dei gesuiti a Corte e a Pechino, gli imperatori e i mandarini
perseguitavano regolarmente (1664-1671, 1724, 1745, 1767-1769...) gli
altri loro colleghi, sistemati in provincia, e li espellevano o li
martirizzavano.
Esistevano così due
categorie di gesuiti: quelli che erano burocratizzati e occupavano posti
ufficiali a Pechino e a Palazzo (uomini colti e artisti, apprezzati e
stimati); e quelli che, in provincia, si sforzavano di evangelizzare la
popolazione. Insomma, erano soltanto le attività missionarie dei
religiosi che inquietavano la corte e i funzionari letterati.
Indispensabili
alla corte o perseguitati nelle
province
Spesso, in effetti, il proselitismo cristiano non
dava esiti e l'ostilità dei confuciani si scatenava contro di loro, come
per esempio dopo il 1745, quando furono riuniti tutti gli ordini (cinque).
Nel Fujian furono incarcerati e torturati; il vescovo Pierre Sanz fu
oltraggiato e ingiuriato, poi decapitato (26 maggio 1747) a una porta di Fuzhou
dove, l'anno seguente, i suoi compagni (i Padri Rayo, Alcobert,
Serrano e Diaz) saranno a loro volta strangolati. Il mese precedente (12
settembre 1748), dopo nove mesi di torture, i padri gesuiti Tristan
d'Athénis e Antoine-Joseph Herriquez, erano stati strangolati a Fuzhou.
Nel 1750 restavano pochi Padri gesuiti nelle province, dato che tutti
erano stati incarcerati, scacciati o mandati a morte...
Molti neofiti cinesi
furono condannati alla tortura e alla bastonatura; le loro abitazioni
furono saccheggiate, le loro famiglie rovinate. Nel 1755, cinque gesuiti
furono condannati allo strangolamento a Nanchino, ma l'Imperatore
li fece espellere a Macao, dove vennero imbarcati al più presto per l’Europa.
"Molti di loro finirono i loro giorni nelle prigioni portoghesi di
Pombal"!
Mentre i religiosi
cristiani subivano regolarmente le repressioni nelle province, quelli
della capitale, i più brillanti tra loro, avevano saputo, abilmente,
rendersi preziosi e perfino indispensabili. Inoltre, essendo vicini al
potere, venivano risparmiati e si sforzavano di servire da parafulmini e
da difensori dei propri fratelli sfortunati, perseguitati nelle province.
Questi gesuiti erano di tutte le nazionalità (portoghese, spagnola,
italiana, tedesca, fiamminga e francese).
Per circa un secolo. tra
il 1688 e il 1780, i francesi saranno i più numerosi. Gli altri ordini
erano gelosi del loro successo e del fatto che fossero riusciti a
introdursi fino a quel punto nel cuore del Palazzo, all'interno della
Città proibita.
Un
precursore: Matteo Ricci
È nel tempo di Wanli e su suo invito che il primo gesuita Matteo
Ricci (1552-1610) giunse a Pechino e a corte, nel 1601, aureolato di
un grande prestigio di letterato colto. Aveva deciso di cinesizzarsi (era
arrivato in Cina nel 1582) e, dopo un tentativo d'adozione delle vesti
giallo zafferano dei monaci buddisti, del resto poco stimati dalle
autorità cinesi, preferì prendere l’abito dei letterati confuciani,
tanto più che parlava la loro lingua bene quanto loro. Oltre a un
crocefisso e a immagini sacre, offrì all'Imperatore un clavicembalo, un
mappamondo, un orologio da polso e un orologio a soneria. Contava su un
difetto di quest'ultimo, una specie di cavallo di Troia, per venir un
giorno chiamato all'interno della Città proibita, col pretesto di
ripararlo. E in effetti fu proprio ciò che avvenne.
Intuitivo innovatore dei
metodi apostolici, Ricci ha definito per due secoli gli orientamenti
fondamentali della Missione dei gesuiti, cioè: una politica aristocratica
(adottando il costume e le idee confuciane dei letterati, vicini al
potere), un elevato livello scientifico (che si imporrà e sarà la
regola), e un intelligente adattamento agli usi e costumi dei cinesi.
Ricci aveva capito che,
per stabilirsi permanentemente in Cina, era importante soprattutto essere
dalla parte dei potenti, ovvero dei mandarini, dei letterati e, visto che
si doveva fare, avere la stima e l'amicizia dell'Imperatore. Quest'ultimo
chiese a Ricci di istruire suo figlio, il giovane pretendente al trono,
nelle scienze. Oltre a conoscere molto bene la matematica, la fisica, la
meccanica, l'astronomia, la cartografia, Ricci era anche un artista,
pittore e scultore. Tradusse e scrisse in cinese molte opere. Ricci
raggiunse il suo scopo: il cristianesimo venne autorizzato, e il
riconoscimento legale dei gesuiti fu la naturale conseguenza del favore
imperiale che li circondava.
L'editto di
tolleranza
Alla morte di Ricci, nel
1610, dopo la sua permanenza di 28 anni in Cina, la missione di Pechino è
solidamente organizzata. Nel 1666, mentre i domenicani hanno 21 chiese e 2
case, e i francescani 3 chiese e 1 casa, i gesuiti hanno fondato 151
chiese e aperto 38 case! I nuovi imperatori sono mancesi venuti dal nord:
i Qing non saranno ostili nei loro confronti, anche se si dimostreranno
contrariati per le loro intempestive attività missionarie. Tuttavia
continuano a proteggere i gesuiti della capitale.
II tedesco Adam Schall
von Bell, astronomo, matematico, naturalista e linguista, vero e
proprio continuatore dell'opera di Padre Ricci, si è rapidamente reso
indispensabile, istallando con la collaborazione del suo assistente, il
fiammingo Padre Verbiest, una fonderia di cannoni (500 pezzi
d'artiglieria comandata!), vicino alla Città Proibita. Ed ecco che Adam
Schall diventa presidente del "Tribunale dei Matematici", una
delle più alte cariche di dignitario dell'Impero. Verbiest sarà il suo
successore, e poi sarà la volta di un francese, Padre Gerbillon (arrivato
nel 1688).
L'editto di tolleranza
promulgato nel 1692 da Kangxi, ricorderà questo fatto: "Gli europei
che sono alla mia corte presiedono da molto tempo agli studi delle scienze
matematiche. Durante le guerre civili mi hanno reso un servizio essenziale
per mezzo dei cannoni che hanno fatto fondere. La loro singolare abilità
e la loro prudenza, unite a un notevole zelo e a un instancabile lavoro,
mi obbligano a prenderli ancora una volta in considerazione. Oltre a
questo, la loro Legge non è affatto sediziosa, non spinge il popolo alla
rivolta. Perciò mi sembra opportuno consentirne la diffusione, affinché
tutti coloro che vogliono abbracciarla possano entrare liberamente nelle
chiese e fare una pubblica professione del culto che vi viene reso, al
Sovrano Signore del Cielo".
La
querelle dei riti
Ma già da una
cinquantina d'anni i gesuiti avevano suscitato parecchie gelosie.
Domenicani e francescani denunciavano il loro "lassismo" in
materia di superstizione, e per il fatto che avevano assunto nomi e
portassero abiti cinesi; erano inoltre accusati di favorire l'idolatria e
il culto degli Antenati. Agli occhi dei gesuiti, le offerte poste davanti
alle tavolette degli Antenati non avevano alcun significato religioso; non
erano veri altari, né autentici sacrifici. Ma nel 1645, il papa Innocenzo
X denunciava queste usanze, che giudicava incompatibili con il
cristianesimo. Il nuovo Imperatore Qing fu oltraggiato da tale
intromissione negli affari cinesi; iniziava così la "querelle dei
riti", propriamente religiosa e soprattutto europea.
Nel 1688, alla morte di
Verbiest, venne operata una trasformazione. A capo della missione di
Pechino, che dipendeva sempre da Goa e quindi dal re del Portogallo, si
stabilì un gesuita portoghese che si affrettò a tormentare i francesi.
In questo stesso anno
arrivavano in Cina cinque gesuiti inviati da Luigi XIV, non come
missionari - non voleva urtare né il Papa, né il re del Portogallo - ma
come dotti, rappresentanti dell'Accademia delle Scienze. Tra loro c'erano
i Padri Bouvet (futuro corrispondente di Leibniz), Gerbillon (futuro
presidente del Tribunale dei matematici di Pechino), de Fontaney (che
risiederà a Nanchino) e Le Comte (che otto anni più tardi
pubblicherà Les Nouveaux Mémoires sur l'état présent de la Chine, vera
e propria summa di nozioni riguardanti il paese, a quest'epoca). La loro
nave, l'Amphitrite, farà altre traversate nel 1698 e nel 1701, portando
nuovi gesuiti e riportando indietro, nelle stive, casse piene di
porcellane. Arrivarono quindi i padri Contencin, Entrecolles, Fouquet,
Parennin, de Tartre ecc., futuri autori delle famose "Lettres édifiantes et curieuses".
Nel 1700, su 121
sacerdoti presenti in Cina, la metà erano gesuiti, contro 29 francescani,
18 domenicani e 15 preti delle Missioni straniere, create nel 1663 a
Parigi. Questa sproporzione riaccese la "querelle dei riti" e ne
seguì una vera e propria crisi.
Dalle gaffes
papali alle persecuzioni
Nel 1704 Clemente XI
condannava, tramite un decreto, i riti confuciani e il culto degli
Antenati e, per farlo applicare, inviò un legato, Monsignor de Tournon
che, con la sua goffaggine, indispose l'imperatore Kangxi, reso perplesso
dalle rivalità intestine e dalle liti tra i vari ordini religiosi. Per di
più si irritò; si capisce la sua replica, dopo una nuova condanna
papale, nel 1715, (la Bolla Ex illa Die di Clemente XI che imponeva
ai missionari il giuramento di rinunciare a qualsiasi pratica
superstiziosa!). Kangxi sbottò: "Che cosa direbbe il papa, se
l'imperatore cinese si permettesse di giudicare e di riformare le
cerimonie vaticane?". Rispose, nel 1717, proibendo nell'Impero il
proselitismo cristiano e la predicazione.
Cinque anni più tardi
(1722) Kangxi moriva e nel 1724 il suo successore, Yongzheng, ordinava
l'espulsione di tutti i religiosi, che furono raccolti a Canton, fatta
eccezione per alcuni padre gesuiti di Pechino, che godevano dei suoi
favori (soprattutto Padre Perennin), dato che i gesuiti di Pechino avevano
sempre avuto un ordinamento e uno statuto privilegiato. Mentre questo
editto di proscrizione scatenava una persecuzione generale nell'impero,
Padre de Contencin, che ammirava la perfezione del governo cinese,
scriveva varie lettere che contribuirono a diffondere in Europa il mito
del dispotismo illuminato cinese. All'epoca la Cina contava circa
350.000 convertiti al cristianesimo, la maggior parte dei quali era di
provenienza popolare.
L'imperatore Qianlong,
suo figlio e successore (1736-1795), ebbe un lungo regno prestigioso; se
da un lato contribuì a vezzeggiare i gesuiti di Pechino, dall'altro si
mostrò inflessibile con i missionari delle province, e la persecuzione
continuò a imperversare, raggiungendo punte massime nel 1745, nel 1767 e
nel 1769. In Europa, si stava scatenando una tempesta sul capo dei
gesuiti: nel 1759 venivano banditi dal Portogallo; tre anni più tardi dal
Parlamento di Parigi; nel 1764 in Francia veniva abolita la Compagnia di
Gesù, e infine venne soppressa (ma momentaneamente) dal papa Clemente
XIV, tramite il breve "Dominus ac Redemptor" del 1773.
Due anni più tardi (15 novembre 1775), la missione gesuita di Pechino
veniva legalmente soppressa, dopo molte esitazioni in seno al piccolo
gruppo lacerato. La Compagnia verrà nuovamente stabilita nel 1842, dopo
il trattato di Nanchino.
Abbiamo detto che i
lazzaristi erano state designati per la sostituzione. Arrivarono nel 1785,
in pieno periodo di persecuzioni. Poi, con l'avvento della Rivoluzione
francese, per mancanza di sussidi, la chiesa Beitang, aperta a Pechino nel
1703, venne venduta a un mandarino. Sarà distrutta nel 1827 per ordine
dell’Imperatore Daoguang.
La Missione gesuita di
Francia, durante la sua permanenza, riceveva da Parigi, oltre agli
introiti delle abbazie d'Avron e di Villenause, anche del denaro inviato
da fondazioni e da privati. In Cina possedeva anche terreni, case e
negozi. Bisognava far fronte a pesanti spese di mantenimento (personale,
animali da soma, vari locali, regali d'amicizia ai mandarini ecc.).
Nel frattempo a Pechino
Qianlong continuava ad apprezzare i talenti e il sapere dei gesuiti. Per
l'arredamento del nuovo Palazzo d'Estate, costruito a nord di Pechino, o
per l'illustrazione di una serie di incisioni che esaltavano i suoi
successi militari nelle steppe dell'Asia superiore (1755-1759), fece
appello agli artisti gesuiti della sua corte, i Padri G. Castiglione,
J.D. Attiret, J. Damascène-Sallusti, e J. Sickelpart. Divenuto
il pittore preferito dell'imperatore, Padre Castiglione restò a corte
circa cinquant'anni, dal 1715 al 1764; si era creato uno stile ibrido,
decisamente tetro a non privo di fascino.
Influenza in
Europa degli scritti dei gesuiti in Cina
Qui non possiamo far
altro che evocare la risonanza che ebbero in Europa gli scritti di tutti i
religiosi pieni di talento e spesso colmi di ammirazione per questo paese
in cui la loro vita quotidiana non era affatto tranquilla. Oltre ai 34
volumi delle Lettres édifiantes et curieuses, scritte tra il 1702
e il 1776, e le Nouveaux Mémoires di Louis Le Comte (1696),
già citate, bisogna aggiungere un'altra opera collettiva dei religiosi:
la Description géographique, historique, chronologique, politique de
la Chine et de la Tartaier chinoise, pubblicata nel 1735 sotto il
patrocinio di Jean-Baptiste Du Halde. Ma non dimentichiamo la Histoire
générale de la Chine di Joseph de Mailla (1777-1783), le Mémoires
concernant l'histoire, les sciences, les arts, les mœurs et les usages
des Chinois, di Amiot, Cibot e qualche altro (1776-1791), e
anche la Correspondance de Pékin di Antoine Gaubil (1722-1759).
Tutta questa massa di testimonianze ha provocato il fermento delle idee
degli intellettuali francesi e in tal modo, dal fondo della Cina, i
gesuiti hanno partecipato, sebbene involontariamente, alla grande
trasformazione della società francese nel XVIII secolo. Voltaire,
Montesquieu (il più critico), Rousseau, Leibniz, Condorcet, hanno trovato
un ricco materiale di riflessione (religioso, politico, sociale ecc.) in
quel che rivelavano loro questi missionari gesuiti di cui si è potuti
chiedere (Isabelle a Jean-Louis Vissière) se infine fossero
"conquistatori pacifici, scopritori di strani mondi, apostoli
fuorviati dalla diplomazia, predicatori tramutati in cortigiani o teologi
che presentano automi?" Quel che è certo è che si trattò di
un'avventura appassionante. E, cosa rara, si videro forti personalità
riconoscere e ammirare una civiltà non cristiana, che li stimolò
profondamente, così come colpi “di rimbalzo" i loro lettori. Cosa
nuova!
Frammenti d'Oriente, dicembre 2008