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Il piacere della lettura
DRAGHI E LEGGENDE (3)
DRAGHI SCOLPITI
(dell’etnia Bai)

C’era una volta un carpentiere di nome Yang che si affrettava a ritornare al suo villaggio natale poiché si era in piena stagione di semina. Nativo di un villaggio dell’Est, Mastro Yang era un eccellente carpentiere capace di scolpire draghi e fenici, di costruire grandi edifici e alti portali. Camminava ora per una strada lungo il fiume, all’altezza di una marmitta dei giganti (1), portando sulla schiena i suoi attrezzi, il necessario per dormire e una casseruola di rame splendente, tenendo per mano il suo unico figlio, Qijin.
Ora, in questa marmitta di giganti abitava un drago-scrofa, nero di corpo e crudele di cuore; l’animale si acciambellava in fondo all’acqua in una caverna sinistra, uscendo di tanto in tanto per devastare la contrada. Ogni tre anni, al crepuscolo del ventiquattresimo giorno della sesta luna, esso sputava delle nuvole nere ad oscurare il cielo e il sole, provocando un uragano con fulmini e lampi, seguito da un’inondazione che distruggeva al suo passaggio ponti, case e coltivazioni.
Il drago-scrofa nuotava a piacimento nei flutti sino al lago Erhai, sollevando delle onde alte come delle montagne, divorando i pesci e le tartarughe, le barche e i viaggia tori. Questa tempesta durava un giorno e una notte e la stessa scena si ripeteva sulla
via del ritorno, fino a quando il mostro non raggiungeva la propria dimora. E ogni tre anni, al rinnovarsi di questa calamità, gli abitanti bai erano costretti a rifugiarsi tutti sulla montagna Cang, nutrendosi di scorze e radici, attendendo che il drago-scrofa si calmasse per ritornare al proprio villaggio. Essi allora ricostruivano le case e i campi desolati. Così, di generazione in generazione, i paesani bai non avevano mai potuto conoscere la pace.
Questo drago-scrofa detestava tutto ciò che era in ferro o in rame. Se per ignoranza, qualcuno andava a prendere dell’acqua nel fiume con un secchio di ferro o in rame, il mostro lo afferrava immancabilmente tra i suoi artigli e lo divorava con avidità. Così, col passare del tempo, poichè si evitava in tutti i modi quel luogo temuto, attorno alla marmitta dei giganti crebbero fitti degli alberi. Visto da lontano, era una foresta talmente densa che neppure il vento vi penetrava più. Si udivano solamente i versi delle cicale e dei grilli che si arrischiavano in quei paraggi.
Quando Mastro Yang e suo figlio arrivarono là, faceva un caldo torrido. Padre e figlio avevano tutti e due sete. Il giovane Qijin guardò i dintorni, cercando disperatamente una sorgente dove rinfrescarsi. Scorgendo un ciuffo di verzura, depositò in fretta il suo carico, prese la casseruola di rame e corse verso il fiume. Realizzando ciò che il figlio stava per fare, Mastro Yang tentò di riprenderlo. Ma invano. Prima d’aver detto: «Ho sete, padre», il ragazzo era già scomparso nella foresta.
Qijin aveva appena messo un ginocchio per terra e immerso la casseruola nell’acqua, che scaturì un getto di vapore nero e nello stesso momento una zampa emerse in superficie e il bambino fu tirato nel fondo. Immediatamente, si abbattè il fulmine accompagnato dalla grandine…
Dragscol.jpg (28453 byte)Quando Mastro Yang arrivò sul posto, restava soltanto un sandalo tra il fango.
Yang aveva soltanto quel figlio. Ovunque andasse, egli portava con sé quel bambino di tredici anni e non gli era mai capitato il benché minimo incidente. Non si aspettava di perderlo a tre giorni di cammino dal suo villaggio natale. Preso dalla collera, era pronto a scendere in acqua per combattere il mostro. Ma, riflettendo, trovò più ragionevole cercare un’altra soluzione. Rimase là, gli occhi fissi sul sandalo e si mise a piangere. Non volle lasciare il luogo neppure quando il sole tramontò dietro alla montagna dell’Ovest.
In quel momento, passò da quelle parti una vecchia signora. Vedendo gli attrezzi da carpentiere e il bilanciere, la donna andò a cercare il loro proprietario ai margini della foresta, guidata dal pianto. Trovato infine Mastro Yang, gli consigliò di andare per prima cosa al villaggio vicino. Mastro Yang la seguì sino a un poggio della montagna. Là, vide dei contadini che vivevano in capanne costruite in fretta perché le inondazioni avevano appena rovinato tutto. Malgrado la durezza della vita, tutti provavano una grande compassione per il povero carpentiere e cercavano di consolarlo come meglio potevano. Tra loro c’erano due bambini, il ragazzo si chiamava Abao e la ragazzina Afeng. Tutti e due colmavano di attenzioni Mastro Yang, offrendogli del tè e del cibo. Alla vista di questi due bambini così saggi che gli evocavano il proprio figlio, Mastro Yang si rattristò ancora di più. Gli abitanti del villaggio gli proposero di riposarsi qualche giorno che poi lo avrebbero riaccompagnato al suo paese natale.
Mastro Yang trascorse una notte insonne senza mangiare e bere. Teneva tra le mani il sandalo del figlio senza riuscire a distogliervi lo sguardo. Sul far del giorno, prese la risoluzione di combattere quel drago-scrofa, per vendicare il piccolo ed estirpare quel flagello nell’interesse della popolazione locale.
Carpentiere senza eguali, Mastro Yang non sapeva soltanto scolpire draghi e fenici, ma conosceva anche Il canone del legno(2) e poteva pronunciare molti incantesimi. Giurò di fabbricare un drago di legno e di dipingerlo come un vero drago, poi, dopo una cerimonia di «verniciatura» accompagnata da parole magiche, il drago sarebbe divenuto mobile e vivente. Egli avrebbe scelto un giorno propizio e lo avrebbe gettato nella marmitta dei giganti. Il drago di legno avrebbe combattuto il drago-scrofa sino all’annientamento del mostro.
Presto deciso presto fatto. Il carpentiere soffocò il proprio dolore e confidò il suo progetto ai paesani. Spinti dalla compassione e dalla fiducia nella sua arte, questi lo sostennero fermamente, anche se erano un po’ scettici nella riuscita dell’impresa. Gli fornirono il cibo e l’aiutarono a trovare un grosso albero sulla montagna Cang, affinché potesse concentrare ogni suo sforzo nella scultura.
Con i paesani, Mastro Yang si addentrò nella montagna Cang e si arrampicò sulla vetta. Là, scelse un abete dieci volte millenario, l’abbattè e lo fece trasportare al villaggio. Si costruì un capannone e vi installò il tronco. Mastro Yang trascorse un giorno di digiuno e fece un bagno prima di dedicarsi alla scultura. Abao e Afeng gli facevano da assistenti, attingevano l’acqua, rimanevano al suo fianco per passargli gli attrezzi. Essi facevano tutto ciò con tanta costanza e affetto come se fossero stati i suoi propri figli. Nei momenti liberi, i paesani andavano sovente a trovarlo per sapere a che punto era il lavoro.
Con tutti questi aiuti e incoraggiamenti,
Mastro Yang lavorò notte e giorno, senza tregua. Continuamente dava un’occhiata al sandalo del figlio, o contava sulle dita, era deciso di terminare il lavoro prima del ventiquattresimo giorno della sesta luna dell’anno a venire. Contava di gettare il suo
drago di legno nel fiume al crepuscolo e iniziare così il combattimento.
Le notti precedenti il grande giorno, i contadini accesero delle torce per far luce a Mastro Yang che non lasciava più il cantiere.
Un giorno, uno sconosciuto entrò nel capannone. Era un tipo tarchiato, dalla pelle nera, che portava un mantello di lana nera. Aveva l’aria di uno sfaccendato, e restava accoccolato vicino al focolare, le braccia incrociate e le mani infilate nelle maniche. Osservava freddamente lavorare Mastro Yang, senza proferire parola.
— Cosa desiderate, grande fratello? Gli chiese Mastro Yang.
Lo sconosciuto rimase impertubabile. Estrasse dal suo mantello qualcosa che mostrò a Mastro Yang.
— Ma è un pesce! Esclamò questi, sbalordito.
— Fratello genio della montagna (3), disse improvvisamente lo sconosciuto, si dice che voi siate molto abile, sareste in grado di rianimare questo pesce?
Mastro Yang lo prese e vide che si trattava di un pesce essiccato. Lo mise sui trucioli e salutò lo sconosciuto con le mani giunte:
— Oh no, grande fratello, voi mi chiedete troppo! Io non sono così dotato!
— Veramente?
— …
— Se voi non conoscete neppure l’incantesimo per rianimare un pesce essiccato, come potreste dare la vita a un drago di legno?
Lo sconosciuto farfugliò queste parole e se ne andò mantello senza darsi la pena di dire arrivederci al maestro; il quale non aveva fatto attenzione al viso dello sconosciuto ma aveva colto la sua malizia. Stava per seguirlo fuori quando sentì un rumore dietro lui. Il pesce si era messo a guizzare tra i trucioli che sembravano anch’essi trasformarsi in lenticchie.
Mastro Yang comprese all’istante e prese la sua ascia cercando di colpire il pesce, che scomparve immediatamente tra il mucchio di trucioli. Abao e Afeng come i paesani vennero ad aiutarlo a catturare il pesce. Ci si affacendò sino a tarda notte senza però trovare nulla.
Tutti avevano capito chi era l’autore di quella farsa.
Il carpentiere sapeva cosa fare. Sparse del riso attorno al capannone per farne un «baluardo di riso»(4), e ne affidò la custodia ai due bambini. Da allora, tutto tornò normale.
Finalmente giunse il ventiquattresimo giorno della sesta luna. A mezzogiorno Yang il Carpentiere installò il drago di legno su di
una grande aia. Per fare la differenza con il drago-scrofa, egli dipinse di biancoargento il suo drago di legno. I contadini fecero cerchio attorno a lui e si complimentarono per il capolavoro. Poi iniziò la «verniciatura»: le corna del drago erano decorate con nastri rossi che contrastavano con il bianco. Verso mezzogiorno e tre quarti, Mastro Yang incise il suo indice e disegnò con il suo sangue le pupille del drago sussurrando degli incantesimi. Pregò il suo maestro ancestrale Lu Ban, sollecitò la sua protezione nel combattimento per vincere il nemico.
Il sole tramontò e una miriade di torce furono accese nella campagna. La folla cantando le arie della nazionalità bai, batteva gong e tamburi scortando il drago di legno nella sua discesa dalla montagna. Con la torcia in alto e scortato dai due lati da Abao e Afeng, Mastro Yang camminava in testa al corteo. Arrivando ai bordi della marmitta dei giganti, il carpentiere domandò che si piantassero le torce attorno lo specchio d’acqua. Poi serrò il pugno e con l’altra mano tracciò qualche segno cabalistico su un foglio di carta gialla mormorando delle parole magiche, mentre si faceva scendere il drago nell’acqua.
Terminate le cerimonie, il carpentiere montò subito su un cavallo e condusse rapidamente la gente verso la montagna perché il luogo stava per trasformarsi in un campo di battaglia.
Si era appena giunti a metà pendio che il fulmine apparve al di sopra del fiume e due nuvole fioccose, la prima bianca e l’altra nera, si alzarono in cielo. Poi ci fu un uragano e il fiume in piena lanciò delle onde gigantesche all’assalto del cielo. I due draghi cominciarono a battersi nello spazio dei cieli.
Mastro Yang e gli abitanti del villaggio rimasero spettatori sul poggio. Il campo di battaglia era così vasto che tutto il firmamento ne fu sconvolto. Il lago Erhai ribollente tuonò. L’eco percorse le montagne. Il drago bianco era più leggero e abile. Volava dappertutto in mezzo alle nuvole e ben presto fu più in alto del drago nero che era molto più pesante.
Sotto la pioggia battente, i paesani e il carpentiere lanciarono degli urrà per incoraggiare il drago bianco.
La lotta continuò. Alla fine però, il drago bianco, meno grande e dunque più debole, battè in ritirata. Il drago nero sputò fumo nero che avviluppò il suo avversario e tutto il cielo si oscurò. Si scorgeva di tanto in tanto una zampa con le scaglie bianche.
In piedi sul poggio, Mastro Yang, i capelli in disordine, recitava delle preghiere per invocare la protezione di Lu Ban; i paesani battevano gong e tamburi per incoraggiare il drago bianco.
Finalmente, il drago bianco fece un mezzo giro e si rifugiò verso la montagna Cang, le sue scaglie caddero volteggiando come dei fiocchi di neve sul poggio. Il drago-scrofa si lanciò al suo inseguimento e lo ruppe in molti pezzi. La montagna fu bianca di scaglie, il cielo nero di nuvole scure, e la terra inondata.
La disfatta non aveva intaccato la fiducia degli abitanti nel potere del Mastro carpentiere. Con la sua scure egli tracciò una linea a nord e giurò che non l’avrebbe mai oltrepassata per ritornare al suo paese natale se prima non avesse sconfitto il drago nero. Quindi si apprestò a partire tutto solo per tagliare degli alberi sulla montagna Cang, e scolpire ancora un drago per fare un ultimo combattimento contro il drago nero. I paesani non lo lasciarono andare da solo, dicendo che avrebbero condiviso con lui la gioia, il dolore ed anche la morte! Andarono ad abbattere gli alberi con lui e gli portarono da mangiare per tutto il periodo in cui egli scolpì il drago. Insieme aspettarono il ventiquattresimo giorno della sesta luna dell’anno seguente per il combattimento decisivo.
Nel frattempo, la vita del popolo divenne ancora più penosa. Il tornado aveva spazzato le capanne costruite sull’altipiano; le colture erano state distrutte dalle inondanzioni che si erano estese sino al lago Erhai. Si vedevano soltanto le cime degli alberi sulla superficie dell’acqua. I contadini, armati di una giusta collera, partirono il giorno stesso per la montagna per andare a tagliare gli alberi, lasciando a casa soltanto Abao e Afeng.
Mastro Yang portava sempre con sé il sandalo di paglia del suo defunto figlio. Ogni tanto lo guardava e questo lo rendeva ancor più risoluto nel vendicarlo ed estirpare quel flagello che infieriva sulla contrada.
Sul far del giorno, il mastro carpentiere incontrò sulla strada un fabbro, Mastro Zhao, al quale era stato legato da amicizia nella sua vita errante. Gli raccontò quanto gli era capitato e questi gli offrì il proprio aiuto. Secondo il fabbro, la sconfitta del drago bianco era dovuta al fatto che non lo si aveva provvisto di artigli, di zanne né di armatura di ferro. Gli avrebbe dato pertanto man forte nel fabbricare un drago armato e corazzato. L’aiuto del fabbro veniva giusto a proposito. Mastro Yang ne fu tutto contento. Solamente gli era difficile trovare la quantità di ferro necessaria. Per giunta mancavano braccia.
— Non ti crucciare, lo rassicurò Mastro Zhao. Ci sono ferro e minatori sulla montagna della Piuma di Fenice e si può sempre portarne al villaggio; ci sono dei fabbri a Heqin, che accetteranno volentieri di venire in aiuto ai fratelli di nazionalità bai provati dalla disgrazia; ci sono dei carpentieri sulle due rive del Fiume della Spada che saranno felici d’aiutarti a scolpire il
drago. Li farò venire tutti!
Ma il mastro carpentiere declinò l’ultima offerta, preferendo realizzare la scultura da solo.
— Stai tranquillo, grande fratello, gli disse il fabbro a guisa di saluto. Fece un mezzo giro e si diresse verso il nord, mentre il carpentiere e i paesani ripresero il loro cammino verso la montagna.
Quando faceva bello, Abao e Afeng raccoglievano delle tavole di legno per ricostruire le capanne distrutte. Lavoravano giorno e notte e si nutrivano di pesci e di gamberi che andavano a prendere sulle rive, adesso che le acque si erano ritirate. Aravano la terra e semivano grano saraceno, sempre aspettando il ritorno dei paesani.
Un giorno, arrivò una vecchia signora che parlava con un accento del nord. I due bambini la credevano in viaggio per la fiera, ma lei chiese notizie di Mastro Yang dicendo di essere sua cognata venuta appositamente per aiutarlo a lavorare sul drago, con delle provviste e un’ascia d’acciaio ancestrale.
— Poiché mio cognato non c’è, disse, posso lasciare l’ascia e le provviste, lo incontrerò al mio ritorno dalla fiera.
Così dicendo, offrì ai due bambini due pere succulente.
Abao e Afeng nascosero il sacco delle provviste e l’ascia sotto il fieno nella capanna, e misero le pere sotto la cenere perché preferivano aspettare il maestro prima di mangiarle.
Due giorni dopo, la gente rientrò al villaggio, trasportando un pino antico che avevano abbattuto e delle cortecce destinate alla ricostruzione delle capanne. Dopo un mese di duro lavoro, tutti avevano il morale alto.
Vedendo il loro maestro, i due bambini gli consegnarono il sacco delle provviste, l’ascia ed anche le due pere spiegandogli
l’accaduto.
— Ma io non ho cognate, disse Mastro Yang un po’ confuso.
I due bambini gli descrissero allora la fisionomia della vecchia signora, il suo abbigliamento e il suo accento, senza dimenticare la gerla di bambù che portava sulla schiena.
Il carpentiere, assalito da sospetti, non smetteva di scuotere la testa. Esaminò l’ascia e trovò la lama tagliente e il dorso ben spesso. Improvvisamente l’ascia si mise ad agitarsi nella sua mano e il manico si mutò nel corpo di un serpente che si attorcigliava attorno al braccio mentre il ferro dell’ascia divenne la testa del serpente che si lanciava sul petto, con la bocca aperta e i denti aguzzi minacciosi.
I due bambini lanciarono un grido di stupore. Mastro Yang ebbe il sangue freddo di serrare la gola del serpente che fu neutralizzato sul colpo. Liberò velocemente il suo braccio dal corpo del serpente, lo prese per la coda e lo agitò con tutte le sue forze al punto di disarticolargli la spina dorsale. Dopo di ciò, gettò il rettile nel braciere dove bruciò vivo.
Abao e Afeng riavuti dallo stupore, si diressero verso il sacco delle provviste. Prima che Mastro Yang avesse il tempo di impedirlo, essi lo avevano già aperto: dentro c’erano i resti del drago bianco…
Le due pere altro non erano che due frutti avvelenati. Si trattava senza dubbio di una astuzia del drago-scrofa.
Un mese più tardi, si era terminato con la ricostruzione delle capanne dal tetto in paglia, l’aratura e la seminagione. Tutto era pronto per prevenire la carestia. Mastro Yang si era rimesso alla sua scultura quando il fabbro tornò con i suoi amici. Ognuno si impegnò con fervore al suo lavoro.
Abao divenne l’apprendista di Mastro Zhao da cui imparò il mestiere di fabbro; Afeng, quello di Mastro Yang per imparare a scolpire. L’una scolpì un piccolo drago di legno e l’altro montò l’armatura, gli artigli e i denti di ferro. Così armato, il piccolo drago aveva un bell’aspetto. Tutti ne furono molto contenti. Lo si mise in un capannone dal tetto in paglia e là i due maestri tennero una cerimonia per accettare i due ragazzini come loro apprendisti. Gli abitanti del villaggio andarono tutti a felicitarsi con verdure, pesci, vino di grano fermentato, si suonò la chitarra e si cantarono delle melodie della nazionalità bai.
In quel mentre giunse un vecchio monaco. Portava un mantello di lana che nascondeva male i suoi capelli bianchi e teneva in una mano una ruota della preghiera e nell’altra un cane al guinzaglio. Per devozione buddistica, il popolo bai si mostrava generoso quando si trattava di un monaco mendicante. I paesani lo fecero entrare e gli offrirono vino e cibo.
Siccome si stava facendo tardi e cadeva una pioggia fine, Mastro Yang, un po’ ubriaco, lo invitò a passar la notte.
A mezzanotte, quando tutti dormivano, il monaco si alzò. Ruppe il piccolo drago di legno in molti pezzi e getto i trucioli nel braciere. La capanna prese immediatamente fuoco. Il cane nero si gettò sul carpentiere e cercò di morderlo alla gola. Fortunatamente Abao si svegliò in tempo e colpì la testa del cane nero a colpi di martello. Da parte sua Afeng prese un’ascia e l’agitò verso il monaco che si salvò come un fulmine lasciando un dito tagliato.
Quando gli abitanti del villaggio accorsero, non c’era traccia né del monaco né del cane; per terra rimanevano un mucchio di chicchi di grandine, i pezzi del drago e un dito tagliato del drago-scrofa.
Raddoppiando da allora la vigilanza, si pattugliò notte e giorno. Il drago nero non osò più ritornare; probabilmente si stava curando a casa sua.
Il ventiquattresimo giorno della sesta luna, prima di mezzogiorno, un altro drago di legno era pronto. Era corazzato, e brillava di una luce argentata. Lo si posò sull’aia, ornato di altri otto piccoli draghi, frutto del lavoro di Abao e Afeng, che ormai padroneggiavano bene il loro mestiere. Una folla di gente era venuta ad assistere all’ «investitura».
Verso il crepuscolo, vennero accese delle torce. Cantando e battendo gong e tamburi, si portarono i nove draghi in spalla e si discese la montagna. Mastro Yang e il suo amico fabbro, Abao e Afeng camminavano in testa. Arrivati in prossimità della marmitta dei giganti, si piantarono le torce tutt’attorno, Yang il carpentiere si mise a recitare degli incantesimi e i nove draghi furono instradati fino all’acqua.
Dopo la cerimonia, Mastro Yang inforcò il suo cavallo e assieme ai contadini raggiunse rapidamente la montagna, sapendo che il posto sarebbe divenuto una volta di più un campo di battaglia.
Erano appena giunti a metà del pendìo della montagna che si abbattè il fulmine. Nello stesso momento una nuvola scura e fioccosa si alzò nel cielo. Un diluvio fece risalire immediatamente le acque del fiume che sommerse tutte le terre sino al lago Erhai. Non si distinse più il cielo dalla terra, né il fiume dal lago. Nove draghi argentati, uno grande e otto piccoli, si scagliarono contro il drago-scrofa, così iniziò la battaglia.
Il combattimento si svolse nei cieli, andando dalla montagna Cang, ad ovest, sino al lago Erhai, ad est. Tra le montagne risuonavano gli echi dei loro gridi di guerra, le acque del lago Erhai divennero burrascose. I nove draghi argentati facevano spola tra le nuvole ad una velocità inaudita.
Il carpentiere e il fabbro come i paesani rimanevano sul poggio, dove battevano i tamburi e i cimbali e lanciavano degli urrà malgrado la pioggia battente. A intermittenza, i lampi illuminavano i loro corpi così da farli assomigliare a delle statue di dei.
La battaglia si svolse su uno spazio di 120 li (5) da nord a sud, la volta celeste fu solcata di bianco e di nero. Nonostante la sua apertura alare, il drago nero si indeboliva poco a poco assalito da tutte le parti dai nove draghi bianchi. Le sue scaglie grosse come dei vagli cadevano una a una pesantemente nel lago Erhai. Continuava a replicare, cercando di far precipitare, con un colpo della sua coda grossa come il collo di un secchio, il grande drago bianco nell’acqua.
Vedendo che i draghi bianchi prendevano il sopravvento, Mastro Yang e Mastro Zhao assieme ai paesani brandivano e agitavano asce, seghe, martelli, zappe, falci, lanciando degli urrà di incoraggiamento, in coro con la pioggia, i flutti e la montagna che sembravano anch’essi gridare dei canti guerrieri.
I nove draghi, nel loro inseguimento, volarono ad ali spiegate verso il sud, il drago nero perse quota. Il cielo fu coperto da un tappeto di nuvole bianche e il lago velato da uno strato nero. Un momento più tardi le nuvole nere caddero lentamente nel lago.
La pioggia cessò. Le nuvole bianche si stendevano ora su tutta la terra, mentre una luna piena si levava nel firmamento stellato, e il lago diventava compatto come uno specchio. Si vedeva avvicinarsi Qijin, il figlio di Mastro Yang, a cavalcioni sul dorso del grande drago bianco, seguito da otto piccoli draghi. Mastro Yang e i paesani vollero chiamarlo, ma il bambino e i draghi volavano in direzione della marmitta dei giganti. Improvvisamente risuonarono nove colpi di tuono, la foresta densa si aprì in due, e i nove draghi sprofondarono nell’acqua.
Da allora, il fiume del drago-scrofa fu ribattezzato il Fiume dei Draghi bianchi, i raggi del sole illuminavano attraverso la foresta squarciata l’acqua limpida della marmitta dei giganti, che aveva perso il suo aspetto sinistro di un tempo. Per commemorare il ricordo di Mastro Yang e dei draghi, il popolo bai costruì il Tempio dei Draghi Bianchi. Sull’altare c’era la statua di Mastro Yang affiancato da Abao e Afeng. Al di sopra planava il grande drago bianco con i suoi otto piccoli che abbracciavano otto colonne. Quando arrivava la stagione del trapianto delle giovani piante di riso, si vedevano sovente i nove draghi tutti umidi, era perché nella notte erano partiti per far cadere la pioggia. Il popolo non aveva dimenticato neanche Mastro Zhao e la sua statua si trovava in una sala laterale con un martello in mano.
Il drago-scrofa, che aveva tanto infierito nella contrada, fu condannato a restare eternamente nel fondo del lago Erhai. Tutti gli anni, la sera del 24° giorno della sesta luna, vuole ancora rivoltarsi. È per questo motivo che noi dobbiamo accendere delle torce e piantarle dappertutto lungo la montagna. Questa vista gli fa credere che il popolo bai è sempre occupato a scolpire dei draghi bianchi e non osa più uscire.

Frammenti d'Oriente, settembre 2000

 

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