Non si capisce nulla della religione
antica e della mentalità cinese se si ignora l'importanza del culto degli
antenati. E questo discorso è stato valido per millenni, a quasiasi livello
della società. Dalle prime iscrizioni, durante la dinastia Shang
(XVI-XII secolo a.C.), alcune formule divinatorie ci rivelano che gli
spiriti dei defunti fuggivano dalle tombe per rivivere in segreto
nell'ambiente dei loro discendenti e del loro clan. Queste stesse
iscrizioni, incise su ossa o su carapaci di tartaruga, rievocano
regolarmente i sacrifici e le offerte di vino e di cibi, che venivano
fatte a questi spiriti fantasmi, oppure i consigli che venivano loro
richiesti, tramite oracoli, sempre incisi su osso e sottoposti a
una ignipuntura. Poi si interpretavano le screpolature comparse nel corso
di quest'operazione. Ci si rivolgeva agli spiriti degli antenati per
pregarli, per esempio, di far scendere la pioggia o di far cessare una
epidemia. Si credeva quindi che avessero notevoli poteri soprannaturali, ma
la loro sopravvivenza era precaria e minacciata, ed era compito dei vivi di
provvedere al loro mantenimento. Si dava moltissima importanza al loro
patrocinio e al loro ruolo di protettori della famiglia. Per questo erano
oggetto di culto tanto importante. Così, fondati sulla fiducia assoluta,
questi rapporti con i defunti non dovevano essere troncati o trascurati; per
farlo, bastava garantire loro un culto che non era poi troppo impegnativo,
ma al tempo stesso bisognava fare attenzione a non farli adirare
comportandosi male sulla terra.
Era inoltre necessario rassicurarli,
dando loro una numerosa discendenza, che un giorno sarebbe stata in grado
di dare loro il cambio, nell'aldilà.
Si saranno potute riconoscere, in
quanto detto, alcune delle tendenze essenziali proprie alle civiltà agrarie
dell'antichità, le cui preoccupazioni religiose fondamentali erano
effettivamente quelle di badare alla fecondità della terra, del
bestiame e degli uomini.
I poteri degli antenati
Fin
dall'inizio, il culto degli antenati si è affermato in Cina come la pietra
angolare della vita religiosa, ed ha continuato ad esserlo fino a questi
ultimi anni. Dalla fondazione dei primi stati cinesi, questo culto è
attestato al livello più alto nei palazzi. Ricettacoli delle anime, le
tavolette funerarie dei primi sovrani erano racchiuse in urne di
pietra. In occasione di tutti i grandi eventi del regno e di tutte le
solennità della vita di palazzo, un lettore veniva a renderne conto, con
voce possente.
Veri e propri intercessori e intermediari presso le forze e le potenze
celesti, questi spiriti potevano anche immischiarsi nella vita privata
della famiglia reale, in particolare per mezzo dei sogni. Inoltre
manifestavano i propri umori intervenendo sulla gestazione e la germinazione
dei raccolti, o sulla salute di tutti, diffondendo le malattie. Gli indovini
erano incaricati di sondarli e di interrogarli, con l'aiuto di iscrizioni
fatte su scapole di animali o sui carapaci di tartarughe, come si è già
detto. Le domande vertevano sui fenomeni naturali (pioggia, fulmine, piene
ecc.), i monsoni, l'esito di spedizioni militari, il carattere propizio o
nefasto dei giorni a venire. Attualmente i paleontologi hanno pubblicato
circa 41.000 documenti, per la maggior parte di questo genere, datati dal
XIV all’XI secolo a.C.
La complessità dei riti
Questa
vita soprannaturale dopo la morte, è normale, per i cinesi, e spiega la
presenza, nelle tombe antiche, di tutto un ricco mobilio funerario, al primo
posto del quale metteremo gli illustri recipienti di bronzo, dalle forme
cosi varie a indovinate, e dal ricco ornamento enigmatico, che sono
l'orgoglio di vari musei.
Erano destinati a contenere le
offerte solide (alimenti), e liquide (principalmente vino), fatte agli
spiriti degli antenati.
Pur evolvendosi, questo rituale in
onore degli antenati si è conservato net corso dei millenni, assumendo una
forma pubblica nei templi, o privata nelle case, che possedevano tutte,
nella zona più nobile e più centrale, un altare familiare eretto in
loro onore. In questi templi o oratori privati, si ponevano, vicino ai
paramenti d'altare (vasi, piccoli candelabri, incensieri, brucia-profumi...)
delle tavolette lunghe (una trentina di centimetri) o delle assicelle di
legno dipinto, che recavano in grossi caratteri dorati la data di nascita e
il nome del defunto, preceduta dalla formula: "Sede dello spirito
di...". All'esatto momento del decesso, si aveva avuto immediatamente
cura di portare, sulla tavoletta, delle macchioline di sangue sacrificale,
nei punti che si supponevano corrispondere agli occhi e alle orecchie. Con
questo gesto, si riteneva che lo spirito venisse a risiedere nella
tavoletta.
Davanti a queste tavolette,
innalzate su altari, si celebravano i riti, in certi giorni determinati, e
in particolare alle feste del Qingming e del Zhongqiu, in
primavera e in autunno; il 5 aprile (alla fine della 2a luna), il 15
della 7a luna, e il 1° della 10a luna, ognuno doveva andare a pulire e
bagnare le tombe dei suoi congiunti.
Un tempo il rituale davanti alle
tavolette era più complicato e il capofamiglia doveva prepararsi con molto
anticipo per questa occasione: trascorreva sette giorni fuori dagli
appartamenti, in ritiro, poi altri tre giorni, confinato a casa propria, in
solitudine totale, digiunando, dedicandosi a esercizi spirituali in
un'attesa colma d'ansia, concentrandosi sul ricordo e sulla vita passata dei
suoi antenati, alla ricerca di quello che era stato il loro modo d'essere, o
degli obiettivi significativi che avevano potuto avere e che forse erano
state dimenticati. Alla vigilia della cerimonia, ci si accertava della
purezza delle future vittime sacrificali (capra, capretto, maiale...)
versando loro del vino nell'orecchio; era essenziale che l'animale
dimostrasse fastidio, agitando febbrilmente la testa.
Infine, arrivato il mattino, la
famiglia si riuniva, si prostrava al suolo, davanti all'altare, offriva vino
misto a sangue e peli dell'animale recentemente immolato, nonché frutta,
dolci e tessuti. Sulla soglia dell'abitazione si bruciavano fogli di carta
d'oro e d'argento. Sulle tombe e nei templi si bruciavano carte ritagliate a
forma di lingotti d'oro e d'argento, o a imitazione di banconote e monete.
Nella Dimora delle Ombre, si
riteneva che gli Spiriti disponessero dell'essenza di questi doni (o del
loro fumo!) e se ne rallegrassero. È sempre nella stanza degli antenati, e
dopo un lungo digiuno, che si annunciavano loro, seguendo un apposito
cerimoniale, le nascite, gli esami superati, i matrimoni e i decessi
sopravvenuti all'interno della famiglia. Infine, sempre con la stessa
deferente solennità, si celebravano gli anniversari di nascite o morti.
Questa solidarietà tra le
generazioni, così profonda, in Cina, una "religione del patto"
come dice René Grousset (La Chine et son Art), ci rimanda alla
religione agraria che rifletteva un patto di concordanza tra la Terra e il
Cielo, tra il Re terrestre e il Sovrano celeste, per il massimo profitto
delle semine e dei raccolti. "Nel culto ancestrale, un tacito patto
legava in tal modo l'antenato ai suoi discendenti incaricati di nutrire la
sua anima, di "ricaricarla" per mezzo di cibi sacrificali e di
attenzioni, per garantirne la sopravvivenza. In compenso, o in cambio (!),
l'anima si occupava della protezione e della buona sorte della famiglia.
Dimenticare di nutrire, di alimentare, di evocare l'anima dell'antenato,
significava spezzare la catena e condannare quest'anima a condurre
un'esistenza miserevole di fantasma abbandonato, di spirito errante (wei)
ormai pronto a vendicarsi in ogni modo. La Città delle Vittime, o
Città dei Morti ingiusti, era la residenza delle anime che si trovavano
private di questo necessario culto ancestrale, per mancanza di una
discendenza maschile incaricata di svolgere il rituale, o in seguito a
negligenza, o per essere morti lontano o essere stati privati della
sepoltura.
Le anime multiple
A
questo punto è indispensabile fare una precisazione riguardante il passato.
Di fatto, originariamente, i cinesi dei tempi feudali non pensavano di
essere dotati di un'unica anima (o anche di un'anima unificata), ma di anime
diverse, multiple, che suddividevano secondo i due gruppi di categorie Yin e
Yang. L'insieme dell'anima Yin si chiamava Bo nel corso della vita
sulla terra, e gui, dopo la morte, quando aveva avuto luogo la
separazione, il disgiungimento delle vane anime. Composta di sette anime
vegetative, animatrici del corpo umano e del sistema sanguigno,
quest'anima post-mortem gui era di natura inferiore. In compenso
l'insieme dell'anima di genere Yang, d'essenza prettamente ideale, si
chiamava Hun, durante la vita, poi Shen, dopo la morte; era
un'anima-respiro, un'anima superiore. Gli Shen, "Divinità del
Cielo", formavano l'aristocrazia degli spiriti celesti, mentre
all'altra estremità del mondo degli spiriti, si radunavano i gui (o
prêta, in sanscrito), i mani, spiriti terrestri, demoni-volpi,
abitanti della tenebrosa e infernale dimora delle Nove Fonti, o Fonti
Gialle, i bassifondi dell'universo post mortem! Si riteneva che i gui
vi si recassero, ma si dava il caso che molti di loro non avessero ancora
esaurito sulla terra la vitalità che possedevano al momento della morte
dell'involucro carnale, e si trovavano quindi costretti a errare
pietosamente ancora per un po' di tempo, famelici, e così facendo non
mancavano di tormentare i loco congiunti o di infestare i cimiteri.
Paul Claudel, console a Fuzhou, nel
1899, abitava sulle colline riservate ai morti, e ha raccontato le paure del
suo personale, che per nulla al mondo sarebbe uscito di casa una volta scesa
la notte. Tutti erano terrorizzati dai gui.
Nella sua autobiografia, anche Pu Yi
(1906-1967), l'ultimo imperatore, ci riferisce come fossero superstiziosi
gli eunuchi, e racconta che nella Città Proibita, quando scendeva la notte,
ognuno si barricava in casa propria: "Un silenzio popolato di spettri
pesava allora sulla Città Proibita, e la sera non osavo più uscire dai
confini della mia stanza. Avevo l'impressione che una folla di fantasmi si
fosse riunita davanti alla finestra per spiarmi". Inomma, i gui
erano il terrore di tutti.
Soltanto funerali perfetti dal punto
di vista rituale consentivano alle anime Hun di raggiungere
direttamente il Cielo e, una volta lassù, di poter diventare Shen,
e alle anime Bo di scomparire negli abissi infernali delle Fonti Gialle, regno
oscuro, umido e silenzioso. Quando i funerali venivano contrastati oppure
non si svolgevano secondo le regole, o peggio ancora, il cadavere non
riceveva una degna sepoltura, allora si scatenavano disastri e sventure: le
anime vegetative (i gui) non finivano più di errare sulla terra, in
cerca di tregua, e infestavano i luoghi e le abitazioni in cui avevano
vissuto un tempo, spiando i bambini ancora indifesi, o gli anziani parenti
del defunto, bramosi di infiltrarsi nei loro corpi per tentare così di
tornare in vita.
Anche quando, in seguito,
gradualmente, i cinesi si convinceranno di avere in effetti soltanto
un'unica anima, continueranno sempre a credere nell'esistenza degli spiriti gui;
secondo le loro superstizioni, cinque animali facevano volentieri da tramite
a questi spiriti tormentatori. Oltre alla volpe già citata, il serpente, il
topo, la donnola e il porcospino formavano il temibile quintetto che aveva
saputo scoprire il segreto dell'immortalità. Possono trasformarsi in geni gui
e acquisire in tal modo facoltà soprannaturali, come adottare un
aspetto umano, particolarmente durante i quarant'anni che dura la loro
metamorfosi in geni immortali. Tra le varie divinità della Città Proibita,
Pu Yi afferma che tali spiriti-animali "godevano di una
venerazione e di un rispetto molto particolari".
Anche i morti hanno uno status
Inoltre è sorprendente scoprire che
un tempo non esisteva uguaglianza, dopo la morte, e che il culto degli
antenati dipendeva strettamente, nella sua organizzazione, dall'ordine
stabilito dal sistema feudale. In armonia con questa società feudale, e a
suo modello, esisteva in effetti un vero e proprio status ufficiale dei
morti. Così la gente comune, coloro che facevano parte della "torma
del popolo" come dice Saint Simon, "alla loro morte potevano
essere soltanto dei gui indistinti", scriveva Marcel Granet (La
religione dei Cinesi, 1922). Anche il seguito merita di venir citato:
"Il Shen dei nobili di seconda classe sopravviveva per una generazione,
dopo di che l'antenato rientrava nel gruppo confuso dei gui. I nobili
di prima classe restavano Shen per due generazioni; ma rientravano per
sempre nella massa dei gui soltanto alla quinta generazione... In
sintesi possiamo dire che un alto ufficiale conservava il titolo di Shen per
tre generazioni, che diventava definitivamente gui soltanto alla
quinta generazione e che soltanto il fondatore della sua famiglia era Shen
in pianta stabile, che i signori e i sovrani erano Shen per quattro
generazioni, fatta eccezione per i loro primi antenati, che lo erano per l’eternità.
Non è affatto semplice!
Così, derivante da questi modelli
che risalivano alla società feudale, dal primo millennio a.C., si andava
radicando la consuetudine, che sarebbe continuata fino in tempi recenti, di
rendere il culto degli antenati alle quattro generazioni (o talvolta cinque)
direttamente precedenti. Il capofamiglia celebrava il culto per i suoi avi,
ma non andava oltre le quattro (o cinque) ultime generazioni. Le lore
tavolette erano disposte a quadrato nel tempio domestico, e i nomi di queste
persone scomparse non potevano essere dati ai bambini della famiglia,
finché veniva conservata nell'oratorio la tavoletta di un avo. Naturalmente
l'aggiunta di una nuova tavoletta provocava il ritiro della più vecchia, e
in tal mode si poteva disporre del nome ormai libero del trisavolo
eliminato. Così la catena familiare non veniva interrotta e, grazie al
culto degli Antenati, lo spirito familiare si trovava ad essere solidamente
confortato e rafforzato.
Una delle funzioni essenziali della famiglia era
dunque quella di perpetuare tale culto. Del resto tale compito ricadeva sul
capofamiglia ancora vivo che era, naturalmente, un potenziale antenato.
Perciò, perfino in vita, a quest'ultimo veniva tributata una calorosa e
deferente pietà filiale. Questa venerazione per i nonni che stavano
invecchiando e per i bisnonni, in Cina fu uno dei dogmi sociali più
costanti e tenaci; in particolare rafforzava la solidarietà familiare,
fattore di stabilità, nel campo della morale. Si capisce dunque come questo
culto riguardasse allo stesso modo i vivi e i morti e non avere figli veniva
considerata una vera tragedia, un disastro morale e religioso.