Nel 1960 Zhang Xianliang era un poeta di ventiquattro anni. Da due anni si trovava in
un «campo di rieducazione attraverso il lavoro» nella Cina nord-occidentale per il fatto
di essere un letterato, un intellettuale, un «nemico del popolo». La carestia, effetto
delle disastrose pianificazioni produttive degli anni cinquanta, stava mietendo milioni di
vittime in tutto il Paese, ma Zhang trovò la forza di scrivere un diario: «Usai la penna
per sopravvivere. Scrissi negli interstizi, nelle crepe del tempo, quando non lavoravo nei
campi. Scrivendolo, la prima cosa a cui pensavo non era ciò che era accaduto in una data
giornata, né i pensieri degni di nota. Al contrario, pensavo anzitutto agli avvenimenti e
ai pensieri che non dovevo assolutamente registrare». Ma quelle scarne
annotazioni, accuratamente autocensurate, hanno aiutato il loro autore a sopravvivere. E
oggi Zhang ha potuto raccontare tutto ciò che, allora, aveva lasciato fra le righe.
Lorrore, la pietà, lironia disperata e la forza del racconto sono tali che il
lettore occidentale pensa subito a classici come Memorie da una casa di morti di
Dostoevskij, Una giornata di Ivan Denisovic di Solzenicyn e Se questo è
un uomo di Primo Levi. Ma se la testimonianza di Zuppa derba è unica, è
per il fatto di descrivere uno dei più sottili orrori che luomo sia capace di
immaginare: il lavaggio del cervello.
Il giovane Zhang, assieme a vecchi studiosi e rinomati scrittori, viene gettato fra
delinquenti comuni in un inferno senza sbarre, dove gli strumenti di tortura si chiamano
fame, autocritica e delazione. Un inferno da cui nessuno osa fuggire perché ha talmente
interiorizzato il senso di colpa da credere di meritarsi condizioni di vita al di là
dellimmaginabile: un giaciglio largo trenta centimentri per dormire, un lavoro
massacrante dallalba alla sera, insulti e umiliazioni come terapia di
riabilitazione, la perdita di qualunque individualità e, come cibo, una tazza di zuppa
derba dei cmapi annacquata.
Come conservare la propria umanità, in queste condizioni? Gli intellettuali come Zhang
potevano fare bella mostra del proprio eloquio nelle riunioni periodiche in cui ci si
accusava a vicenda, magari appigliandosi a confidenze o frasi pronunciate sovrappensiero
dal prorpio vicino. Ma il pensiero dominante di tutti questi ex letterati, verso i quali
Zhang non mostra alcuna tenerezza o orgoglio di casta, era uno solo: la fame. Una fame
assillante, ossessiva, che non solo portava a superare qualsiasi ripugnanza (topi e rospi
diventano i piatti più ricercati), ma spegneva ogni residuo di sensibilità. Nessuno
pensava più ai propri familiari, nessuno cercava più amicizia e solidarietà nella
disgrazia: lunica cosa che importava era che le spartizioni della zuppa fossero
eque, che nessuno, che nessuno ottenesse un filo derba più degli altri.
Ma ciò che sconvolge ancora di più è che questa fame possa essere stata pianificata
dallalto: come spiega a Zhang un detenuto musulmano, «impedire che i cinesi abbiano
lo stomaco pieno; fategli patire la fame e nel giro di qualche anno non solo le persone,
ma anche i cani saranno rieducati. Nemmeno uno oserà rifiutare di prostrarsi davanti al
presidente Mao».
Zhang Xianliang è nato in Cina nel 1936. A ventun anni è stato
mandato in un «campo di rieducazione attraverso il lavoro». Dopo ventidue anni di
prigionia, è stato «riabilitato» nel 1979. Da allora si è affermato come una delle
voci più originali della letteratura cinese. In inglese sono stati tradotti Half of
Man is Woman e Getting Used to Dying.