LE STAGIONI BLU
L'OPERA DI WANG WEI PITTORE E
POETA
Autore |
Wang Wei |
Editore |
Luni, Milano |
Prima edizione |
1994 |
Pagg. |
318 |
Traduzione (dal
francese) e a cura di |
Lidia Bonomi |
Titolo originale |
Les saisons bleues - L’œuvre de Wang Wei poète et
peintre |
Wang
Wei (701-761 d.C.) è considerato, insieme a Li Bai e Du Fu, uno dei massimi
poeti cinesi; le sue poesie vengono qui tradotte e raccolte nella loro totalità
per la prima volta in lingua occidentale, da Patrick Carré. Appartengono alla
raccolta anche due prose: la Lettera
dalla montagna a Pei Di, pervasa d’afflato lirico, e Il segreto della Pittura, in cui viene espressa l’essenza della
pittura paesaggistica a inchiostro, detta del Sud, di cui Wang Wei fu
l’iniziatore e il maestro. Benché la sua opera pittorica non ci sia pervenuta
egli tuttavia è considerato il massimo pittore cinese, ideatore di quella
scuola pittorica che considerava il colore come secondario, mettendo la primo
posto la “sintetica trasposizione” e graduando le tonalità ottenibili con
l’inchiostro nero. È tramite le sue poesie che possiamo farci un’idea della
sensibilità artistica di Wang Wei poiché, come dice Su Dongpo “le sue poesie erano quadri, e i suoi quadri
poesie”. Wang Wei ebbe una percezione assoluta della natura: nelle sue
poesie, che sono paesaggi del cuore, egli riuscì a esaltare l’intima adesione
tra il “sentire” la natura e le emozioni da essa suscitate nel suo cuore di
poeta.
Tutta
la sua opera è pervasa dal dilemma tra il ritirarsi sulla montagna, inteso non
come fuga ma come distacco dalle cose terrene per una ricerca di sé, della
propria integrità nella vacuità del tutto, secondo la dottrina chan (zen) cui il poeta fu iniziato
dalla più tenera età, e l’impegno civile. Wang Wei infatti per buona parte
della sua vita ricoprì incarichi a corte, subendo le alterne vicende di questa,
e in alcune poesie ci offre uno spaccato della vita e delle cerimonie di corte
della Cina classica d’epoca Tang (618-905 d.C.), quando la funzione
civilizzatrice dell’Impero era in espansione verso la barbarie d’Occidente e
stabiliva contatti col Giappone.
Se
le poesie paesaggistiche rendono Wang Wei poeta universale, quelle di corte,
per i continui riferimenti a un mondo particolare, richiedono un commento che
il traduttore Patrick Carré, basandosi sull’edizione d’epoca Qing dell’opera di
Wang Wei redatta dal commentatore Zhao Qiancheng, come un testo nel testo,
fornendo una piccola enciclopedia di aneddoti della Cina dell’epoca. Dice Carré
nella sua introduzione:
“...La
lingua di Wang Wei, al di là della sua semplicità, non è di quelle che si
padroneggiano al minimo sforzo. Che dire di questa poesia la cui sottigliezza
scoraggia il commento? Che essa esprime il mistero d’uno spazio che è per
antonomasia quello del paesaggio cinese... ch’essa fa cantare montagne e brume,
alberi e rocce, torrenti e fiumi... ch’essa emana una sottile tristezza che si
compiace volentieri della sua amarezza... ch’essa innalza una sottile tristezza
che si compiace volentieri della sua amarezza... ch’essa innalza l’innocente
lettore ai vertici d’un piacere infinitamente raro e malgrado ciò infinitamente
intenso... In breve, ch’essa rappresenta la quintessenza dell’immaginario
cinese: una maniera discreta e meravigliosamente efficace di giocare d’astuzia
con l’indicibile”.
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