A Shanghai, negli
anni Trenta, i milionari amavano andare la sera al Cercle Sportif Français o al
Cathay Hotel, al Venus Café, al Del Monte. Scendevano dalle loro lussuose
macchine, guidata da giganteschi autisti sikh e, con le loro linde giacche
bianche impregnate di Four Roses, Old Spice e fumo di sigari filippini, si
riversavano nei night club, lieti di sperperare quattrini con irresistibili femmes
exotiques in cheongsam
verde smeraldo, con orecchini e tacchi a spillo in tinta, crème de menthe
in mano e sigaretta verde tra le labbra.
Il padre di Anna,
Joseph Schoene – villa con sette acri di terreno a Hungjao, cavalli da polo e
cuochi cinesi, ufficio a due passi dal quartiere finanziario – erano uno di
questi milionari. Non era però uno sprezzante Shanghailander, uno di
quegli stranieri (banchieri, operatori di borsa, mercanti di cotone per lo più,
spediti in Cina dalle grandi Compagnie occidentali) che non mettevano mai il
naso fuori l’International Settlement o la French Connection, le zone della
città in cui non erano soggetti alle leggi cinesi.
Joseph Schoene amava
visceralmente Shanghai. Ne conosceva ogni via e ogni angolo: dal Bund, la
grande arteria lungo il fiume dove si scaricavano merci di ogni tipo e i
marciapiedi brulicavano di ogni sorta di ambulanti, ai vicoli più angusti dove
i mendicanti se ne stavano rannicchiati nelle rientranze dei portoni a chiedere
qualche spiccioli con il drago. L’odore acre del Bund, quel misto di pesce,
rifiuti e fumo proveniente dai bruciatori a carbone delle navi, dai cotonifici
e dalle centrali elettriche, apparteneva alla vita di Schoene esattamente come
lo Chanel No. 5 di Geneviève, la sua bellissima moglie, o il profumo di
gelsomino della piccola Anna…
Storia che,
attraverso la voce narrante di una figlia, ci restituisce l’avventura di un
padre capace di sperperare «più denaro di quanto molti guadagnano in numerose
vite», Mio padre danzava a Shanghai è un romanzo attraversato, come la
metropoli che descrive, dai contrasti più inconciliabili. Lusso e miseria,
grazia e indigenza, amore e tradimento, passione e risentimento alimentano le
sue pagine, che scorrono lievi e avvincono inesorabilmente finché, com’è stato
scritto, «quando meno uno se l’aspetta, spezzano il cuore».
Bo Caldwell ha lavorato a lungo per il Washigton Post Magazine.
Nata nel 1955 a Oklahoma City, ha insegnato scrittura alla Stanford University
e ora vive in California. Mio padre danzava a Shanghai è il suo primo
romanzo, accolto al suo apparire da una grande successo di pubblico e di
critica.