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LI SAO


Autore Li Yü
Editore Pierluigi Lubrina, Bergamo
Prima edizione aprile 1989
Pagg. 102
Traduzione (dal cinese) e introduzione di Vilma Costantini
Titolo originale Li sao
Note Testo originale a fronte

Il Li sao (Incontro al dolore) è un poemetto di 185 distici, più un congedo. Fu composto fra il IV e il III secolo a.C:, ed è la prima opera in versi attribuita a un singolo autore. Fa parte di una raccolta di 17 composizioni, col titolo di Chu ci (Parole di Chu), messa insieme da Wang Yi, letterato del II secolo.
Durante il periodo dei Regni Combattenti, il principale rivale dello Stato di Qin era il principato di Chu. Era questo un principato un po’ fuori della comunità cinese, avendo una particolare civiltà: i suoi costumi, i suoi culti, la sua lingua non erano i medesimi di quelli dei principati centrali. In questo singolare paese nacque il più grande poeta dell’antichità cinese, Qu Yuan. Qu Yuan visse, secondo le date tradizionali, dal 332 al 295; secondo alcuni autori, dal 343 al 277. Nella lotta tra Chu e Qin il poeta che era, come quasi tutti i grandi poeti cinesi dell’antichità, consigliere e uomo di fiducia del suo sovrano, il re Huai, sosteneva la necessità di mostrarsi intransigenti con il nemico e di non accettare le sue offerte di pace. Il partito moderato spingeva invece il sovrano a più miti consigli, tentando con ogni mezzo, anche il più subdolo, di screditare il poeta. Vittima di un complotto, Qu Yuan cadde in disgrazia e fu allontanato dalla corte provando un grandissimo dolore. Fu poi richiamato dopo la sconfitta subita dalle armate di Chu a opera di Qin, ma neanche la fine ingloriosa di re Huai potè rendergli giustizia agli occhi del successore. Cadde nuovamente in disgrazia e venne nuovamente esiliato. Sopraffatto dal dolore si uccise gettandosi nel fiume Milo. I Cinesi dedicarono alla sua memoria una delle loro feste più belle, la festa delle barche drago (duanwujie), al 5° giorno del 5° mese lunare.
Nel Li sao il poeta parla in prima persona, e comincia con una sorta di autobiografia, con esplicite lodi alle proprie qualità e virtù. Racconta poi di intrighi e calunnie, in séguito alle quali ha perduto la fiducia del suo sovrano. Segue il lamento per l’ingiustizia subita, con molti riferimenti storici e mitologici. Nella seconda parte, egli narra il suo viaggio immaginario verso il cielo, portato da un drago bianco e da una fenice. Prima è la ricerca di un dio, di dee, senza successo; la consultazione di un’indovina, di un indovino; poi la ripresa del viaggio, fuori del suo paese verso terre lontane, nell’estremo Occidente. Ma quando sta per salire nel cielo più alto, scorge in basso il suo paese, e non ha più la forza di proseguire: "Manca il cuore al cocchiere, i cavalli esitano, voltano la testa e rifiutano di proseguire". Segue il congedo: "Basta! Paese senza uomini, chi potrebbe capirmi? Perché tendere ancora alla città natale? Se non posso operare per il buon governo, raggiungerò Peng Xian là dov’egli sta". Nell’interpretazione tradizionale, fondata principalmente sulla biografi di Qu Yuan nello Shiji di Sima Qian, il viaggio simboleggia la ricerca (frustrata) di un principe o di un uomo di governo giusto, dopo le delusioni subite. Finché, disperato, il poeta decide di annegarsi nel fiume, seguendo l’esempio antico di un leggendario Peng Xian.

 

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