CINESERIA
Autore |
Francesco Morena |
Editore |
Centro Di, Firenze |
Prima edizione |
2009 |
Pagine |
328 |
N. ISBN |
978-88-7038-450-5 |
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A quasi cinquant’anni di distanza dall’uscita del fondamentale volume di Hugh Honour dedicato alla diffusione della cineseria in Europa, questo libro, curato con passione da Francesco Morena, ha il pregio di mettere a fuoco – avvalendosi anche delle ricerche condotte in questi ultimi tempi da vari studiosi – la fortuna critica che quella corrente di gusto ebbe in Italia soprattutto a partire dal XVI secolo fino al Settecento, allorché le opere d’arte orientali, già degli interessi collezionistici di principi e sovrani, divennero oggetto di originali interpretazioni elaborate dagli architetti e dagli ornatisti di tutta l’Europa.
Inoltrarsi dunque nella lettura del nuovo lavoro di Morena – ormai accreditato esperto delle manifestazioni artistiche dell’estremo Oriente e profondo conoscitore degli oggetti provenienti da quelle civiltà in varie epoche storiche e oggi conservati nelle nostre collezioni pubbliche – vuol dire intraprendere un viaggio suggestivo in mondi lontani nel tempo e nello spazio, che inizia nel Medioevo e nel Rinascimento per continuare nel Cinquecento, quando le citazioni riprese dalla pittura cinese furono spesso associate a elementi decorativi tratti dall’arte indiana e islamica: è il caso degli artigiani veneziani che, nonostante le cospicue importazioni di porcellane e sete dalla Cina, proprio durante gli anni centrali del XVI secolo produssero arredi sontuosi interamente rivestiti di ornati policromi in lacca e oro che rammentano prototipi dell’India e della Persia, oppure cosparsi di fitti intarsi in avorio e madreperla disposti a coprire tutte le superfici lignee secondo un disegno che, alternando a un’ornamentazione geometrica elementi floreali, si avvicina agli ornati dei tappeti turchi e alle maioliche Iznik. Durante questo secolo, e per una parte di quello seguente, analoghi decori furono dipinti con dovizia sulla mobilia delle residenze dei granduchi di Toscana e sulle ceramiche, soprattutto sul vasellame fabbricato nella particolare pasta, detta “porcellana medicea”, all’interno della fornace creata per volere di Francesco I nel casino di San Marco a Firenze. Ma è durante il Seicento, grazie anche ai più assidui scambi commerciali tra l’Europa e l'Oriente e alle sempre più frequenti missioni organizzate dalla Chiesa, che l’interesse verso l’arte cinese, sfrondata da ogni richiamo alla civiltà ottomana e indiana, si consolida sempre più nella cultura occidentale favorendo, oltre al collezionismo privato, anche la diffusione di testi a stampa sugli usi e costumi e sull’architettura della Cina, spesso corredati da incisioni che saranno la principale fonte di ispirazione per gli ornatisti del XVIII secolo.
Dopo queste premesse Francesco Morena, prima di addentrarsi nella trattazione dei molteplici sviluppi che la cineseria ebbe in Italia nel Settecento, espone in un breve capitolo la diffusione del gusto in Europa: anche se il lettore aveva già a disposizione la grande quantità di notizie raccolte nel volume di Honour, l’intervento di Morena contribuisce ora a far meglio capire i fitti intrecci di scambi culturali e artistici avvenuti durante quel secolo dominato dalla fervida circolazione delle idee avvenuta attraverso di viaggi di nobili conoscitori ed eruditi e la crescente pubblicazione di testi a stampa corredati da ricchi repertori illustrati.
Grazie allo stile rocaille elaborato alla corte di Francia le cineserie divengono infatti moda internazionale, passando ben presto dalla mera decorazione degli arredi alla pittura e all’architettura, investendo anche la natura stessa del paesaggio con la creazione, in Inghilterra di giardini dove la regolarità dell’impianto rinascimentale cedeva il passo a una più libera disposizione delle colture. Ed è proprio all’interno dei parchi settecenteschi che si assiste alla creazione di veri e propri edifici intesi a emulare le costruzioni cinesi, non solo nelle decorazioni ma anche nella struttura dei padiglioni. Come avverte Andreina Griseri, sono questi gli anni durante i quali il gusto delle corti italiane tende sempre più ad abbandonare la pompa barocca degli interni decorati con stucchi e pitture allegoriche: il fasto solenne delle “metafore animate” cedeva infatti il passo all’immaginazione, alla trama sottile e sempre variata degli ornati, alla libera rappresentazione degli amori degli dei, al racconto fantastico di civiltà lontane le cui usanze, come nel caso della Cina, si cercano di far rivivere attraverso la moda, gli svaghi e, appunto, l’architettura. D’ora in avanti non ci sarà palazzo che non possieda almeno un ambiente decorato con cineserie o parco degno di nota senza un edificio, un ponte o una ghiacciaia che non ricordino le architettura cinesi.
Gli oggetti d’arte orientale, prima esibiti nelle Wunderkammern come rarità collezionistiche, entrano a far parte della vita quotidiana inseriti negli intagli delle boiseries, come fece in Piemonte Juvarra, o montati in raffinati bronzi dorati e, nel contempo, stimolano l’emulazione delle loro forme capricciose da parete di artigiani e decoratori che riusciranno a creare straordinari oggetti, frutto di una fantasia ormai liberata da ogni vincolo stilistico. È il trionfo dell’asimmetria, della sregolatezza, della linea sinuosa, che spesso procede a sbalzi, come un discorso spesso interrotto e poi ripreso con sempre maggior vivacità. I canoni compositivi derivati dallo studio dei classici, cedevano il passo alla libertà creativa dell’artista, chiamato a soddisfare le mutevoli e spesso bizzarre richieste della committenza d corte cui presto si affiancheranno le esigenze di aggiornamento dell’aristocrazia. Come in un “sublime artificio” questi esotici interni realizzati per buona parte del Settecento con i loro dipinti, gli stucchi dorati e la mobilia intagliata, riescono a suscitare in noi, ancora oggi, il piacere di essere trasportati di meraviglia in meraviglia in un favoloso Oriente dove i confini tra la realtà e l’illusione si annullano nel gioco equivoco delle immagini riflesse dagli specchi.
Se dunque il Rococò fu lo stile che più predilesse l’arte cinese, anche durante il Neoclassicismo non si abbandonò del tutto la moda di costruire ambienti abbelliti con cineserie, questa volta però rilette secondo una visione più filologica e quindi maggiormente fedele alle descrizioni che dell’architettura e delle decorazioni davano i viaggiatori stranieri. Con la fine del Settecento si chiude così la vivace stagione della cineseria in Europa, poiché nei primi anni del secolo seguente gli esegeti dello stile Impero saranno infatti più interessati al recupero dei fasti esoterici dell’antico Egitto, mentre durante la Restaurazione l’effimero revival del gusto neorococò per le cineserie sarà ben presto soppiantato a favore, in un primo tempo, degli ornati tratti dal mondo arabo, per passare, verso la fine del secolo, alla moda per l’arte giapponese.
Incentrando il suo studio sul XVIII secolo, Francesco Morena ha potuto così analizzare a fondo le varie manifestazioni della cineseria in Italia prendendo in esame, oltre ai più significativi interni ancora oggi presenti negli ex palazzi reali, anche tutta la vasta produzione di oggetti di arredamento – lacche, porcellane, maioliche, vetri e stoffe – assai ricercata in Europa da sovrani e colti collezionisti. Non era facile ricostruire una storia della cineseria in Italia dopo gli autorevoli studi sopra ricordati, ma gli scandagli gettati da Morena entro il complesso tessuto del secolo hanno fruttato nuovi contribuiti affidati ai corposi capitoli del libro, ciascuno dei quali offre un panorama esauriente della situazione italiana che l’autore, forte della sua conoscenza delle fonti bibliografiche, è riuscito a ricostruire in maniera sintetica tracciando nello stesso tempo l’evoluzione di un gusto che permeò a fondo la civiltà del secolo dei Lumi.
Enrico Colle
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