«Ni hao!»: i bambini congolesi salutano gli
stranieri in cinese, perché gli stranieri ormai sono tutti cinesi.
Sono gli abitanti di un nuovo continente chiamato Cinafrica, nato
dall'unione di mondi apparentemente inconciliabili, per storia e
tradizione, ma tenuti insieme da uno scenario economico che non ha
precedenti.
In cerca di petrolio e materie prime per nutrire
un'espansione inarrestabile, Pechino si è lanciata alla conquista
dell'Africa, che attendeva da troppo tempo una rinascita postcoloniale.
E per i cinquecentomila cinesi che vi si sono riversati il continente nero è la promessa di un Far West del
ventunesimo
secolo. Alcuni hanno già fatto fortuna, altri vendono ancora
paccottiglia ai bordi delle strade infuocate dei paesi più poveri del
mondo.
Per gli africani è forse l'evento più
importante dei loro quarant'anni d'indipendenza. I cinesi non
assomigliano agli ex coloni. Seducono i popoli perché costruiscono
strade, dighe e ospedali, e i dittatori perché non parlano di
democrazia o trasparenza.
Come stanno mutando i ritmi e i costumi del
continente? Quali benefici e quali problemi pone questo nuovo capitolo
della globalizzazione?
Lungo le ferrovie dell’Angola, nelle foreste
del Congo e nei karaoke in Nigeria, Serge Michel e Michel Beuret,
insieme al fotografo Paolo Woods, hanno percorso quindici paesi sulle
tracce dei cinesi arrivati in Africa e di un nuovo mondo abitato da
imprenditori pionieri e lavoratori sfruttati, da progresso e
contraddizioni. Dalle campagne impoverite nel cuore della Cina alle
poltrone in cuoio dei ministri africani, gli autori ci raccontano
l'avventura dei cinesi partiti per costruire, produrre e investire in
una terra che per l'Occidente è ormai condannata a ricevere solo aiuti
umanitari.
Serge Michel è corrispondente per Le
Monde dall'Africa occidentale; nel 2001 ha ricevuto il premio
giornalistico francese Albert Londres.
Michel Beuret è caporedattore esteri della rivista L'Hebdo;
negli ultimi anni si è dedicato a reportage da Cina e Africa.
Paolo Woods, fotografo, ha vinto nel 2004 il World Press Photo
Award per i reportage in Iraq.