Da qualche anno in Italia i media si stanno interessando alla Cina come grande potenza internazionale, anche grazie al peso sempre maggiore che questo grande paese sta assumendo in un
contesto mondiale di crisi economica. Eppure, nonostante l’insolita quantità di articoli su quotidiani, numeri monografici di riviste, servizi e reportage in televisione, possiamo dire di aver raggiunto
un livello di conoscenza accettabile del fenomeno Cina? La risposta è probabilmente ancora negativa, anche perché spesso giornali e televisioni tendono a presentare gli aspetti più insoliti della realtà
cinese, dando un’immagine di un paese monstrum, soprattutto in riferimento alle dimensioni, alla popolazione, alle performance economiche, in generale a un non meglio identificato senso di mistero che
aleggerebbe, nel bene e nel male, intorno al Paese di Mezzo. Buona parte di questa sensazione di alterità deriva sicuramente dalla lingua cinese, la quale sembra incarnare metaforicamente tutte le
asprezze di un paese non più troppo lontano in questa epoca di aerei dai prezzi abbordabili, ma ancora troppo “diverso” e troppo poco malleabile da meritare lo status di paese “normale”. In effetti,
ciò che comunemente si dice di una lingua spesso lo si riferisce anche al popolo che tale lingua parla. Ecco allora affacciarsi alla mente immagini pregiudizievoli di una lingua impossibile, rappresentata
da una scrittura misteriosa all’interno di un sistema di regole altrettanto misteriose, per quanto affascinanti. Tutto si può dire della lingua cinese, ma forse solo un aspetto rimane ancora trascurato:
è ormai tempo che al fascino subentrino la conoscenza, lo studio, la reale vicinanza, nella certezza che esse porteranno con sé, metaforicamente, una maggiore comprensione del paese Cina. Di tutti i
pregiudizi sulla lingua cinese, il più radicato è quello secondo cui essa è talmente difficile da non poter essere imparata. La lingua cinese, è vero, non si basa su un sistema di scrittura alfabetico,
ma su un alto numero di caratteri (hanzi) dotati di significato, corrispondenti a sillabe da un punto di vista fonetico, che, combinandosi tra loro, danno luogo a un lessico tanto articolato quanto
affascinante. Tuttavia non esistono caratteri così difficili che non possano essere imparati da chiunque con una minima dose di studio quotidiano, lo stesso studio che altre lingue richiederebbero per
l’apprendimento della grammatica, che invece nella lingua cinese, priva di coniugazioni verbali, genere, numero, articoli ecc., è, specie al livello base, molto più facile di altre lingue alfabetiche.
I caratteri non sono misteriosi ideogrammi avvolti di un’aura magica (anche se, da un punto di vista estetico, nella loro forma calligrafica sono considerati una vera arte, come migliaia di giovani e meno
giovani amanti dei tatuaggi sanno molto bene), ma rappresentano uno strumento linguistico che, facendo a meno della praticità, ci introduce letteralmente in un mondo “diverso” che, come tutte le cose belle
che vogliamo conoscere, richiede umiltà, costanza e, soprattutto, curiosità intellettuale. Per una volta possiamo considerare la lingua cinese non come uno strumento tra gli altri, o forse lo strumento principe,
per avvicinare con profitto il Paese oggi più corteggiato da un punto di vista economico, ma come un viatico per un’esperienza intellettuale unica, che sa coniugare regole con divertimento, in un rapporto
impegno/soddisfazione che, questo sì, si rivela altamente economico. Occorre non trascurare poi un aspetto tanto semplice quanto vero: i caratteri cinesi sono belli. E chi non ci credesse può pensare alla
lingua di un altro popolo ricco di storia, quello giapponese, innegabilmente intriso di senso pratico, come numerosi aspetti della sua cultura mettono in evidenza, ma che continua ad adottare, insieme ad
alfabeti sillabici (kana), proprio i caratteri cinesi (kanji) come base significante. E la stessa cosa succede in Corea, dove, nonostante la lingua coreana si basi su un sistema di scrittura originale
(l’hangul, in cui i caratteri corrispondono alle sillabe pronunciabili, secondo corrispondenze fonetiche fisse), i caratteri cinesi sono ancora utilizzati per i nomi personali, o per i nomi di località o
di templi. È quindi tempo che anche noi riconosciamo l’altissimo valore estetico di questi sistemi di scrittura, legato a una visione del mondo che merita di non essere più solo considerata “orientale”. |