Palmira, Tur ‘Abdin, Ctesifonte, Taq-e Bostan, Merv, Samarcanda, Ghazni, Kucha, Turfan, Dunghuang, Xi’an sono le tappe del viaggio “a Oriente”, attraverso le affascinanti e leggendarie Vie della Seta, tra il II secolo a.C. e il XIV secolo. Un viaggio avvolto dalle luci e dai silenzi imponenti delle terre d’Oriente, dove gli uomini e le carovane furono sospinti, oltre che da impulsi mercantili, anche dalla sete dell’ignoto e dagli aneliti missionari.
La mostra “a Oriente. Città, uomini e Dei sulle Vie della Seta” - dal 21 ottobre 2011 al 5 febbraio 2012 a Roma negli spazi delle grandi Aule delle Terme di Diocleziano, eccezionalmente aperte per questa occasione dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma - si avvale della consulenza scientifica dell'IsIAO e della cura scientifica di Francesco D'Arelli e Pierfrancesco Callieri.
Sulla traccia di una mappa cinese dell’inizio del XVI secolo – esposta per l’occasione in assoluta prima mondialedopo essere stata rinvenuta e acquistata in Giappone nel 2002 da una società d’asta di Pechino – la mostra mira a rappresentare la ricchezza dei luoghi, delle genti e delle credenze religiose lungo le Vie della Seta.
Introduzione alla mostra “a Oriente”
Francesco D’Arelli e Pierfrancesco Callieri
A Oriente è
il senso di un orientamento, di un orizzonte in movimento, di un viaggio
reale e favoloso, che attraversa città, incontra uomini, rianima tracce
impresse e trascorse, rivela destini passati di popoli e civiltà,
disvela ovunque la presenza fugace del Dio celato nel nome di dèi
diversi. E ciò come se fosse tessuto da infiniti fili, i più svariati
e colorati, tutti però tesi e sorretti dalla stessa essenza: la seta.
Vie dunque della seta o forse meglio fili di seta che si dipanano per
disperdersi e poi ritrovarsi in una gioiosa comunione.
La lucente morbida seta è da sempre il
tessuto più ambìto. Nel II secolo a.C., quando i mercanti cominciarono
a trasportarla verso occidente, in Cina, l’altro estremo dell’Eurasia,
la si produceva alacremente da oltre mille anni, tanto da aver impiego
fin nella vita quotidiana.
Per esaudire l’incantevole richiesta
e per raggiungere l’Occidente, la seta percorreva migliaia di
chilometri, valicando impervie catene montuose e superando deserti senza
fine e generosi solo di insidie. Vie di terra allora, praticate per
oltre quattordici secoli, mescolando come non mai genti diverse, idiomi,
credi religiosi, idee, tecniche e beni voluttuari. Un’esperienza
sovrattutto umana, che oggi rivela d’impeto come l’odierna e tanto
persistente frenesia della globalità sia dopo tutto solo il riflesso
superficiale, consunto e sbiadito di storie profonde del passato, di
continui, reciproci e fruttuosi scambi culturali, durevoli relazioni
politiche, sociali ed economiche. E tutto ciò agevolato
inaspettatamente dalla lunghezza e asprezza dei viaggi e dal lento e
placido trascorrere del tempo.
La storia, che qui si racconta, si
distende dal II secolo a.C. al XIV in una trama complessa, in un
intreccio variegato di vie, giacché solo le vie come le vite degli
uomini iniziano e finiscono, sono un ordito perenne, ove, come la seta e
ogni suo filo, il singolo riluce nella fitta universale trama. Si
dipana, questa storia, nel tempo e nello spazio: raggiunge e supera
splendide città (Palmira, Ctesifonte, Taq-e Bostan, Merv, Samarcanda,
Ghazni, Kucha, Turfan, Dunhuang e Chang’an) e differenti regioni (Tur
‘Abdin e Swat) e ovunque per cercare e trovare i segni dell’uomo e
delle terre, quelli divenuti imperituri: tracce divine, di presenze
divine, di profeti, di predicatori, di eroi ma di uomini anche comuni,
quando animati da anelito e ardore non comuni.
Le vie, ad esempio, dei pellegrini
buddhisti avvicinarono l’India alla Cina, attraverso i passi del Pamir
e le fresche oasi dei temibili deserti del Taklamakan e del Gobi. Così
desta poco stupore il fatto che il buddhismo, originato dall’India,
secondo la vulgata nel VI secolo a.C., trovi dal III secolo a. C.
diffusione in Occidente nell’area gandharico-battriana (Pakistan e
Afghanistan), raggiungendo poi l’oriente e in particolare la Cina nel
I secolo dell’èra volgare, e da lì propagandosi e prosperando (II-XI
secolo) ovunque, grazie all’opera zelante di monaci ed eruditi.
La scorrevolezza delle vie,
spontaneamente mantenuta, quasi fosse una destinazione naturale, dai
nomadi d’Eurasia, fu vivida sino al XV secolo, cioè fino a quando l’irruenza
e la stabilità dei Mongoli e dei loro stati durarono. Una complessa
intelaiatura in cui si innestarono, in vario modo e in tempi diversi,
tantissime vie: quelle degli intraprendenti mercanti sogdiani (IV
secolo) e quelle numerose dei regni cristiani e islamici (VII secolo).
Fu un viavai non solo di uomini,
animali e merci, ma anche di tesori tecnici, ispirazioni e motivi
artistici, idee di ogni genere. Un elenco dettagliato sarebbe
lunghissimo e non meno impegnativo.
Tuttavia, rammemorare l’esperienza
della carta, la materia scrittoria per eccellenza, in un’epoca in cui
si avverte sempre più la possibilità della sua fine, offre ad ognuno l’ennesimo
esempio di una di quelle vie dipartite e ahimè prossime alla
destinazione. La carta nacque in Cina alcuni secoli prima dell’èra
cristiana, ben presto sostituendo le minute e delicate lamelle di bambù
come materia scrittoria e la più pregiata seta per la pittura.
Col buddhismo, i monaci e i missionari
la portarono ovunque nell’Asia, finanche nell’Asia centrale, ove
ebbe la ventura di imbattersi nei musulmani, all’epoca delle loro
conquiste di quelle terre, tra la fine del VII e l’VIII secolo. A
ragione, Jonathan M. Bloom notò perspicacemente, richiamando proprio
Ferdinand von Richthofen, cioè colui che coniò alla fine del XIX
secolo l’espressione “Via della Seta” (Seidenstrasse), che
sarebbe forse stato meglio denominarla “Via della Carta” (Paper
Road). È superfluo soffermarsi ancora sugli effetti e le incessanti
rivoluzioni sollecitate dalla carta nella storia delle civiltà umane.
La carta promosse lo sviluppo della stampa e il primo libro impresso su
carta non poté che essere un su\tra buddhista, il Sutra
del Diamante (Jingang jing), un rotolo datato 868 e rinvenuto
in una delle grotte di Dunhuang, nella Cina occidentale.
Di più facile produzione e più a buon
mercato, la carta sostituì anche la pergamena e il papiro, le due
materie scrittorie più diffuse nel mondo mediterraneo.
Da Samarcanda e nel breve torno di un
paio di secoli (IX-X), si aprirono cartiere a Baghdad, Damasco, il
Cairo... e Cordoba. Probabilmente in Spagna, in Sicilia e nella stessa
Italia furono alcuni cristiani ad apprendere direttamente dai musulmani
i pregi e la maneggevolezza di quella materia, tanto che nel XIII secolo
si cominciò a produrla autonomamente, prefigurando così quell’altra
rivoluzione di Gutenberg, che nel XV secolo avrebbe ancora una volta e
per secoli mutato il senso e la via del mondo!
Dalla Cina all’Italia si potrebbe
dire, per raccontare infinite altre storie di tal genere e tutte per
affermare più di prima quanto Giuseppe Tucci ebbe a scrivere oltre
mezzo secolo fa: “l’Asia e l’Europa rappresentano, fin dall’apparire
e delinearsi dei primi moti umani, un’unità così compatta che non
sembra più il caso di seguitare a discorrerne come di due continenti
distinti e separati, quasi che le vicende dell’uno si siano svolte
senza riflesso o conseguenza sull’altro. Anzi v’è fra i due tale
connessione e direi solidarietà che non si conosce avvenimento notevole
accaduto nell’una parte il quale non abbia avuto risonanze più o meno
immediate nell’altra; sicché piuttosto si dovrebbe parlare di un
continente solo, di un continente euroasiatico, nel quale fin dai tempi
antichissimi correvano da un capo all’altro le migrazioni, si
scambiavano le merci, si diffondevano le idee e venivano in contatto fra
di loro le culture più diverse, per origine e carattere”.
A Tucci è dedicata con somma gioia
questa impresa nelle Terme di Diocleziano, un crogiolo di esperienze
umane passate e presenti, che Egli avrebbe sicuramente voluto
rappresentare e che comunque conduce noi tutti dritti al sorriso
compiaciuto dei suoi occhi.
PER
APPROFONDIRE
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