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A ORIENTE. CITTÀ, UOMINI E DEI SULLE VIE DELLA SETA

Sala Mostre del Museo Nazionale Romano delle Terme di Diocleziano 
Piazza della Repubblica, Roma
21 ottobre 2011 / 26 febbraio 2012

A Oriente. Città, uomini e dei sulle Vie della seta

Palmira, Tur ‘Abdin, Ctesifonte, Taq-e Bostan, Merv, Samarcanda, Ghazni, Kucha, Turfan, Dunghuang, Xi’an sono le tappe del viaggio “a Oriente”, attraverso le affascinanti e leggendarie Vie della Seta, tra il II secolo a.C. e il XIV secolo. Un viaggio avvolto dalle luci e dai silenzi imponenti delle terre d’Oriente, dove gli uomini e le carovane furono sospinti, oltre che da impulsi mercantili, anche dalla sete dell’ignoto e dagli aneliti missionari.
La mostra “a Oriente. Città, uomini e Dei sulle Vie della Seta” - dal 21 ottobre 2011 al 5 febbraio 2012 a Roma negli spazi delle grandi Aule delle Terme di Diocleziano, eccezionalmente aperte per questa occasione dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma - si avvale della consulenza scientifica dell'IsIAO e della cura scientifica di Francesco D'Arelli e Pierfrancesco Callieri.
Sulla traccia di una mappa cinese dell’inizio del XVI secolo – esposta per l’occasione in assoluta prima mondialedopo essere stata rinvenuta e acquistata in Giappone nel 2002 da una società d’asta di Pechino – la mostra mira a rappresentare la ricchezza dei luoghi, delle genti e delle credenze religiose lungo le Vie della Seta.

Introduzione alla mostra “a Oriente”

Francesco D’Arelli e Pierfrancesco Callieri

A Oriente è il senso di un orientamento, di un orizzonte in movimento, di un viaggio reale e favoloso, che attraversa città, incontra uomini, rianima tracce impresse e trascorse, rivela destini passati di popoli e civiltà, disvela ovunque la presenza fugace del Dio celato nel nome di dèi diversi. E ciò come se fosse tessuto da infiniti fili, i più svariati e colorati, tutti però tesi e sorretti dalla stessa essenza: la seta. Vie dunque della seta o forse meglio fili di seta che si dipanano per disperdersi e poi ritrovarsi in una gioiosa comunione.

La lucente morbida seta è da sempre il tessuto più ambìto. Nel II secolo a.C., quando i mercanti cominciarono a trasportarla verso occidente, in Cina, l’altro estremo dell’Eurasia, la si produceva alacremente da oltre mille anni, tanto da aver impiego fin nella vita quotidiana.

Per esaudire l’incantevole richiesta e per raggiungere l’Occidente, la seta percorreva migliaia di chilometri, valicando impervie catene montuose e superando deserti senza fine e generosi solo di insidie. Vie di terra allora, praticate per oltre quattordici secoli, mescolando come non mai genti diverse, idiomi, credi religiosi, idee, tecniche e beni voluttuari. Un’esperienza sovrattutto umana, che oggi rivela d’impeto come l’odierna e tanto persistente frenesia della globalità sia dopo tutto solo il riflesso superficiale, consunto e sbiadito di storie profonde del passato, di continui, reciproci e fruttuosi scambi culturali, durevoli relazioni politiche, sociali ed economiche. E tutto ciò agevolato inaspettatamente dalla lunghezza e asprezza dei viaggi e dal lento e placido trascorrere del tempo.

La storia, che qui si racconta, si distende dal II secolo a.C. al XIV in una trama complessa, in un intreccio variegato di vie, giacché solo le vie come le vite degli uomini iniziano e finiscono, sono un ordito perenne, ove, come la seta e ogni suo filo, il singolo riluce nella fitta universale trama. Si dipana, questa storia, nel tempo e nello spazio: raggiunge e supera splendide città (Palmira, Ctesifonte, Taq-e Bostan, Merv, Samarcanda, Ghazni, Kucha, Turfan, Dunhuang e Chang’an) e differenti regioni (Tur ‘Abdin e Swat) e ovunque per cercare e trovare i segni dell’uomo e delle terre, quelli divenuti imperituri: tracce divine, di presenze divine, di profeti, di predicatori, di eroi ma di uomini anche comuni, quando animati da anelito e ardore non comuni.

Le vie, ad esempio, dei pellegrini buddhisti avvicinarono l’India alla Cina, attraverso i passi del Pamir e le fresche oasi dei temibili deserti del Taklamakan e del Gobi. Così desta poco stupore il fatto che il buddhismo, originato dall’India, secondo la vulgata nel VI secolo a.C., trovi dal III secolo a. C. diffusione in Occidente nell’area gandharico-battriana (Pakistan e Afghanistan), raggiungendo poi l’oriente e in particolare la Cina nel I secolo dell’èra volgare, e da lì propagandosi e prosperando (II-XI secolo) ovunque, grazie all’opera zelante di monaci ed eruditi.

La scorrevolezza delle vie, spontaneamente mantenuta, quasi fosse una destinazione naturale, dai nomadi d’Eurasia, fu vivida sino al XV secolo, cioè fino a quando l’irruenza e la stabilità dei Mongoli e dei loro stati durarono. Una complessa intelaiatura in cui si innestarono, in vario modo e in tempi diversi, tantissime vie: quelle degli intraprendenti mercanti sogdiani (IV secolo) e quelle numerose dei regni cristiani e islamici (VII secolo).

Fu un viavai non solo di uomini, animali e merci, ma anche di tesori tecnici, ispirazioni e motivi artistici, idee di ogni genere. Un elenco dettagliato sarebbe lunghissimo e non meno impegnativo.

Tuttavia, rammemorare l’esperienza della carta, la materia scrittoria per eccellenza, in un’epoca in cui si avverte sempre più la possibilità della sua fine, offre ad ognuno l’ennesimo esempio di una di quelle vie dipartite e ahimè prossime alla destinazione. La carta nacque in Cina alcuni secoli prima dell’èra cristiana, ben presto sostituendo le minute e delicate lamelle di bambù come materia scrittoria e la più pregiata seta per la pittura.

Col buddhismo, i monaci e i missionari la portarono ovunque nell’Asia, finanche nell’Asia centrale, ove ebbe la ventura di imbattersi nei musulmani, all’epoca delle loro conquiste di quelle terre, tra la fine del VII e l’VIII secolo. A ragione, Jonathan M. Bloom notò perspicacemente, richiamando proprio Ferdinand von Richthofen, cioè colui che coniò alla fine del XIX secolo l’espressione “Via della Seta” (Seidenstrasse), che sarebbe forse stato meglio denominarla “Via della Carta” (Paper Road). È superfluo soffermarsi ancora sugli effetti e le incessanti rivoluzioni sollecitate dalla carta nella storia delle civiltà umane. La carta promosse lo sviluppo della stampa e il primo libro impresso su carta non poté che essere un su\tra buddhista, il Sutra del Diamante (Jingang jing), un rotolo datato 868 e rinvenuto in una delle grotte di Dunhuang, nella Cina occidentale.

Di più facile produzione e più a buon mercato, la carta sostituì anche la pergamena e il papiro, le due materie scrittorie più diffuse nel mondo mediterraneo.

Da Samarcanda e nel breve torno di un paio di secoli (IX-X), si aprirono cartiere a Baghdad, Damasco, il Cairo... e Cordoba. Probabilmente in Spagna, in Sicilia e nella stessa Italia furono alcuni cristiani ad apprendere direttamente dai musulmani i pregi e la maneggevolezza di quella materia, tanto che nel XIII secolo si cominciò a produrla autonomamente, prefigurando così quell’altra rivoluzione di Gutenberg, che nel XV secolo avrebbe ancora una volta e per secoli mutato il senso e la via del mondo!

Dalla Cina all’Italia si potrebbe dire, per raccontare infinite altre storie di tal genere e tutte per affermare più di prima quanto Giuseppe Tucci ebbe a scrivere oltre mezzo secolo fa: “l’Asia e l’Europa rappresentano, fin dall’apparire e delinearsi dei primi moti umani, un’unità così compatta che non sembra più il caso di seguitare a discorrerne come di due continenti distinti e separati, quasi che le vicende dell’uno si siano svolte senza riflesso o conseguenza sull’altro. Anzi v’è fra i due tale connessione e direi solidarietà che non si conosce avvenimento notevole accaduto nell’una parte il quale non abbia avuto risonanze più o meno immediate nell’altra; sicché piuttosto si dovrebbe parlare di un continente solo, di un continente euroasiatico, nel quale fin dai tempi antichissimi correvano da un capo all’altro le migrazioni, si scambiavano le merci, si diffondevano le idee e venivano in contatto fra di loro le culture più diverse, per origine e carattere”.

A Tucci è dedicata con somma gioia questa impresa nelle Terme di Diocleziano, un crogiolo di esperienze umane passate e presenti, che Egli avrebbe sicuramente voluto rappresentare e che comunque conduce noi tutti dritti al sorriso compiaciuto dei suoi occhi.

PER APPROFONDIRE

   

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