1. Successi e mafan
Le Olimpiadi di Pechino sono state un successo. Pagato a quale prezzo, da chi vi ha assistito dal di fuori, è difficile valutarlo: controlli in ogni luogo, mezzi pubblici stracolmi, targhe alterne, strade chiuse,
polizia iperattiva e chissà quali altri
mafan (fastidi) hanno convinto molti pechinesi, battezzati
biyun (abbreviazione di
taobi aoyun, i fuggitivi delle Olimpiadi) ad abbandonare la
capitale
1.
Agli occhi di chi le ha vissute dal di dentro, con addosso la maglietta rossa dei dipendenti del Comitato organizzatore e al collo il cartellino (l’accredito) che è il simbolo dei privilegiati “addetti ai lavori” olimpici,
i Giochi hanno funzionato come un ingranaggio praticamente perfetto. Preciso, puntuale, infallibile. Lo hanno ripetuto per settimane, con aria preoccupata, gli osservatori inviati in Cina dai comitati organizzatori
delle prossime Olimpiadi: quelle invernali di Vancouver 2010 e quelle di Londra 2012. Tutti concordi nel sottolineare l’inaspettata efficienza dell’organizzazione cinese e nel chiedersi, con un po’ di apprensione,
come far sì che i prossimi Giochi siano all’altezza di quelli del 2008.
Impossibile – dicevano – eguagliare la qualità delle sedi di gara, che a Pechino erano spesso non solo nuove di zecca, ma anche spettacolari, soprattutto il “Cubo” (la piscina olimpica) e il “Nido” (lo stadio olimpico disegnato dall’artista-architetto Ai Weiwei). Difficile avvicinarsi alla qualità e all’impatto della cerimonia di apertura di Pechino 2008, uno spettacolo che ha impressionato e strappato applausi anche ai più critici. E impensabile ripetere quanto Pechino ha fatto nel settore dei trasporti, così efficienti e innovativi, grazie al sistema battezzato “bubble to bubble”
2, che permetteva di effettuare un solo controllo al giorno prima di essere “sigillati” all’interno degli spazi olimpici.
Per motivi di sicurezza, è infatti regola comune alle Olimpiadi la scansione delle borse e di tutti gli oggetti che si introducono negli stadi o nel Main Press
Centre
3. La procedura, a cui nessuno può sottrarsi, rischia di far perdere molto tempo agli addetti ai lavori, che spesso devono recarsi in diverse sedi di gara a distanza di poche ore. La soluzione pechinese, che ha ridotto i controlli pur senza mettere a repentaglio la sicurezza, ha suscitato fiumi di commenti positivi. Così a Vancouver e Londra ora temono che, se non saranno in grado
di replicare il sistema (per ragioni logistiche, di spazio e di costi), i giornalisti internazionali non tarderanno a farlo notare.
2. Il sorriso volontario
A preoccupare canadesi e britannici c’è poi la certezza di non poter contare su quella che si è rivelata la carta vincente dei Giochi di Pechino: il suo esercito di volontari. Sono stati loro l’anima delle Olimpiadi del 2008, il vero ponte tra l’organizzazione e i visitatori. Una folla composta da settantamila persone (soprattutto giovani e studenti
universitari)
4 provenienti da ogni parte del Paese, unite dalla passione - e dalla missione - di mostrare al mondo il volto migliore della Cina. Così disponibili. Così gentili. Così impacciati e superflui,
a volte. Ma con una tenacia e una buona volontà che non potevano lasciare indifferenti.
È anche merito loro se le Olimpiadi sono apparse un meccanismo ben oliato. Merito delle loro giornate passate a presidiare gli ingressi degli stadi, delle serate impiegate a pulire pavimenti e asciugare palloni durante le partite, dei pomeriggi a vegliare gli spogliatoi degli atleti e delle notti trascorse alle fermate degli shuttle bus. Evitare il contatto con le magliette blu (questa la divisa dei volontari, distinta da quella rossa indossata dalla “forza lavoro” assunta) era praticamente impossibile. Erano dovunque. A coppie di due per aprirti la porta all’ingresso delle venue. Schierati in tre per dirti buongiorno alla reception del “Villaggio dei media”
5. Da due a quattro, a seconda degli orari, impegnati a chiuderti lo sportello delle lavatrici nella sala
lavanderia. E poi moltiplicati all’infinito per portarti l’acqua in ufficio, indicarti la strada lungo i corridoi, rifarti il letto, soddisfare ogni tua più piccola richiesta. Più in generale, per sorridere: in obbedienza alle
regole impartite dai “manuali per i volontari” consegnati a ciascuno di loro.
Gli opuscoli sul volontario modello che il Beijing Organising Committee for the Olympic Games (Bocog) ha fornito a tutte le magliette blu erano dettagliati. Oltre ai suggerimenti su come comportarsi, ad esempio per accogliere giornalisti e visitatori, c’erano le pagine con intere frasi fatte, da imparare a memoria e ripetere come pappagalli a seconda del diverso ruolo ricoperto. Quelli arruolati per il controllo di sicurezza all’ingresso degli stadi dovevano dire: “Thank you for your cooperation”. Quelli piazzati come leoni di pietra davanti ai portoni delle palestre dovevano esclamare: “Good morning. Enjoy your day”. Quelli sugli shuttle, invece, dovevano verificare che fossi salito sul bus giusto: “Where are you going?”. Se apparivi incline alla conversazione, sfoderavano la seconda domanda: “How do you like Beijing?”. Se la risposta, come atteso, era positiva, proseguivano: “I’m so glad to hear that”. E così via, a colpi di frasi fatte, fino all’arrivo a destinazione, quando il volontario si trasformava in un nastro registrato: “We are arriving at the Capital Gymnasium. Please remember to take all your belongings. Thank you for your cooperation”.
Non saranno stati i ruoli più indispensabili del mondo, ma i volontari li hanno svolti con dedizione commovente. Armati delle migliori intenzioni (non sempre delle migliori capacità), onnipresenti al limite
dell’invadenza. Pronti a marcare gli ospiti passo per passo, metro per metro, per farli sentire sempre coccolati e protetti. E forse anche un po’ controllati.
3. L’agenzia di stampa olimpica
L’agenzia di stampa ufficiale dei Giochi olimpici si chiama Ons, Olympic News Service. È nata alle Olimpiadi di Sydney, nel 2000 e da allora è diventata una delle tante strutture che i comitati organizzatori
sono tenuti a riprodurre per garantire il buon funzionamento dei Giochi.
L’Ons funziona come un’agenzia di stampa internazionale ed è composta da una redazione centrale e dalle redazioni decentrate collocate in ciascuna delle sedi di gara. Il suo compito è garantire la copertura di tutte le notizie riguardanti lo sport durante i Giochi, pubblicando news articles, previews degli eventi, reviews delle
competizioni e interviste (flash quotes) con gli atleti. Questo materiale non è destinato direttamente al pubblico, ma è messo a disposizione dei giornalisti accreditati tramite un sistema Intranet. Pubblicati in inglese, francese e nella lingua del Paese organizzatore, gli articoli prodotti dall’Ons forniscono ai reporter internazionali spunti e informazioni utili per costruire i propri
articoli
6.
Il team di persone che compongono l’Ons cambia da Olimpiade a Olimpiade. Lo staff non è fisso: i contratti per i giornalisti assunti nell’agenzia sono a brevissimo termine (da tre mesi a sei settimane). Il direttore dell’Ons viene invece assunto, con mansioni organizzative oltre che editoriali, per un periodo di circa quattro anni. Di solito si tratta di un giornalista proveniente dal Paese organizzatore. Così è avvenuto anche a Pechino 2008.
I redattori e i reporter dell’Ons, invece, sono giornalisti di professione provenienti da vari Paesi del mondo, ma ogni comitato organizzatore stabilisce il numero minimo di giornalisti del proprio Paese che devono
fare parte dell’agenzia. La redazione centrale è perciò formata sia da giornalisti internazionali, per lo più di madrelingua inglese, con buona esperienza di editing e ampia conoscenza dei diversi sport, sia da giornalisti del Paese organizzatore, responsabili della selezione e pubblicazione degli articoli nella propria lingua. Il compito della redazione centrale è ricevere, correggere e pubblicare (o cestinare) gli articoli provenienti dalle redazioni decentrate, che sono invece dedicate unicamente alla copertura delle notizie di sport legate alla
sede di gara (venue) in cui si trovano.
Nelle sedi decentrate lavorano quattro diverse categorie di persone. L’Ons manager è il responsabile del coordinamento dei lavori all’interno della redazione nella venue e del contatto con la redazione centrale.
Ha dunque funzioni di caporedattore. Ogni articolo prodotto dai suoi giornalisti deve prima essere controllato dal manager, l’unico con il potere di inviare i testi alla redazione centrale.
Lo sport information specialist è un giornalista esperto dello sport giocato nella venue in cui lavora. A lui spetta la produzione delle cronache delle gare, degli articoli di anticipazione sulle giornate successive (previews) e di quelli di sintesi delle giornate passate (reviews).
I reporter (o flash quotes reporter) sono i giornalisti addetti a intervistare gli atleti durante gli allenamenti e al termine di ogni competizione e a pubblicare le dichiarazioni più interessanti (flash
quotes)
7. È loro responsabilità anche coprire le conferenze stampa e scrivere articoli su eventuali notizie legate allo sport di cui si occupano. Per intervistare atleti di tutto il mondo, i reporter dell’Ons devono essere in grado di parlare diverse lingue.
Il team delle redazioni Ons decentrate è composto infine anche da un numero variabile di volontari, che svolgono la funzione di flash quotes reporters. Ai Giochi invernali di Torino 2006 i volontari arruolati
nell’Ons erano quasi esclusivamente studenti di scuole di giornalismo. A Pechino, invece, i volontari Ons erano per lo più studenti universitari di lingua oppure di sport. Compito dei reporter assunti era dunque
anche quello di coordinare i flash quotes dei reporter volontari e di insegnare loro il mestiere.
4. L’organizzazione dell’Ons di Pechino 2008
A Pechino 2008 non era cinese soltanto il direttore dell’agenzia, ma anche tutti gli Ons manager delle redazioni decentrate. Un fenomeno senza precedenti: i capiredattore a livello di venue di norma vengono
scelti per le loro capacità organizzative e sulla base della loro esperienza in ambito olimpico, senza preferenze di nazionalità. Bocog è stato invece tassativo su questo punto: la posizione di manager (per l’Ons così come per tutti gli altri uffici, da quello per i servizi ai fotografi a quello per gli atleti o per i trasporti) poteva essere assegnata soltanto a cittadini cinesi. E questo nonostante fossero pochissimi i cinesi con precedenti esperienze di lavoro nell’ambito dell’organizzazione dei Giochi.
Lo stratagemma ideato da Bocog per evitare che questa politica si traducesse in un disastro organizzativo è stata affiancare ai manager cinesi, responsabili dei diversi uffici nelle venue, un professionista straniero già esperto di Olimpiadi, assegnandogli il titolo di assistente manager. Il compito di questi assistenti si è tradotto di fatto nella gestione e nel coordinamento di tutte le attività e di tutto il personale assegnato nel proprio ufficio in venue, con il vincolo però di dover riferire e concordare ogni decisione con il proprio manager cinese.
Nel caso dell’Olympic News Service, il Comitato organizzatore ha fatto ancora di più. Ha affidato a una società straniera (con esperienza pluriennale nell’organizzazione delle agenzie stampa sia alle Olimpiadi
che ad altri eventi sportivi internazionali) la selezione e la gestione di tutto il personale assunto dall’estero (redattori, assistenti manager, reporter e sport specialist). Oltre agli Ons manager di venue, infatti, nell’agenzia i reporter cinesi erano una nettissima minoranza. La maggioranza dei giornalisti arruolati proveniva invece dall’estero e aveva già avuto esperienze in ambito olimpico.
Non tutte le venue, tuttavia, sono state dotate di un management Ons a due teste (capo cinese e assistente straniero), probabilmente a causa di limitazioni di budget. Il personale straniero era infatti molto più costoso di quello cinese. Bocog ha scelto perciò di assegnare gli assistenti manager stranieri alle sedi di gara ritenute cruciali dal punto di vista mediatico, prime tra tutte lo stadio olimpico, dove si sono svolte le gare di atletica e la piscina olimpica, dove si sono tenute le competizioni di nuoto e nuoto sincronizzato.
5. La catena di comando
Il lavoro degli assistenti manager e in generale dei giornalisti stranieri assunti dall’Olympic News Service era molto delicato. Da una parte, in quanto depositari del know-how sulle procedure e sugli standard dell’Ons, erano gli unici in grado di stabilire quali fossero le decisioni migliori da prendere caso per caso o quali problemi dovessero essere sollevati nei confronti di altri settori del Comitato. Dall’altra, in quanto sottoposti ai loro superiori cinesi, non avevano il potere di prendere alcuna decisione in modo autonomo o immediato.
Per prevenire o almeno limitare le possibili cause di attrito, la società responsabile della selezione e gestione dei giornalisti stranieri dell’Olympic News Service ha organizzato una giornata di “Crosscultural training” per spiegare abitudini, convinzioni e valori più diffusi nel mondo del lavoro cinese. I formatori, una coppia di australiani trapiantata a Pechino da trent’anni, hanno fornito consigli pratici (da come riconoscere il cognome delle persone a come scambiare i biglietti da visita) e informazioni più generali (dall’importanza della “faccia” a come comportarsi nelle riunioni conviviali).
Nonostante questo, l’approccio al lavoro dei cinesi ha stupito i manager stranieri che si sono trovati a lavorare con loro gomito a gomito. Ai loro occhi, i capi locali sono apparsi più interessati al processo che orientati al risultato: così preoccupati di rispettare le procedure previste da Bocog da trascurare la visione d’insieme delle proprie funzioni. Un atteggiamento sostenuto dallo stesso comitato organizzatore, che alla vigilia dei Giochi ha sottoposto i dipendenti cinesi a un test meramente teorico sulla conoscenza delle procedure previste dalla Carta
olimpica
8.
Ogni dipendente Bocog aveva ben chiara la propria “job description”, la definizione dei compiti e delle prerogative assegnate alla propria mansione lavorativa. Quando il manager di un settore, per affrontare
situazioni inattese o per raggiungere determinati obiettivi, richiedeva interventi non previsti dalla job description dei capi di altri settori, era tenuto a fornire loro (per iscritto) dettagliate istruzioni su come agire,
indicando i motivi della richiesta e i beneficiari dell’intervento. Un percorso che i vari Ons manager hanno dovuto affrontare nelle proprie venue per ottenere dai capi del settore sport di poter intervistare gli
atleti a margine degli allenamenti: attività che Ons ha sempre svolto, ma su cui Bocog non aveva informato i dipendenti.
Nelle venue in cui il management a due teste non è stato previsto e dove dunque non c’era un assistente straniero a fare da spalla al manager cinese, non sono mancate le cause di attrito tra i capi e i loro sottoposti. Reporter e sport information specialist stranieri, non potendo dialogare con i manager cinesi da pari a pari, hanno avuto difficoltà nel far valere le proprie esigenze e il proprio punto di vista e nel contrattare le proprie condizioni di lavoro. Soprattutto a causa della scarsa flessibilità mostrata da Bocog e dai suoi rappresentanti
ai vari livelli, che si traduceva spesso nell’incapacità di affrontare gli imprevisti in modo rapido ed efficace.
I giornalisti stranieri dell’Ons hanno combattuto lunghe crociate per razionalizzare l’organizzazione dei volontari, ma soprattutto per mutare i propri orari di lavoro. In tutte le venue era in vigore una regola che prevedeva che la forza lavoro si presentasse in ufficio tre ore prima dell’inizio delle gare e rimanesse fino a tre ore dopo la fine dell’ultima competizione. La programmazione delle gare nella maggior parte degli stadi era serrata ed estenuante, con le prime competizioni che partivano la mattina presto e le ultime che finivano
a notte fonda, spesso senza pause durante l’intera giornata. Nulla di nuovo per chi lavora agli eventi sportivi: quando le competizioni iniziano non rimane più tempo per nient’altro, neanche per dormire. A Pechino 2008, le giornate più lunghe erano quelle di chi lavorava nelle sedi di beach volley, badminton, tennis, pallavolo e basket. Le partite dei cestisti iniziavano ogni mattina alle 9 e finivano ogni notte dopo l’1. Applicando alla lettera la regola di Bocog, i giornalisti Ons che seguivano la pallacanestro sarebbero dovuti entrare in ufficio alle 6 di mattina e uscirne alle 4 della mattina seguente.
Il personale cinese obbediva. Per questo ogni tanto manager e volontari scomparivano mezz’ora, approfittando di un momento di calma, per riapparire poi con i capelli spettinati e lo sguardo spento,
i pantaloni stropicciati e la maglietta arruffata, dopo una pennichella d’emergenza. Gli stranieri, invece, hanno intrapreso più o meno lunghi bracci di ferro con i propri manager per convincerli a portare la loro
istanza ai piani superiori. Nessuno straniero avrebbe potuto chiedere uno strappo alla regola rivolgendosi autonomamente ai direttori delle
venue
9. La catena del comando all’interno del comitato non ammetteva il dialogo tra esponenti di settori diversi, se non a livello di manager. Sul piano formale nessuna trasversalità era ammessa. Per risolvere un problema, dunque, i dipendenti stranieri erano obbligati a parlare innanzi tutto al proprio manager cinese, per fare sì che questi affrontasse la questione con i manager dei settori interessati. A questi sarebbe poi spettato portare l’istanza fino alle persone direttamente responsabili, a volte proprio quelle di pari grado rispetto a chi aveva sollevato il problema.
In casi più complessi, quando la questione oltrepassava i confini della venue, la comunicazione doveva prima arrivare fino alla vetta della piramide, per poi ridiscendere fino a chi di dovere. Nessuna decisione poteva insomma essere presa in modo indipendente, neanche dai cinesi.
6. Dal centro alle periferie
Ai Giochi, e non solo a quelli di Pechino, chi non ha un accredito non è nessuno. Quando si incontra una persona, ci si presenta in modo sommario ed è soltanto la lettura dell’accredito altrui a chiarire con chi si ha a che fare. Chiunque metta piede negli spazi di lavoro olimpici deve avere al collo il cartellino: giornalisti e volontari, fotografi e donne delle pulizie, arbitri e allenatori. Perfino gli atleti. Per questo l’accredito è la prima cosa che viene consegnata ai lavoratori assunti dal comitato organizzatore. Succede così alle Olimpiadi e a tutti gli altri eventi sportivi internazionali. Te lo consegnano raccomandandoti di tenerlo stretto, di non perderlo, di non prestarlo, di non dimenticarlo mai a casa. Perché l’accredito è l’unico documento di identità valido nel mondo dei Giochi ed è indispensabile per entrare in venue e al Main Press Centre, per usare i mezzi di trasporto olimpici e tornare a dormire in stanza la sera.
A Pechino c’è voluto un po’ per averlo. La distribuzione sia delle uniformi che degli accrediti è stata decentrata a livello di venue e affidata ai loro direttori generali, i quali dovevano poi distribuire ai manager responsabili dei diversi uffici gli accrediti dei loro sottoposti. Il decentramento si è tradotto in un caos: perché, mentre alcuni manager si affrettavano a procurarsi gli accrediti per i nuovi arrivati, altri non se ne sono curati fino all’ultimo giorno utile. Alcuni giornalisti dell’Ons hanno così rischiato di non poter rientrare a dormire nella propria stanza al Villaggio dei media, perché il loro manager non aveva consegnato loro l’accredito in tempo.
La decisone di favorire un’organizzazione decentrata ha creato problemi anche sul fronte della distribuzione delle uniformi, che tutti i dipendenti Bocog dovevano indossare dal primo all’ultimo giorno di gara. A tutti era stato chiesto, fin dal mese di aprile, di compilare un modulo indicando le proprie misure, ma chi ha poi distribuito gli indumenti nelle singole venue non deve aver tenuto conto delle preferenze espresse. Così, uomini corpulenti alti due metri si sono visti consegnare T-shirt taglia modella anoressica, mentre donne minute sono state costrette a lavorare indossando pantaloni misura Yao Ming. Uno dei tanti casi in cui la comunicazione si è interrotta da qualche parte lungo il tragitto dalla periferia al centro.
7. La gestione del Paralympic News Service
“A che ora si comincia?” “Ancora non sappiamo”. “Dove ci si incontra per il primo meeting di formazione?” “Qualcuno vi telefonerà per dirvelo nei prossimi giorni”. “Quali saranno i turni di lavoro e qual è il programma per il primo giorno in ufficio?” “Il vostro manager vi contatterà. O forse meglio se lo contattate voi. Vi daremo i loro numeri”. Per i pochi stranieri arruolati per lavorare all’interno del Paralympic
News Service (Pns) le certezze non sono state molte. A due giorni dall’inizio dell’attività ancora non sapevano nulla dei loro impegni più prossimi né di come il loro lavoro si sarebbe dovuto svolgere. Quelli tra loro che avevano già vissuto l’esperienza olimpica sapevano quali sarebbero state le mansioni e gli impegni su cui era necessario concentrarsi, ma per i nuovi arrivati, oltre la metà dei diciassette giornalisti stranieri assunti in totale, il Pns era un concetto oscuro. E nessuno si è preso la briga di chiarirglielo.
Sintomo di disorganizzazione, ma anche della fiducia che l’aver superato indenni la prova olimpica ha infuso nei cinesi. Attraverso il contatto con gli stranieri forse alcuni si sono resi conto di peccare spesso di approssimazione. Eppure l’idea che qualcosa potesse andare storto durante le Paralimpiadi non li ha sfiorati.
La giornata di training dello staff Pns, che doveva essere tagliata su misura per chi non aveva mai affrontato i temi della diversa abilità nello sport e per chi non aveva una esperienza di lavoro all’interno di Ons, è stata una farsa: “Discutete tra di voi quelle che pensate siano le questioni più importanti da valutare. Avete tutti esperienze diverse e sono certo che potrete imparare molto gli uni dagli altri - ha detto, dopo un’introduzione generica durata dieci minuti, il loro ‘formatore’, il vice manager del Pns. - Potrete dedicare la mattina a questo, poi dal primo pomeriggio potrete già recarvi alle vostre venue per organizzare la formazione dei volontari”.
Chi ha lavorato sia nell’Ons che nel Pns ha notato la differenza. E ha capito che, se l’Olympic News Service ha funzionato, il merito va in gran parte al coordinamento svolto dalla società straniera a cui Bocog aveva affidato il compito di selezionare e gestire il personale. Durante le Paralimpiadi, invece, anche a causa del budget limitato, questa gestione è passata nelle mani dei cinesi e il numero dei giornalisti stranieri coinvolti nell’agenzia è stato ridotto all’osso: 17 contro i 120 dei Giochi olimpici.
Scomparso il management a due teste, nelle venue sono rimasti soltanto i manager cinesi. Forti ormai dell’esperienza maturata durante le Olimpiadi, ma distanti dall’efficienza anglosassone e deboli dal punto di vista linguistico. Nelle redazioni decentrate, la carenza di giornalisti internazionali (non più di uno per venue) ha avuto effetti negativi sui contenuti degli articoli. I volontari e i dipendenti cinesi di Bocog a cui è stato affidato il compito di intervistare gli atleti e scrivere articoli non erano né giornalisti, né studenti di giornalismo. Il criterio per selezionarli è stata la loro conoscenza delle lingue, in particolare l’inglese, visto che, come per l’Ons, tutti gli articoli prodotti dal Pns dovevano essere scritti in inglese. La squadra paralimpica era quindi composta da studenti di sport, da laureati in lingue e da docenti di inglese - gli unici giornalisti presenti nello staff decentrato erano quelli stranieri, il cui compito però era limitato alla redazione delle cronache delle partite e delle gare. A farne le spese sono stati i contenuti delle interviste e delle notizie inviate alla redazione centrale: non solo scritte in un inglese zoppicante, con un impianto ben poco in linea con i modelli di una agenzia di stampa internazionale, ma anche incentrati su temi frivoli. Indulgenti sui complimenti di atleti e allenatori per l’organizzazione delle Paralimpiadi e la bellezza di Pechino, ma poco
interessanti dal punto di vista di un giornalista sportivo.
Anche nella redazione centrale gli stranieri erano pochi. E i redattori cinesi, oltre a non apportare correzioni agli articoli scritti dai giornalisti stranieri nelle venue (non tutti di madrelingua inglese), nemmeno controllavano che i contenuti fattuali delle storie inviate fossero corretti. L’ossessione per la precisione che era la filosofia di Ons è stata accantonata dai redattori Pns. Consapevoli forse che, con i ranghi della stampa straniera visibilmente ridotti rispetto alle Olimpiadi e con oltre la metà dei circa 6000 giornalisti accreditati appartenente a testate
cinesi
10, il rischio di un flop mediatico era ormai assai limitato. Gestione del Pns a parte, le Olimpiadi - è evidente - sono state comunque un successo.
MONDO CINESE N. 136, LUGLIO -
SETTEMBRE 2008