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POLITICA INTERNA

La Cina sta seguendo una propria strada verso la democrazia?
un'introduzione verso il pensiero contemporaneo
(prima parte)

di WEI Nanzhi

Alla vigilia del XVII Congresso del Pcc negli ambienti intellettuali vicini al Partito si è sviluppato un vivace dibattito sulla democrazia, avviato dai saggi di Yu Keping1 e di Xie Tao2, cui hanno fatto seguito i contributi di studiosi e intellettuali appartenenti alle più diverse correnti di pensiero3. Su giornali, riviste accademiche e sul web essi hanno cercato di rendere pubbliche le proprie opinioni sulla democrazia e su come realizzarla in Cina, allo scopo di influenzare le decisioni politiche prima del Congresso4.

Oggi molti intellettuali, come membri dell’Assemblea nazionale del popolo, della Conferenza politica consultiva del popolo cinese e di alcuni think-tank collegati a questi organismi, partecipano ad ampi dibattiti e hanno la possibilità di difendere i diritti e farsi portavoce delle richieste dei gruppi di interesse cui appartengono. Ne è l’esempio la proposta di Zhang Yin per una nuova legge sui contratti di lavoro e sul sistema delle imposte5. Le loro opionioni come pure le politiche del governo sono oggi ampiamente pubblicizzate al fine di una discussione pubblica, cui i media rivolgono grande attenzione. Alcuni siti web ufficiali come quelli del gruppo editoriale del Quotidiano del Popolo e dell’agenzia Xinhua6 hanno istituito forum e blog che non richiedono procedure di registrazione, affinché la gente possa esprimere liberamente le proprie opinioni. Secondo statistiche ufficiali più di 100 milioni di cinesi manifestano le proprie idee attraverso internet o si scambiano messaggi sui cellulari7. Tra essi gli intellettuali utilizzano i forum di istituzioni accademiche o di siti web molto noti e blog personali per influenzare l’opinione pubblica.

Ma il Partito e il governo sono realmente così aperti come sembrerebbero essere? Se così fosse, la Cina potrebbe quindi aver imboccato una propria strada verso la democrazia? A queste domande gli intellettuali appartenenti a correnti di pensiero diverse hanno fornito e forniscono risposte differenti. Questo lavoro si propone di effettuare una breve analisi delle correnti del pensiero contemporaneo in Cina, del loro sviluppo e dei principali dibattiti che hanno coinvolto gli intellettuali cinesi negli ultimi trent’anni, dall’inizio della politica di apertura e riforma.

1. Un amaro processo di disintegrazione
Le trasformazioni provocate dalle riforme economiche sono andate molto al di là di quanto potesse aspettarsi il Pcc che le ha promosse. Il Partito stesso è così passato attraverso tre grandi movimenti di liberalizzazione ideologica8, che si sono concretizzati in dibattiti e conflitti tra i conservatori (la vecchia “sinistra”) e i riformisti (ritenuti anche di “destra”) all’interno o vicini al Partito. Questo lungo confronto è stato vinto dai riformisti alla fine del XX secolo. Tali dispute ideologiche di lungo periodo sono state accompagnate dal germogliare, fiorire e dissolversi del movimento neo-illuminista9, che ha così subito un amaro processo di disintegrazione.

a. La disintegrazione del culto della personalità
Il primo movimento di liberalizzazione ideologica coincide con l’avvio delle riforme economiche simboleggiato dal 3° Plenum dell’XI Comitato centrale alla fine del 1978. Tale data storica rappresenta la
disintegrazione del culto della personalità di Mao Zedong e la fine del dogmatismo. Già agli inizi del 1978 si era verificato un vivace dibattito sul “criterio di verità”10. Il conflitto esisteva tra due principi: i “Due
qualsiasi” (Liangge fanshi)11 e “La pratica è l’unico criterio per provare la verità” (Shijian shi jianyan zhenli de weiyi biaozhun)12. Alla fine isecondo slogan ha vinto il dibattito storico. Questo primo movimento di liberalizzazione ideologica ha quindi avuto una forte connotazione rivoluzionaria all’interno del marxismo in Cina.

A partire dal 1978 il popolare motto “La scienza e la tecnologia sono le principali forze produttive” (Kexue jishu shi diyi shengchanli) ha reso evidente la posizione dominante dello scientismo, che è poi diventato la base teorica delle successive riforme economiche13. In seguito, tuttavia lo scientismo non è stato sufficiente per affrontare un’ulteriore riforma politica. Agli inizi del 1980, sebbene con la disapprovazione da parte di Deng Xiaoping, si è provveduto ad operare una ridefinizione del marxismo in termini di umanesimo: è quanto sostenuto, ad esempio, dall’articolo “Discussione su alcuni problemi teorici del marxismo” (Guanyu Makesizhuyi de jige lilun wenti de tantao), pubblicato nel 1983 sul Quotidiano del Popolo, a firma di Zhou Yang, Wang Yuanhua e altri teorici del Partito14. Succesivamente, per ridurre l’opposizione dei dogmatici alle riforme, nel 1982 Deng ha annunciato l’edificazione di un “socialismo con caratteristiche cinesi”15.

Le riforme hanno dato agli individui la libertà di perseguire i propri interessi economici e i propri ideali nell’istruzione, nella filosofia, nella letteratura e nelle arti16. La liberalizzazione teorica all’interno del marxismo e la bandiera della “costruzione del socialismo con caratteristiche cinesi” hanno creato un grande spazio libero all’interno dell’ideologia. L’apertura al mondo esterno ha fatto sì che la popolazione e soprattutto gli intellettuali scoprissero la grande disparità con l’Occidente, fornendo loro i canali per acquisire le teorie occidentali Tra le “Quattro modernizzazioni”17, quella della cultura è diventato l’obiettivo principale degli intellettuali radicali18. Molti di essi hanno preso così le distanze dal vecchio sistema politico ed ideologico e dalle tematiche precedentemente trattate per andare ad esplorare un nuovo spazio concettuale. E’ stata la disintegrazione del precedente sistema intellettuale che ha formato una élite ideologicamente indipendente, costituita principalmente da docenti e ricercatori nelle università e negli organismi accademici, alcuni dei quali erano stati anche promotori del primo movimento di liberalizzazione ideologica. Così il neo-illuminismo si è affermato in Cina a partire dalla metà degli anni ’8019.

b. Lo sviluppo del neo-illuminismo e le potenziali divergenze al suo interno
Il neo-illuminismo degli anni ’80 è stata un’epoca piena di passione, sogni, apertura e in un certo senso di vaghezza. Sebbene le riforme fossero economiche, in realtà gli intellettuali si facevano promotori di una certa rivoluzione ideologica. Molti di essi effettuavano un rilettura della storia cinese e un riesame della cultura tradizionale, mentre instancabilmente studiavano la filosofia e le teorie occidentali, attraendo un gran numero di altri intellettuali, compresi gli studenti universitari.

Essi utilizzavano la dicotomia “tradizione-modernità”, in base alla quale la cultura cinese rappresentava la tradizione e l’Occidente la modernità; si preoccupavano così di effettuare un recupero della cultura cinese e dei valori tradizionali al fine di integrarli, unitamente alle problematiche contemporanee, nelle correnti culturali moderne americane ed europee. Ritenevano che la modernizzazione e il liberalismo occidentali avessero una validità universale; apprezzavano enormemente l’economia di mercato, l’individualismo e la democrazia. Le teorie occidentali nel complesso erano accettate come la via verso la modernizzazione, che unitamente alla democrazia era tra i temi più dibattuti del momento.

L’acquisizione da parte degli intellettuali cinesi del pensiero occidentale iniziò con le opere di Freud e Sartre. Dal momento che la conoscenza di tali teorie diveniva indispensabile, si faceva impellente la necessità di tradurre sempre più opere straniere. A simboleggiare l’inizio del neo-illuminismo sono state la pubblicazione formale del primo gruppo di volumi della “Serie verso il Futuro” (Zouxiang Weilai Congshu), la fondazione dell’Accademia Internazionale della Cultura Cinese nel 1984 e l’istituzione del “Comitato di Cultura – la Cina e il mondo” nel 198520

Curata principalmente da Jin Guantao21 e Liu Qingfeng22, la “Serie verso il Futuro” annovera più di 70 opere, ispirate fortemente a spirito e metodi scientifici, le quali costituiscono tutte un’introduzione alle correnti di pensiero di quel periodo. Diretto da Gan Yang e Liu Xiaofeng, il “Comitato di Cultura – la Cina e il mondo” enfatizzava l’umanesimo, traducendo opere dell’umanesimo classico e moderno, soprattutto la filosofia francese e tedesca, quali il pensiero della Scuola di Francoforte, la fenomenologia e l’esistenzialismo; introdusse inoltre in Cina le opere di Foucault, Derrida e Gadamer.

Fondata da Tang Yijie23, Pang Pu, Li Zehou24, l’Accademia Internazionale della Cultura Cinese effettuava ricerche sulla cultura cinese e studi comparativi su quest’ultima e la cultura straniera. Essi assorbirono le teorie di Du Weiming25 e degli altri studiosi neo-confuciani all’estero26; abbracciarono il “conservatorismo culturale” e la formula “Xiti Zhongyong27. Inoltre i giovani intellettuali neo-illuministi furono autori di molti articoli pubblicati sulla eminente rivista Dushu (Letture)28. Un’altra famosa serie di volumi è rappresentata dalla “Raccolta Bibliografica del XX secolo” (Ershi Shiji Wenku) a cura di Li Shengping29.

Sebbene questi intellettuali considerassero le concezioni e le teorie occidentali come un tutto armonico, in realtà tra i valori di libertà, liberalismo, diritti umani, democrazia, uguaglianza, giustizia esistevano
alcune contraddizioni; antinomie che implicavano potenziali divergenze all’interno del movimento neo-illuminista. Dal momento che negli anni ’80 la gente comune, soprattutto gli operai e i contadini, erano completamente all’oscuro di simili teorie democratiche di importazione, il neo-illuminismo apparve come un movimento riservato alle élite intellettuali. Tuttavia le riforme in quel decennio erano un gioco a somma positiva, nel senso che la maggior parte della popolazione ne trasse beneficio. Poiché la speranza nel promuovere le riforme ispirava sia lo Stato che la popolazione, fu così raggiunto il consenso su di esse30.

c. La disintegrazione del culto dell’economia pianificata e della proprietà pubblica
L’età febbrile degli anni ’80 è stata rapidamente raffreddata dal movimento di Tian’anmen e dagli sconvolgimenti in Unione Sovietica e in Europa orientale. Agli inizi degli anni ’90 persiteva un dubbio generalizzato sulla possibilità che le riforme potessero trasformare il socialismo cinese in capitalismo – il dibattito su “la denominazione S o la denominazione C” (xing she xing zi). Mentre si verificavano ancora una volta dispute tra conservatori e liberali, il consenso sulle riforme raggiunto negli anni ’80 rischiava di rompersi: il problema non verteva più sul fare le riforme o meno, ma sul come realizzarle e in quale direzione farle proseguire.

Il punto focale del dibattito durante questa fase di transizione era la valutazione dal punto di vista teorico di un’economia di mercato all’interno di un sistema socialista. Il viaggio al sud del paese di Deng Xiaping nel 1992 e nello stesso anno le “Risoluzioni” del XIV Congresso del Pcc sul proseguimento della liberalizzazione economica hanno fatto in modo che il termine “socialismo di mercato” fosse inserito nella
Costituzione31. Questo è stato il secondo movimento di liberalizzazione ideologica, che ha disintegrato il culto dell’economia pianificata. Comunque nelle analisi accademiche continuava ad echeggiare
l’apprensione per le indesiderabili e destabilizzanti consequenze delle riforme accelerate e dell’introduzione dei meccanismi di mercato32.

Dopo il viaggio al sud di Deng le riforme economiche sono state potenziate e l’economia di mercato ha ottenuto la priorità. Con l’incoraggiamento dello slogan di Deng “arricchirsi è glorioso”, per la prima
volta un flusso enorme di denaro è circolato per il paese. Solo due anni più tardi, il rapido sviluppo dell’economia privata e le grandi trasformazioni nella struttura della proprietà hanno fornito di nuovo argomenti ai conservatori. Nel 1995-97 una serie di “documenti di diecimila caratteri” sono stati presentati ai leader del Partito33. Numerosi articoli riguardanti i cambiamenti socio-economici e lo status della proprietà pubblica sono apparsi su riviste di sinistra come Zhenli de Zhuiqiu (la Ricerca della Verità), quotidiani locali come lo Shenzhen Tequ Bao (Il Quotidiano della Zona speciale di Shenzhen) e il Renmin Ribao. Nel 1997 Jiang Zemin criticava ufficialmente i conservatori, e il XV Congresso del Pcc riconosceva definitiavemente l’importanza dell’economia privata. Successivamente Jiang Zemin elaborava il pensiero de “le Tre rappresentatività”34. Questo terzo movimento di liberalizzazione ha distrutto la sacralità della proprietà pubblica e ha proiettato la Cina in un ulteriore stadio di trasformazione qualitativa del sistema economico.

In modo diverso dalla prima liberalizzazione condotta dai vertici del Pcc, nei seguenti due movimenti gli organismi governativi e le amministrazioni locali hanno espresso proprie opinioni differenti, rendendo
evidenti le disparità tra aree e condizioni diverse. Soprattutto nell’ultima liberalizzazione, gruppi di interesse come quello degli imprenditori privati hanno cercato di prendere la parola utilizzando i canali ufficiali.

Deng e Jiang speravano che l’elevato sviluppo economico potesse risolvere tutte le difficoltà politiche e sociali. Comunque le riforme si sono trasformate da un gioco “a somma costante” degli anni ’80 in un
gioco “a somma zero”35. L’enorme forza dell’economia di mercato ha distrutto la struttura economica precedente, l’ordine sociale e i valori morali. La popolazione, i nuovi ricchi e i lavoratori licenziati sono
stati confusi dai cambiamenti incredibilmente rapidi e persino terribili. Questo gioco a somma zero ha portato a una crescente insoddisfazione per le disparità socio-economiche, per l’allarmante declino della moralità pubblica, per la preoccupante corruzione governativa. Le radicali riforme economiche e il processo di globalizzazione non potevano essere una panacea per tutti i problemi economici e sociali.

Le disparità e le divisioni sopracitate hanno rotto il consenso sulle riforme. L’elite intellettuale è stata miseramente marginalizzata dalla forza tremenda dell’economia di mercato, dato che la società non faceva più tesoro della conoscenza ma del profitto. Il risultato reale dello sviluppo dell’individualismo e dell’economia di mercato ha messo in crisi la dignità sociale dell’elite intellettuale. Mentre l’età dell’i-
dealismo degli anni ’80 si trasformava nell’epoca della confusione e della profanazione degli anni ’90, la disintegrazione del movimento neo-illuminista produceva diverse correnti di pensiero.

d. La disintegrazione del neo-illuminismo
Le riforme economiche radicali hanno liberato la produttività ma anche gli individui. L’economia di mercato ha favorito la divisione della società in diversi gruppi di interesse, un processo che ha investito anche gli intellettuali. Abbandonando il loro ruolo tradizionale di salvaguardia dell’interesse nazionale, gli intellettuali hanno scelto diversi gruppi che potessero rappresentarli e, basandosi sui comuni interessi, hanno proposto diverse soluzioni per i nuovi conflitti sociali.

Dall’altra parte, la più profonda e ampia comprensione delle teorie occidentali ha reso sempre più ovvie le divergenze potenziali all’interno del neo-illuminismo. Dal momento che l’economia di mercato e
l’individualismo, principi venerati negli anni ’80, hanno portato un terribile declino della moralità pubblica e causato molti problemi economico-sociali, gli intellettuali hanno compreso sia teoricamente che praticamente le contraddizioni all’interno dei valori democratici, proponendo diversi obiettivi per le riforme.

Le nuove condizioni hanno provocato la disintegrazione della stessa intelligentsia: alcuni si sono ritirati nell’esclusiva attività accademica e di ricerca, abbandonando le questioni politiche; altri, soprattutto
coloro le cui proposte erano state accettate dal Partito, come Wang Huning, sono diventati teorici ufficiali36. I restanti hanno continuato a mantenere la loro relativa indipendenza, diventando gradualmente i primi intellettuali pubblici37.

Dato che il tremendo shock del 1989 ha messo a tacere gli intellettuali, un ruolo importante nella graduale ripresa della discussione pubblica è stato ricoperto dalla rivista bimestrale stampata ad Hong Kong Ershiyi shiji (Ventunesimo Secolo), fondata nel 1990 da Jin Guantao e Liu Qingfeng38. Al principio degli anni ’90 un dibattito su “radicalismo o conservatorismo” ha dato inizio alla disintegrazione del movimento neo-illuminista. A partire dal 1993 un gruppo di intellettuali di Shanghai, quali i già citati Jin Guantao e Liu Qingfeng, hanno avviato la discussione sulla difesa dello “spirito umanistico” su Dushu. Successivamente i dibattiti sul Postmodernismo intrapresi da Zhang Yiwu e Chen Xiaoming hanno diffuso l’ansia degli intellettuali sulla società dei consumi postmoderna39.

In contrasto con le traduzioni dei classici occidentali degli anni ’80 e la venerazione della validità universale dei valori della democrazia occidentale, un gruppo di studenti cinesi all’estero, che aveva studiato con intellettuali di sinistra nelle università europee e americane, ha cominciato a criticare l’indirizzo delle riforme verso l’introduzione sempre maggiore dei meccanismi di mercato.

Nel 1991 Wang Shaoguang ha pubblicato il famoso saggio che ha dato vita ad un animato dibattito: “Costruire uno Stato forte e democratico: le differenze sulla forma di potere e sulla capacità dello Stato”40. L’emergere di una nuova sinistra ha segnato l’intera trasformazione e divisione del movimento neo-illuminista: gli intellettuali liberali si sono divisi in due campi, quello del neo-liberismo e quello della nuova sinistra; non esisteva più ormai la contrapposizione tra vecchia sinistra e riformatori. Entrambi gli schieramenti hanno utilizzato concezioni e teorie occidentali per analizzare la situazione cinese, attirando la partecipazione di studiosi sia cinesi che stranieri. In seguito a tali dibattiti altre correnti di pensiero sono apparse una dopo l’altra. L’utopia liberale degli anni ’80 si era così dissolta.

(segue la seconda parte, che sarà pubblicata sul prossimo numero 136)

(Testo della conferenza tenuta dall’Autrice il 24 aprile 2008 presso il Dipartimento di Lingue e Culture contemporanee dell’Università Statale di Milano, con la presentazione di Pasquale Pasquino, docente di “Law and Politics” presso la New York University)


(Traduzione, adattamento dell’originale e note a cura di Marina Miranda)

MONDO CINESE N. 135, APRILE - GIUGNO 2008

Note

1.Yu Keping, “Minzhu shi ge hao dongxi” (La democrazia è una buona cosa), Xuexi Shibao, internet ed., 19.3.2007.
2 Xie Tao, “Minzhu shehuizhuyi moshi yu Zhongguo qiantu” (Il modello di socialismo democratico e il futuro della Cina), Yanhuang Chunqiu, internet ed., n. 2, febbraio 2007. Si veda anche “Segnali positivi e calde speranza: il ‘socialismo democratico’in Cina”, Mondo Cinese, n. 132, luglio-settembre 2007, pp. 60-67 (N.d.T.).

3 Ma Changbo, “Shiqi Da qian gefang tanxun zhongguoshi minzhu” (Esplorare da diverse posizioni la democrazia con caratteristiche cinesi prima del XVII Congresso del Pcc), Nanfang Zhoumo, internet ed., 24.5.07.

4 Ibid.

5 Si veda, http://www.chinanews.com.cn/cj/kong/news/2008/03-03/1179387.shtml  .

6 Si veda, http://politics.people.com.cn/2008lianghuiyhws.html  e http://www.xinhuanet.com/2008lh/myzt01/  .

7 Xinwen Lianbo, internet ed., 15.3.08.

8 Chen Xi, “Woguo sanci sixiang dajiefang de lishi huiwang” (Un ripensamento storico delle tre grandi liberalizzazioni ideologiche in Cina), Guangming Guancha, internet ed., 31.1.08.

9 Il movimento neo-illuminista (xin qimeng yundong), che ha gettato le basi intellettuali per il movimento dell’89, ha effettuato un recupero dello spirito illuminista del movimento del 4 maggio 1919: come quest’ultimo aveva rigettato i valori tradizionali, così la cultura occidentale avrebbe potuto mettere in discussione le fondamenta del sistema vigente nella Cina contemporanea, ell’economia pianificata e dell’autoritarismo politico. Si veda, Henry Yuhuai He, Dictionary of Political Thought of the People’s Republic of China, Armonk, M. E. Sharpe Inc., 2001, pp. 543-44; Li Shenzhi, “Chongxin dianran qimeng de huoju - Jinian ‘Wusi’ bashi zhounian” (Riaccendiamo la torcia dell’illuminismo - In commemorazione dell’ottantesimo anniversario del ‘Quattro maggio’), Dangdai Zhongguo Yanjiu, n. 3, settembre 1999, pp. 2-15 (N.d.T.).

10 Michael Schoenhals, “The 1978 truth criterion controversy”, The China Quarterly, n. 126, giugno 1991, pp. 243-68 (N.d.T.).

11 Lo slogan dei “due qualsiasi” (“appoggeremo risolutamente qualsiasi decisione politica presa dal Presidente Mao, seguiremo fedelmente qualsiasi direttiva impartita dal Presidente Mao”) esemplificava la linea politica di Hua Guofeng e fu per la prima volta confutato da Deng Xiaoping in un discorso del 24 maggio 1977 (“The ‘Two Whatevers’ do not accord with Marxism”, in http://www.china.org.cn/english/features/dengxiaoping/103393.htm  ) (N.d.T.).

12 Opponendosi a ogni passata forma di dogmatismo, la linea di Deng Xiaoping è stata altamente pragmatica, elevando il pragmatismo a principio guida delle scelte di politica economica. Tale pragmatismo, nella sua forma più pura, è sintetizzato nel celebre slogan di derivazione maoista “cercare la verità nei fatti” (shishi qiu shi): in altri termini, operare le scelte politiche in base alle condizioni reali, non alle teorie (“Emancipate the mind, seek truth from facts and unite as one in looking to the future”, in Selected Works of Deng Xiaoping 1975-1982, Beijing, Foreign Languages Press, 1983, pp. 122-24.) (N.d.T.).

13 Si veda quanto detto a proposito di Jin Guantao e Liu Qingfeng e le successive note 21 e 22.

14 Renmin Ribao, 16.3.83, pp. 4-5.

15 Tutti i principi enunciati da Deng confluiscono nella formulazione teorica a lui successivamente attribuita, “la teoria di Deng Xiaoping della costruzione del socialismo con caratteristiche cinesi” (Deng Xiaoping jianshe you Zhongguo tese shehuizhuyi lilun).

16 Liu Xin, “Can liberalism take root in China?”, Contemporary Chinese Thought, vol. 34, n. 3, 2003, pp. 72-73.

17 Come è noto, il programma delle Quattro Modernizzazioni riguardava i settori dell’agricoltura, dell’industria, della scienza e della tecnologia e dell’apparato militare (N.d.T.).

18 Gan Yang, “Bashi niandai wenhua taolun de jige wenti” (Alcuni problemi di discussione culturale negli anni ’80), Culture: China and the World, Shanghai, Shenghuo-Dushu-Xinzhi Joint Publishing Company, vol. 1, 1998.

19 Xu Jilin, Luo Gang, Qimeng de Ziwo Wajie (Autodistruzione dell’Illuminismo), Jilin Publishing House, 2007, pp. 6-8.

20 Si veda, Edward X. Gu, “Cultural intellectuals and the politics of the cultural public space in Communist China (1979-1989): A case study of three intellectual groups”, The Journal of Asian Studies, vol. 58, n. 2, maggio 1999, pp. 389-43; Michel Bonnin and Yves Chevrier, “The intellectual and the State: social dynamics of intellectual autonomy during the post-Mao era”, The China Quarterly, n. 127, Special Issue: The Individual and State in China, settembre 1991, pp. 569-593; Merle Godman, Perry Link, Su Wei, “China’s intellectuals in the Deng era: loss of identity with the State”, in China’s Quest for National identity, a cura di Lowell Dittmer e Samuel S. Kim, Cornell University Press, Ithaca (NY), 1993, pp. 125-46 (N.d.T.).

21 Jin Guantao è considerato il maggior esponente della corrente scientista in Cina; si veda Shiping Hua, Scientism and Humanism: Two Cultures in Post-Mao China (1978-1989), State University of New York Press, Albany (NY), 1995 (N.d.T.).

22 Liu Qingfeng, “Ershiyi shiji Zhongguo kexuezhuyi de liangci xingqi” (Le due fioriture dello Scientismo cinese nel XX secolo), Ershiyi Shiji, n. 4, 1991.

23 Tang Yijie, docente di filosofia all’università di Pechino, è uno dei maggiori esponenti del movimento del Nuovo Confucianesimo contemporaneo (N.d.T.).

24 Li Zehou, “The dual variations of Enlightment and Nationalism”, in Contemporary Chinese Thought, XXXI, 2, inverno 1999-2000, pp. 40-43; Lin Min, “The search for modernity: Chinese intellectual discourse and society, 1978/88 - the Case of Li Zehou”, in The China Quaterly, n. 132, dicembre 1992, pp. 969-998 (N.d.T.).

25 Du Weiming, Humanity and Selfcultivation. Essays in Confucian Thought, Berkeley, Calif., Asian Humanities Press, 1979; Id., “Neo-Confucian ontology: a preliminary questioning”, Journal of Chinese Philosophy, n. 7, 1980, pp. 93-114; Id., Confucian Thought: Selfhood as Creative Transformation, Albany (NY), State University of New York Press, 1985 (N.d.T.).

26 Chen Fong–Ching, Jin Guantao, From Youthful Manuscripts to River Elegy: The Chinese Popular Cultural Movement and Political Transformation 1979 – 1989, the Chinese University of Hong Kong, 1997.

27 Alla fine degli anni ’80, Li Zehou ha rovesciato in maniera provocatoria la nota dicotomia ti-yong, riformulandola come Xi xue wei ti, Zhong xue wei yong: “l’insegnamento occidentale per i principi essenziali, l’insegnamento cinese per le applicazioni pratiche” [Li Zehou, “Manshuo ‘Xi-ti Zhong-yong’” (Una trattazione completa de ‘l’insegnamento occidentale per i principi essenziali, l’insegnamento cinese per le applicazioni pratiche’), in Zhongguo Xiandai Sixiangshi Lun, (Storia del pensiero contemporaneo della Cina), Beijing, Dongfang chubanshe, 1987, pp. 331-341] (N.d.T.).

28 “Zaoyu jike niandai” (Fronteggiare un’epoca affamata), http://www.chinanewsweek.com.cn/2006-05-16/1/7130.shtml  .

29 Si veda, Edward X. Gu, “‘Non-establishment’ intellectuals, public space, and the creation of non-governmental organizations in China: The Chen Ziming-Wang Juntao Saga”, The China Journal, n. 39, gennaio 1998, pp. 39-58 (N.d.T.).

30 Leslie Hook, “The rise of China’s new left”, Far Eastern Economic Review, internet ed., aprile 2007.

31 Nora Sausmikat, “More legitimacy for one-party rule?”, Asien, n. 99, aprile 2006, pp. 70-91.

32 Kalpana Misra, “Neo-left and neo-right in post-Tiananmen China”, Asian Survey, vol. 43, n. 5, settembre 2003, pp. 717-744.

33 Tra i cosiddetti “documenti di diecimila caratteri” non ufficiali (dixia wanyanshu), il primo risale alla primavera del ’95 e sull’identità del suo autore permangono molti dubbi: da alcuni è stato attribuito a Deng Liqun, ma secondo altri sarebbe stato redatto da Li Yanming, a capo dell’Istituto di Scienze Politiche dell’Accademia delle Scienze Sociali. Intitolato “Alcuni fattori che influiscono sulla sicurezza del nostro paese” (Yingxiang woguo guojia anquan de ruogan yinsu), questo documento è apparso sulla stampa per la prima volta, nel gennaio ’96, sulla rivista Yazhou zhoukan (Settimanale Asia) di Hong Kong, per poi essere ripubblicato in altre opere, quali Jiaofeng - Dangdai Zhongguo Sanci Sixiang Jiefang Shilu (Scontri - I materiali autentici della terza liberalizzazione del pensiero nella Cina contemporanea), a cura di Ma Licheng e Jun Zhijun, Jinri Zhongguo chubanshe, Beijing, 1998, pp. 242-48 (N.d.T.).

34 In base al cosiddetto pensiero de “le Tre Rappresentatività”, cui Jiang Zemin ha fatto riferimento per la prima volta nel febbraio 2000, il Partito rappresenterebbe “le esigenze di sviluppo delle forze produttive più avanzate, gli orientamenti della cultura più avanzata e gli interessi fondamentali della maggior parte della popolazione” (N.d.T.).

35 Wang Shaoguang, “Cong jingji zhengce dao shehui zhengce de lishixing zhuanbian” (La trasformazione storica dalle politiche economiche alle politiche sociali), http://www.cuhk.edu.hk/gpa/wang_files/Publist.htm  .

36 Attualmente Wang Huning è membro della Segreteria generale del Pcc e Direttore dell’Ufficio di Ricerche Politiche del Partito (N.d.T.).

37 Si veda, Xu Jilin, “What future for public intellectuals?”, China Perspectives, n. 52, marzo-aprile 2004, pp. 16-29; David Kelly, “Citizen movements and China’s public intellectuals in the Hu-Wen era”, Pacific Affairs, vol. 79, n. 2, estate 2006, pp. 183-204 (N.d.T.).

38 Curatori della già citata “Serie verso il Futuro” (N.d.T.).

39 Si veda, Chao, I-heng. “Post-Isms and Chinese New Conservatism”, New Literary History, vol. 28, n. 1, inverno 1997, pp. 31-44 (N.d.T.)
.
40 “Jianli yi ge qiang youli de minzhu guojia - Lun ‘zhengquan xingshi’ yu ‘guojia nengli’ de qubie”, http://www.cuhk.edu.hk/gpa/wang_files/Strong.pdf 
 

 

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