Liu Xiaobo, “Zhongguo nongmin de tudi xuanyan”, Zheng Ming, n.1 (363), gennaio 2008, pp. 21-23..
Trent’anni fa, nel piccolo villaggio di Fengyang (Anhui), l’assegnazione ai nuclei familiari dei contratti di lavoro rappresentò la prima rivoluzione con cui i contadini cinesi spezzarono il giogo imposto loro dal Partito comunista. Oggi, i contadini dello Heilongjiang, dello Sha’anxi e del Jiangsu annunciano apertamente la lotta della propria comunità per la restituzione delle terre: è una seconda, ancor più grandiosa rivoluzione.
Un manifesto per rivendicare la terra
Per tutto il dicembre del 2007, nella Cina continentale è dilagato il fenomeno delle aperte rivendicazioni da parte dei contadini dei propri diritti di proprietà sulla terra.
Il 9 dicembre, 40mila contadini dell’area a sudest della città di Fujin (Heilongjiang) e di altri settantadue villaggi dichiaravano di avere acquisito il diritto di proprietà della terra e annunciavano al paese: «Il giorno 28 novembre gli abitanti dei villaggi del sudest hanno tenuto una Grande assemblea democratica dell’intera comunità per decidere la restituzione delle terre espropriate. Il 29 novembre è stata effettuata la misurazione delle terre e il giorno 30 è stata predisposta la redistribuzione delle terre agli abitanti dei
villaggi. Il giorno 3 dicembre è iniziata ufficialmente la redistribuzione».
Il 12 dicembre, 70mila contadini provenienti da settantasei villaggi amministrativi dei distretti di Dasu e Tongguan e della municipalità di Huayin, nella regione della diga nelle Gole Sanmen (Sha’anxi), annunciavano pubblicamente: «Noi, 70mila contadini di due distretti e una municipalità, abbiamo oggi deciso tutti insieme di riprenderci la proprietà delle terre: le terre delle quali i nostri antenati, generazione dopo generazione, hanno disposto e goduto, noi ci organizzeremo per suddividerle equamente tra le famiglie dei contadini. A loro verranno immediatamente restituite affinchè possano disporne per sempre. Poniamo così termine all’appropriazione indebita e a scopo di lucro che è stata compiuta per molti anni fino ad oggi su queste terre da parte di funzionari amministrativi di ogni livello».
Il 15 dicembre, duecentocinquanta famiglie contadine del villaggio di Shengzhuang (municipalità di Yixing, Jiangsu), dichiaravano al Paese: «Riguardo al terreno su cui è costruita una casa, da sempre e sulla terra di
ognuno si applica il principio “una persona possiede la casa in cui vive”. Il villaggio di Shengzhuang ha oltre millecinquecento anni di storia e in ogni epoca i diritti delle famiglie sulle terre coltivabili e sulle foreste sono sempre stati chiari…. Queste terre appartenevano ai nostri antenati, oggi appartengono a noi e in futuro apparterranno ai nostri figli e nipoti. Tutti i terreni del villaggio di Shengzhuang su cui sorgono le nostre case sono di proprietà delle famiglie del villaggio, senza limiti di tempo, così come i terreni coltivabili e le foreste apparterranno per sempre, in misura equa, a tutti gli abitanti del villaggio, perché servano a noi per vivere, coltivare e crescere, una generazione dopo l’altra.»
In questi ultimi anni, quando per la terza volta si giunse ad una discussione approfondita della riforma agraria, il problema della terra dei contadini costituì ancora uno dei punti caldi dello scontro, con un’aspra
contrapposizione tra chi sosteneva la privatizzazione delle terre e chi invece voleva il mantenimento dell’attuale sistema di gestione. Tuttavia quei dibattiti, per quanto accesi, furono in gran parte limitati a raffinati circoli cittadini, animati sostanzialmente da intellettuali, imprenditori e funzionari dell’amministrazione, senza che si udisse mai la voce dei contadini stessi. Ora, finalmente, le comunità contadine fanno sentire la propria voce vibrante, fanno ascoltare ad una Cina in silenzio un grido che sembra provenire dalle profondità della terra.
Questi proclami affondano le radici nell’eredità della storia, ma anche nella situazione attuale e in un senso di giustizia senza tempo. Essi, per la prima volta, colpiscono un sistema irrazionale di gestione delle terre che è perdurato fino ad oggi già dai tempi di Mao Zedong ed esprimono in modo intenso e cristallino l’aspirazione e la risolutezza con cui i contadini cinesi chiedono la privatizzazione delle terre. Queste dichiarazioni contengono tutta l’esperienza dolorosa vissuta dai contadini cinesi fin dalla presa del potere da parte del Partito comunista, palesando al tempo stesso il superamento della riforma che, trent’anni or sono, concesse ai villaggi i diritti di utilizzo delle terre - essi rappresentano veramente il risveglio della consapevolezza autonoma dei contadini cinesi: la terra sotto i nostri piedi non è dello Stato e neppure delle collettività, ma è la casa su cui vissero tutti i nostri avi e su cui vivranno a loro volta tutti i nostri discendenti, è la ricchezza che appartiene a noi contadini. Anche il modo con cui i contadini difendono le
proprie prerogative è cambiato: non più l’umile supplica per la concessione di una grazia, ma la dichiarazione fiera e dignitosa dei propri diritti: noi siamo i padroni della terra sotto i nostri piedi e ciò che di questa terra viene fatto deve essere sempre scelto sulla base della nostra volontà.
Il Partito comunista ha depauperato i contadini nel modo più radicale
Nel corso della lunga storia della Cina, con i suoi cicli di ordine e di caos, i contadini hanno sempre sofferto e patito, tanto nei periodi prosperi quanto in quelli più sfortunati. Ma per quanto il potere imperiale delle
varie dinastie fosse brutale e avido, mai esso sfruttò e oppresse i contadini quanto il regime del Partito comunista, il quale, per giunta, ha potuto attuare tale sfruttamento e tale oppressione grazie all’impiego del mezzo più sordido - l’inganno. Durante la fase cruciale della sua lotta per la conquista del potere, infatti, il Partito comunista per ottenere il più vasto appoggio possibile da parte dei contadini, aveva attuato una riforma della terra detta “combatti il proprietario terriero, suddividi i terreni” e nel 1947 aveva reso pubblico un “Disegno di legge agraria”. Il disegno di legge prometteva in modo inequivocabile che, dopo la redistribuzione delle terre ai contadini, questi avrebbero detenuto la proprietà di tali terre e riconosceva ai
contadini i diritti di gestione autonoma delle terre e di libero commercio dei loro prodotti. Quando il Partito comunista ebbe conquistato il potere, invece, avviò una rivoluzione socialista caratterizzata dalla collettivizzazione totale. Quando attuò nei centri urbani la trasformazione socialista dell’industria e del commercio, il regime, seppur di poco, non nazionalizzò tutte le forme di proprietà privata. Ma nelle campagne la collettivizzazione venne applicata in modo deciso e su larghissima scala, mediante l’esproprio
forzato delle terre dei contadini. A partire dal 1951, con il Movimento di formazione delle cooperative per arrivare infine al Movimento delle Comuni popolari del 1958, il potere assoluto di Mao Zedong prima annientò i proprietari terrieri e i contadini ricchi e poi continuò con l’assorbimento forzato e generalizzato dei lavoratori agricoli nelle Comuni. Il risultato fu che tutti coloro che erano proprietari di terre prima del 1949 furono eliminati e in tutto il vasto territorio cinese non ci fu più un singolo centimetro di terra che appartenesse ai contadini: il regime del Partito comunista divenne il più grande, nonché l’unico proprietario di terre nel Paese, titolare dei diritti di proprietà su tutto il suolo cinese.
È stata proprio la collettivizzazione delle terre a fornire allo strapotere di Mao Zedong una solidissima base economica. Gli abitanti delle città, alienati della proprietà dei mezzi di produzione, furono ridotti alla condizione di ingranaggi nelle “unità di lavoro” comuniste e i contadini, privati della loro terra, diventarono servi della gleba nelle Comuni. Se vogliamo trarre un confronto dalle loro rispettive condizioni, bisogna dire che il destino dei contadini fu certamente il più tragico: di tutti gli schiavi del sistema, essi occupavano il gradino più basso. Cancellato il loro diritto di cambiare residenza, essi vennero incatenati ad una terra che ormai non apparteneva più a loro; privi di ogni forma di protezione sociale, essi diventarono
corpi da cui prelevare il sangue necessario all’industrializzazione “alla Mao”. L’industrializzazione in epoca maoista fu realizzata al prezzo della riduzione in schiavitù dell’intera popolazione cinese e i contadini, che di questa popolazione rappresentavano il 90%, furono coloro che diedero il contributo più grande traendone il minore beneficio. Durante la tragica e folle catastrofe del Grande balzo in avanti, i contadini si impoverirono al punto da soffrire la fame e doversi vestire di stracci, tanto che ovunque si
potevano vedere uomini e donne ridotti a scheletri a causa della denutrizione e si ebbero persino fenomeni di cannibalismo. Tra le decine di milioni di persone che perirono per cause non naturali, la stragrande maggioranza erano contadini.
Fissare le quote di produzione su base familiare è solo una finta liberazione
Morto Mao iniziarono le riforme, e quelli che avevano sofferto più degli altri, i contadini, ne divennero il primo motore. La riforma dei contratti di produzione, che i contadini avviarono spontaneamente nonostante il rischio politico enorme che questo rappresentava, viene definita oggi come “la rivoluzione che ha liberato gli schiavi”. Ciò che però questa rivoluzione portò con sé fu piuttosto una liberazione fittizia, in quanto fino ad oggi le riforme in Cina non hanno ancora realizzato la privatizzazione delle terre. Così, quello che i contadini hanno ottenuto è stato solamente il diritto ad usufruire delle “terre collettive”, senza che sia stato loro riconosciuto il diritto di proprietà su tali terre. Una volta che si è cominciato a sfruttare i terreni agricoli per lo sviluppo industriale, commerciale e urbano, le terre dei contadini sono diventate terre dello Stato. La formula “proprietà dello Stato”, tuttavia, è un concetto astratto e in fondo privo di un contenuto
concreto, perché coloro che, in rappresentanza dello Stato, attuano di fatto il diritto di disporre dei terreni, sono i funzionari di vario livello dell’amministrazione statale. Negli oltre vent’anni del Grande balzo in avanti della modernizzazione urbana e della proprietà edilizia, coloro che tenevano alto il vessillo della proprietà statale della terra - i funzionari, vale a dire i rappresentanti del potere statale, in collusione con il mondo degli affari - hanno messo in atto a livello nazionale una sorta di politica di inclusione, dove quelli che hanno tratto il maggior profitto dal commercio delle terre sono stati proprio il regime del Partito comunista a tutti i livelli e i suoi funzionari più influenti. Ai contadini, ancora una volta, è toccato il ruolo di
vittime sacrificali.
I contadini, i più deboli tra i deboli della società cinese
Ciò che è fondamentale sottolineare è che, nella dittatura cinese, il potere dei funzionari è tanto forte ed estremo quanto debole e fragile è quello popolare e, di tutti i gruppi deboli di questa società, i più deboli sono ancora una volta i contadini. In un sistema in cui non c’è né libertà di stampa né indipendenza della magistratura, essi non hanno né il diritto di parola né il diritto ad organizzarsi in associazioni di categoria. Non hanno il diritto di avvalersi della legge, mentre a livello amministrativo l’unica forma legale con cui possono chiedere aiuto è “il ricorso alla giustizia”. Ma i funzionari si sostengono a vicenda e mettono fine a qualunque procedimento senza possibilità di appello. Così, anche il ricorso alla giustizia diventa una farsa e chiedere giustizia diviene causa di sofferenza e anche di pericolo, senza che alla fine si riesca ad ottenere qualcosa. Per questo motivo, quando i diritti dei contadini sulle terre vengono violati è impossibile ottenere l’appoggio dell’opinione pubblica, della magistratura o dell’amministrazione statale, poiché i canali di protezione dei diritti previsti dal sistema sono tutti impossibili da percorrere. Di fronte ai soprusi dei funzionari l’unica strada che rimane alla popolazione è “al di fuori del sistema”, è la lotta delle comunità.
Nel corso degli ultimi anni, gli scontri tra popolazione e funzionari statali sono diventati un fenomeno ripetuto e diffuso su larga scala, in tutta la Cina. In gran parte dei casi, gli scontri si sono verificati nelle campagne, hanno interessato gli strati più bassi della popolazione ed erano conseguenza di questioni legate alla terra. Allo scopo di proteggere gli interessi acquisiti dei funzionari più influenti, i funzionari locali hanno dovuto mettere a tacere le rivendicazioni di queste comunità. Essi non si sono fatti neppure scrupolo
di mettere in atto dure repressioni delle proteste, impiegando la violenza legalizzata del governo e addirittura quella del crimine organizzato, arrivando persino a spargimento di sangue. Il 6 dicembre 2005, ad esempio, nel villaggio di Dongzhou nel Guangdong (municipalità di Shanwei), una controversia legata alla terra causò un grave scontro tra la popolazione e i funzionari. Per soffocare la protesta, le autorità mobilitarono oltre mille tra poliziotti e guardie armate, i quali lanciarono lacrimogeni e spararono con armi da fuoco contro gli oltre mille dimostranti. Non solo furono arrestate alcune centinaia di persone tra gli abitanti dei villaggi, ma almeno tre persone vennero uccise.
Il popolo si ribella ai soprusi dei funzionari e i contadini si liberano da soli
La ragione per cui i protagonisti di questo articolo - i contadini dello Heilongjiang, dello Sha’anxi e del Jiangsu - sono giunti a dichiarare di propria iniziativa la proprietà della terra, è stata la violazione dei loro diritti sulle terre da parte dei funzionari, di fronte alla quale, per difendere i propri diritti, i contadini hanno adottato una nuova forma di reazione “al di fuori del sistema”, cioè la protesta.
I contadini di duecentocinquanta famiglie del villaggio di Shengzhuang, nella città di Yixing (Jiangsu), nella loro dichiarazione pubblica, affermano quanto segue: «Il gruppo di potere nato dalla collusione tra funzionari pubblici e uomini d’affari, in nome dello sviluppo del bene comune e della costruzione di edifici per la comunità, ha espropriato con la forza le terre dei contadini locali e sulla terra così requisita ha invece costruito alberghi, sale da ballo e centri commerciali, il tutto per interessi commerciali e speculativi.
Proprio per questa ragione, i contadini di Shengzhuang, indignati, chiedono a voi: che cos’hanno a che fare queste cose con il bene comune? Che cos’hanno a che fare con gli interessi di noi contadini?»
«Noi oggi domandiamo: questo “paese” è il paese di chi? Il “bene comune” è il bene di chi? La collettività” è la collettività di chi? Ogni volta che le terre vengono occupate contro la volontà di tutti i contadini, e i contadini di un intero villaggio presentano una petizione pubblica per iscritto, il
rappresentante del villaggio e il Comitato di Partito del villaggio possono forse ancora dirsi “rappresentanti” di tutti i contadini del villaggio?… Tutte le volte che calpestate i nostri diritti e vessate noi contadini, i funzionari, i poliziotti e i delinquenti si alleano per “applicare la legge” e i malviventi che di professione picchiano, incendiano e rapinano annunciano alla popolazione “noi veniamo a togliervi la terra in nome del governo, voi dovete obbedire incondizionatamente, ribellarvi al nostro volere equivale a ribellarvi al governo” e poi dichiarano che “è illegale che voi continuiate a vivere qui”. Questi potenti assomigliano ai banditi del passato, che occupavano le colline e saccheggiavano i villaggi: il loro unico scopo della vita non è quello
di proteggere, ma di derubarci e spassarsela».
Anche i contadini di Fujin sono ormai perfettamente consci della cupa realtà che si nasconde dietro i cosiddetti ideali della “nazione” e della “collettività”. Nel loro comunicato affermano con grande chiarezza: «Per lungo tempo hanno celato la realtà della “proprietà collettiva” della terra dietro l’illusione che i contadini ne disponessero dei diritti, come se ne fossero proprietari. A Fujin funzionari di ogni livello e prepotenti locali, in nome del paese e della collettività, usurpano e requisiscono con la forza, un giorno dopo l’altro, tutte le terre dei contadini. Sono diventati veri e propri proprietari terrieri e i contadini, da “padroni” delle terre, sono stati ridotti ad essere schiavi che vivono e lavorano in affitto sulle terre di questi nuovi latifondisti. Abbiamo quindi deciso tutti insieme di cambiare questa modalità di occupazione delle terre. Vogliamo realizzare e garantire veramente che i contadini abbiano lo status di proprietari delle terre attuando la proprietà familiare e individuale della terra».
I settantamila contadini dello Sha’anxi nel loro proclama affermano: «Noi abbiamo molto chiara la situazione delle campagne, non importa quali leggi o politiche il governo adotti, è difficile avere il controllo la terra. Quando la proprietà della terra torna nelle mani dei contadini, diventa difficile per i potenti malvagi avidi di profitto commettere ingiustizie con leggerezza, perché la terra che invadi e occupi non è più di una qualche vaga “collettività”, ma è la terra di noialtri, e la nostra stessa vita, è la terra a cui siamo attaccati con le unghie e con i denti. La forza dei contadini è stata provocata, la coperta con cui il governo proteggeva le terre è stata strappata via».
«Nel corso degli ultimi anni il Partito comunista ha dato assai poco alle campagne e ai contadini. Noi riteniamo che l’unica grande cosa che il Partito può fare per le campagne è concedere la proprietà privata delle terre ai contadini e affermare il loro diritto alla creazione di imprese. Solo questo può risolvere alla radice i problemi delle campagne, solo in questo modo i contadini possono raggiungere il livello degli abitanti delle città, soltanto così potranno godere anche loro dei frutti della modernizzazione».
Una rivoluzione ancor più grandiosa
Se possiamo dire che nel 1978, quando i contadini del piccolo villaggio di Fengyang (Anhui) firmarono di loro iniziativa i contratti di produzione “a vita”, si aprì la stagione delle riforme economiche cinesi, allora oggi, trent’anni dopo, quando i contadini di tre regioni annunciano al paese di detenere la proprietà delle terre, siamo di fronte ad una seconda rivoluzione con la quale i contadini cinesi lottano per la propria liberazione, una rivoluzione ancor più grandiosa della prima. Di questo i contadini che hanno emesso quei proclami sono già perfettamente consapevoli. Quelle dichiarazioni non sono solamente una sorta di “Manifesto della terra” dei contadini cinesi, ma rappresentano anche la “Dichiarazione dei diritti dei
contadini cinesi”.
19 dicembre 2007, nella mia casa di Pechino
(traduzione dal cinese di Giorgio Strafella)
MONDO CINESE N. 134, GENNAIO - MARZO
2008