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POLITICA INTERNAZIONALE

Il ruolo della Repubblica popolare cinese
nella questione coreana

di Claudia ASTARITA

1. Premessa.
La questione coreana è, dalla fine della seconda guerra mondiale, uno dei temi più delicati della politica estera della regione asiatica. Ancora oggi, Corea del Sud e Corea del Nord sono divise al 38°
parallelo da un cessate il fuoco risalente al luglio del 19531. Il Sud è una Repubblica integrata nella comunità internazionale, mentre il Nord è un regime dinastico familiare che poggia sul carisma di Kim Jong Il2. Il fatto che Pyongyang possegga l’arma atomica rende il regime una minaccia per tutta la regione, preoccupata per l’eventuale scoppio di una guerra nucleare dalle tanto imprevedibili quanto catastrofiche conseguenze.

Agli inizi del XXI secolo, per dimostrare la serietà del proprio impegno diplomatico multilaterale, la Repubblica popolare cinese ha scelto di giocare un ruolo attivo nella questione coreana, promuovendo i six-party talks, un tavolo multilaterale a sei cui siedono regolarmente da cinque anni Russia, Stati uniti, Corea del Sud, Giappone, Corea del Nord e Cina alla ricerca di un compromesso.

2. Un po’ di storia
Prima di analizzare nel dettaglio obiettivi e dinamiche dei sixparty talks e il ruolo ricoperto dalla Cina al loro interno, è opportuno descrivere il contesto in cui tali meeting si sono svolti.

La questione coreana è tornata in maniera dirompente sullo scenario internazionale quando, nel dicembre 2002, Pyongyang annunciò la decisione di riattivare i propri reattori nucleari e, pochi mesi dopo, scelse di dissociarsi dal Trattato di non proliferazione nucleare3. La risposta della comunità internazionale a tali azioni fu immediata e vennero applicate dure sanzioni economiche e militari al paese. Contemporaneamente, la Repubblica popolare cinese, convinta della necessità di una repentina normalizzazione dei rapporti nella penisola coreana, promosse la creazione di un tavolo negoziale a sei i cui incontri, dall’agosto 2003, sono sempre stati ospitati a Pechino.

Nel corso dei sei round negoziali degli ultimi cinque anni, i delegati di Pechino sono riusciti a creare un efficace forum di dialogo multilaterale in cui non hanno mai perso occasione per enfatizzare la necessità di fondare gli scambi di opinioni su “pazienza, sincerità e pragmatismo”4. Nelle sintesi dei primi incontri, è stato considerato un successo il raggiungimento dell’intesa sull’urgenza “di risolvere il problema nucleare attraverso un dialogo pacifico, di mantenere la pace e la stabilità nella penisola coreana, di aprire la strada per la pace permanente e di non intraprendere misure che potessero generare un’escalation militare”5. All’interno dei colloqui, Giappone e Stati uniti hanno sempre mantenuto una posizione diversa rispetto a quella di Russia, Cina e Corea del Sud. Se le prime due potenze hanno posto come condizione essenziale per inviare aiuti in Corea del Nord lo smantellamento definitivo dei suoi impianti nucleari, le altre tre hanno cercato di privilegiare un approccio “progressivo”, tale da garantire la concessione di aiuti al regime di Pyongyang ogni volta che fosse stata completata una nuova tappa nel processo di disarmo nucleare.

Nel settembre 2005 la comunità internazionale accolse con soddisfazione e speranza il primo accordo congiunto che prevedeva che la Corea del Nord abbandonasse il proprio programma nucleare e rientrasse al più presto a far parte del gruppo di paesi firmatari del Trattato di non proliferazione. In cambio, gli altri cinque paesi avrebbero concesso al regime di Pyongyang il diritto all’impiego pacifico dell’energia nucleare e ad approfondire la cooperazione nei settori dell’energia, del commercio e degli investimenti6.

Nell’ottobre 2006, quando la Corea del Nord portò a termine il suo primo esperimento atomico, riaffiorarono i vecchi timori sulla lealtà e sull’affidabilità dell’interlocutore coreano e le Nazioni unite rafforzarono le sanzioni economiche e militari approvate pochi mesi prima in risposta a un esperimento missilistico compiuto da Pyongyang7. I nordcoreani addussero come causa scatenante della propria azione una politica americana ostile, confermata dal rifiuto statunitense di scongelare dei fondi coreani (circa 25 milioni di dollari americani) bloccati nel Banco Delta Asia di Macao8.

In questa occasione, fu l’intenso lavorio compiuto dietro le quinte dalla diplomazia cinese a permettere di superare l’impasse: il 31 ottobre 2006 si incontrarono a Pechino i rappresentanti di Corea del Nord, Cina e Stati uniti, e, dopo lunghi colloqui a porte chiuse, l’allora Ministro degli esteri cinese, Li Zhaoxing, dichiarò che i tre rappresentanti “si erano trovati d’accordo sul portare avanti i negoziati a sei”9. Immediato fu il commento della Casa bianca, da dove il Presidente George W. Bush ringraziò la controparte cinese per aver messo fine all’impasse10.

Non avendo la Corea del Nord posto condizioni per tornare al tavolo negoziale, l’inviato americano, Christopher Hill, Vice-segretario di Stato per l’Asia-Pacifico, ribadì la propria disponibilità a riprendere i
colloqui nel più breve tempo possibile. La decisione americana venne accolta con favore da Russia e Corea del Sud, ma il Giappone continuò a sostenere l’impossibilità di proseguire con le consultazioni senza aver prima ricevuto esplicita conferma della rinuncia da parte di Pyongyang all’utilizzo dei propri impianti nucleari e dello smantellamento degli stessi. Pochi mesi dopo, seppure durante la seconda fase del quinto round negoziale - 18/23 dicembre 2006 - non venne raggiunta nessuna decisione significativa, di importanza determinante fu l’incontro bilaterale tra Stati uniti e Corea del Nord in cui si cercò di raggiungere un accordo sulla questione dei capitali coreani congelati a Macao11.

All’inizio del 2007, invece, l’atmosfera degli incontri cambiò radicalmente: sempre a Pechino, il 13 febbraio, i delegati dei sei Paesi firmarono un nuovo Joint Statement in base al quale la Corea del Nord si sarebbe impegnata a chiudere il suo principale complesso nucleare, Yongbyon, e avrebbe invitato gli esperti dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) a verificare il completamento della manovra12. In cambio, i cinque si assunsero la responsabilità di rifornire Pyongyang, entro 60 giorni, degli aiuti energetici necessari allo sviluppo del paese, quantificati in 50.000 tonnellate di combustibili13. Altre 950.000 tonnellate sarebbero state consegnate non appena gli impianti nucleari fossero stati permanentemente disabilitati. Contemporaneamente, vennero formati cinque gruppi di lavoro il cui scopo sarebbe stato quello di facilitare il dialogo multilaterale e favorire il raggiungimento di un compromesso sulle questioni rimaste in sospeso14. Seppure all’entusiasmo di Corea del Sud, Cina e Russia si contrapposero lo scetticismo e l’atteggiamento più cauto di Stati uniti e Giappone, l’accordo del 13 febbraio ha permesso di compiere un significativo passo avanti nella risoluzione della questione coreana. 

Per consolidare ulteriormente il nuovo trend positivo, in occasione dell’apertura del sesto round negoziale (marzo 2007), gli Stati uniti annunciarono la propria disponibilità a scongelare i 25 milioni di dollari americani depositati presso il Banco Delta. Purtroppo, una serie di ritardi nelle transazioni finanziarie fecero sorgere nuove preoccupazioni, ma, grazie alla mediazione cinese e russa, la situazione tornò sotto controllo15. Quando i coreani si rifiutarono di implementare l’accordo del 13 febbraio fino al momento in cui i capitali bloccati a Macao non fossero stati liberati, gli americani addossarono le colpe dei ritardi nella transazione alla controparte cinese, anche se, dal loro punto di vista, il mancato scongelamento dei fondi non avrebbe dovuto mettere a repentaglio l’implementazione dell’ultimo Joint Statement16. In un clima molto teso, il Vice-ministro cinese Wu Dawei riuscì a mediare le varie posizioni, giustificando Bank of China, la banca incaricata di mediare la transazione finanziaria, e puntualizzando ancora una volta l’importanza dell’implementazione dell’accordo del 13 febbraio17. I russi, invece, individuarono per primi una via d’uscita realistica. L’11 giugno, la Far East Commercial Bank di Mosca rese nota la propria disponibilità a facilitare la transazione di fondi da Macao a Pyogyang18. Dopo pochi giorni, e dopo aver ricevuto la quantità di carburanti stabilita, la Corea del Nord chiuse l’impianto di Yongbyon e permise agli ispettori dell’Aiea di verificare la veridicità delle proprie dichiarazioni19.

Il 30 settembre 2007, a conclusione della seconda fase del sesto round, Pyongyang si impegnò a neutralizzare l’intero arsenale nucleare entro la fine dell’anno e gli Stati uniti assicurarono di essere disposti a “ricambiare”, all’inizio del 2008, rimuovendo la Corea dalla lista degli “Stati canaglia’. Inoltre, il responsabile americano Hill, dopo aver verificato personalmente a dicembre che lo smantellamento
dell’arsenale nucleare stava procedendo senza intoppi, ha persino “prospettato la possibilità di avviare una normalizzazione diplomatica, quale preludio alla firma di un trattato di pace sostitutivo dell’armistizio
del 195320. Lo smantellamento dell’arsenale nucleare è oggi di nuovo in una fase di stallo. La Corea non ha rispettato nè la scadenza di dicembre 2007 nè quella (nuova) del febbraio 2008. Tuttavia, il fatto che Hill si mostri conciliante e che Kim Jong Il non perda occasione per ricordare le “buone intenzioni” di Pyongyang e di giustificare il ritardo con “difficoltà temporanee facilmente superabili” permette di continuare ad avere fiducia nella possibilità di raggiungere un accordo definitivo21.

3. La visione americana, quella giapponese e quella cinese della questione coreana
Osservando i fatti, risulta evidente che sono state la Repubblica popolare cinese e gli Stati uniti a ricoprire un ruolo chiave nei negoziati.

Secondo Aidan Foster-Carter, sono stati l’unilateralismo americano e la risolutezza del paese a non voler in alcun modo abbandonare l’ipotesi dell’intervento militare a rendere più difficile la rinuncia coreana
all’impiego dell’arma atomica22. Con le sue parole, Foster-Carter non giustifica la politica di Pyongyang ma sottolinea la non adeguatezza di quella americana. Le ragioni che hanno spinto Washington a mantenere questa linea sono facilmente rintracciabili nell’immagine che gli Stati uniti associano da sempre alla Corea del Nord: un regime totalitario dotato di armi di distruzione di massa. Un governo “tiranno”, queste le parole del presidente Bush, che rappresenta una seria minaccia per la comunità internazionale in generale e per l’America in particolare.

Completamente diverse sono state le reazioni della Corea del Sud e della Cina, paesi il cui destino è fortemente condizionato dagli umori di Pyongyang. Se la prima è rimasta fedele alla sunshine policy abbracciata nel 1998 da Kim Dae Jung, la seconda è riuscita a consolidare il suo ruolo di potenza neutrale e di peace maker regionale23

Prima di analizzare le ragioni alla base della scelta cinese e coreana, è opportuno considerare la posizione mantenuta dal Giappone. Nel settembre 2002, il viaggio dell’Ex-premier Junichiro Koizumi in Corea del Nord aveva alimentato l’idea di un prossimo riavvicinamento tra Tokyio e Pyongyang, ma già dal 2006, con Shinzo Abe alla guida dell’esecutivo, tale riallineamento venne congelato. Il nuovo premier pose come condizione imprescindibile per concedere un sostegno economico e finanziario a Pyongyang un chiarimento della vicenda dei 17 civili rapiti dal Nord tra il 1977 e il 198324. Il Giappone di Yasuo Fukuda, infine, sembra propenso a riprendere la prospettiva di dialogo iniziata da Koizumi25. Per gli esperti, qualora gli Stati uniti decidessero di rimuovere la Corea del Nord dalla lista degli “Stati canaglia”, Fukuda non avrebbe altra alternativa a quella di contribuire attivamente ai flussi di aiuti e investimenti diretti verso Pyongyang, pena l’isolamento (economico) nella regione26.

Anche nel caso della Repubblica popolare cinese l’interesse nazionale e le opportunità economiche rappresentano il motore che ha spinto il paese a farsi promotore dell’approccio multilaterale, presentato come cruciale per risolvere in maniera definitiva la questione coreana.

Fino alla fine degli anni ’90, la prospettiva di una Pyongyang nuclearizzata ha preoccupato Pechino esclusivamente dal punto di vista della sicurezza nazionale. In quegli anni, i pericoli cui la Cina doveva far fronte erano tre: proliferazione nucleare, instabilità regionale, e possibilità che la linea dura mantenuta da Stati uniti e Corea del Nord potesse spingere la seconda a compiere passi più rischiosi27. Tuttavia, gli interessi di lungo periodo della Repubblica popolare vanno letti in chiave non solo geostrategica ma anche economica28.

L’importanza della Corea del Nord come Stato cuscinetto resta cruciale ma, soprattutto negli ultimi anni, la Cina sta facendo il possibile per trasformare il regime di Pyongyang in una fonte inesauribile di opportunità economiche29. Circa un centinaio di industrie minerarie, siderurgiche e portuali cinesi hanno già investito in Corea. Inoltre, risale a dicembre 2005 un accordo tra i due governi per verificare congiuntamente la presenza di pozzi petroliferi nel Mar Giallo30. Riassumendo, i principi che sono oggi alla base della politica coreana cinese sono tre: sostenere la denuclearizzazione della Corea del Nord per mantenere pace e stabilità nella regione; utilizzare la propria abilità diplomatica per favorire la trasformazione dei six-party talks da piattaforma multilaterale di dialogo a vera e propria organizzazione regionale; promuovere i propri interessi economici in Corea del Nord31.

E’ evidente che la Cina potrà avere successo solo se sarà in grado di mantenere la propria posizione di mediatrice e al contempo di leader al tavolo negoziale con le altre cinque potenze.

4. L’antagonismo Cina-Corea del Sud
Se Russia, Stati uniti e Giappone negli ultimi anni sembrano essersi via via convinti dell’utilità e dell’efficacia dell’approccio multilaterale alla “questione coreana”, la Corea del Sud ha recentemente affiancato alla sua storica sunshine policy una politica bilaterale molto attiva.

Nell’ottobre del 2007, Roh Moo-hyun e Kim Jong Il si sono incontrati a Pyongyang per firmare la “Declaration on the Advancement of South-North Korean Relations, Peace and Prosperity”32. L’accordo ha prospettato una serie di collaborazioni commerciali, infrastrutturali e nel campo delle risorse naturali33. Seoul ha poi dato la propria disponibilità ad aiutare Pyongyang con una sorta di Piano Marshall di 20 miliardi di dollari e, sempre nel 2007, è stato ripristinato il programma con cui il Sud invia regolarmente al Nord 400.000 tonnellate di riso all’anno34.

L’impostazione anti-cinese del trattato è evidente, ma, d’altronde, non va trascurato che negli ultimi anni, mentre la Cina è diventata un mercato importante per le esportazioni di Seoul, molte aziende coreane hanno delocalizzato le proprie produzioni nella Repubblica popolare, rendendo il paese sempre più conomicamente dipendente da Pechino, mentre le produzioni di quest’ultima stanno letteralmente spiazzando quelle coreane in tutti i continenti35. Alla luce di ciò, sembra inevitabile per la Corea del Sud scegliere di optare, ove possibile, per favorire l’interesse nazionale a discapito di ogni altra potenza. Di fatto, Seoul vorrebbe evitare di vedere la Corea del Nord trasformarsi nella quarta provincia della Cina nord-orientale, e ha tentato di giocare la carta pan-coreana per scalfire la nuova egemonia cinese sulla penisola.

Se sulla carta la strategia di Roh potrebbe apparire un successo, Jongryn Mo sostiene che nel lungo periodo questa politica non paghi, e che la Corea sia oggi relativamente più isolata nella diplomazia sia internazionale che regionale36. Va però aggiunto che le elezioni del 19 dicembre hanno riportato, dopo 10 anni, la guida del paese nelle mani dei conservatori. Relativamente alla “questione coreana”, già in 
campagna elettorale il neo-Presidente Lee Myung bak aveva palesato l’intenzione di abbandonare la sunshine policy dei suoi predecessori per abbracciare una linea di azione più pragmatica, allineandosi alla
posizione recentemente assunta sia a Tokyo che a Washington37.

5. Conclusione
Come sottolinea Fei-Ling Wang, fino alla fine degli anni ’90 sarebbe stato impossibile anche solo ipotizzare una soluzione definitiva per la questione coreana38. In soli sette anni la situazione è drasticamente cambiata, e sono state proprio Cina e Stati uniti le prime potenze a farsi promotrici della necessità di raggiungere un compromesso.

Dal punto di vista americano, è stato dimostrato che il tempo ha dato ragione a chi, come Foster-Carter39, sosteneva che la linea dura nei confronti della Corea del Nord si sarebbe rivelata, a posteriori, un errore. Dal punto di vista cinese, invece, è evidente che sia un collasso del regime di Pyongyang sia una nuova guerra sulla penisola coreana non potrebbero che avere pesanti costi economici oltre che serie ripercussioni politiche per la stabilità interna della Repubblica popolare. Se tali riflessioni spiegano il recente cambio di rotta della diplomazia statunitense e il forte interesse dimostrato da Pechino a voler salvaguardare il buon esito dei six-party talks, va altresì sottolineato da un lato che la linea dura ha danneggiato negli anni anche il Giappone, tanto da spingere il neo-eletto Yasuo Fukuda a riprendere la strategia di dialogo del suo più lontano predecessore. D’altro canto, i costi economici di un collasso o di una guerra si ripercuoterebbero non solo sulla Cina ma su tutta la regione, soprattutto alla luce dei numerosi interessi e investimenti economici che legano oggi le cinque potenze coinvolte nei negoziati e la Corea del Nord.

Per queste ragioni, se fino alla fine del 2007 al tavolo dei six-party talks si sono sempre riuniti sei paesi con posizioni spesso contrastanti che la Repubblica popolare ha avuto il merito di mediare, è ora possibile ipotizzare che a partire dai prossimi colloqui la maggiore uniformità di vedute e la recente enfasi posta da sempre più attori sulla necessità di compiere scelte pragmatiche permetta ai partecipanti di compiere nuovi significativi passi in avanti40. In quest’ottica, azioni apparentemente orientate a sviluppare o potenziare esclusivamente gli interessi economici intraregionali, se implementate in maniera concertata dai sei paesi coinvolti nei negoziati, potrebbero rafforzare la fiducia reciproca, potenziare ulteriormente il ruolo della diplomazia multilaterale e, infine, favorire nel tempo il raggiungimento di una soluzione politica definitiva per la delicata questione coreana.

 

MONDO CINESE N. 134, GENNAIO - MARZO 2008

Note

1.M. Beeson, Regionalism & Globalization in East Asia. Politics, Security and Economic Development, Palgrave MacMillan, New York, 2007, pp. 90-91..
2 Kim Jong Il è il figlio di Kim Il Sung, che ha fondato, nel 1948, la Repubblica democratica popolare di Corea..
3 Va ricordato che fu proprio nel discorso sullo stato dell’Unione del gennaio 2002 che il Presidente americano George W. Bush presentò la Corea del Nord come “Stato canaglia”..
4 Jing-dong Yuan, “Beijing Keeps a Wary Eye on the Korean Peace Process”, China Brief, The Jamestown Foundation, n. 22, 29.11.2007, pp. 7-9..
5 “Six Party Talks and North Korea Issue”, Ministero degli affari esteri giapponese, 2003, <http://www.mofa.go.jp/region/asia-paci/n_korea/6party/index.html> ..
6 Joint Statement of the Fourth Round of the Six-Party Talks Beijing, 19 settembre 2005, Dipartimento di Stato americano, <http://www.state.gov/r/pa/prs/ps/2005/53490.htm> ..
7 Nel luglio 2006, la Corea del Nord testò una serie di sette missili, tra cui uno balistico a lungo raggio. Oltre alle sanzioni economiche e militari, le Nazioni unite, sostenute dalla Cina, decisero di introdurre il divieto di esportazione di beni di lusso e di viaggi turistici nel paese. Ansa, Tokyio, 2.11.2007..
8 La Corea venne accusata di riciclaggio di dollari americani che, tramite il Banco Delta, venivano trasferiti in istituti finanziari di tutto il mondo. “North Korea offers nuclear talks deal”, BBC News, 13.4.2006, <http://news.bbc.co.uk/2/hi/asiapacific/4905308.stm> ..
9 “North Korea talks set to resume”, BBC News, 31.10.2006, <http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/6102092.stm> ..
10 Ibid..
11 Seppure non venne compiuto nessun passo avanti, la decisione dei due interlocutori di incontrarsi di nuovo a New York nel gennaio 2007 sembrò promettente. Nondimeno, prima del gennaio 2007, ancora una volta grazie all’intermediazione di Pechino, Daniel Glaser, una delle figure al vertice del Ministero del tesoro americano, e il suo omologo coreano O Kwang Chol si incontrarono in Cina per trattare le condizioni di un parziale scongelamento dei fondi di Macao. “DPRK, U.S. to continue bilateral meeting on financial issue Wednesday”, Xinhua, 20.12.2006, http://news.xinhuanet.com/english/2006-12/20/content_5508946.htm.
 12 Initial Actions for the Implementation of the Joint Statement, Ministero degli affari esteri della Repubblica popolare cinese, 13.2.2007, <http://www.fmprc.gov.cn/eng/zxxx/t297463.htm> ..
13 Le basi del comunicato furono gettate dall’intenso lavorio diplomatico di Pechino. Nel corso della terza fase dei colloqui, infatti, fu il Vice-ministro degli esteri, Wu Dawei, a presentare la bozza del Joint Statement su cui i sei paesi trovarono l’accordo. “Beijing proposal opens up N-talks”, The Australian, 10.2.2007, <http://www.theaustralian.news.com.au/story/0,20867,21201335-1477,00.html> ..
14 Ai cinque gruppi di lavoro sarebbe spettato il compito di negoziare sulle questioni più controverse: denuclearizzazione della penisola coreana; normalizzazione dei rapporti tra la Corea del Nord e, rispettivamente, gli Stati uniti e il Giappone; cooperazione economica ed energetica; creazione di un meccanismo in grado di garantire pace e sicurezza nell’Asia nord-orientale..
15 Heejin Koo e A. Cheng, “North Korea Nuclear Talks Recess Amid Transfer Snafu”, Bloomberg, 22 marzo 2007 <http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=20601101&sid=aVWf.4rVYsDQ&refer=japan> ..
16 La transazione avrebbe dovuto essere mediata da Bank of China, ma quest’ultima, secondo il Vice-ministro cinese Wu Dawei, avrebbe ritardato il completamento della procedura intimorita dal fatto che il Banco Delta figurasse ancora nella lista nera degli istituti finanziari stilata dagli Stati uniti (Patriot Act)..
17 “New six-party talks begin as DPRK, U.S. resolve frozen funds issue”, China Military Online, 20.3.2007, <http://english.pladaily.com.cn/site2/news-channels/2007-03/20/content_767516.htm> ..
18 P. Parameswaran, “Russia Agrees To Help End North Korea Banking Row”, Agence France-Press, 11.6.2007, <http://www.spacewar.com/reports/Russia_Agrees_To_Help_End_North_Korea_Banking_Row_999.html> ..
19  B. Herman, “North Korea says it has shut down nuclear reactor”, Associated Press, 15.7.2007,  http://www.chron.com/disp/story.mpl/front/4968820.html  ; “U.N. verifies closure of North Korean nuclear facilities”, CNN, 18.7.2007, <http://edition.cnn.com/2007/WORLD/asiapcf/07/18/nkorea.iaea/. .
20  “Nucleare: Corea Nord; Pechino, disarmo ‘senza intoppi’”, Ansa, 19.12.2007.
21 “New nuclear deadline for NKorea”, BBC News, 10.1.2008 <http://news.bbc.co.uk/1/hi/world/asia-pacific/7180521.stm> ; “N Korea stands by nuclear deal”, BBC News, 31.1.2008, <http://news.bbc.co.uk/1/hi/world/asia-pacific/7219100.stm> ..
22  Dopo l’intervento in Iraq nel 2003 l’opzione di intervento militare in Corea del Nord si fece meno credibile. Forse anche per questo motivo gli Stati uniti assunsero un atteggiamento meno intransigente all’interno dei six-party talks. A. Foster-Carter, “Summit Success?”, Northeast Asia Peace and Security Network, Policy Forum Online, 6.11.2007..
23  La sunshine policy è la politica accomodante nei confronti della Corea del Nord, che enfatizza la positività di una cooperazione inter-coreana pacifica. Promossa da Kim Dae Jung nel 1988, è valsa al presidente coreano il Premio Nobel per la Pace nel 2000..
24  I sette civili giapponesi furono rapiti dai servizi segreti di Pyongyang, con l’intento di forzarli a contribuire all’addestramento degli agenti coreani specializzati in “affari giapponesi”. Nel 2002, cinque vittime vennero rimpatriate e il governo dichiarò che le altre dodici fossero decedute: una versione cui le autorità governative e i familiari delle vittime non hanno mai creduto. “Japan’s Problem With N. Korea Talks”, Time, 17.12.2007, <http://www.time.com/time/world/article/0,8599,1695277,00.html> ; “Japan wants G8 to bear on North Korea”, China Daily, 6.7.2007, <http://www.chinadaily.com.cn/language_tips/2007-06/07/content_889174.htm>.
25 “New Japan PM promises NKorea flexibility”, ABC Radio Australia, 24.9.2007, http://www.radioaustralia.net.au/news/stories/s2041331.htm ..
26  “Japan shifts as U.S. opens to N. Korea”, The China Post, 15.12.2007, <http://www.chinapost.com.tw/print/135006.htm>. .
27  L’opzione militare avrebbe comportato lo spostamento massiccio di rifugiati dalla Corea in Cina, disturbando lo sviluppo economico di quest’ultima. Jing-dong Yuan, “China and the North Korean Nuclear Crisis”, James Martin Center for Nonproliferation Studies, 22.1.2003, <http://cns.miis.edu/research/korea/chidprk.htm>. .
28 “Beijing Keeps a Wary Eye on the Korean Peace Process”, op.cit..
29 Non va dimenticato che, storicamente, la Corea del Nord ha permesso a molti eserciti invasori di mettere piede in Cina. Inoltre, dagli anni della Guerra fredda, la Corea del Sud ospita alcuni contingenti militari americani..
30 Lin Jing-shu, “On Chinese Enterprises Investment in North Korea”, International Trade, n. 10, 2005, pp. 18-22, Jae Cheol Kim, “The Political Economy of Chinese Investment in North Korea”, Asian Survey, vol. XLVI, n. 6, novembre-dicembre 2006, pp. 898-916..
31 G. Rozman, “The North Korean Nuclear Crisis and U.S. Strategy in Northeast Asia”, Asian Survey, vol. XLVII, n. 4, luglio-agosto 2007, pp. 601-604, “Beijing Keeps a Wary Eye on the Korean Peace Process”, op.cit..
32 Si tratta del secondo summit bilaterale tra i due paesi, organizzato negli ultimi 60 anni, ovvero da quando le due parti, nel 1948, vennero divise a attribuite, rispettivamente, alla sfera di influenza americana il Sud e a quella sovietica il Nord. Il fatto che anche il primo incontro, nel 2000, alla presenza di Kim Jong Il e Kim Dae-jung, si fosse svolto a Pyongyang non ha mancato di suscitare delle critiche sull’affidabilità del leader nordcoreano, accusato di una totale mancanza di volontà di voler ricambiare la visita del presidente della Corea del Sud. “Summit Success?”, op.cit..
33 Il testo dell’accordo è accessibile sia alla pagina web del Ministero dell’unificazione della Corea del Sud <http://www.unikorea.go.kr/english/EPA/EPA0101R.jsp?main_uid=2181>  sia da quella dell’omonimo ministero nordcoreano <http://www.kcna.co.jp/item/2007/200710/news10/05.htm#2> . E’ curioso che le due versioni si concludano in maniera diversa. Se i sudcoreani sottolineano l’importanza di incontri più frequenti tra i due leader per facilitare il miglioramento delle proprie relazioni bilaterali, per i coreani del Nord i leader dovrebbero più semplicemente incontrarsi di tanto in tanto per cercare un compromesso sulle questioni lasciate in sospeso..
34 Il programma era stato interrotto nel 2006 per protesta contro i test missilistici e nucleari condotti dal Nord..
35 Jae Ho Chung, Between Ally and Partner: Korea-China Relations and the United States, New York, Columbia University Press, 2007, pp. 75-90..
36 Jongryn Mo, “What Does South Korea Want?”, Policy Review, aprile-maggio 2007, pp. 43-45; 50-55..
37 “New Conservatism Rise to Power”, The Korea Herald, 20.12.2007..
38 Fei-ling Wang, “Joining the Major Powers for the Status Quo: China’s Views and Policy on Korean Reunification”, Pacific Affairs, vol. 72, n. 2, estate 1999, pp. 167-185..
39 A. Foster-Carter, op.cit..
40 In questo caso, si parla della propensione, fatta propria da Cina e Corea del Sud, di trasformare il regime di Pyongyang in una fonte di opportinutà economiche piuttosto che di instabilità politica..

 

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