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CULTURA E SOCIETA'

Toscana, terra "cinese"

di Maria OMODEO

1. Premessa
Se dici “comunità cinese” dici Prato, questo è il luogo comune che circola in Italia, legato al fatto che in questa città si registra il più alto rapporto fra autoctoni e immigrati cinesi del nostro Paese1. Tuttavia, molti elementi evidenziano le difficoltà di questa città e della Regione Toscana in generale a promuovere politiche di reale inclusione socio culturale che mettano a frutto i tanti sforzi fatti negli anni dalle istituzioni, dalla società civile e dagli stessi cittadini cinesi qui residenti.

Sono in particolare molti ragazzi della generazione cresciuta in Italia che vorrebbero trovare proprie originali forme di affermazione individuale; ma fra loro quelli che sono riusciti a portare a termine gli studi superiori sono una percentuale irrilevante e quelli entrati all’università costituiscono poche unità, figli di intellettuali che qui svolgono altro tipo di mansioni. Chi cerca di uscire dalla cosiddetta economia etnica di solito finisce comunque per rimanere ai margini o per trovare lavoro in ambiti complemetari a quelli dei loro connazionali. Ma ascoltando i giovani, questa sembra un’imposizione esterna della società d’arrivo più che una scelta collettiva ed ancor meno dei singoli interessati.

Cercheremo qui di ricostruire qual è la percezione che hanno i giovani di nazionalità cinese residenti in Toscana in merito alla propria inclusione socio culturale, basandoci su alcuni episodi chiave, sui principali elementi che caratterizzano gli insediamenti toscani e il dibattito al loro interno2.

2. Il capodanno negato
Dagli inizi degli anni ’90 era consuetudine della cittadinanza d’origine cinese residente nel comune di Prato – ed in misura meno vistosa anche nelle altre città toscane interessate da questa provenienza – festeggiare il capodanno tradizionale con sfilate in costume lungo le strade, fra ali di persone, autoctoni compresi. Ma l’anno del maiale d’oro è cominciato male3: l’assessore pratese alla città multietnica Andrea Frattani ne ha di fatto vietato lo svolgimento pubblico, confinandolo nel cortile interno del pur prestigioso museo d’arte Pecci. “Ho sconsigliato di svolgere le manifestazioni del Capodanno in luoghi pubblici per sollecitare una riflessione da parte della comunità cinese sulla convivenza, che viene messa in difficoltà da comportamenti non in linea con i codici e i regolamenti dell’amministrazione. (…) La decisione non è stata presa con un intento punitivo. E’ un invito alle associazioni cinesi a lavorare con noi sui temi della convivenza, a dare il loro supporto, come quando lo hanno dato per acquistare un’ambulanza e sovvenzionare una parte del nuovo reparto di maternità dell’ospedale”4.

Del resto, da tempo rappresentanze della componente buddista cinese chiedevano senza successo al Comune la possibilità di istituire un proprio tempio. Su questi due episodi, nel sito dell’associazione che raccoglie molti giovani cinesi italiani, “Associna”, si è aperto un forum di discussione che evidenzia una convivenza davvero difficile, con gli autoctoni che sembrano voler colpire i loro coetanei cinesi per rieducarli. Al tema aperto dal leader dell’associazione Bai Junyi sul fatto che gli immigrati cinesi avevano vissuto come discriminatorio il non poter fare il corteo di capodanno, una ragazza italiana (o che si fa credere tale, “Alexia”) attacca un ragazzo dal nickname “Blusky” che si è sentito offeso dal rifiuto dell’assessore: “Sei un patriota!!! Bravo, almeno in te si trova ancora il valore di patriottismo!!! Mio caro perché siamo in Italia, un paese democratico, dove puoi dire quello che ti pare, e non avrai mai il pericolo conseguenziale! Siamo fortunati o no? Almeno rispetto gli studenti morti in Piazza Tian An Men?”5. Blusky risponde: “Non so se sono un Patriota .. o nazionalista.. o quel ke si voglia.. xke in fondo è cmq solo e stupidamente un modo x definire una persona ke sta stretto a me… Sono cinese e ne sono orgoglioso... sto in Italia e ne sono egualmente orgoglioso.. mi sento fortunato di poter apprendere un po da tutti e due le culture (spero più cose positive ke non).. X qnt riguarda Tian an men non voglio giustificare nessuno... ma xke lo hai citato? forse x dirmi ke sono cose come qste ke ti hanno fatto maturare un odio profondo verso cina/cinesi?.... è una tua scelta..”6 Questa sorta di antipatia istintiva che “Blusky” percepisce nei confronti dei suoi connazionali, si basa in questo caso sulla critica verso il governo cinese, guardato con gli occhi di chi è abituato ad andare a votare: scrive infatti “Babo”: “Personalmente la ritengo una scelta discutibile, ma in fondo festeggiare il ‘capodanno cinese’ potrebbe urtare la sensibilità degli italiani e delle altre comunità. E’ giusto sacrificare le proprie libertà, come quella di espressione, in vista del bene comune e della pacifica e rispettosa convivenza tra i cittadini. (…) I governanti italiani lavorano per il nostro bene e criticarli ora comprometterebbe il futuro dell’Italia. La comunità cinese capirà”7.

Alle reazioni indignate dei blogger cinesi che ricordano che in Italia ci sarebbe libertà di manifestazione e di culto, “Babo” ribatte che la sua era infatti una provocazione: “Certo che sono italiano e ti continuo a dire che vietare le libertà individuali per il bene comune non è uno scandalo perchè la Rpc lo ha scritto persino nella sua costituzione e se ai cinesi in Cina va bene così, perchè qui dovrebbero lamentarsi?”8.
Anche fuori dai circuiti virtuali è frequente sentire pareri di questo tipo, che approvano una sorta di equipollenza fra stati per quanto riguarda i diritti negati: se nel paese da cui una persona è emigrata una determinata cosa era illecita, allora lo deve essere anche qui, dichiarazioni che hanno un intento che verrebbe da definire rieducativo.

3. Competenza linguistica e “chiusura”
Negli impliciti del dibattito citato, si nota che un sentimento di duplice appartenenza è forte fra i giovani cinesi che vi hanno partecipato e che possiamo ipotizzare siano per lo più toscani, visto che citano eventi avvenuti a Prato, come l’incontro con il Vice console, nei cui confronti molti esprimono pareri critici perché non conosce bene l’italiano.

Il linguaggio con cui si esprimono i ragazzi di seconda generazione, è il gergo da chat, con le sue caratteristiche abbreviazioni, aggiunte a qualche errore da parlanti L2, da cui però non si salvano neppure i parlanti L1. E’ interessante la riflessione su padronanza dell’una o dell’altra lingua e livello di inclusione.

Proprio il rappresentante di Associna, Bai Junyi, commentando i corsi di lingua cinese organizzati nel Quartiere 5 di Firenze dall’Associazione per gli scambi culturali fra Toscana e Cina, diceva: “Voi italiani insistete perché noi si mantengano le nostre tradizioni e la nostra lingua, senza tenere conto del fatto che a molti di noi non interessa”9. Ma se poi guardiamo il loro sito, troviamo frequenti riferimenti alla voglia e al bisogno di recuperare la L1, come ad esempio nella sezione dedicata ad incontri che hanno come scopo l’uso comunicativo del cinese al ristorante, analogamente a come potrebbero fare degli studenti italiani in cerca di occasioni per approfondire l’uso della lingua cinese.
 
A casa i genitori di solito parlano in dialetto, che è capito dai figli come lingua passiva, ma poco praticata, cosicché si trovano a rispondere in italiano ai genitori, per i quali questa spesso è a sua volta una lingua passiva. Per molti ragazzi cresciuti in Italia, la lingua nazionale cinese è proprio una lingua straniera. A chi scrive è capitato in varie occasioni di fungere da interprete fra genitori e figli, che giunti in età adolescenziale sembrano provare vergogna per le scarse performance in L2 dei genitori o che comunque utilizzano nel conflitto generazionale quest’“arma” in più rispetto ai compagni autoctoni della stessa difficile età. Anche il rapporto fra lingua scelta e adesione a manifestazioni culturali legate ora a questa ora a quella tradizione, è molto complesso fra i giovani cinesi toscani: già nell’anno scolastico 1990/91 un bambino di seconda elementare di Prato, che non parlava neppure nella variante dialettale della famiglia, aveva inizialmente posto un’obiezione all’idea di studiare il cinese: “Da grande non voglio fare il cinese”10, mostrando di avere ben compreso che esisteva una relazione fra appartenenza “etnica” e lavoro, anche se forse la sua speranza che l’appartenenza passasse solo da lingua e background culturale era sovrastimata.
 
Alcuni anni più tardi, nel 1994, in occasione di una visita ai musei organizzata con la collaborazione della Provincia di Firenze, sulla corriera che aveva raccolto inizialmente gli alunni cinesi di Prato, la lingua di comunicazione era il dialetto di Wencheng11, loro principale provenienza, ma quando a metà strada erano saliti gli alunni delle scuole del Quartiere 5 di Firenze che fra loro parlavano esclusivamente in italiano, erano cominciate a volare offese fra i due gruppi sulle rispettive scelte.

La presenza fiorentina era meno recente e forse si potrebbe attribuire a questo l’uso privilegiato dell’italiano, ma stava anche percorrendo strade di integrazione almeno in apparenza diverse da quelle pratesi: ci riferiamo ad esempio alle scelte di minore appariscenza urbanistica, che ancora oggi caratterizzano gli insediamenti fiorentini, quelli storici di Campi Bisenzio e quelli più recenti dell’empolese12, mentre a Prato si è oramai costituito un vero e proprio rione cinese, con insegne in caratteri cinesi su negozi di ogni genere, dalla pasticceria all’oreficeria, gestiti da cittadini cinesi.

A distanza di anni, i ragazzi cinesi di Prato mantengono forse un po’ più di quelli di Firenze la lingua materna, ma anche lì l’interazione con il contesto in cui vivono ed il coinvolgimento in generale degli immigrati cinesi nelle scelte che li riguardano, dimostrano una straordinaria capacità di adattamento al nuovo contesto e il riferimento per tanti comportamenti socio-culturali è ormai l’Italia e non più il paese d’origine13.

4. Mobilità interna ed esterna alla Regione
Chi lavora nelle scuole toscane fronteggia un problema molto ricorrente: la mobilità territoriale dei suoi alunni cinesi.
Nel 2005, le stime delle famiglie cinesi stesse segnalavano un abbandono della zona fiorentina verso altre mete di circa il 25% delle persone di quella origine, orientate verso zone meno care (Napoli, Sardegna, Sicilia, o addirittura Spagna e Grecia) o con maggiori potenzialità d’inserimento lavorativo stabile (Modena, le Marche…), dopo la sopraggiunta crisi del settore pellettiero che caratterizza la zona fiorentina14.

Per ora i contraccolpi nelle scuole, legati al diminuito numero di alunni sono pochi, perché ragazzi che cercavano da tempo posto a scuola senza trovarlo occupano via via i posti lasciati liberi, ma soprattutto perché i genitori lasciano temporaneamente in affidamento i figli a parenti finché verificano se realmente la nuova situazione dà garanzie di stabilità. Invece fra i capannoni della Piana fiorentina, fino a pochi anni fa caratterizzati da un’alta densità lavorativa, se ne cominciano a vedere molti vuoti o semivuoti, anche se un certo ricambio di nuovi arrivi dalla Cina mitiga gli effetti dell’abbandono. Anche i dati pratesi dello stesso anno, il 2005, vedono una forte mobilità, ma in controtendenza con quanto accade nella vicina Firenze, si conferma la tradizione locale di una immigrazione maggiore rispetto all’emigrazione: in entrata 2.120 immigrati, cresciuti rispetto all’anno precedente di +24%, in uscita 607 emigrati, diminuiti di qualche unità rispetto al 200415. Il 74,53% degli arrivi provengono direttamente dalla Cina ma pure i movimenti migratori interni al territorio italiano risultano numerosi e in aumento: si rafforzano i flussi da altre zone della Toscana e proseguono quelli dalla Campania (principalmente da San Giuseppe Vesuviano e da altri comuni della provincia di Napoli). Oltre il 25% dei nuovi immigrati sono coniugi o figli di altri immigrati, giunti evidentemente a seguito di ricongiungimento, ma aumentano anche gli arrivi individuali (dai 608 del 2004 agli 874 del 2005).

Per quanto riguarda i movimenti in uscita diminuiscono quelli collettivi di più membri di una stessa famiglia e aumentano gli spostamenti individuali, che coinvolgono il 27% degli emigrati. Tra chi emigra da solo, però, aumenta la percentuale di chi lascia a Prato qualche membro della famiglia (dal 45% al 50%), fatto che farebbe ipotizzare una natura provvisoria dello spostamento, o - come nel caso di Firenze - una verifica delle condizioni della nuova sistemazione. Tra chi emigra insieme ad altri familiari cresce dal 65% al 73% la percentuale di famiglie che non lasciano a Prato alcun componente, segno di una definitiva emigrazione dal comune. Le principali regioni di emigrazione continuano a essere Toscana, Sicilia, Lombardia ed Emilia Romagna, mentre si riducono drasticamente i flussi verso il Veneto. Emergono nuovi movimenti verso il Friuli Venezia Giulia e la Calabria e si rafforzano quelli di rientro nella madrepatria, pur mantenendo esigue dimensioni16.
 
Sfuggono senz’altro a queste dettagliate statistiche gli spostamenti in collegi in Cina di bambini e ragazzi per uno o due anni. Si tratta di un fenomeno molto interessante (anche se al momento non quantificabile), giustificato dai genitori nei confronti dei figli con la motivazione che così possono imparare un po’ di cinese. Così ci hanno riferito i ragazzi incontrati nelle scuole di Wenzhou e Rui’An17, dove sono chiamati “gli italiani”, condannati ad uno status di stranieri dovunque si trovino. Assieme a loro studiano molti bambini e ragazzi in attesa di ricongiungimento familiare: questa mobilità che agli insegnanti italiani sembra aberrante è molto difficile da reggere psicologicamente anche per i ragazzi e per le loro famiglie “qui mi prendono in giro perché sono grasso e perché non so il cinese”, dice A., di 13 anni, nato e cresciuto a Prato e mai uscito prima dall’Italia, felice quando ci vede di poter parlare in italiano dopo vari mesi di Cina, “ma i miei genitori non hanno voluto ascoltarmi, andavo anche bene a scuola, ma loro dicono che non posso crescere senza sapere il cinese”18. Il padre, a cui portiamo i saluti al nostro rientro in Italia ci spiega che è stato costretto suo malgrado a mandare il figlio in Cina, perché si sta guardando intorno per capire se può trovare una situazione abitativa e lavorativa migliore perché la sua ditta è in crisi “ad A. ho detto che deve imparare il cinese per poter parlare con la nonna, perché non me la sono sentita di dirgli questo fatto”19.

Il costo di questi collegi è molto alto, anche 2 o 3 mila euro l’anno (ma i dati che ci vengono forniti dai vari interlocutori sono contraddittori) e determinano grossi sacrifici. Unico vantaggio, quello di mettere in contatto ragazzi provenienti dall’Italia che sostano là per qualche tempo e ragazzi in attesa di venirci, una volta che i documenti per il ricongiungimento arriveranno: “Il mio papà dice che l’Italia è bella” ci confida una ragazzina “e che c’è cioccolata molto buona, infatti me la porta ogni volta che mi viene a trovare, allora il mio amico Stefano mi insegna delle parole, perché lui in Italia c’è già vissuto tanto tempo, e ora so dire grazie, ciao…”20.

5. Il successo a scuola: un nodo ancora da sciogliere
Nell’anno scolastico 2005/06, nelle scuole superiori di Prato si contano in tutto 602 studenti stranieri su un totale di 8.178, pari al 7,36% dell’intera popolazione21. Di questi, quasi la metà sono cinesi.

Va però notato che oltre la metà degli alunni stranieri sono iscritti alla prima e che con il proseguire del corso di studi la loro presenza si assottiglia. Ciò si verifica tra tutte le cittadinanze ed è dovuto ai tanti abbandoni scolastici, che avvengono soprattutto nel passaggio dal primo al secondo anno, come indica il confronto con gli iscritti per classe nel precedente anno scolastico: nel 2004/2005 si contavano infatti nelle classi prime 228 stranieri e nel 2005/2006 solo 127 sono in seconda, ovvero poco più della metà del numero atteso sulla base di un regolare percorso scolastico. Lo stesso fenomeno si verifica ad ogni passaggio di classe, con una progressiva perdita consistente di alunni stranieri22

Del resto anche i dati nazionali non sono rassicuranti: l’indagine annuale del Ministero della Pubblica Istruzione evidenzia che già nella prima classe della scuola primaria c’è un ritardo degli alunni stranieri
di circa il 10%, cioè 1 alunno straniero su 10 è in ritardo23, mentre per gli alunni italiani questo valore è quasi insignificante. Tale divario cresce enormemente con il progredire del livello di scolarità: nella prima classe della secondaria di I grado il ritardo della popolazione scolastica straniera è del 47,1%, cioè è in ritardo quasi un alunno su due e nella prima classe della scuola secondaria di II grado il ritardo è del 75%, cioè più di 7 studenti stranieri su 10, rispetto ai 2 studenti italiani su 10, sono in ritardo24.
 
A questo fenomeno di ritardi ed abbandoni, va aggiunto quello molto diffuso, soprattutto a Prato, ma anche in altri comuni toscani (e - a quanto dicono i genitori cinesi - in tutte le periferie italiane25) di una difficoltà di trovare posto a scuola per i ragazzi arrivati a corso di studi avviati, soprattutto per quelli fra i 13 e i 15 anni. Nel 2003, il Comune di Firenze ha dato incarico al Centro di alfabetizzazione in L2 “Gandhi”, che affianca le scuole del Quartiere 5 di Firenze dove maggiore è la presenza di famiglie cinesi, di condurre un Censimento di tale fenomeno. E’ emerso che oltre 200 fra bambini e ragazzi, per lo più cinesi, non avevano trovato posto a scuola e l’Amministrazione comunale si è mobilitata per cercare una soluzione mettendo in rete gli istituti e fornendo scuolabus per permettere la frequenza in scuole delle zone vicine26. Tuttavia, anche se tale fenomeno fatica ad essere risolto, anche a causa della citata mobilità e dell’imprevedibilità dei tempi dei ricongiungimenti, sono stati recentemente varati nuovi progetti di dimensione sia locale che regionale per cercare di darvi una risposta definitiva, i cui risultati si vedranno nei prossimi anni.

6. Vite al lavoro
Come abbiamo visto, una composizione equilibrata fra i sessi si riscontra tra i residenti cinesi toscani, che in maniera più accentuata rispetto ad altri gruppi di immigrati presentano modalità migratorie essenzialmente di tipo familiare, in cui le donne tendenzialmente si inseriscono nel progetto imprenditoriale della famiglia.

Una peculiarità toscana, che trova pochi riscontri nel resto d’Italia, è lo sviluppo di imprese manifatturiere condotte da immigrati cinesi, in settori come l’abbigliamento e la pelletteria, con una peculiare concentrazione in provincia di Prato e in alcuni centri della provincia di Firenze (Campi Bisenzio) e del Comune di Firenze stesso (Quartiere 5). Un fenomeno che determina a volte tensioni con gli operatori italiani dei medesimi settori, ma che si inserisce nella dinamica di sviluppo dei sistemi locali di piccole imprese27.
 
Non ci sembra qui il caso di entrare nei dettagli di questa complessa situazione, ma è interessante ascoltare la storia esemplare di successo di una impresa attraverso le parole di una giovane imprenditrice di 28 anni, Sara, da 20 in Italia, che considera l’Italia il suo paese e i cui rapporti con la Cina si limitano a quattro brevi viaggi d’affari all’anno.

Si tratta di una ditta di import-export, fondata nel 1998, di articoli di pelletteria, che ha una produzione limitata in Italia (pronto moda e realizzazione di alcuni modelli), mentre il grosso viene prodotto in Cina. La sua società è composta da tre soci in Italia, e ha circa 15 dipendenti con contratto a tempo indeterminato, di cui metà sono italiani e metà cinesi. Sara è socia, responsabile della progettazione, del campionario, delle PR e del settore commerciale, mentre il titolare della ditta è cinese e vive in Cina. I clienti sono italiani, cinesi, ma anche inglesi, francesi, spagnoli ed i fornitori sono di una ditta consociata all’estero: in pratica la ditta in cui Sara lavora ha creato una filiera unica dalla progettazione all’esportazione.

Si è messa nell’impresa assieme al marito, dopo avere lavorato per anni nella piccola ditta artigiana di confezioni della madre e dopo un periodo di lavoro come interprete. Rispetto all’età media degli italiani in posizioni analoghe è un’imprenditrice molto giovane, ma in questo è simile a tanti suoi connazionali.

Il capitale iniziale è stato messo a disposizione dai familiari e la ditta non ha mai usufruito di prestiti, anche se ha chiesto e ottenuto un mutuo per l’acquisto di un immobile per la produzione e l’ufficio.
 
“Gli imprenditori cinesi” - racconta Sara - “soprattutto nelle fasi iniziali non chiedono prestiti alle banche, sia per la difficoltà di dimostrare il proprio reddito, sia perché la vecchia mentalità è quella del ‘farcela da soli’, senza indebitarsi: si spende quello che c’è nella tasca, non di più, puntando sul lavoro, sull’aumento della produzione e delle vendite, sul consolidamento della ditta. In paragone, le aziende italiane si espongono di più, chiedono prestiti anche se non hanno niente e magari poi non riescono a pagare”28.

7. La “Chinatown” di Prato
La presenza della popolazione cinese si è sviluppata soprattutto in alcuni quartieri di Prato ma ha coinvolto, seppure in misura molto differenziata tra loro, quasi tutte le zone della città. Alla progressiva crescita della comunità avvenuta nel corso degli anni ‘90 è corrisposto un costante processo di distribuzione territoriale che ha ridotto non solo la concentrazione inizialmente creatasi nel centro cittadino ma anche quella in singole strade o palazzi interni ai vari quartieri. A partire dal 1997, tuttavia, tale processo si è parzialmente invertito ed è di nuovo progressivamente aumentata la concentrazione nella circoscrizione Centro. Ai cambiamenti avvenuti nella distribuzione territoriale hanno contribuito sia la sistemazione dei nuovi arrivati, sia la consistente mobilità dei residenti, tra i quali piuttosto frequenti risultano i trasferimenti di abitazione registrati ogni anno all’interno del territorio comunale. Dai 6.831 residenti rilevati alla fine del 2004 si passa agli 8.631 dell’anno successivo: la crescita si registra nell’intero territorio comunale ma è sensibilmente più accentuata nella circoscrizione Centro, dove il tasso d’incremento arriva al +33% (ma anche nelle circoscrizioni Nord, Est e Ovest è alta, oscilla tra il +23% e il +24%, mentre nella più cara Circoscrizione Sud scende al +18%)29. Conseguentemente, nel centro cittadino ora risiedono oltre il 42% dei residenti cinesi, dove costituiscono più del 10% del totale degli abitanti e sono circa la metà di tutti gli stranieri presenti, mentre l’incidenza nelle altre circoscrizioni va dal 2% al 5%30.

A questa dettagliata analisi statistica fornita dal Comune, va aggiunto che la strada nota agli italiani come “Via Pistoiese”, fra i cinesi è chiamata Zhongguo lu, ovvero “Via Cina” ed anche le altre strade attorno hanno ormai un doppio nome, in modo analogo ma di segno opposto a quanto accade anche a tanti immigrati cinesi che hanno un nome italiano, usato anche nell’intimità familiare, accanto a quello cinese originale, ormai valido solo sui documenti.
 
La tendenza nel 1997 a concentrarsi in una zona più circoscritta era stata giustificata dai diretti interessati con il bisogno di tutelarsi da un’aumentata ondata di xenofobia, che vide all’epoca molte persone di nazionalità cinese subire atti di vandalismo o addirittura pestaggi. Ma oggi anche agli stessi cinesi disturba questa concentrazione: L., che anni fa si era faticosamente comprato un appartamento vicino a “Via Cina”, assieme ai genitori e al fratello, oggi pensa di trasferirsi perché “ci sono venuti a stare troppi cinesi”31.

Abbiamo ripercorso più gli aspetti critici di quelli di una positiva inclusione, che pure non mancano.
Concludiamo quindi con una simpatica nota positiva: il 16 giugno 07, alcune delle tante associazioni cinesi che caratterizzano Prato, appoggiandosi ad un commercialista italiano e raccogliendo fondi tramite la testata Europa Asia News, hanno donato alla loro città un’ambulanza – centro mobile di rianimazione, del valore di 50.000 euro, con su due scritte dorate, una in italiano e una in cinese: “Dono della comunità cinese a Prato”32.

E’ stata importata l’abitudine di destinare le rimesse in Cina prevalentemente a scuole ed ospedali… oppure è segno che il suggerimento lanciato dall’assessore Frattani è stato raccolto.

MONDO CINESE N. 131, APRILE-GIUGNO 2007

Note

1 Secondo i dati del Dossier Caritas 2006, sono 23.422 i cittadini cinesi residenti in Toscana. Quelli censiti dal Comune come regolarmente residenti alla fine del 2005 a Prato erano 8.636, di cui poco meno di metà donne, con alte percentuali di bambini e ragazzi: il 15 % con meno di 6 anni e il 34 % con meno di 21 anni. Per i dati completi ed aggiornati, cfr. il sito del Comune di Prato, Prato Multietnica <www.comune.prato.it/immigra/home.htm> . Rimane però un problema il calcolo preciso delle presenze, sia per la forte mobilità che contraddistingue gli insediamenti cinesi, sia perché ancora avvengono arrivi irregolari. Già nel 1999, nelle pagine di questa stessa rivista (Antonella Ceccagno, “Nei-Wai: interazioni con il tessuto socioeconomico e autoreferenzialità etnica nelle comunità cinesi in Italia”, Mondo Cinese, n. 101, maggio-agosto 1999, pp. 75-93) si faceva riferimento alla difficoltà di definire le dimensioni effettive della presenza cinese in questa città, arrivando all’epoca ad una stima di oltre 10.000 presenze cinesi in città, simile a quella attuale. Ma nelle parole del Console generale cinese Gu Hongling recentemente giunto a Firenze, si fa riferimento ad una consistenza almeno doppia rispetto a questa: “A Prato, che è la più grande comunità cinese in Toscana e non solo, vivono tra i 20 e 25 mila cinesi. Un po’ meno a Firenze”, ha infatti dichiarato durante il suo primo incontro con il Governatore regionale Martini (Comunicato stampa della Giunta Regionale Toscana, 17 aprile 07, tramite Agenzia di Informazione G.R.T.: “Cinesi, per la Toscana non c’è nessun rischio Milano – Aumentare i contatti tra le due comunità per evitare che si creino fortezze nelle città” )..
2 Per i dati faremo prevalentemente riferimento a Prato Multietnica, dossier annuale stampato dal Comune di Prato e al sito citato nella nota precedente; per il dibattito fra i giovani ci baseremo in particolare sul blog che si trova all’interno del sito <www.associna.it> ; per le interviste ci baseremo in parte sulle segnalazioni giunte al servizio per immigrati “Parlamondo” gestito dalla ong Cospe e soprattutto sulla ricerca condotta dal Cospe all’interno del progetto INVIP – Investing in people, finanziato dalla Fondazione Levi Strass. Tale ricerca, partendo dall’assunto che l’integrazione economica è un momento fondamentale
di un più complesso processo di integrazione che riguarda la vita dei cittadini migranti, analizza le pratiche promosse da banche e assicurazioni nei confronti di cittadini migranti e rifugiati, evidenziando le modalità di accesso ai servizi bancari e finanziari e le caratteristiche e le specificità dei servizi offerti (ricerca in corso di realizzazione)..
3 Lin Yexiang “L’anno del maiale d’oro”, Percorsi di cittadinanza, inserto del settimanale Aut Aut, Firenze, aprile 2007..
4 Junyi Bai, “Prato, a rischio il corteo per il Capodanno cinese”, Metropoli, inserto de La Repubblica, 3.2.2007, <http://metropoli.repubblica.it.
5 www.associna.com/modules.php?name=News&file=articles&sid=456 .
6 Tutto il dibattito del blog qui riportato si trova alla pagina www.associna.com  citata nella nota precedente..
7 Ibid..
8 Ibid..
9 Testimonianza raccolta dall’autrice in occasione della consegna del “Premio Mustafa Souhir per i media interculturali” ai rappresentanti di G2 (di cui “Associna” è una delle componenti), Palazzo della Provincia di Firenze, ottobre 2006. In controtendenza con questa affermazione, vedi anche in <www.associna.com>  la sezione “Gruppo misto di conversazione” (pulsante dalla home page del sito).
10 D. De Lorenzi, M. Omodeo (a cura di), A scuola con Xiaolin, ECP, Fiesole, 1994..
11 Cittadina dell’area di Wenzhou..
12 Per le caratteristiche storicizzate degli insediamenti: Massimo Colombo, Corrado Marcetti, Maria Omodeo, Nicola Solimano, Wenzhou – Firenze. Identità, imprese e modalità di insediamento dei cinesi in Toscana, Angelo Pontecorboli ed., Firenze, 1994.
13 Antonella Ceccagno, Il caso delle comunità cinesi: comunicazione interculturale e istituzioni, Armando Ed., Roma, 1997..
14 Stime informali raccolte dall’autrice dalla voce dei diretti interessati durante gli incontri di sportello con le famiglie cinesi presso il Centro di Alfabetizzazione in L2 “Gandhi” situato nel Quartiere 5 di Firenze e presso il limitrofo Spazio educativo multiculturale “La Giostra”.
15 Salvo dove diversamente segnalato, questo dato e quelli successivi sono tratti dal dossier Prato Multietnica 2006, curato da A. Marsden, scaricabile on line dal sito del Comune di Prato <www.comune.prato.it/immigra/home.htm..
16 <www.comune.prato.it/immigra/home.htm..
17 Della provincia del Zhejiang, da cui proviene la stragrande maggioranza dei cittadini cinesi oggi in Italia (il 92,81% dei pratesi, seguiti dagli originari del Fujian, 4,30% - Dati del Comune di Prato), Rui’An è la città di principale provenienza degli immigrati fiorentini degli ultimi anni. Si trova a pochi chilometri di distanza da Wenzhou, verso sud ed è un grande centro dei grossisti che servono il Giappone e il Sud Est asiatico. Ha molte scuole all’avanguardia, finanziate anche con le rimesse degli emigrati, che grazie ad un progetto congiunto della ong Cospe e dei Comuni di Firenze e di Prato, sottoscritto con il Vice sindaco di Rui’An nel maggio 2000, sono gemellate con varie scuole toscane ad alta presenza di alunni cinesi. Siamo venuti a contatto con i ragazzi citati nel corso di vari viaggi di scambio (il più recente risale all’ottobre del 2006, epoca in cui sono state fatte le interviste qui riportate fra virgolette). A livello provinciale del Zhejiang, della Municipalità di Wenzhou e di ogni singolo distretto, città o paese interessati dall’emigrazione verso l’estero, sono operativi degli uffici governativi, preposti a mantenere i contatti con i connazionali emigrati, chiamati Qiaoban (ovvero Ufficio per i cinesi d’oltremare, Huaqiao). Dai dati fornitici nell’ottobre 2006 dal Qiaoban di Rui’An, da Rui’An sono emigrate in Italia 1035 persone; le altre destinazioni principali sono Spagna (41 emigrati), Olanda (25), Portogallo (17). (Documento ad uso interno, datato 10 maggio 2005). Il Qiaoban di Wenzhou, è stato di recente protagonista dell’organizzazione di due incontri di livello nazionale con una delegazione guidata dal Sindaco di Wenzhou Il primo incontro ha avuto luogo a Prato (24 maggio 2007), indirizzato a tutti gli imprenditori cinesi d’Italia ed il secondo a Parigi (27 maggio 2007) con gli imprenditori cinesi di Francia. Chi scrive ha avuto modo di partecipare all’incontro di Prato, su invito del Qiaoban di Wenzhou e di rilevare così il dichiarato intento della delegazione di promuovere a Wenzhou investimenti dei connazionali espatriati. .
18 Testimonianza raccolta dall’autrice nell’ottobre 2006, presso la Scuola Media Binjiang di Anyang, città di Rui’An, una delle scuole medie esemplari dell’area di Wenzhou. E’ stata costruita nel 1990 e sorge nel piccolo distretto di Binjiang all’interno
della cittadina di Anyang, sulle sponde del fiume Feiyun. Vi sono 33 classi, 2100 studenti e 116 persone tra docenti e staff amministrativo. (Vedi AA.VV. A scuola in Cina, i gemellaggi: un ponte per conoscersi, Firenze, in corso di pubblicazione).
19 Testimonianza raccolta dall’autrice a Prato, nel novembre 2006..
20 Testimonianza raccolta dall’autrice nell’ottobre 2006 presso la Scuola elementare sperimentale della città di Rui’An, fondata nel 1902 dal noto medico filantropo Song Zhirang. Oggi vi sono 38 classi, 1009 studenti , 95 tra docenti e staff amministrativo.
La scuola è considerata all’avanguardia ed è stata spesso premiata a livello provinciale e statale per aver promosso un metodo didattico innovativo che tiene conto delle peculiarità e del carattere degli studenti. La scuola e i suoi insegnanti si contraddistinguono per una vasta opera di pubblicistica: 500 saggi, 235 articoli su varie riviste, 8 libri (Il giardiniere, I discepoli del lago Yu, Le attività dei piccoli studenti. Antologia per l’attività didattica, Realtà di Rui’An, Viaggio nella didattica, Leggi e Regole, Approfondimenti didattici). Più di 60 professori sono stati premiati a livello provinciale e nazionale. Anche gli studenti hanno pubblicato oltre 350 articoli e hanno spesso ottenuto riconoscimenti in ogni genere di competizioni. Cinque studenti sono stati premiati a livello internazionale, 245 a livello nazionale, 200 a livello provinciale. (A scuola in Cina, op. cit.)..
21 www.comune.prato.it/immigra/home.htm .
22 Vedi: <www.comune.prato.it/immigra/home.htm>  e Antonella Ceccagno, Giovani migranti cinesi, Franco Angeli, Milano, 2004..
23 Alunni con cittadinanza non italiana, anno scolastico 2005/2006, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale per i Sistemi Informativi. .
24 Ibid..
25 Segnalazioni al servizio Parlamondo da parte sia di genitori, sia di insegnanti .
26 Sara Cerretelli, Daniela Kappler, Marco Marigo, Maria Omodeo, Alberto Tassinari, “Gli adolescenti d’origine straniera nella Piana fiorentina e a Prato: una realtà da conoscere per prevenire rischi di disagio - Ricerca per conto della A.s.l. 10 – Regione
Toscana”, Maternità e scuola nella popolazione immigrata, Quaderno n° 23 del Consiglio Regionale della Toscana, Firenze, 2005..
27 Società toscana e immigrazione: un rapporto ineludibile, Regione Toscana – Rapporto 2003, a cura di Francesca Giovani (Irpet) e Andrea Valzania (Ires Toscana), Firenze 2003.
28 Intervista nell’ambito del Progetto INVIP Investing in people, op.cit..
29 <www.comune.prato.it/immigra/home.htm.
30 Ibid.
31 Intervista raccolta dall’autrice il 23 dicembre 2006..
32 “A Prato anche l’ambulanza parla il cinese”, Il Tirreno, 15.6.07..
 

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