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HOME>MONDO CINESE>IL 6° PLENUM DEL PCC TRA LOTTE DI POTERE E "ARMONIA" CONFUCIANA

POLITICA INTERNAZIONALE

"Politica fredda, economia calda":
uno sguardo al passato delle
relazioni sino-giapponesi

di Noemi LANNA

1. Cina e Giappone: una relazione complessa
La transizione da Koizumi Jun’ichirō ad Abe Shinzo sembra aver ridato nuovo vigore alle relazioni sino-giapponesi. Come è stato ben documentato in un contributo di recente apparso su questa rivista, i cinque anni di governo Koizumi hanno lasciato una difficile eredità al neo-premier Abe1, proprio in un anno altamente simbolico per le relazioni sino-giapponesi. Nel 2007 si celebra, infatti, il trentacinquesimo anniversario della normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Inoltre, come il Primo ministro Wen Jiabao ha recentemente ricordato al suo omologo Abe2, il 2007 è anche l’anno in cui ricorre il settantesimo anniversario dell’incidente del Ponte di Marco Polo, che diede inizio al conflitto sino-giapponese nel 1937, e dell’eccidio di Nanchino, perpetrato dall’esercito giapponese nel dicembre di quello stesso anno.

Questi anniversari simboleggiano la complessità delle relazioni sino-giapponesi nel secondo dopoguerra. Essi esprimono, da un lato, la capacità di entrambi i Paesi di andare oltre le divisioni generate dalla memoria storica (e non solo); dall’altro, l’incapacità di svincolarsi completamente da quello stesso passato. Il senso di questa complessità è efficacemente sintetizzato nell’espressione “politica fredda, economia calda” (seirei-keinetsu3. Utilizzata dal premier Wen Jiabao nel 20044, essa è citata spesso dagli studiosi e dai giornalisti giapponesi per descrivere lo stato attuale dei rapporti tra i due Paesi ed è non di rado criticamente associata alla diplomazia cinese dell’ex-premier Koizumi.

In realtà, sebbene gli ultimi cinque anni abbiano contribuito ad aggravare il contrasto tra il buon andamento delle relazioni economiche e le crescenti difficoltà del dialogo politico, uno sguardo al passato delle relazioni sino-giapponesi suggerisce che, per quel che riguarda il Giappone, la complessa o, come efficacemente è stata definita, l’“ambigua” relazione con il vicino, che ha peraltro profonde radici storiche e culturali5, non è una peculiarità del presente e del passato recente. Questo è vero sia sul piano della percezione dell’opinione pubblica, sia sul piano diplomatico, come cercheremo di argomentare nelle prossime pagine. Nella prima parte del lavoro ci concentreremo sull’evoluzione della percezione della Cina da parte dell’opinione pubblica giapponese. Nella seconda parte del lavoro, invece, analizzeremo le strategie politiche ed economiche adottate dal Giappone nei confronti della Cina nel secondo dopoguerra (prima dell’amministrazione Koizumi) per dimostrare come il rapporto quasi schizofrenico tra la “politica fredda” e l’ “economia calda” sia un elemento radicato nelle relazioni sino-giapponesi e strettamente connesso alle scelte diplomatiche operate dal Giappone dopo il 1945 .

2. La percezione della Cina in Giappone
I sondaggi, realizzati ogni anno dal governo giapponese per monitorare l’atteggiamento dell’opinione pubblica sui temi sensibili della politica estera del Giappone6, offrono interessanti elementi per descrivere la percezione della Cina. I dati indicano che, fatta eccezione per gli anni successivi alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche (cioè quelli compresi tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta), quando si è registrato un atteggiamento nei confronti della Cina molto positivo, la percezione della Cina è stata mediamente non molto buona. In particolare, dalla seconda metà degli anni Ottanta in poi, si è assistito ad un costante peggioramento nella percezione della Cina, che ha toccato i minimi storici proprio negli ultimi anni e, in particolare, nel 2005 , anno dell’ultima controversia sui libri di testo. Così, proprio quando i dibattiti e la produzione editoriale giapponese erano dominati dal tema dell’ “ascesa della Cina” (Chugoku no taitō ) e dal “problema della storia” (rekishi mondai) - definizione che, nell’uso corrente, indica tutte le questioni irrisolte legate alla memoria storica, compreso il famigerato “problema delle visite al santuario Yasukuni” (Yasukunijinja sanpai mondai) -, la Cina era più lontana nella percezione dell’opinione pubblica giapponese. Ad esempio, alla domanda “Pensa che le relazioni attuali tra Cina e Giappone siano buone?”, nel 2005 ha risposto positivamente solo il19,7% degli intervistati. La percentuale di risposte affermative alla stessa domanda era stata del 76,1 % nel 1986 ed era gradualmente diminuita, scendendo drasticamente al di sotto del 40% nel 20037. È importante precisare che la percentuale delle risposte positive risulta dalla somma delle percentuali delle due possibili risposte positive indicate nel questionario: “Penso che siano buone”, “in linea di massima, penso che siano buone”. Mentre le percentuali di persone che hanno scelto la prima delle due risposte positive è molto bassa (ad esempio, negli anni critici che vanno dal 2003 al 2006, non ha mai superato la soglia del 6%)8, la percentuale di persone che hanno scelto la seconda risposta positiva sono molto più consistenti.

Ancora più interessanti sono forse le risposte relative ad un altro quesito dei sondaggi: “Prova simpatia per la Cina?”. A questa domanda, nel 2006, hanno risposto positivamente il 34,3% degli intervistati, facendo registrare un lieve aumento rispetto all’anno precedente, quando la percentuale di risposte positive è stata del 32,4%9. Uno sguardo ai risultati ottenuti attraverso lo stesso sondaggio negli anni precedenti10 mostra che la percentuale registrata nel 2005 è la più bassa dal 1978. In quell’anno, che vide la firma del Trattato di pace ed amicizia sino-giapponese, il 62,1 % di persone aveva dichiarato di provare simpatia per la Cina. Il trend positivo era continuato fino al 1980, anno in cui si è raggiunto il massimo storico del 78,6%. La percezione positiva che caratterizza la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta è senz’altro dovuta al clima di sinofilia incoraggiato dalla normalizzazione delle relazioni diplomatiche sino-giapponesi del 1972 ed a quello che è stato definito una sorta di “effetto catch-up” (recuperare quanto era stato perso negli anni del gelo diplomatico)11 Tuttavia, a partire dal 1989, si assiste ad una graduale diminuzione della percentuale di risposte positive. Così nel 1995 , anno in cui la Cina ha ripreso ad effettuare test nucleari, la percentuale di persone che ha dato una risposta affermativa alla domanda è scesa per la prima volta al di sotto del 50%, mentre, due anni dopo, il totale delle persone che avevano dichiarato di non provare simpatia per la Cina ha sorpassato per la prima volta il totale delle persone che avevano detto di provare simpatia per la Cina (le percentuali erano rispettivamente del 45 % e del 51,3%)12

La mancata inversione della tendenza e gli eventi degli ultimi anni hanno portato al progressivo declino verso percentuali di intervistati che rivelano sentimenti positivi nei confronti della Cina vicine al 30%.Un dato decisamente basso non solo se rapportato ai risultati degli anni precedenti, ma anche se confrontato con le risposte a domande analoghe nel contenuto, ma riferite ad altri Paesi, previste dallo stesso sondaggio. Ad esempio, alla domanda “Prova simpatia nei confronti dell’America?” hanno risposto positivamente il 73,2% degli intervistati nel 2005 , un risultato perfettamente in linea con quelli degli anni dal 1978 al 2004, in cui la percentuale di risposte affermative non è quasi mai scesa al di sotto del 70%13. Il caso dell’America è peculiare: l’America ha rappresentato nel secondo dopoguerra un punto di riferimento non solo per la politica e l’economia del Giappone, ma anche per la società giapponese. Tuttavia, al di là di queste considerazioni, è significativo che percentuali simili a quelle che descrivono la percezione della Cina da parte dei giapponesi si ritrovino nei dati relativi all’America centro-meridionale ed ai Caraibi14; un’area geografica con la quale storicamente il Giappone ha intrattenuto rapporti culturali, politici ed economici assai meno consistenti e frequenti.

È appena il caso di rilevare che i dati del sondaggio d’opinione sono rappresentativi solo entro certi limiti della percezione della Cina da parte dei giapponesi. Nondimeno, essi evidenziano che il paradosso del Paese vicino geograficamente e culturalmente, ma ancora lontano nella percezione comune, ha caratterizzato, seppur con intensità diverse, i 3 anni di relazioni sino-giapponesi. Negli ultimi anni il paradosso è diventato più evidente e la lontananza si è trasformata in una percezione negativa del vicino. Peraltro, è significativo che la percezione della Corea del Sud, che, alla stregua della Cina, può essere definita un “vicino lontano”, nonostante il “raffreddamento” della politica degli ultimi anni, sia gradualmente migliorata, fino al punto da generare in Giappone un vero e proprio “boom coreano”.

3. “Politica fredda, economia calda”
Anche il rapporto quasi schizofrenico tra la componente politica e quella economica, che è alla base dell’espressione “politica fredda, economia calda”, non è un tratto peculiare del presente e del passato recente, come abbiamo già accennato. Tutto sommato, nelle relazioni sino-giapponesi, la politica è stata “fredda” e l’economia più o meno “calda” anche prima dei cinque anni del governo Koizumi.

Dal 1949 al 1972 è stata proprio la netta separazione tra politica ed economia a rendere possibili le relazioni tra i due Paesi. In quel periodo, infatti, attraverso la strategia denominata “separazione della politica dall’economia” (seikei bunri), il Giappone aggirò i vincoli del bipolarismo, riuscendo ad intrattenere relazioni economiche con la Cina, nonostante l’assenza di formali relazioni diplomatiche. Queste ultime, come è noto, erano inibite in ultima analisi dalla politica di contenimento della Cina messa in atto dagli USA. La struttura “hub and spokes”, ovvero il sistema di alleanze bilaterali con i Paesi alleati ideato dagli USA per controllare la regione estremorientale, e la memoria della recente ed odiata egemonia regionale nipponica contribuivano inoltre ad accrescere l’isolamento del Giappone in Asia.La Cina era assai più lontana degli USA, punto di riferimento per eccellenza della politica estera giapponese nel secondo dopoguerra.In questo periodo la politica era “fredda” perché inesistente. Tuttavia, l’economia era relativamente “calda”. Il mercato cinese, che prima del 1945 costituiva una consistente fonte di materie prime e consumi per l’economia giapponese, continuava ad essere appetito da una consistente porzione della business community giapponese. Così, gli scambi tra Cina e Giappone ripresero nel 1950, diventando ancora più consistenti, benché non ufficiali, dal 196215.

Il 1972 segnò la fine della separazione della politica dall’economia. L’inatteso rapprochement degli USA con la Rpc diede il via libera alla normalizzazione delle relazioni tra Tokyo e Pechino, garantendo un inaspettato margine di manovra al Giappone. Nondimeno, nei rapporti sino-giapponesi la politica continuò ad essere “fredda” rispetto all’economia. L’orientamento della diplomazia giapponese ed il passaggio della Cina a politiche meno sensibili ad obiettivi ideologici e più pragmaticamente orientate verso lo sviluppo economico e la modernizzazione, contribuirono a fare in modo che l’economia continuasse ad essere il vero pilastro del rapporto bilaterale. Dal 1977 al 1981 il commercio bilaterale triplicò, trasformando il Giappone nel primo partner commerciale della Cina nel 1975 . Nonostante questo primato fosse battuto da Hong Kong, il Giappone rimase il secondo partner commerciale della Cina per quasi tutti gli anni Ottanta. Anche gli IDE giapponesi diretti verso la Cina raggiunsero livelli sempre più consistenti, soprattutto in seguito alla rivalutazione dello yen derivata dagli Accordi del Plaza del 98 . Gli ODA erogati dal Giappone, che nel 1992 costituivano il 29% del totale degli aiuti allo sviluppo ricevuti dalla Cina, completavano il quadro delle intense relazioni economiche sino-giapponesi16.

Dopo il 1989 ed il 2001 , il contesto regionale e mondiale all’interno del quale le relazioni Tokyo-Pechino erano inserite mutò significativamente. Tuttavia, nonostante ciò, anche dopo la fine della Guerra fredda, i rapporti sino-giapponesi continuarono a presupporre una sorta di separazione tra la politica e l’economia e ad essere sostanzialmente imperniati su quest’ultima. Illuminante, a questo proposito, un’affermazione del premier Abe, contenuta nel suo libro “Verso una bella nazione”. Il neo-nominato Primo ministro ha intitolato uno dei paragrafi del capitolo dedicato alle relazioni tra il Giappone, l’Asia e la Cina: “Le relazioni sino-giapponesi siano fondate sul principio di separazione della politica dall’economia” (Nicchu kankei wa seikei  bunri no gensoku de ) 17. Più che una constatazione riferita al passato, la frase sembra essere formulata come un auspicio per il futuro del rapporto bilaterale. Nel paragrafo, Abe precisa infatti il senso del titolo, scrivendo tra l’altro: “I problemi politici non spargano scintille sui problemi economici e l’economia non sia strumento per raggiungere obiettivi politici. Rispettiamo ed attribuiamo grande importanza ai reciproci interessi economici. Se riusciremo a fare nostro questo principio, potremo frenare e bloccare il peggioramento delle relazioni tra i due Paesi”18. Il fatto che a distanza di 3 anni dalla normalizzazione venga ancora invocato un principio che aveva la sua ragion d’essere proprio nell’inesistenza di relazioni diplomatiche tra Cina e Giappone, ci sembra particolarmente indicativo di come la dicotomia tra politica ed economia sia un aspetto radicato della relazione bilaterale.

4. Verso la riconciliazione tra politica ed economia?
ll permanere della separazione tra politica ed economia - che, seppur in forme diverse, ha resistito ai profondi cambiamenti che hanno interessato dall’interno e dall’esterno le relazioni sino-giapponesi - è stato favorito dalle scelte diplomatiche operate dal Giappone nel secondo dopoguerra. In primo luogo dalla dottrina Yoshida che, sebbene oggetto di una graduale revisione, è stata alla base della politica estera giapponese dagli anni Cinquanta in poi19. La priorità accordata da questa dottrina allo sviluppo economico ed il ruolo di potenza civile che essa ha assegnato al Giappone attraverso l’astensionismo, l’antimilitarismo ed il bilateralismo hanno contribuito in modo sostanziale a definire l’approccio mercantilistico della diplomazia giapponese nei confronti della Cina. Prima della normalizzazione questo approccio era l’unica opzione possibile. Il Giappone adattò pragmaticamente alla nuova situazione (cioè all’impossibilità di sfidare la politica di contenimento statunitense) la sua diplomazia nei confronti della Cina, senza rinunciare completamente al perseguimento dei suoi interessi nazionali. Nelle intenzioni del Primo ministro Yoshida Shigeru, il commercio con laCina era uno strumento di contenimento del comunismo cinese. Gli uomini d’affari giapponesi, ebbe modo di ricordare ai suoi interlocutori statunitensi, sono “la migliore quinta colonna per le democrazie contro i comunisti cinesi”20. La normalizzazione delle relazioni diplomatiche non inficiò la dottrina Yoshida e le relazioni sino-giapponesi, anche per altri motivi, continuarono a privilegiare la componente economica, come abbiamo già evidenziato. La situazione rimase immutata anche dopo la fine della guerra fredda, nonostante le sollecitazioni consistenti alle quali furono sottoposti gli assunti della dottrina.

Il secondo fattore che ha favorito il permanere della contrapposizione tra “politica fredda” ed “economia calda” è strettamente connesso alla dottrina Yoshida e, in particolare, alla centralità della relazione bilaterale USA-Giappone che essa presuppone. Nel secondo dopoguerra, definire la relazione con la Cina ha significato per il Giappone definire, in un senso o nell’altro, la sua relazione con gli USA (ovviamente, nei limiti consentiti dal bilateralismo). Privilegiare l’economia rispetto alla politica ha consentito a Tokyo di gestire meglio i vincoli derivanti dagli obblighi di lealtà nei confronti dell’alleato statunitense; non solo prima della normalizzazione, come abbiamo più volte evidenziato, ma anche dopo. La nascita del triangolo strategico USA-Urss-Rpc in seguito alla normalizzazione delle relazioni tra Washington e Pechino non ha modificato i termini del rapporto nippo-statunitense rispetto alle implicazioni che esso aveva per i rapporti sino-giapponesi. Un cambiamento significativo si è avuto, invece, in seguito alla fine della Guerra fredda, quando il summenzionato triangolo strategico è stato sostituito dal più dinamico triangolo geopolitico USA-Giappone-Rpc. La scomparsa della minaccia sovietica e la nuova posizione del Giappone hanno messo per la prima volta Tokyo di fronte al dilemma dell’ “abbandono o intrappolamento”, spesso ricordato dagli analisti: essere abbandonato dagli USA, che potrebbero privilegiare la Cina come partner regionale, oppure essere intrappolato in un eventuale conflitto tra USA e Cina sulla questione di Taiwan21 .

L’emergere di questo nuovo dilemma è solo uno dei segnali che indicano come lo schema “politica fredda, economia calda” sia diventato un’opzione che appartiene al presente ed al passato delle relazioni sino-giapponesi, ma, probabilmente, non al loro futuro.Gli orientamenti che hanno sino ad ora ispirato la diplomazia del Giappone nei confronti della Cina sono messi in crisi dal venir meno di alcuni dei fattori sopra analizzati e da altri strettamente connessi a questi ultimi. In primo luogo, è diventato inutilizzabile uno degli strumenti principali di cui il Giappone si è servito, fino a poco tempo fa, per gestire le sue relazioni politiche ed economiche con la Cina: il programma di ODA. Nel 2005 il Giappone ha deciso di sospendere il programma di prestiti ODA, senza alterare le altre forme di assistenza. Questa decisione è doppiamente significativa. Come è stato dimostrato, la scelta di sospendere il programma è stata fatta per ragioni squisitamente politiche e non sulla base delle più neutre linee-guida seguite dal Giappone negli anni precedenti per decidere e motivare la sospensione di altri programmi bilaterali. La scelta del governo giapponese sembra esser stata condizionata da fattori contingenti, tra cui il peggioramento dei rapporti con la Cina ed il malcontento dell’opinione pubblica giapponese per il onsistente flusso di aiuti erogati nonostante le difficoltà finanziarie del Giappone e la crescita accelerata della Cina, diventata, a sua volta, erogatrice di aiuti allo sviluppo ad altri Paesi. Non a caso il termine scelto per la sospensione del programma è il 2008, anno in cui la Cina ospiterà i Giochi olimpici22. La decisione adottata dal governo giapponese nel 2005 è significativa anche perché ha delle implicazioni notevoli per le relazioni sino-giapponesi. Dal 1979, anno in cui il Giappone ha iniziato ad erogare ODA alla Cina, Tokyo si è servita del programma di aiuti come leva politica: l’economia (i prestiti e le altre forme di assistenza previste dal programma) è stata utilizzata come strumento per gestire la “politica fredda”, cioè per mitigare le incomprensioni, spesso anche in risposta alla “diplomazia del fumie” messa in atto dalla Cina23. La decisione adottata nel 2005 priva il Giappone di questo strumento e, soprattutto, mette in luce il motivo ultimo per cui, al di là delle difficoltà contingenti, la leva politica garantita dagli ODA non avrebbe potuto più funzionare: l’aumento del peso geoeconomico della Cina. Questo cambiamento di status del vicino, da un lato garantisce che l’economia continui ad esser “calda”, vista la sempre maggiore complementarità dell’economia cinese e giapponese, dall’altro sollecita una ridefinizione dell’approccio mercantilistico sino ad ora seguito dal Giappone.

In secondo luogo e più in generale, ciò che rende difficilmente praticabile in futuro una diplomazia fondata sulla separazione tra politica ed economia è la revisione della dottrina Yoshida, che la ha fino ad ora resa possibile. Questa dottrina è attualmente messa in discussione in Giappone, dove è in atto un vivace dibattito su come ridefinire le politiche di sicurezza24. L’esito del dibattito è ancora incerto, ma è indubbio che la dottrina post-Yoshida, qualunque sia la forma che assumerà, implicherà non solo una ridefinizione delle relazioni di sicurezza con gli USA (e, di converso, con la Cina), ma anche una revisione dei corollari mercantilistici della dottrina Yoshida, che hanno sino ad ora ispirato le relazioni sino-giapponesi.

Infine, l’evoluzione del contesto regionale e, in particolare, dei processi di regionalizzazione in Asia orientale, sollecita scelte incompatibili con lo schema “politica fredda, economia calda” sino ad ora predominante nelle relazioni sino-giapponesi. La contesa della leadership regionale tra Cina e Giappone, come hanno indirettamente evidenziato il primo “Summit dell’Asia orientale” (dicembre 2005 ) ed i colloqui a sei sulla questione nordcoreana, si gioca sempre più sul terreno del multilateralismo25 . In questo nuovo contesto, Cina e Giappone non potranno a lungo continuare a compensare il gelo politico con l’economia, ma dovranno arrivare, se non alla collaborazione, almeno a qualche forma di coordinamento. La recente disponibilità della Cina a collaborare sulla questione degli ostaggi rapiti dalla Corea del Nord sembra andare in questa direzione26. Tuttavia, è ancora presto per dire se si tratta di un primo passo, oppure di un episodio destinato a rimanere isolato

MONDO CINESE N. 130, GENNAIO/MARZO 2007

Note

1 Corrado Molteni, “Da Koizumi ad Abe: l’evoluzione dei rapporti sino-giapponesi”, Mondo Cinese, n. 29, ottobre-dicembre 2006, pp.29-41.
2  Questo memento è stato formulato in occasione del vertice trilaterale (Rpc, Giappone, Corea del Sud) tenutosi a Cebu, nel gennaio 2007
3  In questo lavoro, utilizziamo l’espressione nella sua trascrizione giapponese:
seirei (“politica fredda”) keinetsu (“economia calda”).
4  L’occasione fu un colloquio con Okuda, all’epoca presidente della Nihon keidanren,
Cfr. H. Schmiegelow, “How ‘Asian’ Will Asia be in the 2 st Century?”, Asien, n. 100, p. 56. 
5  F. Mazzei, V. Volpi, Asia al centro, UBE, Milano, 2006, pp.293-298
6  I 
“Sondaggi dell’opinione pubblica sulla diplomazia” (Gaik ni kan suru yoronch sa) comprendono varie sezioni. Per l’analisi che segue ci siamo basati sulla sezione intitolata “Le relazioni del Giappone con gli altri Paesi”. I dati sotto citati sono tratti da sondaggi effettuati intervistando un campione di persone composto da 3000 giapponesi di età superiore ai 20 anni. Il termine utilizzato per indicare la Cina è “Ch goku” (Cina) e non il più restrittivo “Ch ka jinmin ky wakoku” (Repubblica popolare cinese) che indica inequivocabilmente la Rpc. I risultati dei sondaggi sono disponibili in versione cartacea (su richiesta al competente ufficio del governo giapponese) o consultabili sul sito del governo giapponese (http://www.cao.go.jp). In questo lavoro ci siamo serviti della versione digitale.
7 Per i dati in questione, cfr. il grafico riassuntivo intitolato “Le relazioni attuali tra Giappone e Cina” (
Genzai no Nihon to Ch goku to no kankei), http://www8.cao.go.jp/survey/h17/h17-gaikou/images/z06.gif
8  Per l’anno 2003, cfr. http://www8.cao.go.jp/survey/h15 /h15 -gaikou/2-1html; per l’anno 2004, cfr. http://www8.cao.go.jp/survey/h16/h 16-gaikou/2-1html; per l’anno 2005 , cfr. http://www8.cao.go.jp/survey/h17/h17-gaikou/2-1.html; per l’anno 2006, cfr. http://www8.cao.go.jp/survey/h18/h18-gaiko/2-1.html.
9 Per l’anno 2005 , cfr. http://www8.cao.go.jp/survey/h17/h17-gaikou/2-1.html; per l’anno 2006, cfr. http://www8.cao.go.jp/survey/h1 8/h 18-gaikou/2-1.html.
10 Cfr. il grafico riassuntivo intitolato “Simpatia nei confronti della Cina” (
Ch goku ni tai suru shinkinkan), http://www8.cao.go.jp/survey/h 7/h 7-gaikou/images/z0 .gif 
11
R. Drifte, Japan’s Security Relations with China since 1989. From Balancing to , Routledge, London, 2002, p.23.
12  Cfr. http://www8.cao.go.jp/survey/h17/h17-gaikou/images/z0 .gif. 

13  Il termine “America” (Amerika) utilizzato nel sondaggio si riferisce in pratica agli
Japan’s International Relations. Politics, Economics, Security, op.cit., pp.19-21 
14  Le percentuali di persone che dichiaravano di provare simpatia nei confronti dei Paesi facenti parte di quest’area geografica erano, ad esempio, del 37, % nel 200 e nel 2006. Per l’anno 200 , cfr. http://www8.cao.go.jp/survey/h17/h 17-gaikou/2-1 .html; per l’anno 2006, cfr. http://www8.cao.go.jp/survey/h 18/h 18-gaikou/2-1 .html
15  Hook et alii,
Japan’s International Relations. Politics, Economics, Security, Routledge, London New York, 200 , pp. 6 - 67; R. Drifte, op.cit., pp. 9-2.
16  Drifte,
op.cit., p.23; p.31.
17  Abe Shinzo ,
Utsukushii kuni e (Verso una bella nazione), Bungei Shunj , Tokyo, 2006, p. 152.
18  Abe Shinzo ,
op.cit., p. 153. 
19 La dottrina Yoshida, che prende il nome dal Primo ministro giapponese Yoshida
op.cit., pp.92-93.
20 Citato in Drifte,
op.cit., p. 14.
21 Hook,
op.cit., p. 171 - 172; Drifte, op.cit., p. 10. 
22  R. Drifte, “The Ending of Japan’s ODA Loan Programme. All’s Well that Ends
Well?”, Asia-Pacific Review, vol. 13, n.1 , 2006, pp.94- 116.
23  N.Lanna, “Il ‘problema dei libri di testo’ e le relazioni sino-giapponesi”,
Mondo , n. 123, aprile-giugno 2005 , pp.8-9.
24  Sul punto, cfr. R. J. Samuels, “Japan’s Goldilocks Strategy”,
The Washington Quaterly, vol.29, n.4, pp. 111- 127; F. Mazzei, V. Volpi, op.cit., pp.306-309.
25  Il “Summit dell’Asia orientale” ed i colloqui a sei sulla questione nordcoreana,
op.cit., pp.292-293.
26 La Cina ha offerto al Giappone la necessaria collaborazione per risolvere la questione
Asahi shinbun, 14.01.2007, http://www.asahi.com/special/abductees/TKY200701140220.html

 

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