1. Premessa
Il 27 settembre Liu Qi, il presidente del Comitato olimpico di Pechino
2008 (BOCOG), ha dichiarato che la Cina terrà fede agli impegni
in materia di libertà di stampa assunti con il Comitato olimpico
internazionale durante la corsa per l’assegnazione dei Giochi del 2008. Lo
ha detto di fronte ai giornalisti e ai responsabili dei media di tutto il mondo
giunti a Pechino per avviare i contatti con le autorità olimpiche cinesi, e
il quotidiano governativo China Daily lo ha riportato puntualmente1.
Soltanto due settimane prima, però, aveva provocato reazioni
furibonde sulla stampa internazionale la pubblicazione di un nuovo
regolamento del Consiglio di Stato intitolato “Misure per la gestione
della pubblicazione di notizie e informazioni da parte delle agenzie
di stampa straniere in Cina”2.
Le nuove norme prevedono che nessuna agenzia di stampa straniera
possa trasmettere direttamente notizie e informazioni ai media cinesi3.
L’unica autorizzata a riceverle è da allora l’agenzia di stampa governativa
Xinhua o “agenti da essa autorizzati”. All’agenzia Xinhua spetta la
valutazione del materiale sottoposto e solo in seguito la sua eventuale
diffusione: se le notizie e informazioni trasmesse sono ritenute
pericolose per «l’unità nazionale, l’integrità territoriale e la sovranità
della Cina», potranno essere «cancellate»4 .
Le agenzie di stampa straniere sono inoltre chiamate a consegnare
all’agenzia Xinhua un rapporto annuale sulla propria attività di
pubblicazione di informazioni. All’agenzia governativa è attribuito il
potere di esaminare i singoli casi e di avviare ispezioni sulla base dei
rapporti ricevuti. Solo le società che superano indenni questi controlli
possono continuare la propria attività5 .
2. Monopolio informativo e monopolio editoriale
Il provvedimento è stato denunciato dai giornalisti stranieri per due
motivi. Da una parte perché, assegnando all’agenzia Xinhua il monopolio
dell’informazione, si tagliano fuori dal promettente mercato editoriale
cinese le imprese straniere, contravvenendo così ai principi accettati con
l’adesione alla WTO6 ; dall’altra perché, con l’avvicinarsi di Pechino 2008, “la
mossa sembra essere stata pensata apposta per assicurarsi il controllo totale
sulla diffusione delle informazioni provenienti dai media stranieri”7 .
La presenza di 20mila giornalisti da tutto il mondo, questo il numero di
reporter attesi per i Giochi, rischierebbe in effetti di mettere a dura prova
l’apparato di controllo che vigila sui mezzi di informazione cinesi.
Secondo il direttore esecutivo di Human Rights in Cina, Sharon Horn,
“la volontà di Pechino di utilizzare una mano così pesante per controllare
le notizie a livello domestico rende improbabile che ai giornalisti stranieri
venga invece permesso di lavorare liberamente durante le Olimpiadi del
2008”. Le misure dovrebbero quindi far squillare “un campanello d’allarme
per la comunità internazionale, avvisando che quelle che si profilano
all’orizzonte sono Olimpiadi blindate e controllate dallo stato”8 .
Mentre il premier Wen Jiabao rispondeva alle accuse dall’Europa, dove
era in viaggio9 , a Pechino un portavoce del Ministro degli Esteri, Qin
Gang, dichiarava, chiamando in causa la preziosissima (per gli occidentali)
proprietà intellettuale, che “il regolamento nasce per standardizzare la
diffusione delle notizie e per proteggere i diritti di proprietà intellettuale
delle agenzie di stampa straniere […]. La pubblicazione di questo
regolamento dimostra che ci ispiriamo al principio di legalità […]. La
Cina è un paese governato dalla legge. Non c’è nessuna libertà assoluta,
in nessun paese”10.
Il fatto che il nuovo regolamento si estenda anche a Hong Kong (e
a Macao e Taiwan) rappresenta però secondo gli osservatori stranieri
una “ulteriore restrizione della libertà di operare sul mercato”11 . Sarebbe
anche un primo passo per mettere le mani sulla stampa dell’ex territorio
britannico, rimasta finora relativamente svincolata dal controllo della
censura cinese12.
3. Corrispondenti stranieri e autorità: due anni di “incidenti”
Risale invece ai primi giorni di agosto 2006 la pubblicazione di
una indagine sulle aggressioni e le violenze subite dai corrispondenti
stranieri e dai loro collaboratori cinesi da parte delle autorità locali
realizzata dal Foreign Correspondents Club China di Pechino (FCCC)13 .
La ricerca raccoglie i casi denunciati dai giornalisti internazionali a
partire - significativamente - dal 2004, l’anno in cui la torcia olimpica
è arrivata in Cina14.
Da quel momento fino alla scorsa estate, sarebbero stati almeno 72
gli “incidenti” denunciati, avvenuti ai danni di reporter di 15 paesi. In
38 casi (per un totale di 85 persone coinvolte) i giornalisti sono stati
detenuti dalla polizia, principalmente mentre erano impegnati a seguire
vicende riguardanti questioni sociali come le proteste ambientaliste, le
dispute legate alla terra e le condizioni dei malati di AIDS. In 10 casi
i reporter e le loro fonti sono stati aggrediti fisicamente, con pugni,
bastonate e perquisizioni. In almeno 21 occasioni, inoltre, appunti e
immagini sono stati distrutti15.
Nel comunicato che accompagnava la ricerca, la presidente del club,
Melinda Liu, denunciava che “i controlli della Cina sui media cinesi non
rispettano gli impegni presi con il Comitato olimpico internazionale per
garantire la libertà di stampa e sono un affronto allo spirito olimpico.
Chiediamo che la Cina faccia propri quei metodi di libertà di stampa
che sono richiesti ad ogni paese che ospita i Giochi”16.
Secondo Liu, il governo cinese dovrebbe rimuovere immediatamente
e permanentemente quelle regole che rendono offensivo, da parte dei
reporter stranieri, seguire avvenimenti socialmente sensibili, oltre alle
norme che richiedono che i giornalisti ottengano un permesso ogni
volta che intendono compiere un viaggio di lavoro in città diverse
da quella in cui sono accreditati. Queste regole, infatti, sarebbero
quelle che permettono di legittimare gli arresti dei corrispondenti e le
aggressioni ai danni delle loro fonti e dei loro collaboratori17.
Pochi giorni dopo la pubblicazione della ricerca compilata dal
FCCC, veniva annunciata la condanna a tre anni di reclusione per
truffa nei confronti di Zhao Yan, ricercatore del New York Times che
era stato scagionato dall’accusa di aver rivelato segreti di Stato18. Fino a
questa estate di lui non si era più saputo nulla, nonostante le continue
richieste di liberazione avanzate dalla testata americana. La causa del
suo arresto sarebbe in realtà legata alla pubblicazione, nell’estate 2004,
di un articolo in cui si annunciavano le dimissioni di Jiang Zemin dal
ruolo di presidente della Commissione militare centrale (attese da tutti,
ma non confermate fino all’ultimo minuto).
Come Zhao Yan, è stato condannato al carcere, dopo un processo
a porte chiuse e 18 mesi di reclusione, anche Ching Cheong,
corrispondente dello Straits Times di Singapore, accusato di spiare la
Cina per conto di Taiwan19.
4. Il caso della Gazzetta dello Sport
Un breve arresto e un interrogatorio, la scorsa estate, sono toccati
anche a un giornalista italiano, il corrispondente della Gazzetta dello
Sport a Pechino, Francesco Liello. “Tutto è cominciato il 23 agosto,
quando l’agenzia Xinhua pubblicò una conferenza stampa tenuta
dall’Amministrazione per lo sport cinese in cui si annunciava che la
stessa Amministrazione, insieme con l’agenzia anti-doping del Comitato
olimpico cinese, aveva investigato su una scuola dello sport di Anshan,
nella provincia del Liaoning, e aveva scoperto che era stata coinvolta
in un caso di doping collettivo”, ricorda Liello20.
La notizia sembrava interessante anche perché un caso di doping
collettivo era già accaduto, pochi anni fa, in un’altra scuola della
stessa provincia, a Shenyang. “In più, l’allenatore Ma Junren e i suoi
formidabili corridori noti come ‘l’esercito di Ma’ – tutti nomi coinvolti
in controversie legate al doping – provengono da quella zona”.
Quando arriva ad Anshan, Liello cerca di incontrare il preside della
scuola. “Nessuno sembra conoscerlo, né avere voglia di darmi alcuna
informazione sulla vicenda del doping. Parlo con il cuoco, che mi
dice che nessuno si è fatto vedere in istituto da giorni. Noto che la
pista è completamente vuota. Una ragazza di 17 anni, sollevatrice di
pesi, mi dice che la scorsa settimana lì era pieno di ragazzi. Quando
comincio a scattare foto della pista vuota, tre persone si avvicinano:
uno è il preside che stavo cercando”.
Il tentativo di intervistarlo naufraga immediatamente: “L’unica
risposta che ottengo è che non ho l’autorizzazione per essere lì e per
indagare, visto che non ho prima fatto domanda al governo provinciale.
Mi chiedono di cancellare le foto che ho scattato, minacciandomi di
chiamare la polizia. Le cancello, pensando che poi me ne sarei potuto
andare. Invece mi dicono che devo attendere la polizia perché ho
infranto la legge”. Quando arrivano gli agenti Liello viene arrestato
e trattenuto per tre ore, con l’accusa di aver violato la legge perché
partito da Pechino senza aver richiesto il permesso di spostarsi.
“La cosa più strana è che anche un giornalista cinese si trovava lì,
ma non gli è successo nulla perché, mi hanno detto, ‘i giornalisti cinesi
possono muoversi liberamente per il paese’. Mi hanno anche spiegato che
‘se non avessi detto che sono un giornalista e mi fossi comportato come
un turista’ non mi avrebbero arrestato. Questo vuol dire solo una cosa:
non volevano permettere a un giornalista di lavorare normalmente”.
Dopo l’interrogatorio, conclude Liello, “mi hanno detto che sono un
criminale, mi hanno chiesto di ammettere che avevo infranto la legge e
di firmare una dichiarazione su questo, poi di lasciare le mie impronte
digitali, come fossi un comune criminale. Alla fine, il comandante mi
ha detto: ‘Sei stato bravo perché hai collaborato e hai cancellato le
foto senza darci troppi problemi e per questo non ti puniremo. Ma
devi lasciare la città adesso e tornare da dove sei venuto’. Un’auto
della polizia mi ha scortato fuori dalla città”21.
5. La “gestione delle emergenze”
Ad aggiungersi alla lista delle notizie che hanno scatenato le
proteste dei giornalisti stranieri (e cinesi) c’è infine il progetto di
legge sulla “gestione delle emergenze” sottoposto lo scorso 24 giugno
all’approvazione del Comitato permanente dell’Assemblea nazionale
del popolo22.
Il provvedimento (sul cui percorso legislativo non si hanno notizie)
vieterebbe ai media cinesi e stranieri (e dunque anche a quelli di
Hong Kong) di diffondere notizie riguardanti emergenze come
catastrofi naturali, crisi legate alla salute pubblica o incidenti in ambito
industriale, qualora queste non siano state confermate e approvate
dalle autorità locali. La pena per i media che pubblicassero notizie
non autorizzate andrebbe dai 5mila ai 10mila euro23.
Secondo Reporters sans frontières, la misura segnerebbe un passo
indietro rispetto alla relativa apertura registrata all’indomani dello
scandalo Sars nel 2003, quando i leader cinesi furono accusati di aver
favorito il diffondersi della malattia per aver impedito la pubblicazione
di notizie sui primi casi di sindrome24.
6. La strumentalizzazione delle Olimpiadi
Per i giornalisti stranieri in Cina, sopraffatti dal susseguirsi di segnali
contraddittori in materia di controllo dei media, i Giochi - e i principi
olimpici a cui la Cina dovrebbe ispirarsi - rappresentano un argomento
molto efficace a cui appellarsi per scatenare lo sdegno internazionale e
chiedere a gran voce la garanzia di una maggiore libertà di stampa
Per gli studiosi di media cinesi, altrettanto bisognosi di una bussola
per riordinare e dare un senso alla confusione di leggi e dichiarazioni
provenienti dalla leadership, Pechino 2008 appare invece come un
rassicurante punto fermo, pronto per essere messo sotto la lente e
analizzato. Nel bene o nel male, infatti, le Olimpiadi rappresenteranno
uno dei nodi cruciali nel percorso della meiti gaige, la riforma dei
media, avviata da Deng Xiaoping per alleggerire lo stato da un pesante
onere economico e per rimediare al calo di credibilità della stampa
cinese registrato negli anni della rivoluzione culturale25. Il cammino
della riforma dei media, di cui ricorrerà il trentesimo anniversario
proprio nel 2008, non è stato finora né lineare né a senso unico, segnato
da passi avanti e retromarce che non permettono di fare previsioni
certe sul suo futuro. Le Olimpiadi, almeno, potranno essere interpretate
come un banco di prova delle reali intenzioni della leadership in
materia di libertà di stampa.
Anche i cinesi però sarebbero pronti a strumentalizzare le Olimpiadi,
e non soltanto ad uso e consumo interno (per aggregare il consenso).
Secondo la presidente del FCCC Melinda Liu, “gli ostacoli al nostro
lavoro resteranno in vigore fino al 2008 e saranno sospesi solo per
un paio di mesi prima delle Olimpiadi, in modo da poter lasciare che
i giornalisti che si precipiteranno in Cina per l’occasione possano
lavorare in un finto clima di libertà, di nuovo a fini propagandistici”26.
I leader sanno infatti che della massa di reporter prevista in Cina per
l’estate del 2008 soltanto una sparuta minoranza sarà composta da
professionisti che conoscono il paese e vi hanno vissuto per lungo
tempo: per lo più, al contrario, si tratterà di giornalisti mordi e fuggi,
catapultati nella Repubblica popolare senza alcuna conoscenza
approfondita del paese. Per guadagnarsi buona pubblicità in tutto il
mondo, alla Cina basterà dunque creare un’impressione di grande
libertà per il breve periodo dei Giochi.
Il modo in cui verranno trattati i giornalisti cinesi e stranieri durante
le Olimpiadi e il tipo di notizie che saranno autorizzate sui media
nazionali potrà dare dunque importanti indicazioni sulla direzione
che la quarta generazione di leader ha deciso di intraprendere in
materia di libertà di stampa27 e, più in generale, sugli obiettivi che
la dirigenza intende dare alla riforma dei media. Ma sarà soprattutto
dopo l’indigestione olimpica, a riflettori spenti, che si potrà giudicare
se le speranze di maggiore apertura e trasparenza nutrite da alcuni
osservatori all’indomani del XVI Congresso del Partito comunista28
sono state, come si teme, disattese.
MONDO CINESE N. 129,
OTTOBRE-DICEMBRE 2006
Note
1 “Full access for Games journalists”, China Daily online, 8.9.2006.
2 “China issues rules on news release by foreign media”,
Xinhua, 10.9.2006.
Il testo
del provvedimento è stato inoltre pubblicato in forma integrale (anche nella
traduzione in inglese) sulle pagine della Xinhua lo stesso giorno: “Full text:
measures
for administering the release of news and information in China by foreign
news agencies”. Il nuovo regolamento, si specifica nella norma all’articolo
2, “si
applica alla pubblicazione di notizie e informazioni sotto forma di testo, foto,
grafica e in altre forme”.
3 Nella definizione, assai vaga e ampia, di “agenzie di stampa straniere”
rientrano,
secondo l’articolo 14 del “Full text” pubblicato dalla Xinhua, “tutte le
entità straniere
che hanno natura di agenzia di stampa e che diffondono notizie e prodotti
informativi”.
4 cfr. “Full text”, Xinhua, 10.9.2006.
5 Ibidem.
6
6. Beniamino Natale, “Cina. Inasprimento misure contro libertà di
informazione”,
dispaccio Ansa del 22.9.2006. Secondo Reporters sans frontiers, citato da Joe
McDonald nel dispaccio “Activists criticize China media control” (Associated
Press, 11.9.2006), “il regolamento potrebbe violare gli impegni sull’apertura
del
proprio mercato presi dalla Cina nei confronti del WTO”. Interessante la
visione
da “dietro le quinte” offerta da Jane Macartney nell’articolo “Chinese
censors tighten
rules to stop foreigners spreading news” pubblicato dal Times l’11.9.2006
a commento della nuova legge: “[Con il nuovo provvedimento] l’agenzia
statale [Xinhua] è sia un concorrente che un controllore dei suoi concorrenti [le
agenzie
di stampa straniere]. A renderla ancora più potente è la stretta relazione
esistente
tra Tian Congming, il presidente della Xinhua, e Hu Jintao. Entrambi lavorarono
in Tibet nei tardi anni ’80, quando Hu era capo del partito [a livello locale]
e Tian
era il suo vice. In un discorso recente non pubblicato, Tian disse che uno degli
obiettivi della sua agenzia è spingere Reuters e Bloomberg fuori dal mercato
cinese,
sostituendo i loro servizi con l’informazione e i dati finanziari della Xinhua”.
Secondo Macartney, “le nuove regole potrebbero rivelarsi una miniera d’oro
se
la Xinhua sarà capace di richiedere una fetta dei ricavi delle agenzie
derivanti
dalla distribuzione di dati finanziari al mercato cinese in espansione”.
7 Beniamino Natale, op.cit.
8
Joe Mc Donald, op.cit.
9 Tempistica sfortunata: il premier ha così dovuto giustificare il provvedimento di
fronte alla stampa britannica e questo ha contribuito al diffondersi della notizia
in tutto il mondo. Si veda “Premier pledges to protect foreign media”, China Daily
online, 13.9.2006. Assai poco convincenti le parole pubblicate dal quotidiano
governativo per difendere il nuovo regolamento: “Il paese proteggerà, come
sempre, i diritti legittimi delle imprese estere e dei media internazionali. Difenderà
il diritto dei media stranieri di raccogliere e riportare le notizie in Cina in linea
con la legge, sforzandosi di assicurare il libero fluire delle informazioni economiche
e finanziarie”.
10 John Ng, “China’s headline news”, Asia Times online, 14.9.2006.
11 Beniamino Natale, op.cit.
12 Una delle testate più note è il South China Morning
Post, in lingua inglese, punto
di riferimento “classico” per i giornalisti stranieri.
13 Il club conta 210 membri provenienti da 21 paesi. Si tratta per lo più di giornalisti
residenti a Pechino che lavorano per conto dei più importanti media internazionali.
14 “FCCC Harrassment Survey”, pubblicato il 7 agosto 2006 e inviato, all’interno della
rassegna stampa del club, a tutti i suoi iscritti. La ricerca è accompagnata da
una serie di “case studies” per esemplificare come avvengono le aggressioni ai
danni dei giornalisti stranieri. Tra quelle citate, di particolare gravità la vicenda
che ha visto coinvolto il fotografo della Associated Press Ng Han Guan, colpito
con manganelli e poi preso a calci dopo aver scattato un’immagine in cui alcuni
uomini della sicurezza in borghese malmenavano il fotografo della AFP Fred
Brown, durante i disordini all’esterno dello Stadio dei lavoratori di Pechino dopo
la Asia Cup 2004. Mentre Ng Han Guan era a terra, gli aggressori distrussero la
sua macchina fotografica. Nonostante Ng abbia riconosciuto gli uomini e abbia
sporto denuncia, nessuno fu punito. Una foto, scattata in seguito, ritrae uno degli
aggressori mentre parla con la polizia. Serissimo anche il caso di Fu Xiancai, un
attivista per i diritti sulla terra rimasto paralizzato nel 2006 dopo essere stato aggredito
e picchiato sulla strada verso casa nel villaggio di Yangguidian (nella provincia
dello Hubei) mentre tornava dalla stazione di polizia, dove gli era stato
consigliato di non lamentarsi con i media stranieri. Poco tempo prima, Fu era
stato infatti intervistato dalla radio tedesca ARD e aveva criticato il progetto della
Diga delle Tre gole. La polizia dichiarò che Fu si era rotto il collo da solo.
15 Ibidem.
16 Ibidem. Per correre ai ripari dopo un’estate particolarmente “calda” sul fronte degli
arresti e delle aggressioni ai danni dei giornalisti stranieri e dei loro collaboratori,
in una newsletter del 7.9.2006, trasmessa a tutti i suoi iscritti, il FCCC ha
fornito alcuni chiarimenti sulle norme con cui i corrispondenti in Cina devono
fare i conti. Tra queste: la durata massima permessa dalla legge per le detenzioni
preventive, il significato e il valore dell’accusa di “disturbo dell’ordine pubblico”
(una delle categorie più usate dalla polizia cinese per arrestare chi non abbia
commesso particolari reati), le regole sulle perquisizioni e i diritti di uno straniero
sotto arresto.
17 Kent Ewing, “Trying times for journalists in China”,
Asia Times online, 29.8.2006.
18 Ilaria Maria Sala, “Olimpiadi di piombo”, Il Sole 24
ore, 29.10.2006. Uno dei primi
articoli sulla vicenda di Zhao Yan è “China cracks down on free expression in the
midst of human rights dialogue with EU”, pubblicato da Reporters sans frontières
il 28.9.2004.
19 Si veda sulla sua vicenda Jim Yardley, “China jails reporter for 5 years as a spy”,
New York Times, 31.8.2006. Il giornalista Wang Xiangwei commenta la vicenda
sottolineando con preoccupazione il diverso trattamento a cui sono sottoposti in
Cina i corrispondenti occidentali e quelli di nazionalità straniera ma di etnia cinese
in “Jailing of journalists raises the question of different treatment”, South
China Morning Post, 4.9.2006.
20 Il racconto della sua disavventura è stato pubblicato all’interno della newsletter
del 7.9.2006 del FCCC di Pechino, citata in nota 16.
21 Ibidem.
22
Una serie di articoli sul tema si trova raccolta nel sito del Media Project,
progetto di ricerca sulla stampa e sulla riforma dei media cinesi fondato nel
2003 all’interno del Journalism and Media Studies Centre della Hong Kong
University e diretto da Qian Gang e Yuen-ying Qing. Tra gli altri articoli, si
veda David Bandurski, “Chinese media continue their attack on the media clause
of the draft emergency management law”, pubblicato il 28 giugno 2006
(http://cmp.hku.hk).
23 “Bill would step up censorship during crises”,
Reporters sans frontières, 26.6.2006.
24 Ibidem. “Questa norma – denuncia Rsf –
riporta i giornalisti cinesi alle condizioni di censura e autocensura esistenti
prima della crisi Sars”.
25 Sulla storia della meiti gaige si possono
leggere, in inglese, Zhao Yuezhi, “Media, market and democracy. Between the
party line and the bottom line”, University of Illinois Press, Chicago, 1998,
e, in italiano, Laura De Giorgi, “La via delle parole”, Cafoscarina,
Venezia, 1999. Una panoramica approfondita e aggiornata sulla riforma e sulle
sue implicazioni è quella offerta dagli atti del convegno “Il Drago che
parla. La riforma della stampa in Cina” (svoltosi a Milano nel gennaio 2005),
curati da Alessandra Lavagnino e pubblicati dalla Fondazione Italia-Cina.
26 Così nel documento introduttivo della “FCCC
Harrassment Survey”, (si veda la precedente nota n.14). A fini
propagandistici, si sospetta, è appena stato approvato un regolamento “a
tempo determinato” dedicato ai giornalisti stranieri (e a quelli di Hong Kong
e Macao) accreditati per i Giochi olimpici. Le nuove “Regole sulle attività
dei giornalisti stranieri in Cina durante le Olimpiadi di Pechino e nel periodo
preparatorio” sono in vigore dal primo gennaio 2007 al 17 ottobre 2008 (fino
alla chiusura di Olimpiadi e Paralimpiadi) e permettono ai reporter di muoversi
liberamente per il paese (senza più bisogno di richiedere permessi speciali per
visita province diverse da quella di residenza e in particolare per recarsi in
Tibet e Xinjiang) e di intervistare cinesi senza dover ottenere autorizzazioni
ufficiali. Si vedano sull’argomento “Adoption of new rules for foreign
journalists welcomed, but appeal court confirms 3-year sentence for New York
Times researcher”, pubblicato da Reporters sans frontières, 1.12.2006; “New
regulations for foreign media may be prolonged”, Xinhua, 28.12.2006, e “Mainland
offers convenience to Hong Kong, Macao journalists for game reporting”, Xinhua, 31.12.2006. La richiesta dei giornalisti stranieri di rendere permanente
questo regolamento, sancendo una sensibile riduzione del controllo sui media in
Cina, non ha per ora ricevuto risposte ufficiali da parte delle autorità
cinesi.
27 Da tenere presenti, però, la complessità
del problema e la difficoltà di applicare una definizione occidentale di “libertà
di stampa” al caso cinese. La questione è delicata e molto importante per chi
voglia capire davvero il mondo dei media cinesi. La solleva e discute Stefano
Cammelli in Ombre cinesi. Indagine su una civiltà che volle farsi nazione,
Einaudi, Torino, 2006, pp. 218-231.
28 È il congresso durante il quale Hu Jintao è
stato eletto segretario del partito. Sulle speranze disattese dalla nuova
generazione di leader si veda ad esempio Mark O’Neill, “Voice and virtue”,
South China Morning Post, 9.3.2006.
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