1. Introduzione
Nel settembre del 2003, il Consiglio dell’Unione Europea ha
approvato il rapporto della Commissione Europea sulle relazioni
UE-Cina dal titolo “A Maturing Partnership: Shared Interests and
Challenges in EU-China Relations”, rapporto in cui Bruxelles definisce
la Cina “partner strategico” dell’Unione Europea1.
La “partnership strategica” UE-Cina viene menzionata anche nel
rapporto sulla Sicurezza Strategica Europea (ESS) del dicembre 2003,
in cui la Cina viene definita quinto partner strategico della UE dopo
Canada, India, Giappone e Russia, senza peraltro fornire alcun dettaglio
su obbiettivi e contenuti di tale “partnership strategica”2.
Ma quali sono gli interessi comuni dell’Unione Europea e della Cina,
oltre alla rapida espansione del commercio e degli affari? E quanto
realistica e credibile è una “partnership strategica” tra un blocco di
paesi democratici e una non ancora democratica Cina, principalmente
- se non esclusivamente - preoccupata del progresso economico?
In vista delle crescenti critiche in Europa per l’ambiguità del termine
“strategico” nel contesto delle relazioni tra Unione Europea e Cina,
la Commissione Europea si è impegnata a chiarire che il termine
“strategico” significa “globale”, ovvero espansione delle relazioni
bilaterali in tutti i possibili campi. La UE ha ripetutamente sottolineato
che tale “partnership strategica”, e il termine “strategico” non hanno
nessuna connotazione militare: puntualizzazione necessaria allorché
l’amministrazione statunitense sembrava avesse inizialmente paventato
che Pechino e Bruxelles stessero per siglare una alleanza (militare) con
l’obiettivo di ridurre il potere e l’influenza globali degli Stati Uniti.
Gli USA hanno cessato di preoccuparsi delle (reali e immaginarie)
implicazioni di una non ben definita “partnership strategica”, volta ad
intaccare la loro influenza in Asia, solo quando nel settembre 2004,
Washington e Bruxelles hanno iniziato il cosiddetto “Dialogo strategico
sull’Asia dell’Est”, decidendo di discutere due volte l’anno dei problemi
di comune interesse sulla sicurezza della regione.
Un dibattito e un’analisi dei pro e contro riguardo al tentativo di
instaurare una “partnership strategica” con la Cina deve tenere conto
che il termine “strategico”, quando si progettano e si intessono relazioni
con paesi o blocchi di paesi, viene già usato in maniera inflazionata
in regolamenti e documenti strategici della UE. Infatti, gli “EU policy
papers” e i cosiddetti “piani d’azione”, che annunciano o descrivono
“una dimensione strategica” delle relazioni con i collaboratori, fanno
parte del processo legislativo giornaliero di Bruxelles. Nel corso
degli anni l’Unione Europea ha adottato un numero infinito di atti
chiamati “documenti strategici”, “piani di azione”, “piani di azione
comune” con numerosi collaboratori e paesi; vi sono molte più linee
guida e strategie formulate all’interno di questi documenti di quante
Bruxelles e i suoi collaboratori siano in grado di mettere in atto.
Spesso i documenti dell’Unione sembrano “liste della spesa” per la
cooperazione internazionale, e il documento “Politiche per la Cina
2003”, in questo contesto, non fa eccezione. Pechino, comunque, ha
preso seriamente in considerazione il documento, creando in Cina
aspettative che le attuali politiche della UE non possono mantenere,
come si vedrà più oltre.
E mentre l’Europa si adoperava a spiegare gli obiettivi di tale non
ben definita “partnership strategica” con la Cina, Pechino invece aveva
già ben chiari gli obiettivi di una collaborazione con Bruxelles, con
due problemi in cima alla propria agenda: fine immediata dell’embargo
sugli armamenti imposto dalla UE nel 1989; garanzia dello status di
economia di mercato (MES)3.
A distanza di tre anni, nessuno di questi problemi è ancora stato
risolto e continua ad essere molto improbabile che ci saranno a breve
ulteriori progressi. Dal punto di vista cinese, quindi, i primi tre anni di
questa “partnership strategica” sono stati una delusione, specialmente
dal momento in cui le discussioni al riguardo sono quasi scomparse
dall’ordine del giorno europeo.
2. Chi è la UE?
La Commissione europea mette in atto solo un numero abbastanza
limitato di regolamenti senza approvazione formale del Consiglio,
istituzione che rappresenta a Bruxelles gli stati membri; ciò non
sembra essere mai stato pienamente apprezzato e compreso in Cina
(ed evidentemente anche altrove). La Commissione propone regole
e strategie, ma in molti casi tali suggerimenti sono soggetti a un
lungo processo decisionale che mira a trovare l’approvazione tra i
25 Stati membri. Pechino, comunque (evidentemente non senza una
logica), sostiene che la Commissione è il primo e principale punto di
riferimento per quanto concerne i regolamenti riguardanti la Cina, che
si suppone riflettano la linea politica di tutti e 25 gli Stati europei. Infatti,
formalmente, la Commissione europea e il China Desk, all’interno del
“Directorate for External Relations” (DG Relex), ha il compito di attuare
le politiche europee in Cina, ma tale processo di attuazione è sempre
rallentato dai dibattiti interni all’Europa sui loro contenuti e dettagli.
E’ il caso dei problemi più delicati e controversi, poiché gli interessi
degli Stati membri dell’Unione a volte mutano considerevolmente
nel contesto delle relazioni con la Cina. Le controversie sull’embargo
delle armi e, più recentemente, le nuove regole sul commercio con
la Cina, alla luce dei crescenti attriti, sono due esempi di come le
politiche della Commissione nei confronti di Pechino siano soggette
ad influenze e pressioni da parte degli Stati membri e dei loro diversi
gruppi di interesse e lobby.
Sull’embargo, ad esempio, i legislatori cinesi e i diplomatici
di Bruxelles ben conoscevano difficoltà e lentezze del processo
decisionale, e sapevano che un consenso dei paesi europei sul
problema non era raggiungibile.
3. All’insegna della chiarezza – Il documento UE sulla Cina dell’ottobre 2006
La UE ha recentemente reso noto un documento relativo alle
strategie da adottare per la Cina, intitolato “Unione Europea-Cina,
partner più vicini, responsabilità crescenti: Comunicazione dalla
Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo”; documento che
fornisce un aggiornamento delle politiche UE nei confronti della Cina,
integrando e in qualche caso riscrivendo quello del 20034.
L’altisonante retorica di un tempo, sull’interesse e qualità delle
relazioni UE-Cina, è stata sostituita da un discorso più sobrio e realistico
sulla politica bilaterale, l’economia e le relazioni commerciali, inserite
nel documento Cina 2006. Paragonato con quello del 2003, il tono
del documento dell’ottobre 2006 è più “deciso”, poiché richiede
direttamente a Pechino di dare seguito alle promesse di migliorare la
tutela dei diritti umani, permettendo maggiore libertà di espressione,
libertà di religione e mettendo in pratica, pur con notevole ritardo,
leggi e regolamenti in materia di diritti di proprietà intellettuale, e
proteggendo gli stessi diritti dell’Europa in Cina.
Anche se questo recente documento UE non ha certo suscitato
entusiasmo presso i legislatori cinesi, ci sembra5 che almeno sarà di una
qualche utilità per entrambe le parti, dato che rappresenta un riassetto
delle relazioni europee con la Cina, e sottolinea i problemi in modo
assai più chiaro dei precedenti documenti e dichiarazioni ufficiali.
Un riassetto e un riequilibrio delle relazioni fra le parti è divenuto
necessario da quando la Commissione UE si è trovata in conflitto
con le relazioni e le politiche dei singoli Stati membri nei confronti
della Cina.
Varrà forse la pena ricordare che la Cina, – nonostante la volontà
ufficiale di discutere di diritti umani sullo sfondo del dialogo fra le
due parti – considera ancora alla stregua di “interferenza” nei suoi
affari interni le preoccupazioni europee per le violazioni dei diritti
umani e della libertà di espressione, oltre che per il tipo di governo
democratico o meno.
Questo spiega, almeno in parte, la lentezza dei progressi nell’ambito
del dialogo sui diritti umani e su altri problemi tra Bruxelles e Pechino.
Il considerare come “interferenza” tutto ciò che concerne i propri “affari
interni”, è e sarà una costante imprescindibile che caratterizzerà la
politica cinese e il suo comportamento in materia estera e di sicurezza;
la UE, pertanto, dovrà fare attenzione quando cercherà di convincere
la Cina a compiere i cambiamenti auspicati.
L’Unione europea, definendo come atteggiamenti storicamente
obsoleti quelli per cui la Cina non vuole interferenze negli affari interni,
ha espresso la sua insoddisfazione nel documento dell’ottobre 2006.
Qui, Bruxelles afferma che la non-interferenza non può più essere
un’opzione per un paese che vuole essere riconosciuto come “grande
potenza responsabile” dall’influenza globale.
“La Cina ha tradizionalmente descritto la propria politica estera
come rigorosamente basata sulla non interferenza, ma da quando essa
assume un ruolo più attivo ed energico a livello internazionale, ciò
diventa sempre più insostenibile”, si dice nel documento, anche se è
quasi certo che Bruxelles, in questo contesto, si riferisce alle recenti
politiche cinesi nei riguardi del Sudan e del suo rifiuto a riconoscere
e condannare il genocidio favorito dal governo nel Darfur. L’assenza
dell’aiuto cinese per una risoluzione delle Nazioni Unite nel condannare
quel genocidio e il continuo trattamento da guanti di velluto riservato
al governo del Sudan (l’ultima volta, durante il Summit Cina-Africa
all’inizio del novembre 2006), non favoriscono certo l’ambizione cinese
ad essere riconosciuta come una “grande potenza responsabile”, che
contribuisce alla pace e alla stabilità regionale e globale6.
Il modo di rapportarsi dell’Europa nei confronti dell’Africa e dei
governi africani (Sudan e Zimbabwe sono solo due esempi) differisce
molto da quello cinese, considerando i recenti sforzi diplomatici
della Cina per aumentare i rapporti d’affari e commercio con l’Africa,
senza badare alla mancanza di strutture democratiche, di governo
e diritti umani.
4. Il problema del commercio
Mentre quest’anno il volume degli scambi tra UE e Cina si ritiene che superi i 200 miliardi di euro, il deficit del commercio a favore della
Cina si pensa ammonterà a 100 miliardi di euro, approssimativamente
25 miliardi di euro in più dell’ultimo anno. Mentre gli economisti
sostengono che il deficit derivato dal commercio bilaterale con la
Cina non deve essere necessariamente una preoccupazione per la
UE, che mantiene un surplus totale del commercio con il resto del
mondo, i legislatori di Bruxelles e gli Stati membri avvertono che il
saldo continuerà a essere negativo e, se il problema dovesse rimanere
insoluto, danneggerà i rapporti bilaterali. Un’analisi dei rapporti
UE-Cina e del loro deficit commerciale, comunque, non può non
menzionare che le aziende o le multinazionali europee ed americane,
in collaborazione con compagnie cinesi tramite joint venture, sono
responsabili per il 60% delle esportazioni dalla Cina. Inoltre, la Cina
esporta (nel 65% dei casi per conto delle aziende multinazionali non
cinesi) sostanzialmente ciò che l’Europa vuole importare. Problemi dei
sussidi cinesi a parte, i negozianti e le catene di distribuzione non sono
obbligate a importare T-shirt e scarpe “Made in China”, ma scelgono
i prodotti cinesi per ridurre i costi e massimizzare i profitti, dei quali
alla fine beneficiano i consumatori europei. Alcuni governi in Europa
(come anche quello USA in questo caso), che recentemente hanno
esortato la Commissione e Pechino a intraprendere sforzi per ridurre
il deficit commerciale bilaterale, non sono, quindi, necessariamente
portavoce dei propri commercianti e delle imprese, le quali, al
contrario, progettano di consolidare e incrementare il volume di
importazioni dalla Cina.
Certamente il deficit commerciale a favore della Cina è ormai
divenuto un problema politico e a volte populista, che nasconde la
complessa realtà della natura del commercio bilaterale, così che i deficit
del commercio sono diventati, in alcuni paesi europei, uno strumento
per distogliere l’attenzione dalle difficoltà economiche interne e dalla
mancanza di riforme.
Recentemente, le esportazioni di scarpe dalla Cina (come
anche dal Vietnam) sono diventate soggette a dazi di importazione
aggiuntivi: Bruxelles accusa Pechino di finanziare i produttori cinesi
con “eccessivi” sussidi governativi. I sussidi del governo cinese – nel
caso delle scarpe e dei prodotti tessili davvero esagerati, come la
Commissione UE può dimostrare dati alla mano – sono un problema
reale a cui si richiede di trovare una soluzione sostenibile d’accordo
con l’Europa. La Commissione ha imposto tariffe addizionali dopo
mesi di grande dibattito interno, decidendo alla fine di imporle per
due anni7.
I due anni di vantaggio mirano a dare più tempo alle industrie
manifatturiere di scarpe europee per imparare a gestire la
competizione con la Cina e con gli altri paesi asiatici che hanno un
basso costo del lavoro.
Ciò di cui si parla poco e che non viene messo in risalto dalla
stampa, comunque, è il fatto che non sono le industrie manifatturiere
e esportatrici cinesi a fare la parte del leone nello spartirsi i profitti
derivanti dal vantaggioso costo del lavoro cinese, quanto gli importatori
europei e statunitensi che comprano beni e prodotti. Particolare è il caso
del settore tessile e calzaturiero: i consumatori europei usufruiscono di
prodotti, quali scarpe da tennis, intimo e magliette8, particolarmente
economici perché realizzati nelle numerosissime fabbriche clandestine,
i famigerati sweat-shop.
Grazie al cosiddetto “Accordo di Shanghai9” dell’anno scorso, la
Cina ha volontariamente acconsentito a ridurre temporaneamente le
esportazioni di tessile e calzature. Il provvedimento è molto probabile
che si rivelerà di breve vita, e il problema delle importazioni tessili
che inondano i mercati europei riemergerà nel 2007, visto che i
commercianti europei continueranno a richiedere grandi quantità di
tali prodotti economici “Made in China”.
Bruxelles ha un gran bisogno di strategie e soluzioni più creative
per far fronte al deficit commerciale, piuttosto che imporre dazi
addizionali alle esportazioni cinesi. L’attuale strategia europea (e
americana) somiglia a quella avuta nei confronti del Giappone durante
gli anni ’70 e ’80 ed è improbabile che abbia successo e sia utile nel
lungo periodo. Invece di imporre tasse che non risolverebbero, ma
posporrebbero solamente il problema, sarebbe opportuno che la UE
incoraggiasse le autorità e gli esportatori cinesi a incrementare gli
investimenti e a iniziare la produzione di beni in Europa – come fece
il Giappone negli anni ’80 – impiegando personale del luogo, così da
ridurre il deficit commerciale.
5. Diritti di proprietà intellettuale (DPI) – la pazienza dell’Europa si sta esaurendo
In una delle sue più recenti visite in Cina, Peter Mandelson,
Commissario al commercio UE, ha espresso ancora la propria
insoddisfazione per il rifiuto della Cina ad attuare leggi e regolamenti
efficienti e trasparenti per proteggere i diritti di proprietà intellettuale
europei in Cina.
Più del 60% dei prodotti contraffatti e dei falsi venduti in Europa
provengono dalla Cina, e la UE continuerà a premere affinché le
autorità di Pechino, negli anni a venire, migliorino l’efficienza e la
trasparenza dei diritti e delle regole in materia10.
Non consolidando gli sforzi per proteggere i DPI stranieri, nel
lungo periodo, la Cina non avvantaggerà le proprie aziende ma le
danneggerà, dato che ciò non farà altro che scoraggiare queste ultime
dal creare marchi di propri prodotti, affermati internazionalmente, che
possano competere con i marchi europei e statunitensi sul mercato
globale.
A dispetto dei recenti sforzi fatti dal governo per rafforzare i marchi
cinesi in alcuni settori (ad esempio nel settore automobilistico11 e
dell’elettronica), pochissimi hanno riconoscimento internazionale, e
la Cina è sempre più percepita come paese che assembla prodotti
per conto di compagnie estere. Questo fenomeno non è inusuale per
un’economia in via di sviluppo, ma la Cina ultimamente è diventata la
quarta potenza economica e dovrà diversificare modelli e strutture di
sviluppo economico per rimanere competitiva negli anni a venire.
Inoltre, continuare a non proteggere i diritti di proprietà intellettuale
stranieri ha già portato le aziende estere ad investire in altri paesi,
uno su tutti: l’India12. Quest’ultima non sta ancora attraendo tanti
investimenti diretti stranieri (IDS) quanto la Cina (60 miliardi di
dollari di investimenti contro 10 miliardi di dollari nel 2005), ma la sta
raggiungendo velocemente, e le aziende europee stanno continuando
a scoprirla come meta di investimenti.
6. Il dialogo sui diritti umani
Human Rights Watch, Amnesty International13 e altre organizzazioni
non governative documentano con regolarità che il livello di garanzia
dei diritti umani in Cina è lontano dall’essere soddisfacente e non
raggiunge gli standard internazionali. Amnesty e gli altri esortano la
UE a trattare più spesso e meno superficialmente questi problemi con
la parte cinese.
È inoltre fonte di preoccupazione il continuo incarceramento di
giornalisti, attivisti per i diritti umani e avvocati, critici del governo e
delle politiche di Pechino, che cerca di esercitare il controllo sugli utenti
di internet e sui suoi contenuti14. Il progresso del dialogo UE-Cina sui
diritti umani iniziato nel 1996 (fino ad ora 21 sessioni15) deve essere
descritto come molto limitato, stando a giudicare dalle informazioni
pubbliche rese disponibili da fonti UE16.
Il documento indica chiaramente che, secondo Bruxelles, non sono
state fornite le prove richieste per documentare il miglioramento dei
diritti umani, mentre in passato la scelta della UE era stata quella di
dare alla Cina il beneficio del dubbio, sostenendo che il dialogo sui
diritti umani avrebbe fatto progressi. Nel documento si legge17: “Esso
(il dialogo sui diritti umani) rimane adatto allo scopo, ma le aspettative
UE – che sono aumentate quanto le nostre relazioni – sono sempre
più frustrate”. Se l’interpretazione delle due parti del termine “diritti
umani” continuasse ad essere così diversa, si dovrebbe addirittura
valutare se ha senso che l’Europa e Pechino continuino a sostenere
un dialogo su questa materia.
Riferendosi alla critica riguardo alla situazione dei diritti umani
in Cina, Pechino ha sostenuto in passato che la definizione “diritti
umani” in Cina è “differente” da quella adottata in occidente. Se per
l’ “occidente” i diritti politici e civili (che includono diritti quali la
libertà di espressione e di pensiero) sono il fulcro del concetto “diritti
umani”, per Pechino, invece, i diritti economici, cioè il diritto di vivere
felicemente lasciandosi dietro la povertà e il sottosviluppo, sono centrali
nella sua definizione. Quindi, dal punto di vista di Pechino, libertà di
espressione, diritti civili e altri diritti che sono comunemente definiti
come diritti umani, sembrano essere secondari nel contesto cinese
e si sostiene inoltre, che un paese in via di sviluppo e i suoi leader
sono incaricati soprattutto del compito di continuare a sollevare da
una condizione di povertà centinaia di milioni di persone.
7. L’embargo degli armamenti
Lasciando da parte il fatto che le dichiarazioni congiunte dei
summit bilaterali sono solitamente abbozzate e concordate settimane
prima che si tenga il vero e proprio summit, entrambe le parti hanno
sostanzialmente concordato su quasi tutto ciò che è stato dichiarato
nel recente Vertice UE-Cina tenuto ad Helsinki in settembre.
Ad eccezione, certamente, dell’embargo delle armi imposto dalla
UE alla Cina nel 1989. A Helsinki (come prima all’Aia nel 2004 e a
Pechino nel 2005) il Primo Ministro cinese Wen Jiabao ha fatto appello
alla UE per “correggere” (si legga come “rivedere”) la decisione politica
sull’embargo. “Un’azione positiva” – e con questo intende l’immediata
fine dell’embargo – ha affermato, “potrebbe far superare le barriere
che impediscono la crescita dei legami sino-europei in modo da
soddisfare gli stessi interessi dell’Europa”. Pechino negli ultimi tre
anni ha spesso cercato di legare il problema dell’embargo alla qualità,
alle opportunità e ai futuri affari e relazioni commerciali con l’Europa,
rendendosi vulnerabile ad una critica che l’accusa di tentare di usare
il suo crescente peso economico per aumentare la pressione sulla UE
con l’obiettivo di togliere l’embargo.
Oltre al fatto che i diplomatici di Pechino residenti a Bruxelles sono
consci che togliere o non togliere l’embargo è una decisione che spetta
agli Stati membri e non alla Commissione, la UE non ha mai promesso
di rimuoverlo (l’ultima volta al Summit UE-Cina di Helsinky), ma solo
di “lavorare per rimuoverlo”18. Pechino, in genere, ha scelto di ignorare
questa piccola ma importante differenza nel corso del dibattito degli
ultimi tre anni19.
8. La ricerca congiunta di un “multilateralismo effettivo”?
Secondo la retorica ufficiale, la UE e la Cina condividono comuni
intenti verso una global governance, e la cooperazione internazionale,
favorendo e ricercando il cosiddetto “multilateralismo effettivo”20. Fino
ad oggi, comunque, (e si vedano anche le strategie cinesi nei confronti
dell’Africa), non ci sono esempi concreti della congiunta ricerca di Pechino
e Bruxelles di un “multilateralismo effettivo” di qualunque forma.
Il summenzionato documento UE dell’ottobre 2006 si riferisce alle
preoccupazioni europee riguardo alle differenti definizioni e approcci
al multilateralismo. Vi si legge: “Condividiamo un desiderio di vedere
un sistema multilaterale effettivo. Ma rimangono divergenze nei valori,
riguardo ai quali il dialogo deve continuare”. Questa valutazione
conferma ciò che un certo numero di studiosi europei hanno criticato
negli ultimi anni: la retorica politica UE-Cina, che vuole che Bruxelles
e Pechino condividano simili approcci verso il multilateralismo, è poco
probabile che sia sempre congruente alla realtà politica, a meno che
non si realizzi una concreta discontinuità nella strategia cinese sul
multilateralismo, sulla sovranità e su ciò che Pechino intende come
“non interferenza” 21.
9. Un nuovo “Accordo UE-Cina per la partnership e la cooperazione” e il cammino futuro
La frequenza e l’intensità degli scambi tra l’Europa e la Cina è
stata, negli ultimi anni, molto positiva e impressionante. L’espansione
dell’economia, le relazioni commerciali e politiche degli ultimi tre anni,
sono state significative ed entrambe le parti continueranno a investirvi
cospicui capitali e risorse22. Fino ad ora, la UE e la Cina sono impegnate
in circa 25 “dialoghi settoriali” che coprono un’ampia gamma di aree
come quella dei diritti di proprietà intellettuale, ambiente, informazione
e società, energia e cooperazione scientifica, l’uso pacifico dell’energia
nucleare, sicurezza marittima, cooperazione per lo spazio, problemi
legati al WTO e altri23.
Il prossimo livello delle relazioni UE-Cina si suppone sia l’ “Accordo
UE-Cina per la partnership e la cooperazione” che, secondo la UE,
“rifletterà l’intero arco della cooperazione bilaterale e determinerà l’agenda
per le relazioni UE-Cina del XXI secolo24”. A Helsinki, nel settembre
2006, entrambe le parti sono state d’accordo a lanciare il processo di
negoziazione per l’accordo previsto, ma rimane ancora da essere definito
quale valore esso aggiungerà alla qualità delle relazioni bilaterali fra le
due parti. Quali settori, argomenti e problemi coprirà e tratterà che non
siano già stati affrontati nelle sedi e nei modi già esistenti?
Mentre la Commissione UE sostiene che un nuovo accordo sia
necessario per “coprire tutte le attività (con la Cina), così che si possa
innalzare questa partnership estremamente importante ad uno stadio
più elevato”, ci si può realisticamente aspettare che un nuovo accordo di
cooperazione non farà molto di più che codificare le relazioni esistenti
e gli scambi di ogni giorno. Il citato documento sulla Cina dell’ottobre
2006 è molto probabile che renda le negoziazioni sull’accordo più
difficoltose e lunghe, ed è improbabile che Pechino firmi un altro
accordo con la UE prima d’aver “digerito” quello precedente.
Sembra che per ora la luna di miele UE-Cina durata tre anni sia
finita e che Bruxelles e Pechino si siano assunte l’incarico di ridefinire
e riorganizzare le loro relazioni. Ciò non è necessariamente un fatto
negativo, e d’altronde, come accade per la maggior parte dei matrimoni,
ad un certo punto, ci si deve scontrare con la realtà.
MONDO CINESE N. 129,
OTTOBRE-DICEMBRE 2006
Note
1 “A Maturing Partnership:
Shared Interests and Challenges in EU-China Relations”, Commission of the
European Communities, Bruxelles, 10.9.2003.
2 Javier Solana, “A Secure Europe in a Better World-European Security Strategy”,
Bruxelles, 12.12.2003; http://ue.eu.int/uedocs/cmsUpload/78367.pdf
3 Per le opinioni dei cinesi si vedano, ad esempio, Huo Zhengde, “On the China-
EU Strategic Relationship”, International Studies, vol. 2, China Institute of International
Studies (CIIS), marzo 2005; Yi Wang, “La Chine et l’UE: Vers une Coopération
Stratégique”, Chaillot Paper 72, Global Views on the European Union,
Institute for Security Studies (ISS), Parigi, novembre 2004; a proposito dello status
di economia di mercato, si veda anche Nicola Casarini, “The evolution of the EUChina
relationship: from constructive engagement to strategic partnership”, Occasional
Paper, n.64, The European Union Institute for Security Studies, Parigi,
ottobre 2006.
4 “EU-China: Closer partners, growing responsibilities: Communication from the
Commission to the Council and the European Parliament: Commission of the European
Communities”, Bruxelles, ottobre 2006.
5 L’autore basa tale opinione su dibattiti a cui ha partecipato, con legislatori e studenti
cinesi, a Pechino, nel novembre 2006.
6
Per una valutazione critica delle politiche cinesi verso l’Africa si veda, ad esempio,
“China in Africa-Never too late too scramble”, The Economist, 28.10.2006.
7 Si veda ad esempio Tom Rachman, “EU imposes long-term tariffs on Asian shoes”,
The International Herald Tribune, 5.10.2006; “China threatens shoe retaliation”,
BBC News, 6.10.2006.
8
Si veda Thomas Fuller, “Billions in Trade Gap, Pennies for Workers”, The International
Herald Tribune, 4.8.2006.
9 “Accordo UE-Cina sul settore tessile del 10 luglio
2005”, http://ec.europa.eu/comm/external_relations/china/intro/memo05_201.htm;
“Cina ed EU,accordo
temporaneo sul tessile”,http://www.asianews.it/view.php?l=en&art=3488;“EU,
China Strike Agreement to End Textile Stalemate”,http://www.chinaknowledge.com/news/news-detail.aspx?id=89&cat=politics.
10 Tra i tanti materiali disponibili si confronti, per esempio,
The World Fact Book 2004; vedere anche Sylvain Plasschaert, “China and the WTO”,
EPC Issue Paper,
n. 20, The European Policy Centre (EPC), Bruxelles; Peter K. Yu, “From Pirates to
Partners: Protecting Intellectual Property Rights in China in the 21st Century”, Social
Sciences Research Network (http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_
id=245548); La Croix, Sumner, Konan, Denise Eby, “Intellectual Property Rights
in China: The Changing Political Economy of Chinese-American Interests”, East-
West Center Working Papers Series, n. 39, gennaio 2002.
11 Si veda Jack Perkowski, “The Coming China Car Boom”,
The Far Eastern Economic
Review (FEER), vol.169, n.3, aprile 2006.
12 Si veda Hugo Restall, “India’s Coming Eclipse of China”,
The Far Eastern Economic
Review (FEER), vol.169, n.2, marzo 2006; “The Tiger in Front; Survey: India
and China”, The Economist, 3.3.2005.
13 Si veda per esempio “Amnesty International People’s Republic of China: Human
Rights defenders at risk”, http://www.amnesty-eu.org/static/documents/2005/
HRDs_Update_final_complete.pdf
14Il più recente caso ad alto profilo riportato dalla stampa internazionale è la detenzione
dell’importante avvocato cinese dissidente Gao Zhisheng che le autorità
cinesi hanno accusato di compiere “attività criminale”; The International Herald
Tribune, 19.8.2006.
15 Si veda per esempio il “EU Presidency Press Statement on EU-China Human Rights
Dialogue”; “EU and China Hold 21st Round of Human Rights Dialogue”;
http://www.eu2006.at/en/News/Press_Releases/May/2605EUChinaHuman
Rights.html
16 “The EU’s Relations with China”, http://ec.europa.eu/comm/external_relations/
china/intro/index.htm.
17 “EU-China: Closer partners, growing responsibilities”, Communication from the
Commission to the Council and the European Parliament, Commission of the European
Communities, Bruxelles, ottobre 2006.
18 Si veda il Comunicato congiunto “Ninth EU-China Summit”, Helsinki, 9.9.2006,
http://www.consilium.europa.eu/ueDocs /cms_Data/docs /pressData/en/er/
90951.pdf .
19 Per la posizione ufficiale sull’embargo vedere ad esempio il “Joint Statement of
the 8th EU-China Summit”, Pechino, 5.9.2005, all’indirizzo: http://ec.europa.eu/
comm/external_relations/news/barroso/sp05_478.htm
20 Tra tutti vedere ad esempio Song Xinning, “EU-China Strategic Partnership: Domestic
and International Perspectives”; documenti presentati alla conferenza internazionale
sulle ‘International Politics of EU-China Relations’, Londra, 20-21 aprile 2006.
21 Per una valutazione critica vedere anche Jonathan Holslag, “The European
Union
and China: The great disillusion”, European Foreign Affairs Review, n. 11,
2006.
22
“For China’s October 2003 EU Policy Paper; The Ministry of Foreign
Affairs of the
People’s Republic of China”,
http://www.fmprc.gov.cn/eng/wjb/zzjg/xos/dqzzywt/
t27708.htm; si veda anche “Opening New Phases of China-EU Friendly
Cooperation”, http://www.fmprc.gov.cn/eng/topics/wenJiabaocxezohy/t174793.htm.
23 Si veda ad esempio Axel Berkofsky, “EU-China Relations-Strategic Partners or
Partners of Convenience?”, China Report, 27.7.2006; Hanns W. Maull, “German-
Chinese Relations-Trade Promotion or Something Else?”, German Foreign Policy
in Dialogue: Newsletter, n. 6, 23.6.2005; Deutsche Aussenpolitik.de-Gateway to
German Foreign Policy, giugno 2005; Stanley Crossick, Fraser Cameron, Axel
Berkofsky, “EU-China Relations-Towards a Strategic Partnership”, EPC Working
Paper, luglio 2005.
24 Si veda anche “EU and China to agree on opening negotiations for a new comprehensive
framework agreement”, http://europa.eu.int/rapid/pressReleases
Act ion.do? reference=IP/06/11 61&format=HTML&aged=0&language=
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