1. Quindici anni di detenzione
La grave malattia e poi la morte di Zhao Ziyang, avvenuta il 17
gennaio del 2005, hanno aperto la strada alla pubblicazione di
vari documenti ed interviste e al rilascio di testimonianze spesso di
grande interesse storico-politico. Pur nella dovuta prudenza e cautela che
occorre sempre esercitare in casi simili, questa nuova documentazione
ci consente di valutare meglio e più a fondo le convinzioni ideali e
politiche dell’ex Segretario generale del Partito comunista cinese (Pcc)
nei drammatici mesi della “primavera di Pechino” del 1989 nonché le sue
riflessioni su tali eventi maturate durante i lunghi anni che separano la
sua estromissione da tutte le cariche nel corso del 1989 dal decesso.
La documentazione dalla quale sono tratte le brevi note e
considerazioni che seguono riguarda in particolare tre interviste a
Zhao Ziyang a firma del giornalista Yang Jisheng, fatte tra la fine del
1995 e la primavera del 2000, pubblicate in lingua cinese ad Hong
Kong nel corso del 2004 poche settimane prima della sua morte1 e
successivamente tradotte in lingua inglese per le parti essenziali nel
20052. Le modalità con cui tali interviste sono state effettuate e poi rese
pubbliche non sono chiare: esse si inseriscono comunque - come si è
già accennato - nella crescente circolazione di manoscritti e testi vari
che hanno accompagnato le ultime fasi della vita di Zhao Ziyang e,
ancor più, seguito la sua morte. Nel caso delle interviste effettuate da
Yang Jisheng, un giornalista veterano della Xinhua, abbiamo tuttavia
una rilevante conferma della loro importanza da parte di varie fonti,
in particolare di un testimone che fu presente a tali interviste. Si tratta
di Zong Fengming, un amico di vecchia data di Zhao Ziyang al quale
- proprio per i vecchi legami di amicizia - fu consentito di visitare in
più occasioni Zhao3.
Ad esse vanno aggiunti i testi del discorso di Zhao Ziyang e del
duro intervento critico contro Zhao da parte di Li Peng, nel corso della
quarta sessione plenaria del Comitato Centrale del Pcc4, nonché una
serie di interviste rilasciate da personaggi vari (membri dell’entourage
politico ed intellettuale di Zhao Ziyang, suoi collaboratori, suoi familiari)
successivamente alla morte dell’ex Segretario generale del Pcc.
Come è noto, dopo Tian’anmen Zhao fu dapprima sottoposto a
processo politico nel corso della succitata quarta sessione plenaria del
Comitato Centrale del Pcc e successivamente posto agli arresti domiciliari
a Pechino, rimanendovi sino al decesso agli inizi dello scorso anno.
Durante i più di 15 anni di arresti domiciliari, Zhao Ziyang fu ovviamente
tenuto sotto stretta sorveglianza: poteva allontanarsi dall’abitazione o
ricevere visite solo previa autorizzazione da parte delle autorità e le
scarne notizie che filtravano occasionalmente ne indicavano la presenza
saltuaria sui campi da golf di Pechino, in visita a qualche parte della
Cina o alla cerimonia funebre di un vecchio compagno di partito.
2. Zhao Ziyang, Hu Yaobang, Deng Xiaoping5
Zhao Ziyang muove la propria ricostruzione da alcuni anni prima di
Tian’anmen, offrendo una visione di ampio respiro delle radici politiche
della crisi del 1989 e dei suoi rapporti con Hu Yaobang e Deng Xiaoping.
Innanzitutto, confuta con forza l’ipotesi fatta circolare secondo cui nel
corso del 1986 egli avrebbe a più riprese criticato Hu Yaobang, allora
Segretario generale del Pcc, per un atteggiamento troppo lassista nei
confronti delle proteste di studenti ed intellettuali. Al contrario, egli
riafferma la piena identità di vedute con Hu riguardo i temi della
liberalizzazione in quegli anni; semmai, da Hu lo dividevano visioni
diverse in materia di politica economica. I motivi della fine politica
di Hu vanno dunque chiaramente ricondotti, come peraltro da tempo
ipotizzato, al suo atteggiamento verso le proteste e prese di posizione
di studenti e intellettuali nel corso di quel tormentato anno: “Mentre le
manifestazioni studentesche erano in corso, il giorno 30 dicembre 1986
Deng ci chiamò (vi era He Dongchang6 assieme ad altri) e si espresse
con particolare durezza: disse che la protesta studentesca era il risultato
di molti anni di liberalizzazione indulgente e disse anche: ‘Ho parlato
molte volte sul problema rappresentato da Wang Ruowang ed altri7:
come mai non è stato ancora risolto?’”. Lo stesso 30 dicembre “Deng
criticò apertamente ed esplicitamente Hu durante un discorso, e il testo
del suo discorso fu immediatamente trasmesso in tutto il paese”.
Zhao mette tuttavia in luce alcuni particolari nuovi, riguardo ad alcune
riserve che diversi “anziani” del partito nutrivano ancor prima del 1986
nei confronti di Hu Yaobang, in particolare verso le sue tesi in materia di
politica economica, riserve che erano almeno in parte condivise da Zhao.
Ad esempio, Chen Yun, Song Ping e Yao Yilin, massimi responsabili della
pianificazione economica nazionale, espressero a più riprese profonde
perplessità circa le tesi di Hu secondo cui era necessaria un’ulteriore,
forte accelerazione della crescita economica.
Dunque, se è vero che gli errori e le carenze nel lavoro ideologico
da parte di Hu Yaobang (“lassismo” nella lotta contro il processo di
“liberalizzazione” e di “inquinamento spirituale” che aveva seguito
l’apertura della Cina all’Occidente), rappresentarono un elemento
fondamentale per la crescente divaricazione tra le posizioni di Deng e
di Hu, le posizioni di questo ultimo apparivano già indebolite presso
gli “anziani”8 del partito a causa di serie divergenze riguardo la politica
economica: “Xiaoping aveva detto a Yaobang nell’aprile del 1986 che
sarebbe stato sostituito come previsto9 [nella carica di segretario generale]
nel corso del XIII Congresso10 e gli chiese di assumere la presidenza
della Commissione Centrale Consultiva11 […] Nel gennaio del 1987
Yaobang lasciò la propria carica: era scontato, ma gli anziani avevano
già preso tale decisione da tempo e il modo con cui il tutto avvenne fu
diverso [da quanto originariamente previsto], con le dimissioni [di Hu]
invece della normale, prevista transizione […] Sapevo che gli anziani
avevano già fatto la loro scelta e qualunque cosa avessi potuto dire
sarebbe stata inutile”.
Zhao si sofferma altresì sulle discussioni che si svilupparono in seno
al vertice del partito successivamente alla rimozione di Hu Yaobang e in
vista del XIII Congresso: “Dopo le dimissioni di Yaobang […], Xiaoping
aveva delegato la questione degli incarichi in vista del XIII Congresso
ad un gruppo di sei membri presieduto da Bo Yibo12 , il quale doveva
rispondere direttamente a Xiaoping. Anche il gruppo che io presiedevo13
era oggetto di valutazione da parte del gruppo dei sei. Quando il
gruppo dei sei sollecitò l’opinione dei compagni più anziani [riguardo
la futura composizione del Comitato Permanente del Politburo]14 , questi
dichiararono la loro ferma contrarietà alla candidatura di Wan Li […] Il
gruppo dei sei riportò tali opinioni a Deng e solo allora egli concordò
sul fatto che Wan Li non entrasse nel Comitato Permanente. Restava
Tian Jiyun. Yao Yilin indicò subito che Tian Jiyun aveva questo e quel
problema […] E fu così che fu decisa la composizione del Comitato
Permanente con i cinque membri”.
Relativamente più semplice, secondo Zhao, fu la discussione su chi
sarebbe stato il nuovo Primo Ministro, visto che era previsto che Zhao
Ziyang, allora Primo Ministro, si sarebbe dimesso per assumere la carica
di Segretario generale del Pcc: “Li Peng era il solo candidato per tale
carica. Solo Li Peng e Tian Jiyun erano più giovani di me: quanto a
Tian Jiyun, nessuno lo propose”. Tuttavia, non tutti dovevano essere
così entusiasti della candidatura di Li Peng se “quando egli fu preso in
considerazione come possibile Primo Ministro, certi, temendo che fosse
esperto solo di ingegneria elettronica15 e che fosse digiuno di economia,
fecero il nome di Yao Yilin. Xiaoping però pose il veto: disse che Yao
era troppo anziano e che aveva anche problemi di salute”.
Quanto ai rapporti con Deng Xiaoping, Zhao ricorda come “il modo
in cui Xiaoping separò la sua strada da Yaobang è diverso da quanto
accadde nei miei confronti. Deng mantenne la sua fiducia in me sino al
4 giugno [1989] […] Il processo di distacco da Yaobang invece risaliva
a diversi anni prima: la sua fiducia in lui era diminuita nel corso degli
anni e alla fine egli la perse del tutto”.
L’ex segretario generale del Pcc affronta poi il problema generale
del rapporto tra riforme economiche e riforme politiche: “A quel tempo
[anni ’80], ero favorevole a riforme in campo politico ma senza correre.
Ora la penso un po’ diversamente: ritengo che sistema politico e sistema
economico debbano essere coordinati. Se non lo sono, se si pratica
l’economia di mercato mentre si persevera nella vecchia formula della
dittatura del proletariato, i due sistemi non coesisteranno in eterno e molte
contraddizioni emergeranno. D’altra parte, credo che in un paese come
la Cina non si possa riformare il sistema politico troppo in fretta: bisogna
progredire passo a passo […], il paese non deve essere gettato nel caos
e i dirigenti non devono essere cambiati continuamente, con tu che sei
in carica oggi e io domani. Questo si può fare in Occidente e la società
sarà in grado di operare come prima, ma non in Cina […]”.
3. Zhao Ziyang e Tian’anmen16
A parere di Zhao, il momento centrale del contrasto politico in seno
al partito e dello scontro politico e sociale tra partito e movimento degli
studenti durante la “primavera di Pechino” fu rappresentato dal celebre
editoriale del Quotidiano del Popolo del 26 aprile 1989, con il quale le
manifestazioni studentesche venivano bollate come “tumulti pianificati
e premeditati il cui obiettivo era di opporsi al partito e al socialismo”.
Come è noto, Zhao Ziyang in quei giorni stava preparando la sua
visita ufficiale nella Corea del Nord, che ebbe poi inizio nel pomeriggio
del 23 aprile. Egli ricorda come prima di partire avesse esposto la propria
opinione sulla situazione relativa alle proteste studentesche dapprima
a Deng, il quale - indica Zhao - concordò con lui, e successivamente
al Comitato Permanente, appena dopo che le commemorazioni per la
morte di Hu Yaobang erano terminate17.
Le tesi dell’ex Segretario generale del Pcc si imperniavano su tre
punti: primo, la situazione doveva tornare alla normalità e gli studenti
dovevano essere convinti a tornare in aula; secondo, era necessario
adottare una politica di persuasione verso gli studenti, con il dialogo,
incontri congiunti e ascoltando tutte le voci; terzo, andava assolutamente
evitato ogni spargimento di sangue, anche se dovevano essere previste
punizioni secondo la legge nel caso di comportamenti illegali. “In quella
occasione - afferma Zhao - tutti i membri del Comitato Permanente
accettarono le mie opinioni, che furono trascritte”.
Tuttavia, la sera del 24 aprile, poco più di ventiquattro ore dopo
la partenza di Zhao, venne convocata una riunione urgente del
Comitato Permanente: presieduta da Li Peng, che sovrintendeva il
lavoro del Comitato in assenza di Zhao Ziyang, la riunione vide anche
la partecipazione di Li Ximing e Chen Xitong, massimi dirigenti del
Comitato Municipale di Pechino. A parere di Zhao, prima della sua
partenza si era ormai in presenza di un indebolimento della protesta
studentesca e divisioni erano comparse in seno al movimento tra chi
era a favore di un ritorno in aula e chi vi si opponeva: “Se in quei
momenti si fosse proceduto in un certo modo, con la persuasione e
il dialogo, le cose potevano essere facilitate”. Al contrario, Li Ximing
e Chen Xitong parlarono della “organizzazione in corso di un’ampia
azione su scala nazionale che includeva gli studenti delle scuole medie
e gli operai delle fabbriche”. Il giorno seguente, Deng Xiaoping fu
informato delle valutazioni del Comitato Permanente: “Deng era sempre
stato a favore di una politica dura ed inflessibile nei confronti delle
proteste degli studenti, in quanto le riteneva di detrimento alla stabilità.
Dopo aver ascoltato il rapporto di Li Peng, fu d’accordo nel definire la
natura delle manifestazioni studentesche come ‘un tumulto anti-partito
e anti-socialista’ e propose che si risolvesse il problema celermente
[…] Il colloquio tra Deng, Li Peng e gli altri del 25 aprile doveva avere
in origine carattere interno, ma quella notte stessa Li Peng decidere
di trasmettere il testo del colloquio a tutti i quadri ai vari livelli. Il 26
aprile, il contenuto del colloquio venne riscritto e pubblicato in quanto
editoriale sul Quotidiano del Popolo”.
L’editoriale del 26 aprile - sottolinea ancora Zhao - esacerbò
fortemente le contraddizioni e causò una drastica espansione del
movimento: “Erano [gli studenti] arrabbiati e divennero molto emotivi:
anche quelli che erano stati sino ad allora moderati ora erano irritati e
vennero messi da parte dagli estremisti”.
Quando Zhao fece ritorno in Cina era già al corrente dell’editoriale, e
gli fu subito richiesto di prendere posizione aperta a favore dell’editoriale
stesso: “Il 4 maggio, quando ricevetti i rappresentanti della Asian
Development Bank, feci una dichiarazione, proponendo che i problemi
fossero risolti attraverso mezzi democratici e la legge […] La risposta
alla mia dichiarazione fu molto favorevole […]: era un’altra opportunità
per risolvere i problemi […]; tuttavia, gli studenti non si sentivano del
tutto rassicurati e pensavano che avessi fatto una dichiarazione vuota,
inefficace al fine di andare al cuore della questione. Se il dialogo fosse
continuato, e se maggiore persuasione fosse stata usata, la situazione
sarebbe volta al meglio”.
Al contrario, “He Dongchang dichiarò ad un meeting dei segretari
di partito di tutte le università che ‘Il discorso di Zhao Ziyang non
è conforme con lo spirito dell’editoriale del 26 aprile. Certe sue
dichiarazioni rappresentano meramente le sue opinioni personali’”. Così,
dopo che il discorso di He fu diffuso su scala nazionale, “tutti pensarono
che la mia dichiarazione non era rappresentativa [della volontà] del
Comitato Centrale del partito”.
Da quel momento, nonostante gli ultimi, reiterati quanto vani tentativi,
la posizione di Zhao Ziyang divenne sempre più difficile, sino ai tragici
eventi di quei primi giorni di giugno del 1989: “Dato che si decise che
nessuna concessione doveva essere fatta e che doveva essere imposto
il controllo da parte dei militari, gli scontri diventavano inevitabili e
se si verificavano scontri voleva dire che il sangue sarebbe scorso […]
Solo Xiaoping poteva osare tanto, ma così facendo l’immagine del
Partito comunista ne avrebbe risentito tremendamente. Gli studenti non
pensavano che l’Esercito Popolare di Liberazione [EPL] avrebbe sparato
su di loro e ciò dimostra che godevamo di prestigio tra le masse […] Il
nostro partito non aveva mai fatto una cosa simile nel corso della sua
storia, così gli studenti si rifiutavano di credere che l’EPL avrebbe sparato
su di loro. Il risultato fu, certo, che l’incidente [le proteste degli studenti]
venne risolto, ma un enorme danno si produsse nell’immagine del nostro
partito e governo. Solo Deng poteva operare una simile scelta”.
Oltre alle tre interviste, sappiamo anche che Zhao Ziyang scrisse
alcune lettere, dopo il 1989, alle massime autorità del partito, ribadendo
le proprie tesi essenziali e che alcuni suoi collaboratori ebbero modo
di riaffermare la bontà delle scelte di Zhao durante la “primavera di
Pechino” e di reiterare la condanna per la repressione militare del
giugno 1989.
Il 12 settembre 1997, ad esempio, come segnalato già da Mondo
Cinese18, una lettera aperta fu indirizzata alla Presidenza del XV
Congresso nazionale del Pcc, i cui lavori si erano aperti. In essa si afferma
tra l’altro che, aldilà degli errori compiuti dal movimento del 1989, non
esisteva alcuna ragione valida che giustificasse allora la definizione di
tale movimento come “controrivoluzionario” e tanto meno l’utilizzo della
forza: “Sarebbe stato possibile - chiede Zhao nella lettera - utilizzare altri
strumenti ed evitare il bagno di sangue? Io proposi allora di risolvere
il problema sulla base del sistema di legalità democratica e ancor oggi
resto di tale idea”19.
In una lettera successiva del 1998, inviata in coincidenza con la visita
in Cina del Presidente USA Clinton, si auspicava una nuova soluzione
per i fatti del 1989 e l’avvento di un’era di democrazia20.
A sua volta l’ex segretario di Zhao Ziyang, Bao Tong, commentando
a poche ore di distanza la morte dell’ex leader cinese, enfatizza il fatto
che l’isolamento in cui era stato mantenuto per anni Zhao era “una vera
e propria vergogna per la giustizia cinese e per il Partito comunista”. E
uno dei leader del movimento studentesco del 1989, Wang Dan, parla
di Zhao come del rappresentante “di quei membri del Partito comunista
cinese che hanno una coscienza”.21
Lo stesso Bao Tong, ricordando l’ex leader cinese nell’aprile 2005,
parla di Zhao come di un leader che “è entrato nella storia per il
contributo fornito al processo di riforma. Sono appunto le riforme da
lui promosse che dimostrano la sua superiorità rispetto a Mao Zedong
e Deng Xiaoping”. A suo parere, “Il merito principale di Deng Xiaoping
è stato quello di aver sostenuto le riforme economiche, di cui Zhao
Ziyang fu portavoce; il suo errore è stato quello di aver soffocato le
riforme politiche, sostenute invece da Zhao”22 .
Nel corso di un’intervista rilasciata a The Epoch Times poche
settimane dopo la morte dell’ex segretario generale del Pcc, Chen Yizi,
che era stato uno dei più stretti collaboratori e consiglieri di Zhao,
si scaglia contro l’attuale dirigenza cinese - e in particolare contro
l’attuale Segretario generale del Pcc, Hu Jintao - sottolineando come
“il trattamento riservato a Zhao Ziyang nel momento della sua morte
mostra ancor più la tenace insistenza del Pcc a perseverare nell’errore”.
Chen si riferisce qui al comunicato rilasciato dall’agenzia ufficiale di
notizie Xinhua in occasione della cerimonia commemorativa per Zhao
tenutasi il 29 gennaio a Pechino, presso il Cimitero della Rivoluzione
sito a Babaoshan, nel quale veniva riportata una breve biografia del
leader scomparso senza fare menzione del grande contributo da questi
offerto al processo di riforma. Egli afferma tra l’altro che “Zhao propose
di risolvere i problemi attraverso metodi democratici e legali e sino alla
fine rifiutò di ammettere qualsiasi colpa […] Tuttavia, il Pcc non ha mai
realmente investigato su quanto fu fatto allora né ha mai ammesso di
aver sbagliato”. E ancora, facendo riferimento ai “gravi errori” che furono
imputati dal Pcc a Zhao durante la “primavera di Pechino”: “Quanto ai
cosiddetti ‘gravi errori’ che Zhao avrebbe compiuto nel 1989, in realtà
si trattò di un modo di agire pieno di compassione e di umanità che
mirava a contrastare l’idea di affrontare il popolo con le armi”23.
E ancora in un’intervista rilasciata pochi giorni dopo la morte
dell’ex leader cinese, Li Pu, già vice-direttore del dipartimento per la
propaganda della provincia del Guangdong nonché responsabile degli
affari interni della Xinhua, il quale tra l’altro aveva avuto modo di
visitare Zhao negli anni di detenzione, ne traccia un profilo in quanto
“statista con una propria chiara visione della realtà […], che scelse di
non consentire all’impiego della forza militare contro il popolo […]
Impiegare un numero così impressionante di carri armati per opprimere
il popolo che si trovava per strada è stato senza precedenti […] Non
è forse una vergogna?”. Interrogato poi dal giornalista se non nutrisse
timori di rilasciare una simile intervista continuando a vivere a Pechino,
Li - che nel 2005 aveva 86 anni - sottolinea con forza: “Se vogliono
imprigionarmi non c’è nulla che posso fare, se vogliono espellermi dal
partito non posso farci nulla: guardi, quando ero un ventenne, durante
il periodo della guerra contro il Giappone aderii al Partito comunista
e partecipai alla rivoluzione. A quel tempo si diceva: ‘Nel lavoro, nella
rivoluzione dai tutto te stesso e non aver paura di morire’. Ho quasi 87
anni ma il mio spirito è lo stesso: oggi sono ancora come ero a quei
tempi […] Questa storia di Zhao Ziyang è incredibilmente triste: quanti
periodi di 15 anni ci sono nella vita di una persona? Quindici anni di
arresti domiciliari!”24
4. Giugno 1989: Li Peng contro Zhao Ziyang
Nella prima intervista rilasciata a Yang Jisheng, Zhao ricorda come
gli fosse stato suggerito di non richiedere la parola durante le sessioni
del Politburo e del Comitato Centrale ma che, al contrario, egli si
avvalse del diritto di presentare le proprie tesi: “Non si aspettavano che
parlassi: i discorsi che altri tennero furono stampati e distribuiti durante
la sessione […]; quanto al mio discorso, si cominciò a provvedere alla
stampa ma poi non fu distribuito […] Yao25 mi diede quindici minuti per
parlare: avevo preparato una bozza scritta e mi ci vollero venti minuti
per leggerla […] Il giorno dopo, quando la riunione proseguì, non mi fu
neppure consentito di mantenere la posizione di membro del Comitato
Centrale. Quando si dovette votare su di me non alzai nemmeno la
mano e mi limitai a dire che ‘ Posso votare se si deve decidere sulla
mia rimozione da segretario generale, ma non posso accettare l’accusa
di aver spaccato il partito e incoraggiato le manifestazioni’”26.
I testi del discorso di Zhao Ziyang e dell’intervento fortemente critico
di Li Peng27 mettono in luce due visioni profondamente diverse ed
alternative dei fatti di Tian’anmen e della strategia politica da adottare
al riguardo. Si cercherà qui di sintetizzarli in pochi ma significativi
punti.
Primo punto, il significato delle dimostrazioni studentesche. Secondo
Zhao, sin da quando in aprile le dimostrazioni erano iniziate egli
aveva valutato attentamente come farvi fronte ma non approvò mai le
violazioni della legge, il boicottaggio delle lezioni e lo sciopero della
fame: “Più volte feci appello a risolvere i problemi attraverso metodi
democratici e legali […] Mi resi però anche conto che le dimostrazioni
avevano due caratteristiche importanti: in primo luogo, gli studenti
parlavano di sostegno alla costituzione, promozione della democrazia,
lotta alla corruzione: tutte richieste che erano sostanzialmente in
sintonia con la posizione del partito e del governo e che quindi non
dovevamo respingere; in secondo luogo, moltissima gente partecipò
alle dimostrazioni ed espresse sostegno agli studenti”. A parere di Li
Peng, al contrario, tra aprile e giugno “un piccolo numero di persone
mise in atto un tumulto politico pianificato, organizzato e premeditato
che si trasformò poi in un’azione controrivoluzionaria a Pechino. Lo
scopo di ciò era di rovesciare la guida del Pcc, sovvertire la Rpc e creare
una repubblica borghese anticomunista e antisocialista dipendente
da Potenze occidentali”. In tale ambito, gli errori di Zhao Ziyang
consistettero nell’“avere un’attitudine tollerante e indulgente verso le
dimostrazioni” e nell’“aver evitato una serie analisi e discussione dei
problemi esistenti, privando il partito e il governo della possibilità di
sopprimere tale tumulto”.
Secondo punto, l’editoriale del 26 aprile. A parere di Zhao, esso era
il riflesso di una visione errata e unilaterale delle proteste studentesche
viste come “una contraddizione tra noi e il nemico”. Sicuramente,
prosegue Zhao, vi era una piccola minoranza che si opponeva ai
“quattro principi cardinali” e vi erano anche coloro che cercarono di
pescare nel torbido per propri fini. Tuttavia, “era molto difficile spiegare
come l’atteggiamento di decine di migliaia di persone potesse essere
manipolato da pochi”. Il discorso del 4 maggio nel corso del meeting
con i direttori della Asian Development Bank aveva dunque unicamente,
a parere di Zhao, il fine di tranquillizzare gli animi e di rassicurare
gli investitori esteri: “Lo stesso compagno Li Peng mi disse che era
stato un bel discorso”. Quanto al fatto, a più riprese rimproveratogli,
per cui il suo discorso del 4 maggio non era stato preventivamente
sottoposto all’approvazione del Comitato Permanente, Zhao ricorda
che “dichiarazioni fatte da compagni dirigenti del Comitato Centrale
durante incontri con ospiti stranieri non sono mai stati sottoposti alla
discussione da parte del Comitato Permanente […]”, tanto è vero che
“la dichiarazione fatta dal compagno Li Peng il 5 maggio durante il
suo incontro con i rappresentanti della Asian Development Bank non
fu affatto oggetto di discussione da parte del Comitato Permanente”.
Al contrario, Li Peng mette in rilievo l’importanza fondamentale
dell’editoriale in quanto strumento di “stabilizzazione della situazione
nella capitale e nell’intero paese”. Secondo Li, sin dalla pubblicazione
dell’editoriale e nei giorni successivi “molti slogan offensivi scomparvero
nei cortei e nelle manifestazioni degli studenti […] e ai primi di maggio
“vi fu una forte diminuzione del numero dei manifestanti e una grande
distensione si diffuse negli animi degli studenti”. Li indica quindi che
fu il discorso di Zhao Ziyang del 4 maggio a rappresentare una svolta
nella situazione e a dare nuova linfa ai tumulti: “Dal discorso capirono
che esistevano divergenze di opinione in seno al Centro del Partito
e che qualcuno al Centro li sosteneva. Così, i disturbatori dell’ordine
si resero conto che non dovevano avere paura di nulla e accrebbero
continuamente il livello della loro sfida”.
Terzo ed ultimo punto, la visita agli studenti a Piazza Tian’anmen.
Zhao ricorda che la sua visita ai dimostranti che stavano attuando
lo sciopero della fame nelle prime ore della mattina del 19 maggio
era in realtà programmata da giorni e più volte rinviata per ragioni
varie e che era motivata dalla constatazione che dopo sette giorni di
sciopero della fame diventava sempre più grave il rischio che qualcuno
morisse: “La gente era molto irritata con noi per non essere andati sul
posto e non aver cercato di persuadere gli studenti. Certi compagni
sottolineavano come il Primo Ministro Zhou Enlai, se fosse stato ancora
in vita, sarebbe sicuramente già da tempo andato sul posto tra le masse.
Pensavo che non avremmo avuto più alcuna giustificazione di fronte
alla gente se avessimo continuato a tirarci indietro: […così,] decisi che
dovevo andare”. A parere di Li Peng, Zhao con la sua visita di fatto
incoraggiò l’azione degli studenti, informandoli della propria “decisa
posizione contro il Partito e del fatto che la sua posizione al Centro
stava diventando pericolante”.
5. Conclusioni
In occasione del primo anniversario della scomparsa di Zhao Ziyang,
il genero di Zhao, Wang Zhihua (marito di Yannan), ha indicato in
un’intervista che una lettera fu scritta nel 2005 dai familiari di Zhao
Ziyang alle autorità per esprimere le loro convinzioni ma che non vi
è stata alcuna risposta. Richiesto se la famiglia nutre ancora speranze
per una futura rivalutazione dell’ex Segretario generale del Pcc, Zhihua
sottolinea che “manteniamo la nostra fede, ma è il giudizio dato dal
popolo, dall’opinione pubblica il più importante, quello che noi
pensiamo abbia molto più peso”28.
La stessa figlia di Zhao, Wannian, aveva peraltro anticipato con
chiarezza l’atteggiamento che la famiglia avrebbe mantenuto anche
con il trascorrere degli anni, rispondendo nell’aprile del 2005 ad
alcune domande del giornalista Xin Fei29. In particolare, alla domanda:
“Noi tutti pensiamo che prima o poi ci sarà giustizia per suo padre e
per il massacro del 4 giugno”, Wannian risponde: “Lo credo anch’io,
ne sono certa”. Nella parte finale dell’intervista, Wannian ricorda poi
con tristezza la figura paterna e sottolinea come il suo ricordo rimarrà
sempre vivo: “Abbiamo piantato tutti assieme [a casa] un albero: è una
bianca magnolia yulan30. Pensiamo che la bianca yulan sia un simbolo
di sacralità, un modo anche di ricordare la personalità nobile e piena di
dignità di mio padre. La bianca yulan fiorisce agli inizi della primavera,
nel periodo in cui si commemorano i morti: così, ogni anno quando
fiorirà ci si ricorderà di lui”.
MONDO CINESE N. 128, LUGLIO-SETTEMBRE 2006