1. L’industria del software
La Repubblica popolare cinese (Rpc), come ogni altro Paese che aspira a competere nel mercato
globalizzato, è impegnata in modo determinato nella produzione di software di tutte le specie: sistemi
operativi, applicativi gestionali, prodotti per informatica individuale, supporti all’automazione industriale
ed altro.
Nel maggio 2006 si è tenuta a Shanghai la 28° International Conference on Software Engineering(ICSE).
Si tratta della più prestigiosa conferenza nel settore del software. Il fatto che questo
evento, che in genere ha luogo in Paesi all’avanguardia nelle tecnologie informatiche si sia tenuto nella Rpc, è un
segnale dell’attenzione che la comunità scientifica internazionale attribuisce alla Cina e un
indicatore della diffusione e del livello raggiunto dagli studi e dalle realizzazioni nel settore.
Gli studiosi seguono con interesse le fasi, le modalità e le strutture organizzative attraverso le quali il
Paese punta a sviluppare nel settore del software una forte presenza sia nel mercato interno, sia
in quello internazionale. La ragione di tale interesse è duplice, da una parte si vuole conoscere la
consistenza in questo campo di uno dei maggiori attori dell’economia mondiale, dall’altra, soprattutto in
ambito accademico, si cerca di scoprire se il ciclo di sviluppo del settore del software nella Rpc ha
seguito il percorso degli altri Paesi che l’hanno preceduta o se sono state adottate vie originali.
Per molti anni, e in modo a volte superficiale, si è arbitrariamente assegnato alla Rpc il ruolo della
produzione di beni materiali, secondo uno schema che vedeva nell’India la grande fornitrice di servizi nel
campo della tecnologia e nella Cina la fabbrica del mondo per i prodotti a basso valore aggiunto.
Questo schema, se mai è stato valido, oggi certamente non lo è più.
Secondo The Economist la parola d’ordine del 2006 nella Rpc è innovazione, termine che figura sempre
più spesso nei discorsi ufficiali da quando il Presidente Hu Jintao - sempre secondo The
Economist1- ha avviato una campagna per condurre l’economia cinese a operare nei punti più alti di quella che gli
economisti chiamano la catena del valore. Il piano cui si fa riferimento è noto in lingua inglese
come National Medium and Long Term Programme for Scientific and Technological Development (2006-2020).
Il piano, che prevede di superare lo schema di un’economia basata sulle risorse proprie e sul basso
costo del lavoro per collocarsi invece tra le economie che competono perché dotate di risorse umane
con alto livello di istruzione, sarebbe stato oggetto di un dibattito interno in cui si sarebbero
confrontate due tendenze: i cosiddetti nazionalisti che puntavano allo sviluppo di una tecnologia
“indigena”, ed altri più aperti al mercato internazionale. Dal punto di vista operativo, i primi
proponevano un’ innovazione incrementale, i secondi puntavano su un numero limitato di grandi progetti. Oggi la Rpc
dipende ancora molto dalla tecnologia importata (il piano prevede di ridurre al 30% tale dipendenza), e
le 20.000 grandi e medie imprese operanti nell’Information Technology avviano ancora pochi progetti
innovativi e generano pochi prodotti nuovi.
Ovviamente iniziative di grandi ambizioni hanno senso solo se adeguatamente finanziate; questo
aspetto non manca nel piano visto, che si prevede di passare da un investimento in ricerca e sviluppo
pari oggi all’ 1,23% (Italia 1,20%) del PIL al 2,50% nel 20202.
Per avere un’idea delle dimensioni e delle tendenze del settore del software nella Rpc può essere utile
riportare qualche dato di sintesi3. Il settore dovrebbe crescere al ritmo del 30% l’anno tra il 2006 e
il 2010 raggiungendo un volume d’affari pari a 1,3 trilioni di yuan (162,5 miliardi di dollari al cambio attuale). Secondo Ding Wenwou,
Vicedirettore del dipartimento elettronica e Information technology del Ministero per l’industria dell’informazione (MII),
nonostante la crescita lusinghiera in termini di volumi - dal 2000 al 2005 si è passati da 44 ,05
miliardi di yuan (5,5 miliardi di dollari) a 390 miliardi di yuan (48,75 miliardi di dollari) - il settore del software in
Cina “non è in grado di rispondere alla domanda di sviluppo economico e sociale del Paese”
confermando così il divario esistente in questo campo tra la Rpc e gli altri Paesi sviluppati. Va ricordato che settore
contava 900.000 addetti destinati a diventare 2,5 milioni nei prossimi cinque anni4.
Uno degli obiettivi del MII è di aumentare il numero di grandi aziende operanti nel software - ovvero quelle con più di 5
miliardi di yuan di fatturato annuo (625 milioni di dollari). Attualmente solo quattro aziende, e
precisamente Huawei, Haier, ZTE e UTStarcom superano questa cifra d’affari. 26 sono le aziende che
superano il fatturato di un miliardo di yuan l’anno (12 5 milioni di dollari). Gli
obiettivi del MII prevedono l’esportazione del 15% del software prodotto entro il 2010, a detta di Yi Xiaozhun, vice ministro del
commercio.
Sempre secondo il China daily5, nella Rpc sei sono le zone da cui provengono le esportazioni
di software: Beijing, Shanghai, Tianjin, Dalian nella provincia di Liaoning, Shenzhen nella provincia di
Guandong e Xi’an nella provincia di Shaanxi.
Lou Qinjian, del MII, ammette la debolezza dell’export cinese e l’ attribuisce al fatto che finora l’industria
locale si è focalizzata sul mercato domestico. Secondo i dati del MII, l’export di software e
servizi informatici da parte della Rpc è ancora al disotto dei valori medi mondiali, collocando così il Paese tra
quelli a prevalente vocazione manifatturiera. Ma tra gli obiettivi del MII vi è di portare
le esportazioni di software dagli attuali 3,59 miliardi di dollari a 12,5 miliardi nel 20106.
Un ruolo in questo piano l’ha senza dubbio l’outsourcing, ovvero la produzione in Cina di beni e servizi
per conto di aziende straniere che in genere approfittano del basso costo del lavoro e, in alcuni casi
del buon livello di istruzione dei lavoratori del Paese ospitante. Se da una parte si lamenta il fatto che solo il 6% dei telefoni
cellulari esportati dalla Rpc (per il 2005 13,2 milioni su un totale di 22 8 milioni) portava
un marchio locale, ci si rende anche conto che la pratica della localizzazione in Cina da parte di
multinazionali straniere porta know how nel Paese e una familiarizzazione con le
cosiddette best practices, ovvero le modalità organizzative e produttive delle grandi aziende mondiali. Di questo fatto
sono consapevoli le autorità cinesi e, secondo Yi Xiaozhun, “sviluppare software per terzi
è una scorciatoia per l’industria locale del software per raggiungere i Paesi sviluppati. Il coinvolgimento della
Cina nell’outsourcing farà assorbire alle imprese cinesi pratiche e prodotti di eccellenza”7. La
localizzazione di produzioni estere viene quindi, e a ragione, vista come una strategia di
ammodernamento e di crescita per le aziende cinesi.
Lo sviluppo di un’industria del software così diversa per struttura, caratteristiche degli addetti, cicli di
vita, e ritorno degli investimenti dai settori più maturi e tradizionali come quello dell’acciaio e
dell’elettronica di consumo suscita l’interesse degli studiosi per molti aspetti, uno dei quali,
fondamentale per la situazione politica ed economica in cui lo sviluppo avviene, è quello della modalità di
rappresentanza presso i poteri costituiti.
2. Il problema della rappresentanza presso i poteri pubblici
L’industria dell’acciaio e quella dell’elettronica di consumo possono contare su canali privilegiati e
consolidati per manifestare le proprie esigenze al potere politico e, come avviene in molti altri Paesi del
mondo, le aziende di maggiori dimensioni hanno anche contatti diretti con il governo.
L’industria del software si distingue per la caratteristica di essere knowledge-intensive, richiedere pochi
investimenti fissi, quindi permettere la presenza di aziende di dimensioni piccole, perché le
economie di scala non sono un fattore prevalente come negli altri settori. Si aggiunga a questo che lo sviluppo della
produzione locale del software si è avviato in Cina in un momento storico di parziale
liberalizzazione del mercato interno e quindi mancano le grandi aziende caratteristiche dell’economia centralizzata. Un
ostacolo alla crescita dimensionale delle aziende cinesi proviene senza dubbio dalla diffusa pirateria che
colpisce le aziende locali forse più di quelle straniere. Secondo alcuni commentatori cinesi8, le operazioni
di Microsoft in Cina sono in utile nonostante la pirateria.
Per avere un’idea delle dimensioni del fenomeno, si ritiene in genere che il numero delle copie illegali
(daoban) del software sia superiore a quello delle copie vendute legalmente (zhengban)9.
Per completare il quadro del settore si aggiunga che la maggioranza delle aziende operanti in Cina nel
settore del software sono private o straniere. La presenza di queste ultime in Cina ha una funzione
di sviluppo delle imprese nazionali - anche quando non si pratica l’outsourcing - in quanto i prodotti
software devono essere localizzati, analogamente a quanto avviene in Italia per i prodotti stranieri.
Localizzazione non vuol dire soltanto tradurre, ma adeguare agli standard e alla regolamentazione del
luogo. Questo processo di sinizzazione (han hua) fa sì che il software importato possieda una
obusta componente di lavoro cinese.
Per rappresentare gli interessi del settore presso il potere politico vi sono delle associazioni studiate da
Kennedy10 e valutate secondo parametri significativi quali:
L’associazione nasce per iniziativa governativa?
E’ affiliata a qualche ente pubblico?
Il personale dell’associazione è di provenienza politica?
L’associazione dipende finanziariamente dallo Stato?
Le associazioni di categoria operanti nel settore di software vengono classificate secondo le
caratteristiche suesposte, e il risultato può essere riassunto riprendendo Kennedy nei termini che
seguono. La prima associazione è sorta nel 1984, la China Software Industry Association, CSIA, in
cinese Zhongguo ruanjian hangye xiehui, affiliata al MII. Lo staff dell’Associazione e i dirigenti
provenivano dal MEI
(Ministry of Electronics Industry, nel 1998 confluito insieme al Ministero
delle poste e telecomunicazioni nell’attuale MII) di cui era in origine
responsabile l’ingegner Jiang Zemin prima della sua rapida ascesa
politica.
Poco dopo - nel 1986 - erano nate altre due associazioni regionali: Beijing Software Industry
Association (BSIA), e Shanghai Software Industry Association (SSIA) entrambe, ma in particolare la
prima, con legami molto più laschi con il potere politico, la BSIA addirittura finanziata interamente dai
soci.
Nel 1995 nasce la Accounting and Business Management Software sub-Association (ABM) (Caiwu ji qiye
guanli ruanjian fenhui), che riunisce le aziende operanti nel settore della contabilità e finanza che
aderisce alla CSIA, ma mantenendo un’elevata indipendenza nella scelta dello staff e finanziandosi in
modo autonomo. Vi sono poi associazioni costituite da aziende straniere, come la
Business Software Alliance (BSA), e la US Information Technology Office - USITO - che sono totalmente indipendenti dal
potere politico cinese e, la seconda in particolare, collabora strettamente con la China National
Copyright Association per combattere la pirateria informatica. Sempre secondo Kennedy, la CSIA ha il
compito di essere il ponte e la cinghia di trasmissione (qiaolong he niudai) tra le aziende di software
e il ministero.
Oltre a queste associazioni, fiorisce oggi anche un vasto numero di pubblicazioni commerciali
specializzate che contribuiscono a formare l’opinione pubblica.
3. Successo delle associazioni di imprese di software
Dopo aver descritto, se pur in maniera sintetica la struttura attraverso la quale le aziende operanti nel
software in Cina fanno sentire la propria voce è opportuno vedere quali risultati hanno
prodotto le associazioni.
Nel 1994 viene introdotta in Cina una radicale riforma del sistema fiscale che comprende tra l’altro
l’introduzione di un’imposta simile all’IVA. Questa colpisce tutte le vendite con un’aliquota pari al 17%,
ma il calcolo avviene con un meccanismo che, se pur non volutamente, danneggia le società di
software11 . Infatti il 17% viene calcolato sulla differenza tra fatturato e costi di produzione, quindi il
principio è quello di una imposta sul valore aggiunto, ma la modalità di calcolo prevedeva,
secondo l’interpretazione del momento solo i beni materiali acquistati per la produzione. Chi produceva software
in casa, come spesso avviene nelle aziende di questo tipo, si trovava gravato di un’imposta
del 17% del fatturato, non più quindi un prelievo sul valore aggiunto, ma una vera e propria imposta sulle vendite
che, in un clima di guerra dei prezzi tra le imprese produttrici, si traduceva in un aumento di
costi e riduzione e/o annullamento degli utili. Su questo argomento uscì nel 1999 un articolo sul China Business
Times, dove si dichiarava che l’industria del software cinese non avrebbe potuto reggere un tale
aggravio12 . Comprensibile fu la reazione delle associazioni di categoria anche con argomenti molto
validi che mettevano in luce l’ostacolo che tale imposta poneva ad un’attività critica per lo sviluppo del
Paese. Si faceva notare inoltre come le piccole dimensioni del settore rendessero
la nuova imposta assai onerosa per le aziende senza però apportare grandi benefici allo Stato. Si chiedeva quindi a gran
voce la riduzione della tassazione. Comprensibile fu l’opposizione del governo a un
provvedimento del genere: se si iniziavano a fare distinzioni tra i vari settori di attività si sarebbe creata un giungla di
eccezioni a scapito delle entrate dello Stato.
La partita sembrava persa finché, nel 1999, l’Amministrazione finanziaria decise che l’imposta per le
aziende nell’area di Pechino sarebbe stata ridotta al 6% e contemporaneamente furono introdotti
sgravi fiscali per i dipendenti delle aziende di software: una manovra di politica industriale che indicava
chiaramente attenzione e interesse per lo sviluppo del settore. Poco dopo tali agevolazioni furono
estese a tutta la Rpc.
Questo episodio, molto simile a quanto avviene nei Paesi a economia di mercato, ha valorizzato le
associazioni di categoria che hanno potuto vantare il successo con i propri iscritti, a differenza delle
analoghe associazioni operanti nel settore dell’acciaio e dell’elettronica di consumo che per anni hanno
chiesto, senza ottenerlo, che fossero fissati dei prezzi minimi sui loro prodotti. A seguito del
miglioramento del trattamento fiscale, vi è stato un altro episodio significativo: la
BSIA (Beijing Software Industry Association), aderente alla CSIA, ma non finanziata dallo Stato ha elaborato un piano
e lo ha proposto al governo per determinare quali aziende e quali prodotti potessero
avvalersi del vantaggio fiscale: la classica collaborazione tra autorità governative e associazioni di categoria
comunemente praticata nei Paesi a economia di mercato13.
4. Copyright e standard
Vi sono altri due aspetti importanti per le prospettive di sviluppo del settore del software: la protezione
della proprietà intellettuale (Diritti di Proprietà Intellettuale, DPI) e gli standard.
Oggi da più parti si levano proteste a causa della violazione dei DPI che avviene spesso in Cina. I DPI
sono un tema complesso e delicato, da una parte danno garanzia a chi effettua investimenti in nuove
idee di avere un ritorno, dall’altra possono trasformarsi in una “tassa” per i Paesi in via di sviluppo. Da
qui l’esigenza di contemperare la protezione degli inventori con le esigenze di sviluppo della collettività.
Ricordiamo infatti che la Costituzione americana, articolo 1, sezione 8 recita “garantire il progresso della
scienza e delle arti utili assicurando per un periodo di tempo limitato agli autori e agli inventori il diritto
esclusivo sui loro scritti e scoperte” si noti l’aggettivo “limitato”.
E vale ancora la pena di ricordare che nel XIX secolo l’editoria americana si fondava sulla pirateria di
opere europee, e che gli Stati Uniti, oggi grandi sostenitori dei diritti della proprietà intellettuale,
rifiutarono per circa un secolo di sottoscrivere la convenzione di Berna del 1886 con la quale ciascun
Paese si impegnava a rispettare i DPI degli altri14 . Anche l’industria editoriale tedesca ha avuto verso
la fine del 1800 uno sviluppo basato sulla contraffazione di operare letterarie di altri Paesi.
Oggi, in Cina, la pirateria informatica rappresenta senza dubbio un danno per le aziende straniere, ma
strangola quelle locali. Nell’articolo citato sopra (nota 3), si riportano affermazioni di autorità
governative a sostegno della protezione della proprietà intellettuale motivandola
con il fatto che questo farà migliorare l’intero settore del software e aumentare la domanda.
Nel 2001 il MII ha emesso, insieme ad altri due ministeri, un documento per incoraggiare l’uso di
software autentico nell’abito della pubblica amministrazione.
Nell’aprile 2006 una direttiva del MII e della National Copyright Administration richiede che tutti i PC
prodotti in Cina debbano essere dotati di sistemi operativi autentici. Nonostante ciò, prodotti ritenuti
unanimemente di buona qualità, come l’Internet browser prodotto da SRS e lo word processor prodotto
da Kingsoft non riescono a generare un fatturato sufficiente a causa dell’elevato numero di copie illegali
in circolazione. Questa situazione scoraggia l’industria nazionale a investire in prodotti di largo consumo
nonostante l’evidente vantaggio di una barriera d’ingresso dovuta alla lingua cinese e alla necessità
per i prodotti stranieri di adeguarsi.
La diffusione delle copie illegali, come si è detto, scoraggia le aziende locali dall’investire e ciò si riflette
sulla struttura del fatturato dell’IT cinese, dove le vendite dell’hardware sono per volumi un
multiplo (vi è chi sostiene 10 volte) le vendite del software, mentre nel resto del mondo le aziende spendono più in
acquisti di software che di hardware15.
Le aziende cinesi, in pratica, sono le maggiori danneggiate di questa situazione ed hanno fondato
un’associazione: la China Software Alliance - CSA - sul modello della Business Software Alliance
americana con lo scopo mettere un freno alla pirateria del software e le due entità hanno iniziato a
collaborare. Kennedy, nel suo libro The Business of Lobbying in China, riferisce che alla seconda
sessione della IX Assemblea del popolo, marzo 1999, su iniziativa di Wang Wenjing per la UFPSoft, Wang
Xuan della Founder e Liu Chuanzhi della Legend, è stata approvata una mozione contro la
contraffazione16. Qiu Bojun, fondatore della Kingsoft, azienda cinese leader nel software di
word processing ha lanciato più volte appelli alle autorità chiedendo misure contro la contraffazione.
La Microsoft, che tra le aziende straniere è forse la più colpita dalla pirateria informatica, ha attivato
una serie di iniziative e collaborazioni per arginare il fenomeno.
Vi è infine un altro aspetto fondamentale nello sviluppo del software ed è quello degli standard. Uno dei
primi problemi da affrontare per poter raggiungere una diffusione di massa dei PC in Cina fu quello della
codificazione di migliaia di caratteri cinesi in sequenze di battute di tasti della tradizionale tastiera
QWERTY in modo da far corrispondere a ciascuna combinazione, in modo univoco, un carattere. Jian
Wang17 ci informa che, negli ultimi 20 anni, più di un migliaio di varianti di sistemi di codificazione da
carattere cinesi a tastiera QWERTY sono stati proposti e una decina sono ancora in uso. Attualmente vi
sono fondamentalmente due sistemi: uno che si basa sulla pronuncia (pinyin) e uno basato sull’analisi
dei tratti. Quest’ultimo, pensato ed usato per persone con un particolare addestramento, permette di
introdurre 120 caratteri cinesi al minuto.
La possibilità di digitare caratteri cinesi mediante una tastiera tradizionale è stato un elemento chiave
per la diffusione dei PC in Cina. Altri studi sono in corso per ottimizzare le tecniche di introduzione
di dati mediante altre interfacce (es. tastiera di cellulare).
Ma oltre alle modalità di introduzione del dati vi è il problema dello standard nel campo delle funzionalità
che ha dato luogo a un episodio emblematico che mette in luce da un parte la forza del sistema di
relazioni in Cina, dall’altra il ruolo delle forze di mercato.
Nel descrivere le associazioni di categoria si è menzionata prima l’Accounting and Business Management
sub-Association (ABA), aderente alla CSIA, ma per molti aspetti indipendente. Per alcuni anni
Xu Liangang è stato un alto funzionario della sezione automazione del Ministero delle finanze e anche il
responsabile della ABM secondo la prassi di collocare al vertice delle associazioni di categoria esponenti
della Pubblica Amministrazione.
Verso la fine degli anni ’80, il Ministero, nell’attuazione di una politica di modernizzazione delle proprie
attività si impegnò a eliminare i supporti cartacei e incoraggiò anche le aziende a introdurre
la contabilità elettronica. A questo fine istituì un sistema di valutazione
(pingshen zhidu) per approvare i software compatibili. Furono certificati, da parte della divisione contabilità del Ministero delle
finanze, prodotti che potevano essere venduti ovunque, altri, certificati dalle autorità provinciali, potevano
essere venduti solo nell’ambito della provincia. Le aziende il cui software non fu certificato ritennero
di aver subito un’ingiustizia e considerarono Xu e il suo staff come sostenitori, a volte scorretti, della
UPSoft che già deteneva il 40% del mercato in questione. Nel 1999 Xu venne rimosso dalla carica e il
ministero soppresse la certificazione. Un esempio, questo, di tentativo di indirizzare il mercato mediante
l’introduzione di standard, ma anche di capacità di resistenza da parte delle associazioni.
Come in molti altri Paesi, per noi europei la Francia è un esempio, i poteri pubblici, a volte tentano
mediante l’introduzione di standard di privilegiare le aziende locali. Periodicamente in Cina vengono
emanate direttive in tal senso, come anche vengono inviti a utilizzare Linux al posto dei prodotti
Microsoft. Il forte radicamento della Microsoft in Cina fa sì che molto spesso queste direttive siano
disattese a causa del forte coinvolgimento delle aziende cinesi in iniziative originate
da Microsoft. Nonostante ciò l’IDC citata dal China daily18 stima la crescita di Linux pari al 27,1%, soprattutto a
causa degli acquisti della pubblica amministrazione.
Recentemente è stata varata una riforma del sistema bancario che implica un pesante rifacimento dei
sistemi informativi delle aziende di credito. Lu Yu, Direttore generale del China Center of Information
Industry Development (CCID), lamenta che i sistemi attualmente in uso siano inadeguati o fungano da
freno allo sviluppo delle banche. Il rifacimento dei sistemi informativi delle banche costituisce un
mercato ambìto per i produttori di software e in particolare una partita aperta tra Linux e Microsoft.
Secondo il CCID il 40% delle banche sta cambiando, o ha piani per rinnovare il proprio sistema
informativo e il 42 % vi stanno pensando. Ebbene, la base installata presenta un
così forte radicamento in Microsoft che, come riporta il China daily19 attribuendo il giudizio a Lu “i costi elevati sono il maggior
fattore che limita il passaggio a Linux nelle banche”. Secondo la CCID il passaggio
a Linux costa il 21 % di più della scelta Microsoft.
5. Conclusioni
In tempi relativamente brevi è decollata in Cina un’industria del software che ha delle grandi opportunità
generate da:
La dimensione del mercato
La disponibilità di personale con alto livello di istruzione
Una domanda interna sostenuta per un lungo periodo a venire
La sensibilità dei poteri pubblici ai temi dell’innovazione20
Un forte impegno accademico nel settore.
Come fatto notare all’inizio, il fatto che la “28th Conference on Software Engineering” si sia tenuta a
maggio 2006 a Shanghai è la prova che molti studiosi si stanno dedicando a questi temi in Cina
e che la comunità scientifica internazionale dà credito alla ricerca e all’impegno della Rpc in questo campo.
I dati complessivi indicano una tendenza a un forte sviluppo dell’intero settore.
Vi sono alcuni fattori che possono rallentare la crescita, il primo è quello della contraffazione che potrebbe strangolare sul
nascere molte piccole aziende. Ma sembra evidente la consapevolezza del problema
sia da parte delle autorità sia da parte delle aziende e alcuni passi concreti sono già stati effettuati per affrontare la
situazione. Entro la fine del decennio, la Cina dovrebbe qualificarsi come un Paese leader nel campo
della produzione di software e questo sarebbe coerente con la tendenza ad allontanarsi dalle produzioni
a basso valore aggiunto per dedicarsi a quelle knowledge intensive.
MONDO CINESE N. 128, LUGLIO-SETTEMBRE 2006