1. Morfologia del sistema bancario cinese
Il sistema bancario cinese, come l’economia nel suo complesso, è cresciuta
enormemente negli ultimi anni, come confermano l’inclusione delle Big Four -
le quattro grandi banche commerciali di stato - nell’elenco delle banche
più grandi a livello mondiale1, ed il loro avanzamento in tale classifica anno
dopo anno. Nonostante, peraltro, i progressi in termini di espansione, il
settore bancario cinese è affetto da peculiari e serie criticità strutturali e
gestionali, sintetizzabili nell’immenso ammontare dei prestiti in sofferenza,
nella scarsa patrimonializzazione, in livelli di redditività insoddisfacenti e
nell’arretratezza delle strutture di corporate governance e dei sistemi operativi
e manageriali.
La complessa analisi di tali criticità strutturali e gestionali comporta
innanzitutto l’adozione di uno schema di indagine capace di spiegare
la morfologia dello stesso. Tale approccio sinteticamente si traduce
nell’individuazione delle tipologie di banche operanti nel settore. Emerge
in via immediata la presenza di un sistema a due livelli, ove alla banca
centrale (People’s Bank of China) si contrappongono le banche di credito
ordinario, a loro volta articolate in un complesso sistema che può essere
rappresentato come segue:
-Banche commerciali di stato: gestite in base all’obiettivo della creazione
di profitto, prevalentemente orientate al finanziamento di grandi imprese,
assoggettate a forme di regolamentazione prudenziale e sottoposte alla
sorveglianza della People’s Bank of China. Le quattro banche commerciali di stato (Industrial and Commerical Bank of China, Bank of China,
Agricultural Bank of China, China Construction Bank, note come Big Four)
facevano registrare nel 2003 una quota di mercato (in termini di totale
attività detenute) pari a ben il 55%2;
-Banche di interesse nazionale (note come policy bank): finalizzate a
garantire prestiti in base a piani di politica industriale e piani economici
nazionali nei settori del commercio estero, dello sviluppo delle infrastrutture
nazionali e dello sviluppo agricolo, impiegando fonti di capitale derivanti
primariamente da bilanci statali, assicurazioni sociali, fondi di investimento
e postali pubblici. Le tre banche di interesse nazionale (State Development
Bank, Import and Export Bank, Agricoltural Development Bank)
detenevano una quota di mercato pari all’8% nel 2003;
-Banche commerciali in forma di società di capitali, costituite negli anni
Ottanta prevalentemente come società per azioni a partecipazione statale
(si pensi alla Bank of Communications e alla China Investment Bank),
e negli anni Novanta, in seguito all’apertura del settore, primariamente
come società per azioni private (come ad esempio la Minsheng Bank).
A fine 2003, si contavano 11 banche commerciali in forma di società di
capitali con una quota di mercato del 14%;
-Banche locali e altre istituzioni finanziarie, tra cui le Cooperative di credito
rurale (più di 34000 istituzioni che ancora oggi finanziano l’80% delle
attività rurali) e le Banche commerciali municipali (circa 100 istituzioni
orientate prevalentemente al finanziamento di piccole e medie imprese).
Le quota di mercato complessiva di tale segmento si attestava al 20% nel
2003;
-Banche straniere, che possono essere classificate in: filiali con licenza
all’operatività in yuan (la valuta cinese), filiali senza licenza all’operatività
in yuan, joint venture con banche cinesi, uffici di rappresentanza. La quota
di mercato è pari solo all’1% nel 2003. Nonostante la quota percentuale
di mercato sia molto bassa, la partecipazione delle banche straniere in
attività bancarie ad elevato valore aggiunto è piuttosto alta, tanto che le
stesse tendono a dominare alcuni segmenti molto profittevoli (si pensi
agli strumenti derivati e strutturati).
Una prima caratteristica emerge con particolare evidenza dall’analisi:
la posizione oligopolistica detenuta dalle banche commerciali di stato nel
settore bancario cinese, situazione anomala rispetto all’esperienza dei paesi
occidentali.
2. Riforma del sistema bancario cinese
Le ragioni della peculiare struttura del settore bancario cinese devono
essere ricercate nel recente processo di riforma che lo ha interessato. Prima del
1983, infatti, il sistema di pianificazione centrale finanziariamente prevedeva
la raccolta dei profitti delle imprese statali e l’allocazione degli stessi ai piani
di investimento previsti e finanziati dai bilanci statali. Ne derivava che la
funzione del sistema bancario si concretizzava semplicemente nel fornire
il credito necessario alle imprese per implementare i programmi nazionali,
nel fornire e monitorare i flussi monetari usati per il pagamento di salari e
stipendi eccedenti i benefici statali, nonché nel fornire il credito per l’acquisto
di prodotti agricoli in eccedenza rispetto alle quote statali3. In un sistema
ove i prezzi non erano determinati dalle forze di mercato, gli investimenti in
capitale fisso delle imprese statali derivavano tutti da trasferimenti diretti o
finanziamenti previsti nel bilancio pubblico. In questi stessi anni, la People’s
Bank of China (PBC) ricopriva il duplice ruolo di banca centrale e finanziatore
delle imprese.
Una misura chiave della riforma economica del 1983 ha previsto la
sostituzione dei finanziamenti diretti con prestiti fruttiferi di interessi concessi
a imprese statali operanti nell’agricoltura, nella costruzione e nella produzione.
Conseguentemente, il sistema bancario è divenuto gradualmente il canale
primario per realizzare il finanziamento degli investimenti e per esercitare il
controllo macroeconomico. Allo stesso tempo, l’importanza delle spese statali
nell’economia è diminuita rapidamente. La ripartizione delle risorse è divenuta
maggiormente ispirata a logiche di performance e efficienza, piuttosto che ai
bisogni legati allo sviluppo dell’economia nazionale. In questo stesso anno,
la People’s Bank of China è stata rimossa dal circuito delle banche ordinarie
(si nota, peraltro, che essa è stata esplicitamente resa responsabile delle
decisioni di politica monetaria e della supervisione del sistema finanziario
solo nel 1986). In sostanza si è istituito un sistema bancario a due livelli con
una banca centrale e un sistema di banche ordinarie4.
L’allentamento dei controlli sull’attività bancaria ha generato seri problemi
macroeconomici nel 1992-93, anni in cui molte banche (e le istituzioni
finanziarie non-bancarie ad esse collegate) hanno riversato le loro risorse in
attività di natura speculativa sui mercati azionari e immobiliari, usando a tal
fine i fondi stanziati per l’agricoltura ed altri progetti di sviluppo da un piano
quinquennale nazionale in gran parte ignorato. La successiva re-introduzione
di regole di controllo monetario verso la fine del 1993 ha messo in luce le
perdite finanziarie associate ai precedenti investimenti speculativi, perdite
tali da determinare l’instabilità del sistema bancario nazionale.
Per fronteggiare tale situazione, negli anni Novanta il complesso sistema
di riforme del sistema bancario cinese si è articolato nelle seguenti direzioni:
commercializzazione delle cosiddette banche specializzate statali, riduzione
dei prestiti diretti statali, separazione delle attività di prestito in prestiti
di natura commerciale e prestiti legati alle attività di politica economica,
ricapitalizzazione delle banche, e deregulation in materia di barriere all’entrata
nel settore e tassi di interesse5.
Rileva a tal fine in particolare la nuova legge sul sistema bancario adottata
nel luglio 1995 nell’intento di rendere il sistema ispirato a logiche di natura
privatistica e commerciale. Tra le misure di riforma si segnala in particolare
la suddivisione delle banche statali in “banche commerciale di stato” e
“banche di interesse nazionale”6. Le quattro banche note come “specializzate”
sono state trasformate in banche commerciali di stato, che non solo devono
essere gestite in base all’obiettivo della creazione di profitto, ma sono anche
tenute a rispettare alcuni requisiti tecnici (quali i coefficienti di adeguatezza
patrimoniale) in linea con la prassi dei principali sistemi internazionali.
3. Il problema dei Non performing loans (NPL)
Le due principali criticità di natura strutturale e gestionale del sistema
bancario cinese – ed in particolare delle quattro banche commerciali statali
-sono ascrivibili all’enorme peso dei prestiti in sofferenza (non-performing
loans, NPL) e ai bassi livelli di adeguatezza patrimoniale delle banche7. A ciò
si aggiungano, da un lato, la scarsa efficacia ed efficienza del management
delle principali banche; e, dall’altro, il focus delle banche commerciali di stato
sui finanziamenti di lungo termine a città e imprese di grandi dimensioni (a
scapito dei prestiti a breve termine, in particolare nei confronti di piccole e
medie imprese).
I dati riportati dalla China Banking Regulatory Commission8 sono allarmanti:
nel 2004 i NPL costituivano ben il 20% dei prestiti totali (si noti che per le
agenzie internazionali tale valore è fortemente sottostimato) a fronte di un
valore per il sistema bancario americano inferiore all’1%. Il problema è molto
serio per tutte le tipologie di banche, ma lo è in particolare per le cooperative
di credito rurale (ove l’NPL ratio è superiore al 30%).
Un’importante misura adottata dalle autorità governative per fronteggiare
il problema dei NPL si è concretizzata nell’istituzione di quattro società di
gestione (Asset Management Companies, AMC), il cui mandato si sostanzia
– sotto la supervisione della banca centrale – nella ristrutturazione dei NPL
di ciascuna delle quattro banche commerciali di stato (Pei e Shirai, 2004).
Questo compito si esplicita nelle seguenti attività: raccolta e vendita di
NPL, conversione di NPL in equity (debt-equity swap), emissione di prestiti
obbligazionari, ottenimento di finanziamenti dalle istituzioni finanziarie, e
assistenza finanziaria alle società per la quotazione. In sostanza nel 1999
sono stati trasferiti agli ACM prestiti in sofferenza per 169 miliardi di dollari
statunitensi, a fronte del quale trasferimento gli ACM hanno emesso proprie
passività (in forma di presiti obbligazionari) ed hanno ottenuto finanziamenti
dalla banca centrale. Il metodo principalmente seguito dagli ACM per la
gestione dei NPL è stato la vendita all’asta dei beni delle società insolventi
cedute. Interessante è anche la vendita da parte di ACM di pacchetti di debiti (omogenei in termini di area geografica o settore) attuata nelle seguenti forme:
costituzione di un pacchetto e di un relativo ACM con un investitore straniero,
vendita diretta del pacchetto a investitori nazionali o stranieri, costituzione
di un fondo di securitisation per ogni pacchetto. A tali metodi si aggiunga
che gli ACM hanno realizzato debt-equity swap, ovvero operazioni che in
concreto si articolano come segue: selezione (da parte della Commissione
statale dell’Economia e il Commercio, e non invece degli ACM come avvenuto
in altri schemi analoghi adottati in Asia) delle società insolventi con le migliori
caratteristiche in termini di management e business, pagamento da parte degli
ACM dei debiti in conto capitale e in conto interessi di tali società insolventi
nei confronti delle banche commerciali statali, stipulazione da parte degli
ACM di contratti di debt-equity swap, coinvolgimento degli ACM -in quanto
azionisti delle imprese insolventi -nel miglioramento del management delle
stesse imprese al fine di realizzare la quotazione delle stesse e di ripianare i
loro costi di acquisizione mediante la vendita delle azioni sul mercato.
La capacità degli AMC di recuperare NPL è stata sempre più messa in
discussione9. Sebbene gli ACM abbiano conseguito alcuni iniziali risultati
positivi, il recupero dei rimanenti NPL (di minore qualità) si configura come
un’operazione estremamente difficile. A solo titolo di esempio basti pensare
che, a fine 2000, gli ACM avevano collocato circa il 6% degli NPL ricevuti
dalle banche, conseguendo peraltro entrate monetarie inferiori agli interessi
che gli stessi ACM sono tenuti a pagare sui prestiti obbligazionari da loro
emessi nei confronti delle banche cedenti i NPL (è stato pertanto necessario
l’intervento della banca centrale, per il pagamento degli interessi e delle altre
obbligazioni finanziarie degli ACM). Ciò significa implicitamente che le stime
del deficit di bilancio e del debito pubblico cinese, pari rispettivamente al 3%
e al 15% del Prodotto Interno Lordo (PIL) nel 2000, basse se comparate ai
valori internazionali, sono sottostimate qualora si tengano in considerazione
i costi di indebitamento degli ACM e i prestiti obbligazionari emessi dagli
ACM stessi: apportati tali aggiustamenti, il reale deficit di bilancio sarebbe
pari ad un valore prossimo al 7% del PIL, e il debito pubblico aumenterebbe
di un ulteriore 25 percento del PIL10. Anche i
debt-equity swap degli ACM
non hanno avuto i risultati sperati a causa principalmente degli scarsi risultati
delle imprese oggetto di salvataggio: a fronte di swap con 587 imprese alla
fine dell’anno 2000, gli ACM avevano realizzato le azioni di sole 10 imprese
alla fine del 2002.
4. La bassa capitalizzazione delle banche
Il livello di capitalizzazione delle banche commerciali di stato è molto
basso, con valori che vanno nel 2002 dal 1.44% della Agricoltural Bank of
China all’8.15% della Bank of China, a fronte di un valore minimo richiesto
dall’Accordo di Basilea 2 pari all’8%. La ragione determinante di tale
situazione è da ricercare nel circostanza che il tasso di crescita delle attività
bancarie è maggiore di quello del capitale. In sostanza, il declino nel livello
di capitalizzazione deriva dalla rapida estensione del credito concesso dal
sistema bancario, a cui si aggiunge il decremento nei ricavi da attività di
prestito. In tal senso è estremamente interessante notare che i ricavi sulle
attività delle banche commerciali di stato sono stati nel 2001 notevolmente
inferiori (0.20%) a quelli delle banche di interesse nazionale e delle banche
commerciali per azioni (0.49%), a loro volta molto più bassi di quelli delle
banche estere (2.26%)11 .
Per risolvere tali problemi, il governo ha adottato varie misure, tra cui
nel 1998 un’iniezione di capitale per 32 miliardi di dollari statunitensi (pari
al 3% del PIL cinese), mediante l’emissione di titoli di stato, nell’intento di
innalzare il coefficiente di adeguatezza patrimoniale delle banche commerciali
di stato dal 2% all’8%.
Anche a tale riguardo, ne deriva che le stime ufficiali del debito pubblico
non tengono in considerazione il debito statale implicito, che include
non solo la necessità di trasferire ingenti capitali alle banche per la loro
ricapitalizzazione, ma anche l’immenso debito pubblico a fini previdenziali.
A ciò si aggiunga che, a causa dello scarso livello delle entrate fiscali in
Cina rispetto ai valori medi internazionali (dovuto alle favorevoli esenzioni
fiscali garantite ai settori privati ad elevata crescita), le spese statali sono
prevalentemente finanziate mediante l’emissione di titoli di stato.
Malgrado questi sforzi, le banche commerciali statali non sono state in
grado di contenere la crescita di NPL (secondo stime statunitensi nel solo
anno 2000 sono sorti nuovi NPL per un ammontare equivalente al 4% del
PIL cinese) o il deterioramento dell’adeguatezza patrimoniale. Basti pensare
che a marzo 2001, il rating relativo alla forza finanziaria complessiva delle
quattro banche commerciali di stato (come calcolato da Moody’s) è stato
estremamente basso, tanto che nessuna di queste banche ha un rating
superiore a D-(su una scala A-E, ove A rappresenta il rating migliore).
5. Redditività ed efficienza di costo
Risultati insoddisfacenti in termini di redditività si registrano per le banche
commerciali di stato, soprattutto se raffrontati all’esperienza delle altre banche
commerciali. Il livello di redditività (misurato dalla Redditività dell’Attivo,
ROA) si è attestato sotto lo 0.2% nel periodo 1994-200012, a fronte, per
esempio, di un livello doppio per le banche italiane e quadruplo per quelle
inglesi13. Ma ancora più grave appare la situazione in termini di redditività del
capitale proprio (nota come ROE), una misura cioè espressione della capacità
della banca di creare valore per i propri azionisti: si registra infatti un valore
medio del 2.8% -rispetto a un livello medio del 5% per il settore bancario
italiano e del 14.7% per quello inglese – non in grado di far fronte al costo
del capitale di rischio. Tale deterioramento nella redditività complessiva delle
banche cinesi è da ascrivere primariamente al peggioramento nel margine di
interesse (la voce di Conto Economico espressione dell’attività tipica bancaria,
ovvero della concessione di prestiti a fronte della raccolta di depositi).
Un semplice indice di efficienza di costo contabile (costi operativi/ricavi
operativi) rivela nuovamente che le banche commerciali di stato cinesi
hanno mostrato performance peggiori rispetto alle altre banche commerciali,
nonostante la differenza si sia andata assottigliando nel periodo 1996-2000
per effetto del processo di espansione cui sono andate incontro le banche
commerciali private14. Tra le banche commerciali statali, l’efficienza di costo
della Bank of China è andata diminuendo, mentre la Agricultural Bank of
China ha fatto registrate la peggiore performance. Al contrario, la China
Contruction Bank è divenuta la banca con la migliore efficienza di costo nel
1999-2000.
Un fenomeno molto recente di particolare interesse riguarda la forte crescita
tra le passività bancarie, nonostante i bassi tassi di interesse corrisposti, dei
depositi a risparmio in yuan (pari a 1.73 miliardi di dollari statunitensi nel
2005, come riportato da People’s Bank of China, 2005)15, che si contrappone
a una riduzione dei consumi e degli investimenti personali. Una pluralità di
ragioni contribuisce a spiegare tale sorprendente fenomeno: in particolare,
la limitata disponibilità di canali di investimento in beni immobili e la
stagnazione del mercato mobiliare nazionale.
6. Nuova ristrutturazione del sistema bancario
All’inizio del 2004, è stato lanciato un nuovo programma di riforma del
sistema bancario, inteso a diminuire gli NLP delle banche commerciali di stato
attraverso varie misure: ricapitalizzazione, cessione degli NPL a investitori
stranieri, preparazione delle banche commerciali di stato per la quotazione
sui mercati, miglioramenti nella corporate governance e nei sistemi operativi
interni. Preme precisare, infatti, che qualora le banche commerciali di stato
non fossero in grado di terminare -prima dell’apertura della borsa valori, che
secondo l’Organizzazione Mondiale del Commercio dovrà avvenire entro il
2006 – il loro processo di ristrutturazione, finalizzato a conseguire livelli di NPL
e di patrimonio in linea con l’esperienza dei principali paesi industrializzati,
si potrebbe determinare una vera e propria crisi finanziaria.
Il problema della modesta adeguatezza patrimoniale ha indotto il governo,
alla fine del 2003, ad usare riserve straniere (per ben 45 miliardi di dollari) per
iniettare liquidità nelle due migliori -in termini di NPL -banche commerciali
di stato (anche in questo caso, la Bank of China e la China Construction
Bank). In tempi più recenti, aprile 2005, il programma di ricapitalizzazione ha
riguardato la più grande delle Big Four (Industrial and Commercial Bank of
China), che ha intrapreso in tal modo il proprio processo di ristrutturazione.
Ne è derivato che Standard and Poor’s ha migliorato i rating assegnati, con
valori che nel 2005 variano tra BBB+ e BBB-per tre delle Big Four (con
l’eccezione della Agricultural Bank of China, la più debole delle quattro),
rating che permangono peraltro al di sotto della soglia di investimento.
Per fronteggiare le difficoltà degli ACM nel recupero degli NPL, le autorità
governative non solo hanno incoraggiato le banche commerciali di stato a
gestire direttamente e autonomamente i loro NPL (basti citare in tal senso le
recenti esperienza di Bank of China e China Construction Bank), ma hanno
anche invitato gli investitori stranieri, oggi esclusi da tali operatività, a entrare
nel mercato degli NPL. Pare peraltro estremamente ottimista la prospettiva
di risolvere il problema degli NPL mediante la vendita di portafogli di NPL
contro investimenti stranieri denominati in dollari. Resta infatti da capire
perché questi NPL denominati in moneta locale debbano essere venduti contro
dollari quando è molto improbabile che gran parte dei debitori (e delle loro
attività) ottengano ricavi in dollari o siano disposti ad usare i preziosi ricavi
in dollari per ripagare debiti denominati in yuan. A ciò si aggiunga che gli
operatori/investitori nel mercato delle sofferenze richiedono tassi interni di
rendimento annuali che addirittura arrivano al 50%, ed è estremamente dubbio
il fatto che le autorità governative cinesi siano disposte a finanziare questo
enorme costo (in dollari) per la vendita su base aggregata di NPL in yuan.
In merito alla preparazione delle banche commerciali di stato per la
quotazione sui mercati, nell’agosto del 2004 la Bank of China è stata la prima
delle Big Four a essere trasformata in banca commerciale per azioni (ove lo
stato permane peraltro azionista di maggioranza), seguita poi dalla Industrial
and Commercial Bank of China nell’ottobre 2005. Nel giugno 2005, la Bank
of Communications è stata la prima delle banche commerciali private ad
essere quotata sulla borsa valori di Hong Kong, in seguito ad un intervento
di ristrutturazione fondato su finanziamenti statali che hanno portato la banca
ad un coefficiente di adeguatezza patrimoniale del 9.72% ed hanno ridotto
l’NPL ratio ad un solido 2.9%. Quattro mesi dopo, la China Construction Bank
è stata la prima delle Big Four a completare l’Offerta Pubblica Iniziale
(Initial
Pubblic Offering, IPO) sulla borsa di Hong Kong: in uno dei più grandi IPO
dell’anno, la banca ha aperto la strada alle altre banche commerciali di stato.
Infatti, sia la Bank of China sia la Industrial and Commercial Bank of China,
delle cui operazioni di ricapitalizzazione si è detto sopra, hanno pianificato
di realizzare i loro IPO nel 2006. Preme far notare il miglioramento nella
performance della China Construction Bank, che è arrivata a tale operazione
nel 2004 con un sorprendente coefficiente di adeguatezza patrimoniale pari
a ben l’11.29% e un NPL ratio del 3.92%16 .
La ristrutturazione in società per azioni delle Big Four porta oggigiorno
con sé la radicale riforma delle strutture di governance e dei sistemi operativi.
In particolare, le banche vanno modificando la loro struttura dell’attivo
patrimoniale e le loro fonti di ricavo al fine di essere meglio in grado di
fronteggiare i rischi associati alla riforma in corso dei tassi di interesse e alle
fluttuazioni macroeconomiche. Inoltre, lo sforzo è di rafforzare i meccanismi
interni di controllo del rischio, introducendo un fondo rischi che non si limiti a
coprire i rischi di credito, ma anche il rischio operativo e di mercato (in linea
con la prassi internazionale introdotta da Basilea 2), nonché introducendo
un sistema di classificazione dei prestiti articolato in 12 classi che consenta
di monitorare al meglio la qualità dell’attivo.
7. Integrazione internazionale: l’esperienza delle banche
straniere in Cina
Nel corso degli ultimi tre anni si è osservata una sorta di integrazione
tra banche cinesi e banche straniere nel mercato cinese; basti pensare che
19 investitori stranieri hanno acquisito partecipazioni in 16 banche cinesi,
determinando investimenti diretti stranieri nelle banche locali per un
ammontare pari al 15% del loro patrimonio17. Il processo non interessa solo
le banche commerciali private, ma anche le quattro banche commerciali di
stato, che come detto si sono avviate verso il processo di privatizzazione
e conseguente quotazione sul mercato mobiliare. Rileva in tal senso
l’investimento – il più grande fino ad ora realizzato -di HSBC in Bank of
Communications. Le autorità richiedono addirittura che tutte le banche
commerciali private di nuova costituzione abbiano partecipazioni detenute
da almeno un investitore estero. Se da un lato le banche straniere operanti
in Cina possono in tal modo commercializzare i loro prodotti e servizi
(prevalentemente con il segmento corporate) beneficiando della sempre
più estesa rete degli sportelli delle banche locali, dall’altro si impegnano
a trasferire alle stesse banche cinesi le loro conoscenze e tecnologie per
conseguire miglioramenti nell’efficienza della gestione e costruire una cultura
del risk management e del credito, nonché migliori forme di corporate
governance. In sostanza, le banche straniere necessitano del supporto delle
banche cinesi per espandere la loro operatività sul mercato interno, tanto
che la detenzione di una partecipazione nelle banche nazionali è divenuta
una priorità per molte banche straniere.
Con particolare riferimento all’operatività delle banche straniere in Cina,
si segnala che – nell’ambito del processo di apertura -le banche estere sono
dal dicembre 2005 autorizzate a condurre transazioni in valuta estera senza
alcuna restrizione in 25 città18. Si noti che, a partire dal 2007, si elimineranno le
restrizioni geografiche all’operatività delle banche straniere. Inoltre, sebbene
già dal 2003 le banche straniere siano autorizzate a fornire servizi in valuta
locale alle imprese cinesi (corporate business), dal 2007 saranno autorizzate
a offrire tali servizi anche al segmento retail.
In tale processo di integrazione, reso possibile anche grazie ai recenti
cambiamenti legislativi in materia, si inseriscono anche le joint venture tra
banche cinesi e straniere nel segmento del risparmio gestito, attività questa di
particolare rilevanza strategica considerato il consistente e crescente aumento
dei depositi di cui si è parlato in apertura. In sostanza in base alla nuova
“Administrative Rules for Pilot Incorporation of Fund Management Companies
by Commercial Banks”19, le banche commerciali dispongono di una via diretta
per costituire (autonomamente o con co-investitori strategici) nuove società
di gestione del risparmio, nonché di una via indiretta mediante la fusione da
parte di una banca commerciale con una società di gestione del risparmio
già esistente. In tal senso, l’auspicio delle autorità di vigilanza cinesi è che
le banche commerciali cinesi realizzino delle joint venture con istituzioni
finanziarie straniere, al fine di acquisirne i maturi sistemi di gestione. Si
segnala a tale proposito la recente joint venture tra Credit Suisse First Boston
(CSFB) e Industrial and Commercial Bank of China (ICBC) in tale importante
segmento: in sostanza CSFB ha acquisito una partecipazione del 49% nella
joint venture e si riserva in tal modo la possibilità di commercializzare i propri
prodotti di risparmio gestito attraverso l’estesa rete degli sportelli di ICBC.
In base ad una recente indagine di PricewaterhouseCoopers20 su un
campione di banche straniere, le modalità prescelte per perseguire la crescita
sono, in ordine di rilevanza, la crescita organica, seguita dalla creazione
di una joint venture con una banca commerciale privata, ed infine con
una delle Big Four (cui peraltro si associa una forte criticità in termini di
esercizio del controllo manageriale). In merito ai nuovi prodotti da offrire in
seguito agli ulteriori cambiamenti legislativi attesi, emergono in particolare:
nel segmento retail: carte di credito, mutui e prodotti di investimento; nel
segmento all’ingrosso: mercati del debito, credit derivatives e prodotti per
la gestione del rischio.
Le attese in termini di redditività da parte delle banche straniere in Cina
sono molto promettenti: il 70% di 35 banche straniere in Cina prevede
infatti una crescita annuale dei ricavi di circa il 30% per il 2005 ed i tre anni
successivi. Anche le aspettative in termini di utili netti sono molto positive,
posto che nella medesima indagine l’85% delle banche straniere si aspetta
utili maggiori di quelli attuali nei prossimi tre anni (nonostante i risultati
passati non siano sempre stati all’altezza delle aspettative, considerato che il
60% delle banche intervistate ritiene di aver realizzato utili uguali o inferiori
alle attese).
MONDO CINESE N. 127, APRILE-GIUGNO
2006
Note
1 American Banker, “World’s Largest Banking Companies by Assets”, 2005.
2
China Banking Regulatory Commission, “Assets and liabilities of the banking institutions
as of Dec. 31, 2003”, 2004, mimeo.
3
Ma, J., China’s Economic Reform in the 1990s, World Bank, Washington, DC, 1997,
mimeo.
4 Shirai, S., Assessment of China’s Financial
Reforms, Paper presented at the ESCAP
ADB Joint Workshop, Bangkok, 2001.
5 Ibid
6 International Monetary Fund, “Monetary and Exchange System Reforms in China: An
Experiment in Gradualism”, Occasional Paper n. 141, 1996.
7 Pei, G., Shirai, S., The Main Problems of China’s Financial Industry and Asset Management
Companies, 2004, mimeo.
8 China Banking Regulatory Commission, “NPLs of major commercial banks as of Mar.
31, 2004”, 2004, mimeo.
9 Pei, G., Shirai, S., op.cit.
10 Liu, H.C.K., “China: Banking on bank reform”,
Asia Times On Line, June 2002.
11 Chinese Finance and Banking Society, Almanac of China’s Banking and
Finance,
Chinese Finance and Banking Editorial Board, Pechino, 2002.
12 Shirai, S., op.cit.
13 Beccalli, E., Investimenti in tecnologia e
performance nelle banche in Europa, Bancaria Editrice, 2005.
14 Shirai, S., op.cit.
15 People’s Bank of China, Banking Survey, Pechino, 2005.
16 Jie, F., “Year of reckoning”, China Business
Weekly, 12-18 dicembre 2005, p. 3.
17 China Banking Regulatory Commission, “Chairman LIU Mingkang’s Statement at the
17th China-US Joint Economic Committee”, 16 ottobre 2005.
18 China Banking Regulatory Commission, “Public Notice of the CBRC on Further Ope
ning up China’s Banking Industry”, 5 dicembre 2005, Pechino.
19 People’s Bank of China, “Administrative Rules for Pilot Incorporation of Fund Mana
gement Companies by Commercial Banks”, Pechino, 2005.
20 PricewaterhouseCoopers, Survey on Foreign Banks in
China, 18 ottobre 2005,
Hong Kong.
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