Era il 28 ottobre 2005, una tiepida giornata autunnale, quando mio padre
Lü Tongliu ha lasciato, non solo la sua famiglia, ma anche il suo mondo
fatto di libri, amici e stimati colleghi.
La sua morte per la Cina, e non solo, è stata una gran perdita; con lui se
ne è andato un insigne studioso della letteratura straniera, di quella italiana in
particolare, la passione di tutta una vita per la quale ha ottenuto importanti
riconoscimenti in Cina e all’estero.
Quarto di cinque figli, mio padre era nato poco più di sessantotto anni fa
a Dan Yang, cittadina che si trova nella provincia meridionale dello Jiangsu.
Forse il suo destino comincia, quasi per decisione del destino, proprio a Dan
Yang, cittadina nota per l’abbondanza di pesci, riso e per aver dato i natali a
numerosi studiosi.
Era l’8 gennaio del 1938, in piena invasione giapponese, tutta la famiglia era
in fuga quando mio padre venne al mondo in una stalla nei pressi del fiume
Yangzi. E poiché si trattava della sesta sosta del lungo cammino, gli fu assegnato
il nome liu (che significa sei) come suffisso a Tong che era già stato deciso per
i figli della sua generazione.
Cominciò da ragazzo a nutrire un particolare interesse verso gli studi umanistici
leggendo un’infinità di racconti, poesie, romanzi. Saggi e articoli scritti da autori
cinesi e stranieri. Successivamente riuscì a superare brillantemente l’esame statale
per poter studiare in Unione Sovietica, che raggiunse nel 1956, iscrivendosi alla
facoltà di chimica presso l’Università di Leningrado. A quel tempo dalla Cina si
andava a studiare all’estero solamente materie scientifiche.
Ma il suo sogno era la letteratura ed il giornalismo. Riuscì a coronarlo l’anno
successivo allorché ebbe la possibilità di cambiare indirizzo iscrivendosi alla
facoltà di lingua e letteratura italiana. Era quello il suo destino.
Parlava spesso di questo periodo con nostalgia e penso sia stato fondamentale
per la sua formazione culturale.
In quel periodo cominciò a scrivere per i giornali cinesi articoli sulle attività
culturali e sportive dei suoi connazionali in Unione Sovietica. Ben presto però
si innamorò dei racconti di Moravia e, approfittando delle vacanze, tradusse
in cinese Felicità in vetrina, che fu pubblicato nel 1962 dalla rivista cinese
Letteratura mondiale. Fu un successo immediato tanto che la Radio Centrale
decise di dedicargli una trasmissione. E’ stato un momento cruciale per la
carriera di mio padre; il quale, laureatosi nello stesso anno, è stato inserito
nell’organigramma dell’Istituto di Ricerca sulla Letteratura Straniera dell’Accademia
Cinese di Scienze Sociali di Pechino, in qualità di esperto di letteratura straniera.
In seguito è divenuto professore ordinario.
Gli eventi storici della Cina dal 1964 fino alla fine degli anni ’70 tennero lontano
mio padre dal suo lavoro e dalle sue ricerche, da poco iniziate, su Moravia.
Anche a lui toccò il destino di molti altri intellettuali: fu inviato in campagna per
essere rieducato. Ricordava quel periodo con molta ironia: “mi sembrava uno
scherzo della sorte, albergavo in una stalla così come vi ero nato”. Sono stati
anni di duro lavoro, dove la fatica riempiva l’intera giornata.
Alle fine della Rivoluzione Culturale, quando finalmente ha potuto ricominciare
il suo lavoro, ha cercato di recuperare il tempo perduto, riprendendo i suoi
studi proprio da Moravia. Leggendo accuratamente le opere e i saggi critici
dello scrittore ha quindi scelto i trenta racconti che meglio potevano riflettere
il carattere e l’evoluzione. Venti anni dopo, nel 2002, in un’intervista pubblicata
su una rivista letteraria, la scrittrice Chen Ran ha detto che i racconti di Moravia,
tradotti da Lü Tongliu e letti negli anni dell’università, l’avevano colpita per la
loro bellezza.
Il suo lavoro lo ha portato spesso in Italia agli inizi degli anni ’80, dove ha
potuto perfezionare la lingua e continuare le proprie ricerche. Ha conseguito in
quegli anni specializzazioni sia presso l’Università della Calabria che alla Sapienza
di Roma. Ha conosciuto Calvino e Sciascia, con i quali ha avuto occasione di
parlare delle loro opere prima di tradurle in cinese.
Negli anni seguenti infatti vengono pubblicate le sue versioni di Ciascuno a
modo suo di Sciascia e de Le opere di Italo Calvino (dodici titoli), in collaborazione
con la scrittrice Zhang Jie.
Successivamente lettori e poeti cinesi hanno potuto conoscere la poesia
ermetica dei due nobel Montale e Quasimodo attraverso le raccolte, da lui
curate, della poesia di Montale (1992) e della poesia di Quasimodo (1998), molto
apprezzate da letterati cinesi come Niu Han, Xu Shi e Jidimajia.
E’ stato coraggioso a portare, con il suo lavoro, il nome di Pirandello nel
campo letterario-teatrale cinese. L’autore era poco conosciuto nel nostro paese
e la superficiale conoscenza che regnava era distorta da giudizi politici. Di lui
ha tradotto Enrico IV (1989), Trovarsi (1989), Vestire gli ignudi (1989) e I giganti
della montagna (1989). Mentre traduceva, ha anche organizzato diversi seminari
su Luigi Pirandello per cercare di far comprendere meglio il valore della sua
opera. Per la traduzione di Vestire gli ignudi, la cui rappresentazione è stata
trasmessa in televisione, ha ricevuto un riconoscimento ufficiale. Al riguardo
vanno ricordate le parole pronunciate dal noto regista cinese Lin Zhao Hua: “Nel
ventesimo secolo in occidente ci sono stati due grandi drammaturghi: Brecht e
Pirandello”. Su quest’ultimo, dalla negazione alla conoscenza fino ad arrivare
all’attenzione, il contributo di mio padre è innegabile.
Anche in Italia i riconoscimenti per tale lavoro non sono mancati e il Premio
Pirandello, conferitogli nel 1991, è magnifica conferma all’eccezionale lavoro
svolto.
Analoga operazione, ovverosia quella di organizzare convegni per preparare
gli ambienti letterari alle nuove opere tradotte ed evitare che non fossero
adeguatamente apprezzate, la condusse da una parte con Gabriele D’Annunzio,
esaltandone il carattere linguistico e l’estetismo, dall’altra con il futurismo italiano.
E questo portò alla conoscenza in Cina di autori e movimenti letterari.
Ma ritengo che la peculiarità di mio padre sia stata di capire che più di un
autore e di una corrente letteraria andavano presentate in quella fase in cui la
letteratura italiana in Cina muoveva i primi passi; perciò non si è soffermato su
uno specifico periodo storico o su un filone letterario, ampliando gli orizzonti
della sua ricerca. Come traduttore e curatore la sua ricerca abbraccia opere
dalle origini della letteratura con Dante (La Divina Commedia), Petrarca
(Il Canzoniere), Boccaccio (Decameron), Tasso (La Gerusalemme
liberata);
attraversa il Rinascimento con Le Novelle del rinascimento Italiano e l’Ottocento
con Manzoni (I Promessi Sposi), Leopardi (L’Antologia della poesia di
Leopardi)
e Verga (I Malavoglia) giungendo al Novecento, dove si compie il suo massimo
sforzo letterario.
Tanti sono gli autori del secolo appena trascorso da lui affrontati e portati
alla conoscenza del pubblico cinese: oltre a quelli già citati, possiamo ricordare
Nievo (Le confessioni di un italiano), D’Annunzio (Il fuoco), Berto, Buzzati,
Boito, Deledda, Tomasi di Lampedusa, Malerba, Castellaneta, ecc. che ha riunito
nelle Opere selezionate da illustri traduttori cinesi, nella Raccolta della poesia
italiana del Novecento (1998) e ne La letteratura italiana del Novecento
(10
voll., 1992-1995).
Affermava che la traduzione dovrebbe sempre essere accompagnata da un
lavoro di ricerca: sono le facce della stessa medaglia, ed un bravo traduttore
deve conoscere entrambe le culture. Infatti considerava il suo lavoro come “un
ponte che collega due culture e due popoli” e gli scambi culturali tra diverse
civiltà come “una pietra miliare del progresso umano”.
E’ con questo spirito che nel 1992, in un clima non idilliaco, organizza un
simposio su “Le ricerche e le traduzioni della letteratura straniera” tra gli studiosi
di Taiwan, Cina continentale e Hong Kong. Occasione in cui, per la prima volta,
studiosi di questi tre paesi si sono incontrati.
Nel 1991, in qualità di Vice Presidente dell’Accademia Cinese di Cultura
Internazionale ha inoltre organizzato a Pechino il primo “Convegno Internazionale
su Marco Polo” e nel 1994 - nonostante numerose difficoltà politico-ideologiche - il
convegno su “Martino Martini e gli scambi culturali tra la Cina e l’Occidente”.
Nel 1988 ha fondato l’Associazione Cinese per gli Studi sulla Letteratura
Italiana. In questa sede, tutti gli anni, si tengono convegni per discutere sulla
produzione letteraria italiana e vengono allo scopo invitati studiosi e scrittori
italiani. Fino allo scorso anno, in qualità di Presidente dell’Associazione, è stato
mio padre a curare, ideare e progettare il tema del convegno e interessarsi degli
ospiti italiani da invitare.
Lo scrittore Carlo Sgorlon ha detto di mio padre che “era un uomo di vastissimo
rilievo culturale nel suo Paese (…) gestiva se stesso ed il suo immenso potere
culturale con una signorilità discreta, misurata, piena di affabilità”. Queste parole
mi riempiono d’orgoglio assieme ai numerosi riconoscimenti da lui ottenuti: la
Medaglia d’Oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte conferita
dalla Presidenza della Repubblica Italiana e dal Ministero dell’Istruzione (2004);
il premio Nazionale della Traduzione del Ministero dei Beni Culturali (2004); la
carica di Commendatore della Repubblica Italiana (2002), di Cavaliere Ufficiale
dell’Ordine della Repubblica Italiana (1990); il Premio Letterario Mondello (1990).
La convinzione, di foscoliana memoria (“Celeste è questa corrispondenza di
amorosi sensi, celeste dote è negli umani; e spesso per lei si vive con l’amico
estinto e l’estinto con noi”), che egli sia ancora tra noi per il suo contributo al
mondo delle lettere e che il suo nome vivrà sempre nelle pagine da lui scritte,
rende meno triste il distacco dello scorso autunno.
MONDO CINESE N. 126, GENNAIO-MARZO
2006