RUAN MING
[Ruan Ming, “Bushi de ziyou zhanlüe yu Hu Jintao de fan ziyou jueqi”, Zheng
ming, n. 12
(338), dicembre 2005, pp. 61-64]
Proseguendo la nostra rassegna della stampa cinese sul tema dell’“ascesa
pacifica”1, riteniamo interessante pubblicare l’articolo che segue, nonostante
la durezza di alcuni giudizi esposti e l’asprezza di molti termini ed espressioni spesso ricorrenti. Sebbene, inoltre, non sia facilmente condivisibile
l’interpretazione complessiva della politica cinese e di quella americana
fornita dall’autore2, tale visione è degna di attenzione in quanto effettuata
da un osservatore interno al sistema-partito, data la sua precedente appartenenza al Pcc3. La pur controversa analisi di Ruan offre, infatti, non pochi
spunti di riflessione su alcuni aspetti - non così palesi - della nuova linea
inaugurata in politica estera dall’attuale leadership della Rpc.
M.M.
Il 2005 entrerà nei libri di storia come l’anno del braccio di ferro tra la strategia della libertà di Bush e l’“ascesa” antilibertaria della Cina di Hu Jintao. La coalizione di nazioni libere che fa capo a Bush riuscirà a indurre
Hu Jintao ad assecondare la ragionevole richiesta di libertà del popolo cinese?
Oppure sarà l’ascesa del sistema totalitario cinese a minacciare la libertà e la
pace dell’umanità? Chi uscirà vincitore da quella che può essere definita la
“partita del secolo”?
LA STRATEGIA AMERICANA DELLA LIBERTÀ:
DALL’ATTACCO ALLA DIFESA
Il 20 gennaio (2005), nel suo discorso per il rinnovo del mandato, Bush
ha sostenuto che “la sopravvivenza della libertà negli Stati Uniti d’America
dipende sempre di più dalla diffusione della libertà nel mondo intero. La
politica americana consiste nel seguire gli sviluppi del sistema democratico
e dei movimenti democratici in ogni paese e cultura, con l’obiettivo di porre
fine alla tirannia nel mondo”.
Il 7 maggio, in un (altro) discorso pronunciato durante la cerimonia di
commemorazione tenutasi nella capitale lettone per il sessantesimo anniversario della guerra contro il fascismo, il Presidente americano ha criticato
il Patto di Yalta, affermando che “si è trattato di uno dei più grandi errori
della storia. Non possiamo ripetere errori come questo: tollerare, cioè, la tirannia e sacrificare la libertà per il perseguimento di una stabilità fittizia.
Abbiamo imparato una lezione: non si può sacrificare la libertà di nessun
individuo. La nostra sicurezza a lungo termine e la nostra reale stabilità dipendono dalla libertà altrui”.
Il 21 settembre, in un discorso tenuto al Comitato Nazionale per i rapporti
sino-americani, il Vice Segretario di Stato americano Robert B. Zoellick ha
definito la Cina, nella sua “ascesa”, come uno dei responsible stakeholder4
all’interno del sistema internazionale. Questo perché la Cina è completamente diversa dall’ex Unione Sovietica: “la Cina non cerca di diffondere una
mentalità antiamericana, non sta portando avanti una battaglia all’ultimo
sangue con il capitalismo, non sta lottando contro tutti i sistemi democratici.
Il suo successo dipende dall’attuale network globale”.
La visione di Zoellick mette in evidenza come, nel confronto con l’“ascesa”
antilibertaria della Cina di Hu Jintao, la strategia americana della libertà sia
passata da una posizione di attacco ad una di difesa. Per contro, l’atteggiamento di Hu Jintao si fa sempre più aggressivo e dopo il 5° Plenum del XVI
Comitato centrale5, si è manifestato anche negli affari internazionali. Hu,
infatti, recandosi in visita ufficiale in Corea del Nord, in Vietnam, nel Regno
Unito, in Germania e Spagna, ha lanciato la sua linea aggressiva mascherata, istituendo rapporti di partenariato strategico totale. Dopo essere stato poi
in Corea del Sud per il summit non ufficiale dell’APEC, è tornato in patria
in concomitanza con la visita di Bush.
Non stupisce quindi che, se si considera la forza reale di un paese, la Cina, la cui popolazione è il 22% di quella mondiale, ha un PIL pari soltanto
al 4% di quello mondiale, mentre gli Stati Uniti, con una popolazione infinitamente inferiore a quella cinese, possiedono un PIL pari al 28,5% di quello
globale. Questo senza considerare la forza complessiva delle nazioni libere
di tutto il mondo, che supera enormemente il reale potere del sistema totalitario cinese. Perché allora la strategia americana della libertà, nella sfida
che la vede confrontarsi con l’“ascesa” antilibertaria della Cina di Hu Jintao,
sembra aver perso la capacità di parare i colpi?
Una ragione molto importante è quella menzionata da Zoellick nel suo
discorso, vale a dire la totale differenza tra la nuova strategia di “ascesa” del
sistema totalitario cinese e quella dell’ex Unione Sovietica.
LA NUOVA STRATEGIA DEL PARTITO COMUNISTA CINESE:
LA LIBERALIZZAZIONE DEL MERCATO
Tale strategia si caratterizza in primo luogo per l’abbandono della tattica di chiusura del mercato al capitalismo occidentale, in favore di un’apertura che “attrae magneticamente” la tecnologia e i capitali internazionali.
Gli ideologi del socialismo dell’epoca sovietica adottarono, in opposizione al
mercato capitalista, una strategia di chiusura. Secondo la teoria di Stalin
dei due “mercati paralleli”, quello socialista del rublo e quello capitalista del
dollaro sono nettamente separati. Quando un paese socialista si chiude, riesce
certamente ad ottenere dei “risultati brillanti” a breve termine utilizzando
il potere fortemente centralizzato del partito-stato, limitando al massimo i
consumi della popolazione e convogliando tutte le risorse naturali e la manodopera su di un unico obiettivo. E’ in questo modo che l’Unione Sovietica
è riuscita a lanciare nello spazio un satellite artificiale prima degli USA. La
Cina, con la stessa modalità, ha realizzato la bomba atomica, la bomba a
idrogeno e i satelliti durante la Rivoluzione Culturale e il Grande balzo in
avanti, quando trentamila persone stavano morendo di fame. Tuttavia, con
la terza ondata di democratizzazione, tutti i sistemi socialisti chiusi sono
stati sconfitti a causa della competitività in termini di forza economica e di
forza nazionale complessiva, il “modello occidentale” ha sopraffatto il “modello orientale”, l’Unione Sovietica e gli Imperi dell’Europa orientale, nella
loro chiusura, si sono dissolti.
La Cina ha assimilato la lezione storica dell’ex Unione Sovietica, ha cambiato strategia adottandone una di liberalizzazione del mercato, che utilizza il capitalismo per sviluppare il socialismo. Ha aperto le porte del paese al
capitalismo stesso, ha preso in prestito dall’Occidente i capitali, la tecnologia, la moderna gestione manageriale, i canali di vendita, e ha combinato
tutto questo con una manodopera a basso costo pressoché inesauribile e con
la convenienza garantita dalla natura pubblica delle risorse e del territorio
del sistema totalitario cinese. Tutto ciò ha fatto della Cina la fabbrica del
capitale internazionale, che produce prodotti a basso costo poi venduti sul
mercato mondiale. Grazie all’incessante flusso di risorse occidentali, la Cina
ha rafforzato il potere del suo sistema totalitario in campo economico-commerciale, militare, tecnologico e diplomatico. Per contro, essa ha rifiutato
categoricamente il sistema democratico, la libertà di pensiero e la nozione di
diritti umani di matrice occidentale. Ciò corrisponde perfettamente al concetto de “il sapere cinese per i principi essenziali, il sapere occidentale come
mezzo”6, proprio del tradizionale sistema di controllo cinese. Questa potenza in ascesa, che si sviluppa prendendo in prestito il “modello occidentale”,
deve necessariamente continuare a portare avanti la dittatura democratica del popolo, vale a dire la dittatura del proletariato; deve inoltre sostenere fermamente il marxismo-leninismo e il pensiero di Mao Zedong e deve infine
schierarsi contro l’apertura nei confronti della classe borghese.
SEPARARLI E DISTRUGGERLI UNO PER UNO
La nuova strategia cinese prevede poi il tentativo di dividere i paesi democratici liberi, ovvero di “mettere tutti contro tutti” per distruggerli uno
dopo l’altro.
L’impero dell’ex Unione Sovietica sfidò apertamente tutti i paesi democratici
liberi del mondo, dando forma, in tal modo, ad un “mondo bipolare”. I due
poli, durante la corsa agli armamenti, produssero un equilibrio del terrore
in cui entrambe le parti erano impegnate nell’annientamento reciproco. Alla fine, l’Unione Sovietica si sgretolò a causa del collasso economico, dovuto
all’eccessiva spesa militare.
La Cina ha imparato bene la lezione storica impartita dall’ex Unione Sovietica ed evita uno scontro frontale con le nazioni democratiche libere dell’Occidente, optando per una strategia “multi-polare” che divida il fronte dei
paesi democratici, distruggendoli uno dopo l’altro attraverso una tattica di
coalizioni orizzontali e verticali come, per esempio, “allearsi con l’Europa
per controllare gli USA”, “allearsi con la Corea per controllare il Giappone”
e anche come la “Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai”; tutto
questo per realizzare il suo piano finale: isolare gli Stati Uniti, nazione leader
dei paesi democratici. Questo modo di procedere è proprio della tradizionale strategia cinese del “mettere le potenze straniere l’una contro l’altra”, con
l’obiettivo di usare le divergenze esistenti tra le nazioni libere per rompere
la solidarietà che le tiene coese, facendo il possibile affinché il sistema totalitario cinese emerga in questa divisione “multi-polare”.
Nella strategia cinese non è invece cambiato l’obiettivo di realizzare i due
slogan secondo i quali “il socialismo prenderà il posto del capitalismo” e “le
forze rivoluzionarie prevarranno su quelle reazionarie”.
L’ex Unione Sovietica cercò di “seppellire il capitalismo”, col risultato di
essere da esso seppellita. Oggi, la nuova teoria del “socialismo con caratteristiche cinesi” sostiene che la Cina contemporanea si trova in uno “stadio
iniziale di socialismo”, che il modello orientale (socialista) è più debole mentre quello occidentale (capitalista) è più forte. Ed è proprio per questo motivo
che si deve “prendere in prestito il modello occidentale” per crescere. Trascorsa la fase iniziale si entrerà quindi in quella “avanzata” o nella “fase
del comunismo”. Allora, le forze rivoluzionarie finalmente “prevarranno su
quelle reazionarie”. Il sistema totalitario del socialismo cinese ha assimilato
la lezione storica dei tre dittatori del fascismo e del comunismo, Hitler, Stalin e Mao Zedong: quando le forze non sono sufficienti non si può lanciare
un attacco perché si viene sconfitti a causa del prolungarsi del tempo e della
dispersione delle forze. Separare l’avversario, restringere il campo d’azione,
farsi strada con la forza, stabilire partnership di cooperazione o “relazioni
di buon vicinato” con l’antico nemico statunitense, con la Russia, l’India, il
Vietnam, concentrare le forze per aprirsi un varco nella democratica Taiwan:
tutto questo può essere considerato il primo passo della Cina per rafforzare il
suo apparato militare e dominare l’Asia. Nei confronti di Taiwan, in particolare, la Cina ha una duplice strategia: da una parte quella non pacifica,
che vede un massiccio dispiegamento delle forze armate pronte ad attaccare
il territorio taiwanese anche se “hanno teso l’arco senza ancora scoccare la
freccia”7, dall’altra quella pacifica, che si propone di combattere e dividere
i paesi democratici.
IL PROGETTO POLITICO DI HU JINTAO
I paesi liberi occidentali danno un giudizio errato dell’ “ascesa” del sistema totalitario cinese, giudizio riassunto nella conclusione del discorso di
Zooellich, secondo il quale “possiamo cooperare con la Cina emergente di
oggi, lavorando per la costruzione della Cina democratica di domani”. Secondo il Vice Segretario di Stato americano, se gli Stati Uniti appoggiano la
Cina totalitaria di oggi, se sostengono la sua ascesa in campo economico e
militare, se aspettano che diventi ancora più forte e potente, allora il Partito comunista cinese accetterà valori universali come libertà, democrazia e
diritti umani e allora la Cina attuale “evolverà pacificamente” nella “Cina
democratica di domani”.
Non so se la posizione di Zoellich sia un’ingenuità autentica o di facciata.
Nel caso fosse vera, lo inviterei allora a leggere attentamente il primo Libro bianco sulla costruzione di una politica democratica pubblicato dal governo cinese, per evitare di fantasticare ancora su di una qualsivoglia “Cina
democratica di domani”. Il libro bianco proclama inequivocabilmente al
mondo intero che la Cina è “democratica” dal giorno in cui il Partito comunista cinese ha cominciato a governarla. La “Cina democratica” di ieri,
quella di oggi, quella di domani, fanno tutte parte della “Cina democratica”
guidata dal Partito comunista cinese, senza libertà di stampa, senza libertà
di parola, senza partiti d’opposizione, senza indipendenza del potere giudiziario, senza strutture di controllo e valutazione delle autorità: ogni potere
appartiene alla “Cina democratica” del Partito comunista. Quanto alla difesa
della “purezza” della teoria del sistema comunista, Hu Jintao ha certamente
puntato più in alto di Deng Xiaoping e Jiang Zemin. Nel confrontarsi con il
mondo occidentale, Deng e Jiang si sentivano sempre un po’ a disagio e si
giustificavano dicendo che “la Cina era povera e con ancora duecento milioni di analfabeti”, come se, una volta che la Cina non fosse più stata povera
e fossero diminuiti gli analfabeti, si sarebbe potuto parlare di democrazia.
Era, questa, una tattica difensiva, come se Deng e Jiang ammettessero che la
Cina attuale non fosse democratica ma che si dovesse attendere il domani
per riparlarne. Hu Jintao, invece, ha una strategia d’attacco. Volete che la
Cina attui una politica democratica? Questa mia è la politica democraticosocialista adatta alla Cina! Tutto quello che si è fatto, incluso il “massacro
di Tian’anmen”, è per salvaguardare la politica democratico-socialista della leadership del Partito, ed è la ragione per cui non se ne potrà mai dare
un’altra versione storica! I trentamila e più caratteri del Libro bianco sulla
politica democratica di Hu Jintao non devono ritenersi tutte futilità, questo
è il progetto politico che sottende l’“ascesa” antilibertaria di Hu Jintao.
LA STRATEGIA ECONOMICA DI HU JINTAO
L’11° Programma quinquennale8 della Cina di Hu Jintao ha come obiettivo
strategico quello di “potenziare la capacità d’innovazione e di iniziativa”. La
strategia di sviluppo del periodo di Jiang Zemin è stata quella di introdurre
generosamente tecnologia e capitali dai paesi stranieri che, in associazione
alla manodopera a basso costo, ha fatto sì che la Cina sia divenuta la fabbrica mondiale delle multinazionali, rafforzando il potere del sistema totalitario con il surplus economico derivante dal commercio estero. Il risultato
di tutto questo è che, sebbene la Cina mantenga un tasso di crescita del prodotto interno lordo pari al 9% e un notevole incremento della spesa militare e
delle entrate statali, tuttavia, mediamente, dipende ancora dalle nazioni più
avanzate per quanto riguarda lo sviluppo militare ed economico. Il governo
cinese esiste grazie al sangue e al sudore di alcune centinaia di milioni di
lavoratori cinesi e spesso soltanto grazie all’equipaggiamento tecnologico e
militare di seconda classe proveniente dall’estero. Come, per esempio, gli armamenti venduti dalla Russia alla Cina che sono qualitativamente inferiori
a quelli che la Russia ha venduto all’India. L’11° Programma quinquennale
dimostra che il regime di Hu Jintao ha preso coscienza del fatto che, anche
comprando ancora più armi e brevetti stranieri, sarà impossibile per la Cina uscire vittoriosa dalla competizione mondiale se, nel processo di sviluppo
militare ed economico, non sarà in grado di padroneggiare la tecnologia
nucleare e di far valere i diritti sulla proprietà intellettuale.
L’obiettivo dell’11° Programma quinquennale, fissato per il 2010, è quello
di “cominciare a istituire un sistema di innovazione e creazione tecnologico-scientifica del paese che si conformi allo status di grande nazione proprio della Cina; trasformarsi da grande nazione manufatturiera a uno stato
potente dal punto di vista tecnologico e scientifico; sviluppare l’alta tecnologia; creare un’industria strategica; conquistare celermente una posizione
dominante nella competizione internazionale e, a livello locale, realizzare
innovazioni importanti e sviluppi significativi nel settore tecnologico; incrementare il rendimento dell’industria dell’alta tecnologia fino a mille miliardi di renminbi”.
E’ questa la strategia di “ascesa” economica della Cina di Hu Jintao.
Riassumendo, il 2005 è stato l’anno della strategia di crescita in tutti i
settori della Cina: politico, economico, militare, tecnologico e scientifico. E’
stato l’anno in cui è stata lanciata una sfida alla strategia della libertà del
Presidente americano Bush.
E la risposta di Bush? Dobbiamo andare a vedere cosa dirà durante l’incontro con Hu Jintao a Pechino. Possiamo soltanto prevedere che, in generale,
a parte l’atteggiamento convenzionale che entrambi assumeranno in materia
di disavanzo commerciale, di tasso di cambio del renminbi, di negoziati a
sei e di libertà religiosa, l’odierna strategia di libertà di Bush non ha molte
possibilità di contrastare con successo l’“ascesa” antilibertaria della Cina di
Hu Jintao. Poiché, per quanto riguarda l’America, il suo tirarsi indietro dinanzi alla sfida del sistema totalitario cinese, ha origini storiche e teoriche.
IL CUORE DELLA GUERRA FREDDA SI SPOSTA A ORIENTE
Dall’inizio degli anni ’90 del XX secolo, dopo il disfacimento dell’impero sovietico, gli Stati Uniti hanno elaborato “nuove” teorie come la tesi della
“fine della storia”, quella dello “scontro di civiltà” e della “fine della guerra
fredda”; hanno smesso di sorvegliare da vicino il sistema totalitario comunista che, invece, ancora esiste. La realtà delle cose è che la guerra fredda si
è conclusa soltanto a ovest degli Urali. La storia del sistema di asservimento
comunista, che si oppone alla libertà dell’umanità, non si è conclusa, solo
che il centro di gravità si è spostato a Oriente. In Cina, fortezza comunista
dell’Est, l’opposizione alla libertà propria del sistema oppressivo comunista
non è di certo mutata. Al contrario, visto il fallimento del comunismo sovietico, ci si è limitati a cambiare le tattiche e le strategie di repressione.
IL DUPLICE MODELLO AMERICANO
Gli Stati Uniti hanno storicamente adoperato, nei confronti del sistema
totalitario cinese, un approccio diverso da quello scelto nei confronti dell’Unione Sovietica. Pur avendo adottato delle sanzioni contro la violazione
dei diritti umani nell’Unione Sovietica, il governo americano e il Congresso
hanno invece chiuso spesso gli occhi davanti alle violazioni dei diritti umani attuate dal governo cinese. E’ noto che, in seguito alle atrocità commesse
nel giugno ’89 dal governo cinese, che inviò migliaia di soldati a massacrare studenti e gente comune, il governo americano di Bush Sr. fu costretto
dall’opinione pubblica ad annunciare una serie di sanzioni, ma che in segreto, già il 23 giugno, scriveva personalmente una lettera per congratularsi
con Deng Xiaoping, il “boia di Piazza Tian’anmen”. Nella lettera si legge:
“Stimo enormemente il contributo che Lei ha dato al popolo del Suo Paese.
Ho scritto questa lettera per chiederLe di aiutarci a mantenere saldo questo
rapporto che entrambi i Nostri paesi considerano della massima importanza. Io farò il possibile per non intervenire negli affari interni cinesi, rispetto
la differenza tra i sistemi sociali dei nostri due paesi. Voglio soltanto garantirLe che Noi speriamo che questo spinoso problema possa trovare soluzione,
e che, dal momento che oggi Lei può ritenersi soddisfatto, non contravverrà
alle Nostre disposizioni riguardo ai principi fondamentali”. Questa lettera
fece immediatamente capire a Deng che le sanzioni di Bush non erano altro
che una risposta data all’opinione pubblica e al Congresso, per cui decise di adottare un atteggiamento duro per costringere il governo Bush a ritirarsi su
tutti i fronti. Deng da una parte rispose a Bush che era disponibile a ricevere
un suo emissario segreto, dall’altra intensificò le misure repressive all’interno del paese. Negli ultimi dieci giorni di giugno, la gioventù cinese che aveva preso parte al movimento democratico venne arrestata in massa e uccisa
pubblicamente a Pechino, Shanghai e in altre città. Il Segretario Generale
Zhao Ziyang, inoltre, venne formalmente costretto alle dimissioni nel corso
del 4° Plenum del XIII Comitato Centrale del Partito, per essersi opposto alla
repressione del movimento democratico studentesco.
Questo duplice modello era stato inizialmente dettato dalla necessità di
unirsi alla Cina per controllare l’Unione Sovietica, vale a dire unirsi con
un paese comunista piuttosto debole per controllare e bilanciare un paese
comunista piuttosto forte. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, Bush
Sr. e Clinton hanno continuato a fare la politica dello struzzo di fronte alle
violazioni dei diritti umani e della libertà da parte della Cina, sostenendo,
di fatto, l’“ascesa” tirannica del sistema totalitario cinese.
CHI VINCERÀ LA PARTITA DEL SECOLO?
Oggi Hu Jintao e Bush, provenienti il primo da Occidente l’altro da Oriente, sono arrivati entrambi a Pusan.
Hu è arrivato in Corea del Sud dopo essere stato nel Regno Unito, in Germania e in Spagna, dichiarando, durante tutto il viaggio, di voler istituire
delle “relazioni multilaterali di partnerariato strategico” o “relazioni multilaterali di cooperazione e partnerariato” con questi alleati degli americani,
dimostrando che l’“ascesa” della Cina comunista nel mondo è anche una
sfida alla strategia della libertà di Bush.
E Bush? Non appena giunto nella prima delle tappe previste per la visita
ufficiale nei quattro paesi asiatici (Giappone, Corea del Sud, Cina e Mongolia), ha fatto un lungo discorso sulla strategia americana della libertà,
sottolineando come lo sviluppo della libera democrazia in Asia sia un capitolo significativo nella storia dell’umanità. Inoltre, tra i paesi asiatici che si
dirigono verso la libertà, ha indicato Taiwan come un modello di nazione
che è riuscita con successo a passare da una democrazia repressiva ad una
democrazia vera e propria, ed ha lodato il fatto che “l’odierna Taiwan sia
una nazione pervasa dalla libertà, dalla democrazia e dalla prosperità”.
Egli ha fatto pressioni sui leader cinesi affinché “soddisfino la ragionevole
richiesta di libertà della popolazione”. E’ questa la risposta di Bush alla sfida di Hu Jintao.
La replica di Bush per una “liberalizzazione” ha già provocato una reazione isterica nel Ministro cinese a Pusan, Tang Jiaxuan, che ha reagito dicendo che “i diritti umani in Cina sono in ottimo stato! Non si può dire lo
stesso di quelli americani!”.
Il prossimo incontro sarà quello tra Hu e Bush a Pechino. La partita del
secolo tra la strategia della libertà di Bush e l’“ascesa” antilibertaria di Hu è
già iniziata. Le nazioni libere alleate di Bush avranno successo nel costringere la Cina di Hu Jintao a soddisfare le ragionevoli richieste di libertà del
popolo cinese, oppure avrà successo Hu Jintao nell’indurre le nazioni libere
a dividersi, col risultato di portare ad un’“ascesa” del sistema repressivo cinese, che minaccia la libertà e la pace dell’umanità? Questo secolo ci dirà
chi sarà il vincitore.
17 novembre 2005, Cedar Glen Lakes, New Jersey, Stati Uniti.
MONDO CINESE N. 126, GENNAIO-MARZO
2006