1. Premessa
Non si dovrebbe mai esaminare e giudicare seriamente progetti e disegni
di legge, perché essi cambiano troppo radicalmente e c’è perfi no il
rischio che non vengano mai approvati. Questa almeno è la storia
italiana, ma mi pare che ciò sia ormai vero anche per la Cina, dove invece
fino a tempi recenti anche la rarefatta attività legislativa, ormai decisamente
intensificata, era rigorosamente pianificata.
In questa prospettiva, nonostante le molte aspettative, l’ultima (IV) Sessione
Plenaria della X Assemblea Nazionale del Popolo (ANP) si è chiusa il 14
marzo 2006 senza che i 2937 delegati potessero esaminare ed approvare
definitivamente - per la quinta volta! - uno dei progetti di legge più importanti
per il perfezionamento dell’economia di mercato e il completamento
dell’apparato normativo civilistico della Cina post-maoista. Mi riferisco
alla legge volgarmente nota come “legge sulla proprietà” ma tecnicamente
riferentesi all’antica categoria romanistica e più in generale occidentale dei
diritti reali (wuquan), che è in preparazione da otto anni, ha conosciuto
successive versioni molto diverse l’una dall’altra e il cui testo, dal 10 luglio
2005, è stato reso pubblico per una più allargata discussione1.
Infatti, l’approvazione della legge sui diritti reali, originariamente
inserita nell’ordine del giorno della sessione legislativa, ne è stata poi
tolta, conformemente al regolamento dell’ANP, in quanto “fortemente
controversa”. L’evento ha sorpreso sia molti cinesi, sia quegli studiosi ed
esperti occidentali che avevano seguito gli importanti lavori preparatori, le
successive modificazioni e i convegni dedicati appunto alla riforma del diritto
di proprietà e degli altri diritti reali2. Il fatto scatenante3 viene attribuito ad
una lettera di un professore della facoltà di Giurisprudenza dell’Università
di Pechino, Gong Xiantian, scritta il 12 agosto 2005 ma rivelata soltanto nel
febbraio 2006 in cui si critica il progetto di legge in quanto incostituzionale
e contrario a principi fondamentali dell’assetto politico-costituzionale cinese
quali la superiorità dell’economia statale (e più in generale collettiva) rispetto
all’economia privata e il carattere “sacro” (shensheng) della proprietà di
Stato. La stessa lettera aveva destato stupore e reazioni nell’accademia e
negli ambienti favorevoli all’economia di mercato, per i quali il wuquanfa
rappresentava semplicemente un atto dovuto e un approfondimento
necessario della riforma costituzionale adottata nel 20044.
Al di là dell’episodio contingente e di un contrasto sempre più accentuato
fra una scuola liberale e una scuola conservatrice (fondamentalmente
marxleninista e ancora legata ad ideologie, concezioni e terminologie
del perento diritto sovietico) tra gli ormai numerosi giuristi cinesi, l’intera
vicenda riflette il disagio di una transizione protrattasi probabilmente troppo
al lungo e non ancora completata, le resistenze di dirigenze politiche e
amministrative abituate alla gestione arbitraria di diritti proprietari mal definiti
e insufficientemente codificati, la crescente domanda di formalizzazione
proprio di tali diritti da parte dei cittadini abbienti (e non soltanto dei grandi
ricchi) e la grande ambiguità relativa all’appartenenza dei suoli rurali, causa
prima delle migliaia di sommosse verificatesi negli ultimi anni nelle campagne
cinesi.
Più in generale questa pausa nell’iter di approvazione della legge sui diritti
reali trova una spiegazione anche nei parzialmente mutati orientamenti dell’XI
programma economico del Partito comunista cinese per il quinquennio 2006-2010 - a seguito del V Plenum del XVI Comitato centrale dell’8-11 ottobre
2005 - e in talune caratteristiche neosocialiste dei suoi dirigenti, esasperate
dalle crescenti disuguaglianze fra ricchi e poveri e fra città e campagna5.
Il ricordato incidente di percorso tuttavia, è tale, a giudizio di chi scrive,
da ritardare ma non da impedire l’adozione di una legge voluta dai più,
molto attesa anche sul piano internazionale, sicuramente migliorabile (ma
nel senso di abbandonare o ridurre orientamenti conservatori, come si dirà
fra breve, non nel senso di ritornare all’antico).
2. Un commento al “Disegno”
Per questa ragione non è inutile un breve commento al disegno di legge
di 268 articoli (il “Disegno”) pubblicato nell’agosto scorso e sottoposto a
pubblica discussione sino al 20 agosto 2005, anche in considerazione del
suo contenuto decisamente migliorativo rispetto a una precedente versione
“lunga”, di 575 articoli.
Molte cose sono cambiate nell’ultima versione presentata: più snella,
meglio strutturata e coordinata nelle sue parti, maggiormente sistematica
e un po’ più tecnica della precedente, sebbene naturalmente la maggiore
stringatezza possa esasperare le difficoltà di interpretazione.
Nonostante evidenti e facili critiche, è doveroso un apprezzamento a tutti
i partecipanti del lavoro redazionale e specialmente agli studiosi che hanno
condotto le fila di questa difficile e delicata operazione, il cui risultato, sin
d’ora, è un’organizzazione più razionale, una maggiore formalizzazione,
una disciplina più familiare alla comunità internazionale dei civilisti e una
stabilità crescente degli istituti centrale di qualsiasi sistema di diritto privato,
ma specialmente in Cina storicamente controversi e politicamente sensibili,
quali la proprietà e l’uso.
Un primo problema per il lettore non cinese è rappresentato dal necessario
coordinamento di questo “Disegno” con altri testi legislativi che coprono in
parte la stessa materia: la Costituzione, di cui come si è detto il “Disegno”
si propone come indispensabile legge di attuazione, a concreta tutela della
proprietà privata, dopo gli emendamenti del 2004; le leggi e i regolamenti
speciali preesistenti, sull’amministrazione del suolo e sulla gestione dei
terreni urbani (1986, 1990, 1994, 1998)6 e la legge preannunciata nell’art. 138
del “Disegno” sulla “assegnazione dei terreni appartenenti ai villaggi”, che
apparentemente regolano tutto il complesso sistema delle concessioni, distinte
per destinazione e durata; la legge sulle garanzie del 1995; e, soprattutto,
i Principi Generali del Diritto Civile, ossia i minfa tongze del 1986, che
formalmente ancora disciplinano succintamente nel cap. V (art. 71-83) il
diritto di proprietà ed alcuni diritti patrimoniali ad esso collegati.
La disciplina contenuta nei Principi non coincide con quella proposta nel
“Disegno”. Là l’enfasi è ancora sulla proprietà socialista, a cui si contrappone
la proprietà personale dei soli beni di consumo, mentre è ancora del tutto
assente la proprietà privata. Fra le forme di proprietà espressamente ricordate
vi sono quelle delle organizzazioni sociali e religiose, scomparse nel Progetto.
Inoltre, per quanto riguarda il diritto di proprietà, i minfa tongze ospitano una
definizione più ampia (art. 71), che non subordina ancora l’esercizio delle
quattro facoltà del proprietario (possesso, uso, estrazione dei benefici economici,
disposizione) alla “conformità alle disposizioni legislative” (art. 45).
Naturalmente, è presumibile che la lex posterior deroghi alla legge anteriore e
che pertanto la futura legge sui diritti reali prevalga sulle diverse disposizioni dei
Principi, tanto più che questi furono il prodotto di un’epoca diversa, in funzione
di compromesso fra la allora predominante economia pubblica e la nascente
economia privata, ed appaiono come tali troppo conservativi ed evasivi.
Molto dunque è cambiato nel “Disegno” di legge ufficiale rispetto ai precedenti
progetti, ma sono rimasti sostanzialmente intatti la terminologia, la tassonomia,
le partizioni e l’indice, innanzitutto la suddivisione in cinque libri o capitoli:
Principi generali, Proprietà (suoyouquan), Diritti reali di godimento (yongyi
wuquan), Diritti reali di garanzia (danbao wuquan), Possesso (zhanyou).
Sono invece avvenuti molti raggruppamenti razionali di regole omogenee
precedentemente disposte in ordine sparso (per esempio in tema di
requisizione ed espropriazione), molte apprezzabili riduzioni di norme
ridondanti (così l’ipoteca ha perduto 44 articoli) e si assiste a un notevole
miglioramento ed affinamento nella cura e nella coerenza terminologica (per
esempio, le definizioni di proprietà e di possesso).
3. Differenze e complessità
Meno comprensibile appare la scelta di trasferire nelle “disposizioni
integrative” (art. 266) sette definizioni - poche ma evidentemente ritenute
particolarmente rilevanti - di soggetti (i “privati”), beni economici (i “frutti”),
tipi e categorie di diritti reali (il “condominio sui fabbricati”, le “servitù”, i
“diritti di garanzia” e i “diritti di godimento”) e, da ultimo, il possesso. Non si
capisce in particolare perchè altre definizioni - per esempio quella di proprietà
e soprattutto quella di diritti reali (art. 2) - siano rimaste nel testo.
Il ricorso all’elenco meramente esemplificativo, per la determinazione di
una categoria così drammaticamente importante nella Cina odierna come
quella dei soggetti “privati”7, non pare una scelta felice e sarà sicuramente
fonte di incertezze, benché si possa capire la valenza di legittimazione
politica dei soggetti espressamente menzionati nella definizione (ma perché,
mi chiedo, manca nella lista l’impresa in forma societaria?).
Proprio nella definizione dei diritti reali - espressione notoriamente non
risalente al diritto romano che conosceva la diversa e più estesa classe delle
actiones in rem - si ritrovano le note caratteristiche dell’immediatezza e
dell’assolutezza (art. 6), sebbene non sia chiaro se l’efficacia erga omnes
ricomprenda anche il soggetto Stato. Non è evidente invece se i diritti reali
costituiscano un numerus clausus, dal momento che essi possono essere
previsti e disciplinati anche da altre leggi (secondo art. 3, che ricorda l’art.
757 del Codice Civile di Taiwan). E’ probabile che questa incertezza rifletta
l’attuale elasticità delle forme organizzative del diritto cinese e la prolungata
discussione accademica sull’inclusione o meno fra i diritti reali di alcune
figure (come il diritto di amministrazione operativa delle imprese di Stato)
create dal diritto sovietico e non riconducibili alla tradizione classica.
Non c’è nulla di anomalo, anzi, c’è molto di familiare per il giurista
romanista, nelle due supercategorie della proprietà e degli iura in re aliena
(diritti di godimento e diritti di garanzia) e, soltanto all’interno dei diritti di
godimento appaiono figure e situazioni “reali” più difficili da afferrare in
quanto “dai colori cinesi” o strettamente legate alla realtà cinese.
Sono state inoltre eliminate dal “Disegno” in esame anche alcune strane
figure di diritti che nel resto del mondo aderente al modello romanistico
sembrerebbero avere ben poco di reale: in particolare il diritto di usare
lo spazio (artt. 361-371) e il curioso manipolo dei diritti di piscicoltura,
prospezione ed estrazione mineraria, sfruttamento forestale, accesso a risorse
idriche e caccia (artt. 372-383).
Forse per mia disattenzione non trovo più tra i diritti di garanzia, nell’ultima
versione ufficiale del nostro disegno di legge, le floating charges, non certo
per il loro carattere secondario rispetto ad altre garanzie, ma probabilmente
perché ritenute prive delle caratteristiche della “realità”.
Sono venute meno o partite per altre destinazioni - presumo verso il codice
di procedura civile - altre pletoriche ed imprecise sezioni della versione lunga:
mi riferisco ai 39 articoli (artt. 527-555) precedentemente dedicati all’ordine
dei privilegi e chiaramente fuori tema in un testo sulle res.
Ancora, la proprietà, esclusivamente statale e subordinatamente collettiva,
del suolo è meno invasiva ed ubiqua in questa versione breve del “Disegno”,
probabilmente perché riconducibile ad altre sedi e alle leggi speciali
precedentemente ricordate, in modo non troppo diverso da quanto accade in
Italia per la disciplina dei beni pubblici (demanio e patrimonio). Naturalmente,
senza la conoscenza di queste leggi e dei loro regolamenti applicativi, lo
stato e la dinamica dei rapporti fra il suolo e quanto su di esso costruito
sono incerti o per lo meno non emergono limpidamente dalla wuquanfa,
nonostante la presenza di alcuni articoli rassicuranti (in particolare l’art. 157
che sembrerebbe consentire al proprietario del suolo di non estendere il
termine al titolare del diritto di superficie soltanto per ragioni di pubblico
interesse)8.
Non ritrovo più, nell’ultimo Progetto, neanche l’affermazione della
superiore efficacia dei diritti reali rispetto ai diritti obbligatori, un’affermazione
un po’ curiosa ma storicamente ed emotivamente comprensibile, che figurava
all’art. 7 della versione lunga.
Dopo decenni di esilio normativo, il possesso (zhanyou) ritorna
trionfalmente nel diritto cinese dove ha diritto a una collocazione eminente
(il libro quinto solo per esso), ad una definizione classica (“potere di fatto
su una cosa mobile o immobile”) ma a ben pochi articoli (7 contro i 19 della
versione precedente). Sui giudici cinesi incomberà l’onerosa missione di
interpretare ed integrare disposizioni così rarefatte.
Il nostro “Disegno” ha seguito la concezione romanistica che limita il
possesso - anche se ciò non viene detto espressamente - ai poteri corrispondenti
ai soli diritti reali. Il possesso è distinto in legittimo e illegittimo, di buona o
di mala fede. Il diritto ai frutti e il rimborso delle spese trovano una breve
ma sufficiente disciplina. La tutela del possessore sembra limitata all’azione
di reintegrazione (art. 265) e non ricomprendere l’azione di manutenzione
e soprattutto, come si dirà tra breve, tra i commoda possessoria del diritto
cinese non sembra rientrare l’usucapione, non più inclusa fra i modi di
acquisto della proprietà.
Ricordo a questo proposito che, non senza lacune e contraddizioni,
la versione lunga del “Disegno” di legge aveva accolto l’idea e l’istituto
dell’usucapione o prescrizione acquisitiva, disciplinandola in modo più
che comprensibile per il giurista europeo (20 e 10 anni rispettivamente
per la prescrizione acquisitiva di immobili e mobili, termine ridotto alla
metà in presenza di buona fede). Questa riabilitazione dell’usucapione, di
portata rivoluzionaria (o meglio, controrivoluzionaria) non aveva stupito
più di tanto lo specialista di diritto dei paesi ex-socialisti, o in transizione
dall’economia di piano all’economia di mercato, ed appariva il corollario
di una realtà economica sempre più privatizzata, nella quale le categorie
dei beni di appartenenza esclusiva di soggetti pubblici o comunque extra
commercium (peraltro non definite o inadeguatamente definite) andavano
progressivamente riducendosi.
Con grande sorpresa del lettore, invece, nella versione breve della legge
sui diritti reali l’usucapione si è volatilizzata oppure si è nascosta talmente
bene da sfuggire alla ricerca dell’osservatore esterno, o, più verosimilmente,
il problema e la soluzione dello stesso sono stati accantonati in quanto
troppo controversi; né ci sono di alcun aiuto, in questo caso, i Principi
Generali di Diritto Civile. Del resto, l’usucapione conseguente al possesso
illegittimo potrebbe apparire in contraddizione con l’art. 5 del Progetto, un
articolo assimilabile a una clausola generale, un po’ pericoloso e dagli effetti
imprevedibili, che tra l’altro prescrive il dovere di rispettare la “morale sociale”
e il “pubblico interesse” nell’acquisto e nell’esercizio dei diritti reali.
La sezione sui modi di acquisto della proprietà si è fortemente impoverita
rispetto alla versione precedente (12 invece di 42 articoli), ora sotto il titolo
restrittivo di “disposizioni speciali” circa l’acquisto della proprietà. Non è
chiaro, pertanto, se i modi di acquisto a titolo originario (ma la distinzione
fra titolo originario e titolo derivato è assente) ivi menzionati (l’invenzione
di cose smarrite, il ritrovamento del tesoro, la specificazione, l’unione e la
commistione) costituiscano o meno un elenco tassativo. Rammentiamo a
questo proposito che i minfa tongze tacciono completamente sui modi di
acquisto della proprietà. Questa disciplina appare dunque lacunosa.
Salvo patto diverso, la proprietà di beni mobili si trasferisce con la
consegna, degli immobili con la registrazione. Salvo prova contraria si
presume proprietario il possessore del bene mobile e il titolare del certificato
di registrazione estratto dal registro. La registrazione dell’immobile, ora
attribuita a diversi uffici e ancora suddivisa in catasto degli edifici e catasto
dei diritti di godimento dei terreni, dovrà presto essere unificata.
Gli effetti degli acquisti in buona fede di beni mobili a non domino sono
regolati in dettaglio, in modo più che comprensibile per un giurista di civil
law, sebbene con una disciplina meno generosa per l’acquirente di cose
smarrite o rubate.
La sezione della legge dedicata ai diritti reali di garanzia dovrà essere
coordinata e confrontata con la legge sulle garanzie del 1995, da cui in
qualche caso sembra discostarsi. E’ evidente, ad ogni modo, che la disciplina
dell’ipoteca, quale strumento indispensabile all’affermazione dell’economia
di mercato e all’internazionalizzazione commerciale cinese, si è estesa e
perfezionata, parallelamente all’allargamento dei beni ipotecabili. In una
pluralità di regole più o meno universalmente accettabili, chi legge, peraltro,
non ha chiaro lo stato del credito garantito contemporaneamente, in diversa
misura, mediante ipoteca e in via fideiussoria, e non comprende la ragione del
divieto di vendere l’immobile ipotecato senza il consenso del creditore.
La regolamentazione d’insieme dei rapporti di vicinato - mi pare senza
precedenti nella Rpc - è estesa a tutti i titolari di diritti di godimento sul suolo
ed è ragionevole nella sostanza ma inconsueta nella formulazione, che lascia
moltissimi spazi di discrezionalità all’interprete e non mette certo al riparo
dal noto divario tra law in the books e law in action.
La disciplina dei rapporti condominiali non fa che riflettere l’esplosione
edilizia e la rapidissima diffusione di questa forma di comproprietà in Cina
negli ultimi anni, e tenta di mettere qualche freno agli abusi e strapoteri
delle società di costruzione (i c.d. “developers”) e degli amministratori da esse
nominati. Un esempio specifico riguarda la presunzione della appartenenza
condominiale delle parti comuni ed in particolare dei club e delle aree
destinate a parcheggio, salvo patto diverso o prova contraria da parte del
costruttore o dell’amministratore. Da questi due ultimi prepotenti soggetti
il “Disegno” esige maggiore trasparenza e più obblighi, a protezione dei
compratori di immobili in quanto consumatori. Costoro troveranno ulteriore
tutela quando i registri dei beni immobiliari saranno effettivamente unificati;
prima di allora vale la regola provvisoria dell’art. 2679.
Nel periodo intercorrente fra la firma del contratto di compravendita di
un bene immobile, o del diritto di uso di un terreno, e la registrazione dello
stesso, l’acquirente si espone a tutti i rischi di una registrazione tardiva.
Questi rischi sono aggravati dalla complessità e patologia dell’iter burocratico,
come è confermato dall’esperienza empirica (vendite duplicate), e la loro
esistenza è, a contrariis, confermata da alcune delle norme, volte a frenare la
curiosità, la scorrettezza o l’ingordigia dei soggetti preposti alla registrazione
degli immobili.
Gli istituti illustrati nel libro terzo ed attinenti ai diritti reali di godimento
del suolo, pur trovando affinità ed equivalenze nella terminologia e tipologia
dei diritti reali italiani (usufrutto, superficie, uso, abitazione e perfino, per certi
aspetti, l’enfiteusi) e più in generale propri dei sistemi giuridici romanisti e/o
a diritto civile codificato, sono quelli che verosimilmente meglio riflettono le
peculiarità dei rapporti di proprietà e/o uso del suolo e dei fabbricati in Cina,
in particolare fuori delle grandi città. Qui si ha davvero l’impressione che sia
stata questa complessa realtà immobiliare cinese - con i suoi tratti specifici,
mutevoli, in costante trasformazione - ad essersi inserita di prepotenza negli
antichi schemi giuridico-formali della legge sui diritti reali, e ad averli in
qualche modo riplasmati, influenzati o stravolti, e non viceversa. E qui in
particolare il giurista straniero, benché romanista, si trova un po’ smarrito,
quasi come un pesce fuor d’acqua, non avendo sufficiente dimestichezza con
la magmatica organizzazione pubblica, economica e sociale della campagne
cinesi, e con le situazioni di autonomia/subordinazione effettivamente
sottostanti al sistema della proprietà collettiva e delle comunità collettive.
I diritti di proprietà e di godimento del suolo meritano dunque una
disamina meno superficiale. Innanzi tutto, proprietà una o trina? L’ultimo
progetto ha riunito in un unico capitolo (5) del libro II tre forme di proprietà
precedentemente collocate in capitoli distinti: statale, collettiva e privata;
fornisce, in apertura del capitolo 4 sulle disposizioni generali in tema di
proprietà, una definizione comune, al contempo interessante e familiare,
dell’istituto: “[…] il proprietario ha diritto, in conformità alle disposizioni
legislative, di possedere, usare, trarre benefici e disporre della cosa” (art.
45) ed ha assicurato pari tutela, in via di principio alla proprietà dello Stato,
degli enti collettivi e dei privati (art. 47). Proprio quest’ultima disposizione
ha attirato le critiche degli ambienti tradizionalisti ricordati in apertura di
articolo.
In realtà questo apparente riorientamento unitario o monistico, conforme
alla tradizione prevalente nei codici civili occidentali, è un po’ irragionevole,
perché almeno tre distinte forme proprietarie o quasi proprietarie, caratterizzate
da parzialmente diverse discipline, ricompaiono in altri articoli del Progetto.
Nonostante le critiche e il vivace dibattito in corso, non si è rinunciato quindi
completamente alla contrapposizione delle proprietà a seconda del soggetto
titolare e, in parte, anche in base alla natura dei beni. Osservo tuttavia, a
tale proposito, che questa frammentazione della disciplina di diversi tipi di
proprietà non è sconosciuta in Europa, e in particolare in Italia, dove regole
parzialmente diverse valgono, oltre che per i beni in mano pubblica, per la
proprietà rurale, edilizia, dei beni che interessano la produzione nazionale
e dei beni di interesse storico ed artistico.
Un po’ annacquate trapelano ancora nel progetto antiche partizioni e
antinomie proprie del diritto sovietico e circolate come modello in tutti i Paesi
socialisti. Prima di tutte quella tra proprietà socialista e proprietà personale,
apparentemente superata dalla Costituzione della Rpc dopo la riforma del
2004, e fondata sulla distinzione tra beni di produzione e beni di consumo
od uso personale-familiare.
4. Indicazioni dettagliate
Forse proprio la volontà di reagire a questa vecchia classificazione e di
assicurare il diritto di proprietà privata anche sui beni di produzione spiega
l’eccessivo dettaglio con cui il nuovo legislatore ha indicato - in elenchi
peraltro non tassativi! - i beni suscettibili di proprietà privata (artt. 66,67,69),
ivi nominando distintamente strumenti e beni di produzione, investimenti e
benefici economici dei medesimi, beni conferiti in imprese e società.
In secondo luogo, la proprietà dello Stato (guojia suoyou) - non più
alternativamente e demagogicamente definita come “proprietà di tutto il
popolo” (quanmin suoyou), diversamente dalla Costituzione e dai Principi
di diritto civile - pur dovendo convivere con lo “sviluppo di diverse forme
di proprietà”, rimane la “componente principale” del sistema economico del
Paese (art. 50), nel quale lo “ordine del mercato socialista” ha ancora come
proprio fondamento il “sistema economico statuale” (art. 1). Non è però
chiaro come si manifesti questa astratta superiorità della proprietà statale
sul piano concreto e strettamente tecnico-giuridico, se non nell’elencazione
di un complesso di beni di esclusiva appartenenza statale (artt. 51-53 e 55)
e nell’affermazione della inalienabilità di tali beni (art. 48): affermazione
non espressamente applicata alle cose di proprietà collettiva e che potrebbe
fornire argomenti indiretti o de iure condendo a una tesi della usucapibilità
dei beni non statali, inclusi forse alcuni tipi di beni collettivi.
Fuori dalle finzioni linguistiche e dai compromessi terminologici, indagare
su questi temi non è semplice, anche perché sembra mancare in Cina una
precisa disciplina dei beni pubblici e una distinzione come quella italiana
fra beni demaniali (dello Stato) e beni patrimoniali (degli enti pubblici
territoriali) - mentre il quadro è disturbato, per l’interprete straniero,
dall’oscura categoria degli enti collettivi e della proprietà collettiva -, tra
demanio necessario e demanio accidentale, tra patrimonio indisponibile e
patrimonio disponibile.
Certo, nonostante le apparenze, molte situazioni sembrano simili in Italia
e in Cina: alla pari del demanio necessario e del patrimonio indisponibile
anche la proprietà statale in Cina (centrale o periferica) è inalienabile e
parrebbe altresì insuscettibile di possesso e di usucapione (come si evince
dalla Costituzione e dai minfa tongze), se quest’istituto sussistesse; ma
tutto ciò andrebbe detto in modo più diretto e più chiaro, perfino se tale
disciplina dei beni pubblici, esclusi da negozi giuridici di diritto privato ma
non da atti di concessione amministrativa, si trovasse in altri testi normativi.
Incidentalmente ciò sarebbe coerente con la filosofia del “Disegno”, visto che
esso circoscrive il proprio ambito di applicazione a rapporti patrimoniali fra
soggetti “paritari” (art. 2) nascenti dalla appartenenza e dall’uso delle cose,
sebbene poi lo stesso “Disegno” frequentemente si contraddica laddove tratta
dello Stato e dei soggetti collettivi.
Inoltre, a chi, come chi scrive, si è occupato per tanti anni di sovietologia
giuridica, fa piacere ritrovare nella versione breve elementi di facile raffronto
con i diritti reali o quasi-reali a suo tempo inventati dai giuristi sovietici, e
sopravvissuti nel diritto post-sovietico, per distinguere i diversi poteri dello
Stato, delle imprese e delle istituzioni statali sui beni assegnati dal primo ai
propri enti personificati10.
Penso, naturalmente e soprattutto, al famoso diritto di “amministrazione
operativa” (pravo operativnogo upravlenija) creato dal professore leningradese
A. V. Venediktov, e alle sue separate versioni, penetrate successivamente allo
scioglimento dell’Unione Sovietica nel Codice Civile della Federazione Russa
per le istituzioni e per le imprese statali geneticamente o strutturalmente
“unitarie”, ossia non costituite né operanti in veste societaria.
5. Somiglianze
Orbene, molte tracce di questa impostazione - basata sulle diverse e
più o meno intense facoltà attribuite al diritto di piena proprietà dello
Stato e rispettivamente ai diritti di gestione economica o amministrazione
operativa delle sue istituzioni ed imprese - si rinvengono, laconicamente
e perciò in modo poco chiaro, nel nostro “Disegno”, sebbene proprio
questo “Disegno” abbia eliminato le distinte sottosezioni rispettivamente
consacrate, nella versione lunga, ai diritti patrimoniali delle imprese statali
e collettive. Ne sono un esempio l’art. 56 (che sembra riservare allo Stato
le facoltà del nudo proprietario senza poteri di sfruttamento economico del
bene), l’art. 57 (istituzioni), l’art. 58 (imprese) e l’art. 70. L’ultimo articolo
è di difficilissima interpretazione, specialmente per un giurista non cinese,
perché attribuisce alle imprese che siano persone giuridiche, secondo la
legge e il rispettivo statuto, esattamente le stesse quattro facoltà attribuite
a qualunque proprietario (art. 45), mentre rinvia la determinazione dei
poteri proprietari delle imprese esercitate in forma societaria alle leggi sulle
società, segno che questa problematica un po’ nominalistica è ancora aperta
e controversa e grazie al rinvio dell’approvazione del disegno potrà trovare
qualche definizione.
Accantonare il problema non vuol dire, naturalmente, risolverlo od
eliminarlo. Il diritto di amministrazione operativa - fortunata creazione
dell’accademico Venediktov - è stato cancellato dal repertorio normativo
cinese o non è più un diritto reale? Se sussiste, in che cosa consiste e come
è tutelato nei confronti dello Stato proprietario? Anche le imprese di Stato a
struttura unitaria sono ora espressamente riconosciute proprietarie a pieno
titolo dei beni con cui operano (ad eccezione ovviamente del suolo), così
come le imprese in forma di società di capitali? Il comparatista attento alle
vicende del diritto sovietico e russo post-sovietico attende ghiottamente
le risposte a queste domande; personalmente ritengo che sarà la pratica
commerciale, non la astratta e dogmatica grammatica legislativa, a sciogliere
questi dubbi.
La proprietà collettiva conduce l’interprete in un territorio più misterioso
ed enigmatico, provvisto di pochi segnali netti e di poche certezze, e dove
la disciplina della proprietà si mescola a stimoli normativi finalizzati al
potenziamento della legalità, della trasparenza e della democrazia nelle
decisioni assunte dagli organismi dirigenziali ed assembleari degli enti rurali
od extraurbani (proprietari collettivi) dei vari livelli (artt. 61-65).
Fra queste poche certezze c’è la generica ma chiara preminenza della
proprietà statale rispetto alla proprietà collettiva, non sempre facilmente
esemplificabile attraverso disposizioni concrete.
In primo luogo, soltanto allo Stato sono riservati i poteri di esproprio
e requisizione, anche dei beni di appartenenza collettiva, e di revoca del
diritto di uso del suolo, a fronte di un indennizzo che ormai dev’essere
“ragionevole”, a prescindere dalla natura individuale o collettiva del soggetto
danneggiato.
Diversamente dal demanio necessario dello Stato (art. 51) sembra mancare
nel Progetto una categoria di beni di esclusiva appartenenza collettiva, perfino
per quanto riguarda il suolo, la cui proprietà invece, come è noto, è riservata
dalla Costituzione del Paese allo Stato e proprio agli organismi collettivi.
Con riguardo però ai “terreni dei villaggi e dei distretti esterni alle città”
(ed anche alle piante e agli animali selvatici), il disegno di legge precisa che
essi appartengono allo Stato (solo) quando la legge lo stabilisce (art. 53), e
sembra pertanto rispettoso delle situazioni preesistenti.
Invece foreste, montagne, pascoli ed altre risorse naturali appartengono
allo Stato, a meno che la legge ne attribuisca la proprietà ad organismi
collettivi.
Occorre dunque conoscere davvero molto bene il diritto legislativo cinese
vigente (o futuro!) per poter capire e valutare le poche norme dedicate dal
“Disegno” alla proprietà collettiva. Per quanto riguarda il suolo, altrettanto
indubbio è che i terreni di proprietà statale circolano assai più facilmente e
possono molto più agevolmente mutare di destinazione rispetto ai terreni di
proprietà collettiva e proprio questa caratteristica spiega i frequenti espropri,
in senso generico, delle terre agricole e le conseguenti spesso violente reazioni
dei residenti colpiti dal provvedimento.
Infine, conviene ricordare che, fra i diritti reali di godimento di beni
immobili appartenenti a terzi (libro terzo), quello probabilmente più rilevante
sul piano economico e più importante in una prospettiva pratica, ossia il
diritto di costruzione, godimento e sfruttamento economico del fabbricato
(art. 140: molto simile al nostro diritto di superficie) può ricadere unicamente
su terreni di proprietà dello Stato. Invece all’edilizia residenziale sembra
possono essere destinati anche suoli di proprietà collettiva.
6. Conclusioni
Concludendo, il comparatista rinviene nel “Disegno” una gran quantità di
suggestioni e di stimoli ed una pluralità di modelli, a conferma dell’intelligente
e continuo lavoro di raffronto sincronico e diacronico operato in Cina da chi
fa le nuove leggi o modifica quelle preesistenti. Al giurista italiano, ossia di un
paese dove legge e dottrina hanno da tempo mediato fra prototipi francesi e
tedeschi, almeno formalmente è agevole orientarsi tra questi modelli familiari
e prevalentemente romanisti, propri del resto di quasi tutti i paesi con un
diritto civile codificato, nonostante le inevitabili peculiarità costituite dalla
realtà politica e socio-economica cinese e dalla sua continua evoluzione.
Conviene ricordare a questo proposito che anche Paesi che avevano
effettuato nel passato scelte ideologiche, politiche ed economiche diverse
non avevano mai rinunciato o rinunciato completamente alle concezioni, alle
partizioni, alle istituzioni e al linguaggio del diritto romano, specialmente
nella sua elaborazione romano-germanica e pandettistica. I rari tentativi di
distaccarsene - penso al Codice Civile (Zivilgesetzbuch) della Repubblica
Democratica Tedesca del 1975 - sono naufragati dopo pochi anni. Non è il caso di rievocare in questa sede le diverse e numerose occasioni
storiche di contatto della Cina con categorie giuridiche del diritto romano
o post-romano, anche attraverso lo sguardo rivolto ai più impensabili
modelli stranieri (giapponese, francese, tedesco, svizzero, sovietico ecc.)
e, naturalmente, grazie all’importante precedente della codificazione civile
nazionalista.
Anche il disegno di legge sui diritti reali dimostra che quei contatti sono
diventati una presenza permanente e che è ben difficile sfuggire ai flussi di
questo modello dominante; mentre proprio in questa materia il Common Law
sembra manifestare la sua influenza unicamente nella nozione di proprietà
(o meglio di uso) del suolo a “tempo determinato”, riproponendo l’antico
binomio leasehold-freehold ma riservando il secondo tipo di proprietà
unicamente allo Stato e agli organismi collettivi.
MONDO CINESE N. 126, GENNAIO-MARZO
2006
Note
1 Il “Disegno” è stato pubblicato sul sito dell’ANP (www.npc.gov.cn) insieme ad una
comunicazione dell’Ufficio della Commissione Permanente dell’ANP.
2 Proprio questo articolo riprende e sviluppa una mia relazione presentata al III Convegno internazionale sul diritto romano, il diritto cinese e la codificazione del diritto civile svoltosi a Pechino nell’autunno del 2005 presso il Centro di Studio del Diritto romano dell’Università cinese di Scienze politiche e Giurisprudenza.
3 Di cui ha dato notizia persino il Corriere della Sera del 3 marzo 2006, F. Cavalera, “Cina, a sorpresa l’ombra di Mao”. Si veda più estesamente
China Law Digest, febbraio
2006, www.chinalawdigest.com e “China’s draft Property Law: reaction and counter-reaction”, http://lawprofessors.typepad.com/china_law_prof_blog/2006
4 G. Crespi Reghizzi, M. Delmestro, “La Costituzione della RPC si aggiorna”, in
Diritto
pubblico comparato ed europeo, 2004, pp. 555-579.
5 Si veda M. Miranda, “Il nuovo programma del Pcc per una maggiore equità sociale”,
in Mondo Cinese, n. 125, ottobre-dicembre 2005, pp. 5-14. Si veda anche J. Kahn, “A
sharp debate erupts in China over ideologies”, in New York Times, 12 marzo 2006.
6 In particolare il Regolamento provvisorio del Consiglio di Stato sull’assegnazione e il
trasferimento del diritto d’uso di suolo di proprietà statale nelle aree urbane del 1990
e la legge della Rpc sull’amministrazione dei suoli urbani in vigore dal 1 gennaio
1995.
7 Art. 266 (1): “Privati” ricomprende cittadini, piccole imprese commerciali e cooperati
ve, famiglie contadine, stranieri, apolidi, nonché ditte individuali, imprese con investi
menti esteri, eccetera.
8 Come ho precedentemente scritto in “Moti e tendenze del diritto commerciale cinese”,
in Est-Ovest, n. 6, 2005, p. 105, oggi il proprietario (cinese o straniero) di una fabbrica, di un capannone o di un appartamento in una città cinese potrebbe domandarsi
che cosa accadrà al suo diritto d’uso del suolo alla scadenza del termine di concessione (40-70 anni). Conformemente al “Disegno” è assai probabile che la concessione
(gli inglesi parlerebbero di lease) venga rinnovata, previa rinegoziazione del canone.
Ma fino a quella data è già di conforto la soluzione odierna, derivata dal diritto sovietico, consistente nel riconoscimento della supremazia della proprietà del fabbricato rispetto alla proprietà del suolo.
9 In base alla quale il soggetto interessato può richiedere alle autorità competenti per la
registrazione degli alloggi e dei suoli il trattamento unificato (ossia coordinato) della
domanda di registrazione.
10 In particolare, il Codice Civile vigente della Federazione Russa annovera ancora fra i
diritti reali il diritto di gestione economica, il diritto di amministrazione operativa e il
diritto di usufrutto ereditabile.
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