Gao Wangling, “Guoji bijiao de yi ge anli: Zhongguo nongmin fanxingwei”, (manoscritto inedito)]
Abbiamo il piacere di pubblicare questo contributo inedito del prof. Gao Wangling, Ricercatore di Storia Contemporanea della Cina presso l’Università del Popolo di Pechino. E’ un lavoro che ci è stato fornito sotto forma di dattiloscritto, non ancora pubblicato a causa delle difficoltà che tuttora si incontrano in Cina in campo editoriale nell’affrontare alcune problematiche storicamente e politicamente ancora piuttosto controverse. Come fa presente a più riprese nel testo l’Autore, data l’impossibilità di reperire documenti ufficiali relativi al periodo della collettivizzazione agricola, questo saggio è basato su dossier e materiali “a circolazione interna”, nonché sui risultati di indagini sul campo condotte dall’Autore in diverse province, attraverso testimonianze da lui raccolte ed interviste effettuate a studenti inviati a compiere lavoro manuale, a quadri di partito e funzionari locali.
(M.M.)
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Presentazione della ricerca
La presente ricerca nasce dalla necessità di colmare una lacuna presente in tutti gli studi condotti
sinora sul periodo della collettivizzazione agricola. Tale lacuna è rappresentata dalla mancanza di
riflessioni e dati sulle reazioni dei contadini a questa riforma; d’altra parte, questo approccio, volto soprattutto a fornire una lettura storica solo dal punto di vista della classe dirigente, era giustificato in
parte dal fatto che l’immagine comune dei contadini cinesi fosse quella di una massa omogeneamente sottomessa alle direttive del governo. Per colmare questa lacuna, a partire dal 1994 ho intrapreso una ricerca che mi ha portato nelle campagne di varie province cinesi come lo Shanxi, il
Guangdong, lo Hunan, lo Anhui e lo Yunnan, dove ho potuto intervistare un gran numero di contadini, quadri di partito, ed exstudenti inviati nelle campagne a compiere lavoro manuale (anch’io, a suo tempo, fui uno di loro). La mia ricerca è quindi prevalentemente supportata da resoconti orali, cui si aggiungono dei dossier svolti a livello locale, integrati fra loro secondo un criterio squisitamente personale.
I “controcomportamenti” dei contadini
Il punto centrale di questo saggio saranno pertanto i “controcomportamenti” dei contadini durante la collettivizzazione agricola. “Controcomportamenti” (un termine che, contrariamente a quanto ritenevo in precedenza, è stato in effetti coniato proprio da me) sono quei comportamenti propri del quotidiano intesi come reazione alle direttive del governo; una reazione che però non sfocia mai in esplosioni di violenza incontrollata, ma che al contrario è caratterizzata proprio da atteggiamenti “soft” volti a destabilizzare l’ordine precostituito più che a rovesciarlo. Oltre che per la natura del soggetto, l’originalità di questa ricerca sta nell’averlo trattato in modo organico e dettagliato. Si possono infatti trovare descrizioni di “controcomportamenti” già in romanzi e diari relativi all’epoca; tuttavia mancava una trattazione specifica e dettagliata del fenomeno, che ne descrivesse anche l’effettiva portata.
Quali erano dunque questi “controcomportamenti”? Grosso modo possiamo dividerli nelle seguenti categorie:
1) Sabotaggio della produzione.
2) Indolenza sul lavoro.
3) Quote fisse di produzione per unità familiare.
4) Ampliamento dei terreni ad uso privato.
5) Furto e occultamento della produzione e ripartizione privata dei prodotti.
Per motivi di spazio, in questa sede presenterò in dettaglio solo due tipologie di comportamento: il “furto” e l’”occultamento della produzione e la ripartizione privata dei prodotti”, dal momento che altre problematiche, quali “la produzione fissa” e la “limitazione della produzione” non potrebbero essere chiarite esaustivamente in uno spazio tanto ridotto. In seguito fornirò una valutazione generale comprendente anche delle stime sulle cifre e le quantità della produzione interessata, in modo da fornire un quadro abbastanza completo di tali fenomeni.
1) Furti
Nonostante l’esistenza di questo fenomeno sia attestata ormai da diverso tempo, nel corso delle mie
ricerche ho riscontrato difficoltà nel trovare testimonianze circa i furti. Questa difficoltà può essere
spiegata dal fatto che il furto evoca inevitabilmente giudizi di condanna nei confronti dei singoli individui che lo commettono, mentre reati come l’occultamento della produzione e la ripartizione privata dei prodotti, essendo reati commessi dalla collettività, non suscitano altrettanta indignazione.
All’inizio della mia indagine mi trovavo nel villaggio di Wucun, provincia dello Shanxi, distretto di TG, lo stesso villaggio in cui, da studente, ero stato inviato a lavorare. Questo fatto mi assicurava perciò la fiducia degli abitanti, con cui peraltro avevo un ottimo rapporto; ciononostante, incontrai non poche difficoltà. Sembrava che i contadini non avessero una gran voglia di parlare della faccenda dei furti, e comunque ne davano spiegazioni diverse1..
Ad esempio, uno degli ex-caposquadra di Wucun mi disse che i furti di cereali erano un fenomeno esistente già da tempo. Anche con l’andar del tempo questi
piccoli furti non cessarono affatto; uno dei sistemi più comuni consisteva nel nascondere il mais in fondo a dei cesti di bambù. Anche se qualcuno notava la cosa, non succedeva nulla; e, nonostante venisse precisato che i prodotti non appartenevano ai singoli, ma alla comune, si finiva comunque col rubarli. D’altra parte non era poi così difficile per centinaia di persone menare per il naso alcuni quadri di partito. Alcuni contadini portavano via la refurtiva quando tornavano a casa dopo aver falciato (specialmente le donne); altri, quando andavano a caccia di topi di campo, si impadronivano di qualche chicco di cereali, ci mettevano sopra un paio di manciate di terra per non farli vedere, e se li portavano a casa senza problemi. Per quanto riguarda i metodi di controllo, ci si preoccupava di acciuffare i colpevoli, di stendere un gran numero di rapporti e di mettere sotto controllo i fatti più eclatanti, senza fare rapporto alle autorità. E così facendo si permetteva di rubare a chiunque. Quanto si poteva rubare in un anno? Calcolando 100 jin a persona si aveva un totale di 70.000 (allora nel villaggio c’erano poco più di 700 abitanti); calcolando
invece 200 jin a persona si avrebbe avuto un totale di 140.000, ma non si arrivava mai a tanto,
massimo a 60-70.000 jin. Il segretario della sezione del partito del villaggio del periodo precedente al Movimento delle “Quattro Pulizie” mi disse che queste cifre corrispondevano più o meno alla realtà. A suo avviso, dal momento che in passato si erano verificati diversi problemi a causa di questa faccenda, non si osava verificarne le conseguenze, oppure si cercava di farlo, ma senza successo. Il segretario di sezione che poi gli era succeduto mi disse invece che di furti ce n’erano molti. La sera, lui stesso vedeva parecchia gente guidare carri coperti di erba o portare in spalla sacchi di iuta modi di rubare ce n’erano parecchi. In quel periodo le masse rubavano e i quadri di partito si limitavano a speculare un po’ sopra le loro giurisdizioni. D’altro canto, lui stesso e parecchie altre persone ci tenevano a specificare che a rubare erano pochi, singoli individui. Quest’ultima spiegazione, del tutto in contrasto con quanto avevo creduto fino ad allora, mi causò enormi difficoltà, tanto da rendermi quasi impossibile portare
avanti la mia inchiesta. Finalmente un giorno mi trovai ad ascoltare i racconti interminabili di un mio vecchio compagno di lavoro; mi raccontava ad esempio di quella volta in cui era arrivato un ospite e non c’era soia e allora si era andati a raccoglierne un po’ (la si nascondeva nel pentolone del riso). Ogni giorno, ritornando dal lavoro nei campi, si riportavano pieni i cesti di bambù coperti d’erba; persino la gente onesta qualche volta forse andava a spigolare - questo per far capire come ormai la gente non
vedesse più queste cose come fatti da nascondere. Allora capii che tutto ciò faceva parte della vita dei contadini; ormai li si distingueva dai “furti”. ...Ma era giusto vedere le cose in questo modo? Un altro giorno incontrai un vecchio contadino che mi disse che c’erano pochi furti e che “arraffare” qualcosa
non era come rubare. Da quel momento imparai anch’io il termine “arraffare” e distinguendolo bene da “rubare”.
[L’autore prosegue illustrando in maniera dettagliata in cosa consistesse il cosiddetto
“arraffare”, sottolineando in particolare come ciò fosse necessario per vivere, specie durante la stagione autunnale e in periodi difficili come gli anni ‘60. Questo era confermato dal fatto che le quantità sottratte non erano rilevanti.L’autore passa poi ad analizzare, in contrasto con quella di
Wucun, la situazione del villaggio di Shangcun, dove al contrario si praticava il furto non per necessità, ma per trarne profitto. L’autore continua infine con l’analizzare i metodi di furto più praticati e più
tradizionali come ad esempio la spigolatura] [n.d.t.]
I cereali che costituivano il principale oggetto di furto erano il mais e il sorgo. I chicchi di mais caduti in terra li si raccoglieva “di passaggio”; una persona poteva raccoglierne parecchi liang al giorno e andare quotidianamente a prenderne. La gente li portava addosso, o dentro cesti di bambù coperti d’erba, oppure li sbriciolava con due dita di giorno e li
faceva cadere sul terreno e li tornava a prendere di notte. Oppure li si arrostiva e li si mangiava proprio lì per terra, nei campi aperti, dopo una sorta di “incursione notturna”. I legumi si mettevano nei pentoloni di riso e li si portavano così a casa. Quando si rivoltava il terreno, si lasciavano
intenzionalmente i tuberi per terra e si tornava a prenderli quando calava la notte. Brancolando nel buio, capitava talvolta di afferrare un’altra mano; nessuno comunque fiatava. [...]
Esistevano delle differenze fra i vari tipi di furto anche per quanto riguarda gli orari. C’era chi andava di notte e all’alba; tutti costoro erano coloro che rubavano quantità ingenti: si caricavano sulle spalle una pertica e due recipienti, o un sacco di iuta -un solo sacco poteva contenere più di 100 jin. C’era chi di giorno prendeva qualcosa “di passaggio” (in questo modo si poteva raccogliere al massimo qualche decina di jin) e chi “arraffava” in pieno giorno durante la mietitura - tutte attività non pianificate e che si potevano definire “piccoli furti”. In ogni villaggio c’erano pattuglie nei campi, ma ci sono ormai ben pochi dubbi sulla loro inutilità. Si era soliti dire che se una sera era di pattuglia Tizio, lo stesso Tizio poi “entrava in azione”. Talvolta si faceva in modo di non prendere i propri compaesani; oppure chi era di pattuglia faceva da palo a chi rubava e finiva persino per mettersi a rubare anche lui. [...] C’è chi ritiene che in questi villaggi il furto fosse diventato quasi una forma alternativa di distribuzione privata [...] Durante l’indagine, il vecchio capodistretto di TG mi disse che il fenomeno dei furti si era aggravato nei tre anni più duri della collettivizzazione. In quel periodo tutti rubavano; se si fosse
fatto altrimenti, sarebbe stato il problema della fame a farsi pressante. Da allora fino agli anni ‘70, la maggior parte dei contadini si diede al furto dei cereali - senza rubare era impossibile sopravvivere. I furti erano faccende comuni, non un fenomeno
peculiare di uno o due villaggi. D’altro canto non erano nemmeno frutto di una libera scelta. [...]
E’ degno di nota che il vecchio capodistretto affermasse che anche loro, in qualità di quadri di partito, erano da tempo al
corrente di questa faccenda. Si sapeva, ma si taceva...
2) Occultamento della produzione e ripartizione privata dei prodotti
[...]
Anche l’occultamento della produzione e la ripartizione privata dei prodotti sono fenomeni apparsi già diverso tempo prima dell’inizio del processo di collettivizzazione agricola. Forse l’origine di questi reati va cercata negli occultamenti collettivi della produzione ad opera dei funzionari nei piccoli centri (come
rivela già un rapporto del 1951). I rapporti su questo genere di reati restarono comunque sempre
scarsi; se ne riportano ad esempio due particolarmente significativi verificatosi nel 1957 rispettivamente nel Zhejiang e nello Hebei2.. Nel corso della mia ricerca ho potuto esaminare diverso materiale molto esplicito (specialmente a Hong Kong), che mi ha portato a una visione dei fatti completamente nuova. Un esempio possono essere i resoconti relativi ai raccolti annuali apparsi sui giornali provinciali nel periodo immediatamente successivo alla collettivizzazione dell’intero territorio nazionale. Ad esempio, nella provincia del Jiangsu il fenomeno dell’occultamento collettivo della produzione era abbastanza grave: nel distretto di Tai l’80% delle comuni agricole occultava la produzione; in una circoscrizione del distretto di Xinghua venne alla luce che erano stati occultati e distribuiti privatamente 1.170.000 jin di frumento. [...] I metodi di occultamento erano i seguenti: la collettività nascondeva i rapporti alle autorità o faceva due rapporti, uno “ufficiale” e uno “privato, oppure non denunciava la parte ripartita tra i privati ecc. [L’autore prosegue illustrando i dati relativi all’occultamento e alla ripartizione privata della produzione in vari villaggi e distretti. Oltre alle ingenti quantità di cereali interessate in questi reati, stupisce constatare come intere comuni, squadre di produzioni e villaggi cooperassero in questo genere di operazioni. Riportiamo i casi più significativi segnalati dall’autore] [n.d.t.]
Le comuni agricole di tutto il territorio della provincia del Jiangsu assegnavano maggiore importanza alle necessità della comune stessa e trascuravano il lavoro statale; richiedevano inoltre come prima cosa le spartizioni tra i membri della comune, che dovevano essere abbondanti e di qualità. Negli anni in cui si verificò una diminuzione nella produzione a causa di calamità naturali, ci fu inoltre un aumento della
conflittualità tra stato, collettività e singoli individui. In alcune località, oltre all’occultamento
della produzione, c’erano anche casi di spartizione delle quote di sovrapproduzione destinate ai funzionari; in altre località si fermava la produzione, si chiudevano i granai e non si permetteva né la vendita delle quote di sovrapproduzione allo stato, né di dare queste stesse quote ai funzionari locali.
Nella provincia del Zhejiang diverse comuni agricole si dedicavano all’occultamento collettivo della produzione ed erano solite pesare il frumento con le vecchie stadere, dichiarando invece di aver utilizzato bilance standard, allo scopo di aumentare la quantità delle quote spartite
privatamente; altri reati consistevano nel consegnare frumento bagnato al fine di aumentarne fraudolentemente il peso. Registrare nei rapporti ufficiali solo la produzione di riso e frumento e non quella degli altri cereali e dei mangimi era un altro modo di occultare la produzione. D’altro canto, durante le distribuzioni di frumento, il migliore andava ai membri della comune, quello di qualità media allo stato e quello peggiore
ai funzionari.
[...]
I contadini del Guangdong cedevano malvolentieri il frumento allo stato. Alcuni responsabili delle comuni agricole erano soliti dire: “Per fargli vendere le quote di sovrapproduzione bisogna prima sparargli”. Per questo motivo molte comuni agricole riportavano quantità minori nei rapporti ufficiali. Tra i metodi usati vi erano i seguenti: 1) usare le stadere per la pesatura e dichiarare invece nei rapporti ufficiali di aver usato bilance standard; 2) non effettuare la detrazione del riso glutinoso che invece solitamente veniva diviso dalle quantità di cereali destinati al consumo; 3) calcolare di proposito nella pesatura anche la tara dei cesti di bambù; 4) nel calcolo della produzione, usare gli standard più bassi; 5) denunciare un numero falso di acri di terreno; 6) in caso di sovrapproduzione di grano, cercare di riportarlo nei depositi e di metterlo da parte; 7) pesare il grano umido come se fosse asciutto, aumentandone in questo modo il peso ad arte.
[...]
Nel distretto di Luodian, provincia di Qiannan, ben 300 comuni agricole occultavano collettivamente la produzione (nell’intero distretto c’erano 493 comuni)... il segretario della sezione del partito del villaggio era ricordato come uno dei più attivi nell’occultamento della produzione.
[...]
Tra le squadre di produzione del distretto di Yanzhunhe, nello Anhui, i fenomeni di occultamento della produzione, appropriazione illecita e furto erano assai gravi. In una circoscrizione del distretto di
Guoyang, di 33 comuni agricole e 328 squadre di produzione, 30 comuni e 277 squadre avevano occultato la produzione; 3 comuni e 11 squadre si erano macchiate di appropriazione illecita; 12 comuni
e 118 squadre di produzione avevano commesso furti.
[...]
Nella provincia dello Henan, i quadri di alcune comuni agricole avevano ricoperto il ruolo principale nell’organizzazione dell’occultamento collettivo della produzione e nella ripartizione privata del frumento. Un caposquadra nel distretto di Nanyang, durante il raccolto estivo aveva sottratto 33169 jin di legumi e li aveva distribuiti ai membri della comune; in 8 villaggi del distretto di Fuyang, nelle comuni agricole di 22 frazioni le quantità di frumento rubate e distribuite in piccoli gruppi avevano raggiunto la notevole
quantità di più di 210.000 jin.
[...]
Nella provincia del Qinghai parecchie comuni occultavano collettivamente la produzione, e nei rapporti esageravano a bella posta i danni provocati dalle calamità naturali.
[...]
Nella provincia dello Shanxi molte comuni si servivano di metodi quali l’abbassamento della produzione, l’aumento, nei rapporti, del frumento usato per i mangimi, la mancata registrazione di cereali diversi da grano e riso, l’occultamento della produzione e la ripartizione privata ecc...
[...]
Attraverso questo materiale è quindi venuto alla luce che l’occultamento della produzione e la
ripartizione privata dei prodotti erano fenomeni presenti in molti territori, quali lo Hebei, il Jiangsu, lo Anhui, lo Shanxi, lo Shandong, il Zhejiang, il Sichuan, lo Hubei, il Guizhou, il Jiangxi, il Liaoning, lo Heilongjiang, lo Shaanxi, lo Hunan, il Fujian, il Guangdong, il Qinghai ecc., coinvolgendo in tutto 17 province. Si può inoltre comprendere perché nel calcolo della produzione in questi territori sia necessario aggiungere un ulteriore 25% perduto in appropriazioni illecite e furto di cereali3.. In quest’ottica, durante il primo periodo della collettivizzazione agricola, l’occultamento della produzione e la ripartizione privata dei prodotti appaiono come fenomeni abbastanza diffusi; oltre alle province di cui si è parlato sopra, casi del genere erano già stati registrati nel Sichuan, nello Shandong, nello Heilongjiang, nello Shanxi, nello Anhui, nell’Henan e in altri territori prima della collettivizzazione a livello nazionale. Come si era arrivati a una situazione di questo genere? Una tra le varie ragioni va cercata probabilmente nel fatto che i contadini consideravano veramente (o “riconoscevano”) le comuni come “organizzazioni collettive” e, vista la loro relazione con il governo, mettevano com’è naturale se stessi al primo posto; molti forse
volevano semplicemente fare qualche speculazione4.. Forse la vera ragione è che, nella prima fase della collettivizzazione agricola, era facile scoprire reati come l’occultamento della produzione e le ripartizioni private dei prodotti, mentre successivamente queste pratiche vennero condotte sempre più
segretamente (i contadini si erano pian piano resi conto che questi “comportamenti” costituivano un grave “reato”). Nelle ricerche successive mi sono anche accorto di come l’occultamento della produzione e le ripartizioni private dei prodotti non fossero cose di poco conto o facili da farsi (come negli anni ’70 del XX secolo); adottare questi “comportamenti” presentava delle notevoli difficoltà e si aveva perciò bisogno di certe condizioni necessarie. Dal nord della Mongolia Interna fino al sud del
Sichuan, dello Yunnan, ovunque c’erano casi di giovani intellettuali e squadre di lavoro che occultavano la produzione e facevano ripartizioni private (principalmente si trattava di giovani intellettuali incaricati della contabilità). Evidentemente questo fenomeno era diffuso su larga scala; se poi consideriamo come parte del fenomeno fatti come la pesatura del prodotto bagnato e l’uso fraudolento delle stadere, reati come l’ “occultamento della produzione e la ripartizione privata dei prodotti” ci appaiono ancora più diffusi. I cambiamenti nello sviluppo di questi fenomeni seguivano un percorso preciso? Evidentemente,
durante questo primo periodo, l’occultamento della produzione e le ripartizioni private dei prodotti si verificavano con una sorta di “naturale spontaneità”; dopo una prima repressione, essi riapparvero comunque a singhiozzo. Un punto chiave nello sviluppo di questi fenomeni può essere individuato nei periodi difficili a seguito dei quali essi si diffondevano di nuovo. Per usare le parole di un mio conoscente, quadro di partito e membro di una squadra, (si trattava anche di un promotore della riforma agricola e dell’istituzione di cooperative): “Fu allora che si divenne bugiardi!” - per questo, durante l’autunno e l’inverno del primo anno dopo il Grande Balzo in Avanti, nel paese si verificò una nuova, vasta esplosione dei fenomeni dell’occultamento della produzione e delle ripartizioni private dei
prodotti. Lo stesso Mao Zedong affermò che “Se i contadini nascondono la produzione in magazzini segreti e la custodiscono, non fanno altro che proteggere i loro prodotti!”. Proprio a questo proposito egli adoperò il termine “resistenza” per definire questi comportamenti, affermando che essi “erano fondamentalmente ragionevoli”5....
Analisi delle cifre
Per quanto riguarda i “controcomportamenti” dei contadini possiamo fare anche un’analisi breve attraverso dei dati. Secondo le cifre riportate nelle statistiche ufficiali, in vent’anni di compravendite statali, le quantità di “frumento destinato al governo” non sperimentarono alcuna crescita, ma si mantennero sempre su un livello di 80-90 miliardi di jin. In altre parole, i contadini ebbero la meglio sui piani originari del governo circa il sequestro e la vendita delle “quote di frumento in eccesso” e riuscirono a proteggere i loro prodotti
[...] Questo sta a significare che il governo non riuscì a mettere le mani sull’aumento della produzione, ottenendo invece soltanto una sorta di “contributo fisso”, che al contrario costituì una percentuale sempre minore all’interno della produzione agricola.
[...]
Secondo le statistiche ufficiali, possiamo dividere in due periodi distinti l’era della collettivizzazione
agricola: un primo periodo che comprende i 10 anni dal suo inizio fino al 1965 (anni in cui si ebbe “crescita zero” per quanto riguarda la produzione di frumento); il secondo che va dal 1966 alla seconda metà degli anni ’70. In questo periodo si ebbe effettivamente una crescita nella produzione del frumento (da circa 400 a 600 miliardi di jin); tuttavia, questo incremento va di pari passo con quello della popolazione, e le quote pro capite restano perciò invariate. In altre parole, questo aumento nella produzione di frumento venne reso nullo dall’aumento della popolazione; di fatto questo frumento restava nelle campagne stesse. Quanto sopra detto può essere supportato da materiale pubblicato ufficialmente: si può quindi parlare di una rilettura della storia attraverso documenti storici ufficiali.
[...]
A quanto ammontano invece le “cifre non ufficiali”? Secondo i calcoli presenti nell’indagine da me condotta nello Shanxi, per quanto riguarda la produzione di frumento quasi il 20% del totale sarebbe stato sottratto dai contadini, una stima completamente in accordo con quanto affermato dal vecchio capodistretto di TG. E per quanto riguarda l’intera situazione nazionale? A questo proposito, ho chiesto espressamente l’opinione di Du Runsheng6.; secondo il suo
parere, la situazione era pressappoco la stessa in tutto il territorio nazionale7.. In una situazione nella quale l’intera Cina in un anno produceva più o meno 600 miliardi di jin di frumento, quasi 120 miliardi non rientravano nelle cifre ufficiali. Una cifra notevole, indubbiamente! Tutto questo dimostra che, se si vuole effettuare una ricerca davvero completa sul sistema dell’economia collettivizzata in Cina, non si può conoscere soltanto i “dati ufficiali”, ignorando quelli “non ufficiali”, dedicarsi solo all’osservazione del “lavoro collettivo” dei membri delle comuni agricole senza comprendere quei particolari “comportamenti privati” dei contadini. Questo rivela
anche la fallacità di luoghi comuni come “la ripartizione secondo il lavoro” e “il supporto al sistema”.
Tutto ciò fornisce una prospettiva veramente completa a questa nostra ricerca sull’economia
collettivizzata. Abbiamo inoltre dimostrato che, in base al metodo adottato, questo 20% della
produzione occultato non è una cifra di piccola entità e la sua esistenza non può essere sottovalutata. Di fatto, i contadini stavano già rinnovando e modificando il sistema dell’economia collettivizzata, costituendo propri spazi vitali; in questo modo fornirono una certa “credibilità” alle comuni agricole (questo immediatamente prima della decisione delle quote fisse di produzione per unità familiare) e fecero sì che l’economia collettivizzata rimanesse in vita, anche se ciò non aveva molto senso - un fatto, quest’ultimo, assai grave. Dobbiamo allora qui affrontare un problema che spesso in precedenza ci siamo già posti: perché i contadini cinesi non si sono “ribellati”? Tra le varie ragioni, una è appunto il fatto che i contadini avevano già adottato da tempo tali “controcomportamenti”, con il tacito assenso dello Stato. Per questo non ci fu bisogno, per i contadini, di “ribellarsi” e di “combattere fino alla morte” (e, d’altro canto, avevano già pagato un prezzo assai alto). Non c’è quindi da meravigliarsi che questi
“controcomportamenti” fossero già in se stessi una forma di resistenza “passiva”; i contadini scelsero intelligentemente il loro “campo di battaglia”: le terre, le campagne. C’è un altro problema su cui si è
particolarmente concentrata l’attenzione degli studiosi: la possibilità o meno di stabilire una media per quanto riguarda il frumento sottratto dai contadini. In realtà essi hanno frainteso il significato reale di questi fenomeni, che va cercato nel rapporto tra contadini e governo. Si tratta infatti del proverbiale “boccone strappato dalla bocca della tigre”: chi poteva, rubava, chi più, chi meno. Quanto poi si rubasse non è così importante. Per quanto riguarda i villaggi, sembra si trattasse di “distribuzioni a seconda dei bisogni”; non si agiva in base a una “media”, ma in base a dei “principi di equità”.
Varie
Ancora riguardo ai “controcomportamenti” dei contadini, vorrei sottolineare un altro punto: l’iniziativa spontanea dei contadini nell’adottare tali comportamenti e le libere scelte da loro fatte in varie situazioni sfavorevoli. Da un punto di vista storico, dopo che il Movimento di Collettivizzazione fu messo in atto su scala nazionale, una parte dei contadini credette nei vantaggi della mutua collaborazione e rispose all’appello del partito, ponendosi in prima fila per la realizzazione della collettivizzazione.
I promotori erano principalmente giovani intellettuali ambiziosi, cresciuti nel periodo successivo alla riforma agraria che, sotto la guida dei leader del partito, si costituirono in nuovi gruppi di combattenti (come ad esempio la “Comune delle Mazze Proletarie”). Questi gruppi erano soprattutto piccole comuni agricole, abbastanza diverse da quelle degli anni successivi, ed erano unità amministrative caratterizzate da una produzione unificata. Questi giovani leader godevano comunque del trattamento riservato ai funzionari e finirono poi per diventare leader o quadri del partito nei villaggi. Allo stesso
tempo si deve riconoscere che parte dei contadini era entrata invece a far parte delle comuni per evitare le “vendite allo stato”; dal momento che il peso delle responsabilità dei funzionari era assai gravoso, entrare nelle comuni poteva essere una soluzione migliore, dato che si godeva comunque di un trattamento preferenziale. A metà del 1955, prima del periodo di maggior diffusione delle comuni popolari, i contadini si accorsero della “tendenza imperante” e non poterono che entrare nelle comuni; alcuni entrarono “a gruppi” e, in qualche mese, il 60% dei contadini faceva parte di una comune (alla
fine del 1955 c’erano soprattutto comuni di livello base). Il rimanente 40% dei contadini in seguito si affrettò ad “adeguarsi”; trovandosi poi di fronte i risultati della riforma agricola e la perdita del materiale per la produzione (contrariamente a quanto accadeva con le quote di sovrapproduzione nelle comuni di
livello base, i terreni delle comuni di alto livello facevano parte dei beni della comune stessa), fecero propria la filosofia riassunta nei seguenti modi di dire: “fare i capisquadra”, “entrare nelle comuni”, “mangiare il pane dei funzionari” e via dicendo8.. In questo stesso periodo il governo stava di nuovo enfatizzando i due principi della “volontà personale” e del “reciproco vantaggio”; in realtà, anche se non se ne parlava, a lungo termine già si
ptevano notare i risultati della propaganda di partito sull’”aiuto reciproco” e la “cooperazione”, facendo sì che i contadini ancora “ritenessero erroneamente” che le nuove organizzazioni collettive fossero una sorta di “economia collettivizzata” che aveva però come punto cardine l’individualità. Per questo motivo ebbe origine il fenomeno dell’occultamento della produzione e della ripartizione privata dei prodotti a livello nazionale (1956). Da allora, i contadini non osarono più parlare dei profitti individuali in pubblico; i diritti erano qualcosa che apparteneva loro in quanto “singoli individui”; sottolineare come qualcosa appartenesse alla collettività diventava
viceversa una delle loro armi. Questa collettivizzazione “troppo rapida” naturalmente provocò una reazione; tra il 1956 e il 1957 tra i contadini si verificò “un’ondata di ritiri dalle comuni”. Ci si serviva ancora della legge non scritta secondo cui “entrare nelle comuni è un atto di volontà, uscirne uno di libertà”. “Ritirarsi dalle comuni” era comunque “disdicevole”; i contadini dunque non poterono che
rimanervi. [...]
I fatti dimostrano comunque che, di fronte ai cambiamenti che il sistema dell’economia collettivizzata portava nelle loro vite, [...] i contadini adottarono una “strategia bilaterale”: in altre parole, si stava ancora all’interno della collettività, ma si adottava una tattica di convivenza tramite cui “ci si adattava”. Questo riflette la strategia globale dei contadini, che si può definire semplicemente “rallentamento della produzione”; in termini concreti, si trattava di “limitare la produzione”, “adottare atteggiamenti passivi sul lavoro”, allargare i “terreni ad uso privato” [...]; d’altro canto, in privato ci si serviva di altri sistemi di “compensazione” per assicurarsi il proprio sostentamento. Questi sistemi includevano “l’occultamento della produzione e le ripartizioni private dei prodotti”, il “furto”, il “prestito di cereali” e così via. Comportamenti come l’occultamento
della produzione, le ripartizioni private e il furto per la maggior parte esistevano sin dal primo periodo delle comuni, altri erano pratiche tradizionali per i contadini (come il fare commercio sul lavoro ecc.), mentre solo alcuni apparivano di recente ideazione (come il prestito di cereali ecc.); tuttavia, in questo periodo, essi si erano già diffusi tra i contadini; la differenza principale con i “controcomportamenti” era che questi ultimi invece erano tipici dei contadini in questo particolare periodo. In passato, tutti questi erano considerati “fenomeni
negativi”, ed erano accolti con disprezzo e critiche; secondo la mia opinione, essi sono invece il
contributo positivo dei contadini alla storia dato che il loro significato non può
essere certo sottovalutato. Tra questi comportamenti, il “controllo della produzione” e l’ “abbassamento della produzione” forse sono ancora visti con scetticismo da alcuni, oppure vengono accolti con forti dubbi. In realtà, l’abbassamento della produzione e il comportamento passivo sul lavoro sono due fenomeni strettamente legati tra loro; da un certo punto di vista, sono le due facce di una stessa medaglia. Il risultato di atteggiamenti passivi sul lavoro non era forse l’abbassamento della produzione? Certo, anche se molti non ne avevano la consapevolezza. Da questo
punto di vista, la passività sul lavoro incarna l’atteggiamento fondamentale dei contadini nei confronti dell’economia collettivizzata. Quando si parla di “limitazione della produzione”, c’è il rischio che molti possano fraintendere. La disperata lotta per la sopravvivenza delle comuni agricole, che causava costante preoccupazione circa l’aumento della produzione come poteva conciliarsi con il principio opposto? Durante la mia indagine a Pechino, finalmente compresi che, nel periodo dell’economia collettivizzata, i contadini potevano avere raccolti di grano migliori, ma non lo volevano. Quest’affermazione ci sembra davvero “inesplicabile”9.;a questo punto, il problema merita ulteriori approfondimenti e ricerche. Confrontati tra loro, “l’occultamento della produzione”, la “ripartizione privata dei prodotti” e il “furto” suscitano tutti un’impressione profonda. Tali fenomeni si diffusero; vennero messi in atto con diversi sotterfugi; si cercava di porvi freno e non vi si riusciva, come se il controllo fosse impossibile, ed effettivamente non si poteva impedirli.
[...]
Una pratica ancor più segreta ed astuta era il “prestito di cereali”. Si prendevano in prestito dei cereali e non li si restituiva; oppure, si registrava il prestito nel calcolo della produzione, oppure si restituiva in denaro e non in cereali. Si trattava di un reato, è vero; ma c’era una ragione per cui non permettere ai contadini di “prendere in prestito dei cereali”? Questi contadini altrimenti sarebbero morti di fame. Lo si
poteva impedire? La stessa particolare attenzione merita il fenomeno del “cercar lavoro altrove”. Come “lavoro” si intende qualunque lavoro
diverso da quello nei campi, oppure il commercio (stiamo parlando essenzialmente di piccoli commercianti o venditori ambulanti). Questa era una pratica di comportamento tradizionale tra i contadini cinesi; tuttavia, in quel periodo, essi erano costretti dalle comuni agricole a rimanere nelle campagne. Era permesso solo il “lavoro nei campi”. Tuttavia, sia nelle località povere che in quelle più sviluppate, i contadini si sforzarono di superare questa limitazione, e questo divenne
naturalmente un enorme attacco al sistema.
[...]
Questi sforzi da parte dei contadini presentavano un indubbio “spirito di collettività”.
Specialmente per quanto riguarda comportamenti come “l’occultamento della produzione e le ripartizioni private dei prodotti”, era necessario organizzare un’intera squadra e dare un compito preciso a ciascuno. Le condizioni erano simili per quanto riguarda il “prestito dei cereali” ma in questo caso non si agiva troppo su base equa. Il furto era il comportamento meno “democratico” e comunque non era un comportamento collettivo, dato che si basava sull’azione di singoli individui. Ma, come accadeva in alcune località, talvolta i capisquadra permettevano ai membri della comune di rubare qualcosa,10. a
dimostrazione che anche questo era comunque un comportamento comune all’intera collettività, anche se non troppo equo, dato che c’erano persone che non rubavano. Questo dimostra che i contadini non cercavano “una media pro capite”, ma piuttosto una sorta di “equanimità”, una distribuzione dei prodotti basata su una “morale”. Inoltre, questo comportamento dei contadini era attuato in modo ragionevole; in generale, ci si conteneva nel rubare. Questo dimostra anche che, anche durante la “frammentazione” del primo periodo, c’era pur sempre una grande consapevolezza comune tra le masse e i quadri del partito; anche sotto grandi pressioni, i contadini avevano molto “senso del gruppo”.
In una situazione del genere, era necessario andare avanti con questa “economia collettivizzata” ormai falsa e priva di senso? Era indispensabile che il governo costringesse i contadini ad “occultare”, a “rubare”, a “prendere in prestito”, ad “allargare i terreni ad uso personale” ed a utilizzare sistemi diversi per eludere le sue direttive? ...Questa era la scelta che si poneva davanti alla gente in quel periodo. Per questi motivi, alla fine (quando cioè le condizioni esterne si adattarono ai cambiamenti che si stavano verificando), ebbe luogo la “riforma agricola”, e si entrò in una nuova fase delle relazioni tra contadini e governo. In un arco di tempo di dieci anni, nonostante nelle campagne esistano ormai “sistemi
democratici” quali “elezioni” e “rapporti alle masse”, tutte queste realizzazioni non sono state di grande utilità. In fin dei conti, sono stati i “controcomportamenti” dei contadini, e le “osservazioni” e le “valutazioni” espresse dai contadini stessi attraverso queste azioni, e non la “resistenza dura” alle regole del sistema stabilito dai funzionari, a fare “buco nel sistema”. [...] Il risultato è stato che non
solo sono stati resi vani gli sforzi del governo, ma si è anche arrivati a una riforma del sistema stesso, avviando inoltre riforme ben più grandi a livello dell’intero sistema agricolo in Cina. Dei risultati davvero non trascurabili!
Conclusioni
Questa ricerca si presenta come frutto dell’interesse verso il processo di collettivizzazione in Cina, sorto nel mondo scientifico negli anni ‘90. Le ricerche condotte fino a questo momento, nonostante l’indubbia autorevolezza scientifica degli autori, presentano tuttavia un’evidente lacuna: la mancanza di dati e riflessioni sul comportamento dei contadini di fronte a questo fenomeno. Questa mancanza potrebbe sembrare giustificata dal fatto che il processo di collettivizzazione fu una scelta imposta alla classe dei contadini da parte dei vertici del partito comunista; il fatto poi che i contadini fossero spesso dipinti da
questo tipo di letteratura come semplice controparte passiva delle strategie decise dall’alto appare come un ulteriore spiegazione all’assenza di uno studio specifico sui loro comportamenti. Il
fatto poi che vi fosse una specie di ostracismo nei confronti di questo tipo di ricerca è stato un altro enorme ostacolo per gli studiosi, che, come chi scrive, hanno dovuto esaminare il problema senza il supporto di una letteratura antecedente e senza poter accedere a dati e materiali importanti. D’altra parte, analizzare il processo di collettivizzazione nelle campagne cinesi senza tenere conto delle reazioni dei contadini
priverebbe questo tipo di ricerca della sua principale ragione d’essere. Questo contributo vuole quindi essere un approccio innovativo che auspicabilmente possa anche avviare un nuovo filone di ricerca che, oltre al puro valore scientifico, potrà anche essere un riferimento indispensabile per l’elaborazione di nuove politiche in favore della aree rurali cinesi.
(traduzione dal cinese, riduzione ed adattamento del testo in italiano di Anna Maria Paoluzzi)
MONDO CINESE N. 124, LUGLIO-SETTEMBRE
2005