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CULTURA E SOCIETÀ

Il “mercato” degli studenti cinesi e l’Italia 

di Alessandra C. Lavagnino

1. Studenti e “mercato”

“L’Italia va in Cina a caccia di studenti”1, è questo il titolo di un articolo comparso nel febbraio di quest’anno su Huanqiu shibao-Global Times, la rivista a cura della redazione esteri del Quotidiano del popolo che ogni lunedì, mercoledì e venerdì racconta ai cinesi quello che succede nel mondo. Nell’articolo si descrive dettagliatamente come, finalmente, anche i principali atenei del nostro Paese abbiamo ritenuto opportuno, per la prima volta, far conoscere i propri percorsi formativi in Cina attraverso la partecipazione diretta alla decima edizione della “Mostra itinerante dell’istruzione cinese” (Zhongguo guoji jiaoyu xunhuizhan), un evento organizzato proprio in quel periodo dal Chinese Service Center for Scholarly Exchange (Zhongguo liuxue fuwu zhongxin). “A quanto si dice, le università italiane che si recheranno in Cina a partecipare alla mostra saranno più di dieci, questa si può considerare una novità che colma un vuoto. Dopo anni di letargo, alla fine le grandi porte dell’istruzione italiana si aprono alla Cina, e anche gli atenei italiani cominciano a darsi da fare per ‘accaparrarsi’ studenti nel ‘mercato degli studenti cinesi all’estero’ (Zhongguo liuxuesheng shichang)”2. L’articolo del giornalista cinese, da anni corrispondente a Roma dell’organo del Partito comunista cinese e profondo conoscitore della realtà italiana, prende spunto dalla partecipazione all’evento cinese di un buon numero di Atenei italiani (24), sotto l’egida della CRUI (Conferenza dei rettori delle università italiane), per fare il punto sulla situazione attuale. Se da un lato mette in evidenza la quasi totale assenza del nostro Paese in un qualunque importante progetto formativo cinese, sottolinea per altri versi come nella spregiudicata Cina di questi ultimi anni anche la formazione dei giovani, e in particolare l’istruzione superiore, viene ormai assai pragmaticamente considerata soprattutto come un aspetto, e molto importante, di quel globale mercato nel quale bisogna a tutti i costi, e in tempi rapidi, assicurarsi un posto preminente.

2. Ieri e oggi 

Da tempo sono stati archiviati gli anni dello stretto controllo dello stato (e del partito) sulla preparazione dei “rossi ed esperti” (you hong you zhuan), dei “continuatori della causa rivoluzionaria” (geming shiye jiebanren), di quella ristretta élite che veniva selezionata per frequentare le pochissime università e poi “assegnata” (fenpei) d’ufficio alle diverse “unità di lavoro” (danwei) in base alle esigenze della pianificazione centrale. Il sistema di istruzione superiore e universitario è ormai diventato, in seguito a una serie di riforme sempre più “radicali”, una complessa megastruttura che produce annualmente milioni e milioni di laureati e diplomati che si affacciano su un mondo del lavoro ormai estremamente diversificato, e per molti versi difficilmente controllabile3. Vediamo innanzitutto qualche dato: nel 1992 erano 2,18 milioni gli studenti universitari, ma già nel 1998 erano aumentati fino a 7,8 milioni4 e, secondo l’ultimo Rapporto statistico sullo sviluppo economico e sociale della RPC a cura dell’Ufficio Statistico nazionale cinese5, nel 2004 erano 820mila gli studenti iscritti ai corsi di dottorato (tra cui 326mila matricole e 151mila dottorati), e 13milioni e 335mila gli universitari di primo livello (inclusi 4milioni 473mila matricole e 2milioni 391mila laureati di primo livello). L’anno accademico appena concluso ha visto, lo scorso giugno, la partecipazione all’Esame nazionale di ammissione all’università (gaodeng xuexiao zhaosheng kaoshi, solitamente abbreviato nella formula Gaokao) di 8milioni 670mila diplomati delle diverse scuole superiori. E anche se “il programma di allargamento dell’offerta didattica delle università cinesi iniziato sette anni fa ha, pur fra opinioni discordi, notevolmente migliorato le possibilità di accesso, solo il 54% dei partecipanti all’esame di ammissione potrà quest’anno trovare posto nelle diverse università del paese”6. Resta quindi ancora relativamente bassa la percentuale dei giovani che oggi arrivano a frequentare le università cinesi: si tratta del 17% dei ragazzi in età tra i 18 e i 22 anni, una percentuale che rimane molto al di sotto di altri paesi asiatici, come la Corea del sud o le Filippine, secondo quanto le stesse fonti cinesi rilevano7. E tutto questo malgrado il citato, pur controverso, ampliamento realizzato, a partire dal 1998, attraverso la progressiva apertura da parte delle istituzioni governative sia dell’offerta didattica nel settore degli atenei e istituti statali, sia nei confronti degli investimenti privati, e stranieri; apertura che ha permesso l’istituzione di diversi tipi di scuole superiori e università eufemisticamente definite, in cinese, come minban, letteralmente “gestite dal popolo”, ovvero “non-statali”. Erano, nel 2003 più di 70mila le scuole di questo tipo, con un totale di 14milioni e 160mila studenti, 1879 gli istituti di istruzione di tipo universitario, con un milione e 900mila studenti, e di questi solo 197, con 810mila iscritti, erano autorizzati a conferire diplomi accademici riconosciuti dallo stato8

3. Studiare all’estero!
 

In questo quadro ha assunto un’importanza sempre più decisa la possibilità - del tutto nuova per i cittadini della Repubblica Popolare Cinese - di poter completare, anche a proprie spese, la formazione ed il perfezionamento all’estero. Gioverà ricordare che, a partire dal 1978, per circa 20 anni era stato soltanto grazie all’autorizzazione, e con il controllo, del governo che i giovani cinesi avevano potuto recarsi all’estero, con accordi e finanziamenti regolati su base ufficiale: si trattava di diverse forme di cooperazione intergovernativa, e quindi a spese dello stato, o grazie a borse di studio erogate dal paese ospitante, e quindi senza alcun onere finanziario per le famiglie. In questo periodo vennero inviati 320mila studenti in Università ed istituti di ricerca di 103 paesi (nel 1999 solo 100mila di questi erano tornati in Cina)9; nel 1998 vennero inviati all’estero anche i primi 28 studenti delle scuole medie superiori, sempre su progetti intergovernativi10. La graduale ma netta politica di liberalizzazione che il governo cinese ha intrapreso in questi ultimi anni ha rapidamente provocato un radicale cambiamento nella tipologia del giovane studente cinese che si reca all’estero. “Today, mainland students are no longer political tools. They have become a business”, affermava già nel 1998 il corrispondente da Pechino del South China Morning Post, fornendo questi dati: 40mila studenti cinesi già studiavano nelle Università nord americane, 23mila in quelle giapponesi, tra 5 e 6mila in Gran Bretagna, 4mila500 in Francia, 6mila in Germania, 2mila a Singapore (l’Italia, ovviamente, non viene neppure menzionata)11.

4. Dove vanno? 

Da allora un numero sempre crescente di giovani e meno giovani finalmente ha cominciato a potersi muovere autonomamente, e a proprie spese, in caccia di Corsi di Laurea, Dottorati e Master, anche costosissimi, ovunque. Fino a qualche anno fa erano soprattutto gli Stati Uniti la meta favorita per corsi lunghi e brevi, il grande sogno di centinaia di migliaia di ragazzi, per la cui realizzazione le famiglie si sottoponevano anche a duri sacrifici. Un successo letterario del 2001 (1milione e 100mila copie vendute) è stato Liu Yiting, ragazza di Harvard: la vera storia di un’accurata preparazione12, testo nel quale i genitori della ragazza, fierissimi, descrivono come abbiano scientificamente preparato la loro figlia fin dalla nascita per venire accettata nella più prestigiosa università americana. E il successo di questo progetto “strategico” che vede la diciottenne Liu Yiting accettata non solo da Harvard ma da altre tre prestigiose sedi americane rimbalza prepotente sulla stampa, scatenando forum, dibattiti, richieste di consigli, e favorendo successive pubblicazioni di altre analoghe esperienze13. Dopo l’11 settembre, tuttavia, le politiche restrittive in merito alla concessione di visti agli stranieri hanno prodotto anche il drastico calo nel numero delle presenze di studenti cinesi negli Usa14. Contemporaneamente alcuni paesi europei (tra i quali di sicuro non il nostro) andavano perfezionando procedure di accoglienza nei confronti di studenti stranieri, e cinesi in particolare, che hanno visto innanzitutto una interessante diversificazione riguardo ai contenuti dell’offerta formativa, oltre alla possibilità, a volte, di condizioni relativamente vantaggiose per gli studenti stranieri. La Germania, ad esempio, ha dal 2001 investito 6 milioni di euro l’anno mediante bonus agli Istituti che offrono corsi in inglese, e oggi sono 500 i master in inglese, con un aumento del 27% degli studenti stranieri, in gran parte cinesi e indiani15. Rimane comunque imponente il business degli studenti stranieri innanzitutto per i paesi anglofoni, con Inghilterra, Australia, Irlanda, Nuova Zelanda e Canada che hanno saputo brillantemente colmare eventuali spazi lasciati, forse solo momentaneamente, dal colosso americano. In particolare, nel 2004 le richieste cinesi per le prestigiose Graduate School americane sono diminuite del 45%, dirette molto probabilmente in Europa. Gli Stati Uniti, comunque, continuano a tenere ben stretta in mano la palma delle più prestigiose università nelle quali andare a studiare, e le famiglie cinesi che vogliono investire per il futuro dei loro ragazzi ben conoscono le graduatorie internazionali dei migliori atenei. A questo proposito, lo scorso anno l’Università Jiaotong di Shanghai ha compilato e messo in rete una classifica delle 500 principali università del mondo16 e delle prime 20 ben 17 sono americane, e 170 su tutte e cinquecento!17

5. La raccolta delle informazioni 

Va però ricordato che ancora oggi in un paese come la Cina dove, come si è detto, fino a pochi anni fa era quasi impossibile recarsi all’estero se non per motivi ufficiali, rimane ancora piuttosto complesso il reperimento, per chi voglia andare a studiare all’estero, di informazioni e notizie utili in merito ai documenti necessari, l’autenticazione e il riconoscimento dei titoli di studio, le procedure per l’ottenimento del visto, le modalità per iscriversi nei diversi atenei, e le informazioni sulle condizioni della vita studentesca. Si rivela quindi preziosa la documentazione al riguardo che si trova su nuovi periodici come China Campus - Daxuesheng, un mensile che si pubblica, a cura della redazione del Beijing qingnianbao, a partire dal settembre 2004, o che facilmente si scarica da diversi siti dedicati che fanno capo al Ministero dell’Istruzione cinese il quale, per cercare di tenere sotto controllo una situazione che potrebbe diventare davvero esplosiva18, ha autorizzato alcuni centri e un cospicuo numero di Agenzie di servizi alla gestione ordinata del flusso degli studenti verso l’esterno19. Tali enti da tempo organizzano Fiere, Convegni ed Esposizioni20 per promuovere informazioni e contatti con università e organismi di tutto il mondo, e ordinatamente canalizzare l’imponente ondata di giovani che sempre più consapevolmente vuole e può decidere, finalmente, della propria futura formazione.

6. Chi va all’estero? 

Si tratta comunque di un investimento costoso, quello di mandare un ragazzo a studiare “fuori”, e che quindi, ad oggi, può riguardare solo una parte decisamente minima del paese. Tuttavia, secondo un recente studio della Merryl Lynch, una delle maggiori società di analisi finanziaria internazionale, se oggi sono “solo” 30 milioni i cinesi che possono permettersi beni di lusso, il 2% della popolazione, nel 2009 la Cina dovrebbe coprire il 20% di questo importante mercato21. Una interessante fascia di consumatori la cui rapida e costante espansione apre, non solo per le imprese di questo settore tradizionalmente ritenuto “di nicchia”, prospettive decisamente nuove. Ma se è vero che i cinesi sanno ormai tutti scandire i nomi delle marche che contrassegnano il successo (e sono in gran parte nomi italiani: famoso il “delirio” per la Ferrari in occasione del Primo Gran Premio di formula Uno, a Shanghai lo scorso autunno, come famose sono le grandi marche del Made in Italy), ed altrettanto riconosciuta è la nostra creatività attraverso l’arte, la musica, il cinema che, nell’immaginario cinese, rappresentano oggi un vero e proprio mito, appare ancora più strabiliante la quasi completa mancanza del nostro Paese proprio in un campo che non solo per i nuovi ricchi cinesi costituisce un vero punto di onore. Quello della educazione. Il nostro Paese che di arte, musica, creatività e lusso è la culla, viene completamente ignorato per quello che riguarda il processo di formazione verso tutto questo, l’istruzione.

7. Che fare? 

Rispetto alla situazione di totale assenza che fin dall’anno scorso lamentavamo dalle pagine di questa stessa rivista22 qualche cosa è stato fatto. Ma lasciamo che sia ancora il giornalista cinese a parlare: “Non è un segreto che in questi ultimi anni il numero di persone che la Cina ha mandato a studiare in Europa è aumentato costantemente: tuttavia l’Italia, rispetto ai suoi vicini, pare proprio che in fondo non avesse capito quanti studenti cinesi poteva accogliere. Finché il primo ministro Wen Jiabao, recatosi in visita in Italia, ha affermato che non solo gli studenti cinesi in Gran Bretagna, in Germania e in Francia sono alcune decine di migliaia, ma che non sono pochi neppure in paesi relativamente piccoli come la Svizzera e il Belgio. Invece, in Italia, ci sono solo poco più di 500 studenti cinesi. Ed ecco allora che tutto d’un colpo l’Italia si è svegliata, e finalmente si rimbocca le maniche. Da allora, l’ambasciatore italiano in Cina si è mosso attivamente tra Pechino e Roma. E anche il Ministro degli esteri italiano e il Presidente di Confindustria si sono lamentati a gran voce: “L’Italia deve aprire il mercato degli studenti stranieri alla Cina!”. Gli italiani, si sa, fanno sempre le cose all’ultimo momento, ma una volta svegli si danno da fare più di altri. E così, solamente nella seconda metà dell’anno scorso più di 300 studenti cinesi sono arrivati in Italia: alcuni frequentano corsi di laurea di primo livello, altri sono dottorandi e specializzandi; la maggior parte di loro è disseminata nelle regioni settentrionali”23. Si tratta allora di capire fino a quale punto il nostro Paese vuole e può entrare all’interno di questo importante circuito internazionale, perfezionando una scelta strategica che favorisca finalmente anche presso di noi la formazione di membri di quella che sarà presto la nuova élite cinese, contribuendo in maniera fattiva a creare preziosi e insostituibili legami di “fidelizzazione” con le nostre Università, i nostri istituti di ricerca, le nostre imprese e istituzioni.

8. Il “Progetto Marco Polo” 

In questo quadro si inserisce il “Progetto Marco Polo”, che dall’anno scorso la CRUI ha lanciato, coinvolgendo un buon numero di Atenei italiani in iniziative come la partecipazione all’evento di cui si parlava nell’apertura di questo articolo24, partecipazione che è stata salutata con grande interesse e simpatia dalla stampa cinese25. Ma lasciamo ancora una volta la parola al giornalista cinese: “In base al Progetto, le università italiane quest’anno si preparano ad accogliere 2000 studenti e specialisti cinesi di vario livello. A quanto pare, gli studenti cinesi in Italia potranno aumentare velocemente. A paragone con quello di altri paesi europei, il mercato dello studio all’estero italiano ha davvero i propri vantaggi. Innanzitutto, l’Italia non considera l’istruzione come un’industria che produce reddito: le tasse universitarie sono piuttosto basse (la retta annuale di un ateneo pubblico è di circa 20-30mila RMB), e anche il costo della vita non è alto (servono dai 500 ai 1000 euro al mese). Gli studenti stranieri mentre studiano possono anche lavorare. Negli istituti di istruzione superiore italiani, fra le migliori specialità bisogna contare i corsi di design, come design di interni, design industriale, design per l’architettura e così via. Oltre a questi, le belle arti, la musica, le arti visive e altre specialità sono molto buone. Ad andare a studiare in Italia, tuttavia, bisogna essere pronti. Prima di tutto, quasi nessuno degli atenei italiani fornisce alloggi agli studenti: alcuni hanno delle “Case dello studente”, ma il numero è ridotto e l’offerta non è adeguata alla domanda. Inoltre, quello relativo alla lingua è un grosso problema. Le università usano l’italiano e non l’inglese per tenere lezione. Prima di andare a studiare in Italia, quindi, è meglio poter avere un po’ di preparazione dal punto di vista linguistico, altrimenti dopo essere entrati in università è molto difficile tenere il passo con il corso di studi.”
26 Si tratta a questo punto di sviluppare concretamente una serie di iniziative coordinate per favorire innanzitutto la diffusione dello studio della nostra lingua e della nostra cultura in Cina, e non soltanto a livello universitario; potenziare in Cina i servizi di informazione e consulenza riguardo allo studio nel nostro Paese27, sciogliere gli annosi e complessi nodi burocratici legati innanzitutto al riconoscimento dei percorsi di studio, alla concessione del visto, del permesso di soggiorno per studenti, e poi costituire o potenziare i servizi in loco per rendere possibile un proficuo soggiorno di studio per studenti che, ricordiamolo, non stanno cercando condizioni economiche di favore - gli studenti zifei “a proprie spese” sono spesso più che benestanti ma un ambiente internazionale nel quale formarsi per il futuro. In questo senso ci auguriamo che il viaggio a Pechino del Ministro Moratti potrà fornire delle risposte concrete.

 

 

MONDO CINESE N. 123, APRILE-GIUGNO 2005

Note

1 Shi Kedong, “Yidali dao Zhongguo qiang liuxuesheng”, in Huanqiu shibao, 23 febbraio 2005, p. 19. 
2 Ibid.
3 Sulla nuova redistribuzione delle risorse umane nel mercato del lavoro cfr. Cooke F.L., HRM, Work and Employment in China, Londra, Routledge, 2005; Hanser A., “The Chinese Enterprising Self: Young, Educated Urbanities and the Search for Work”, in Link P., Masden R., e Pickowitz P. (a cura di), Popular China, Unofficial Culture in a Globalizing Society, Oxford, Rowman e Littlefield, 2002, pp. 189-206. 
4 Cfr. Anonimo, “Graduate employment: High hopes, low access”, in China Daily, 11 maggio 2004 (Internet Ed.). 
5 Cfr. Guojia tongji ju, 28 febbraio 2005, in www.stats.gov.cn.  
6 Cfr. “Policy changes to ease exam tension”, in China Daily, 7 giugno 2005 (Internet Ed.). 
7 Cfr. Anonimo, “Reform curriculum to help graduates find jobs”, in China Daily, 3 giugno 2005 (Internet Ed.).
8 Cfr. Lan Xinzhen, “Private Universities gain favour”, in Beijing Review, n. 28, 2004, pp. 24-32. Sono cinque i tipi di “Università non statali” secondo l’articolo citato: 1) Università che offrono un’istruzione professionale di alto livello, e sono autorizzate a conferire diplomi riconosciuti. Gli iscritti debbono aver superato il Gaokao; 2) Università che preparano gli studenti per sostenere gli esami nazionali di diploma, non sono autorizzate a conferire titoli riconosciuti, e quindi non richiedono il superamento del Gaokao; 3) Università che preparano gli studenti agli esami nazionali come privatisti, e quindi non danno titoli né richiedono il Gaokao; 4) Università che rilasciano certificati di qualificazione professionale, non diplomi riconosciuti dallo stato, non richiedono il Gaokao, ma il superamento di una prova d’ingresso; 5) Università in cofinanziamento tra partner cinesi ed esteri, con reclutamento degli studenti in base a un proprio regolamento, non richiedono il Gaokao, e conferiscono titoli validi solo per il perfezionamento all’estero, e nelle strutture concordate con i partner stranieri. 
9 Cfr. Cui Ning, “More scholars return from abroad”, in China Daily, 2 aprile 1999 (Internet Ed.). Valga come esempio il testo di Qian Ning, Liuxue Meiguo (Studiare in America), Nanchino, Jiangsu wenyi chubanhshe, 1996, nel quale l’autore, figlio dell’allora ministro degli esteri, Qian Qichen, racconta la sua lunga esperienza, dal 1989 al 1995 presso la Michigan University come ricercatore di giornalismo.
10 Cfr. Cui Ning, “More students to go abroad”, in China Daily, 10 febbraio 1998, p. 6.
11 Cfr. Seidliz P., “Foreign universities reap rewards from mainland students”, in South China Morning Post, 8 febbraio 1998, p. 14. 
12 Zhang Xinwu e Liu Wenhua (a cura di), Hafo nuhai Liu Yiting: suzhi peiyang jishi, Pechino, Zhongguo qingnian chubanshe, 2000. 
13 Cfr. www.gzqg.net.cn/hdhf/szjy. 
14 Cfr. Rosenbloom J., “Concern on U.S. campuses as foreign enrolments decline”, in International Herald Tribune, 19 ottobre 2004, p. 11.  
15 Cfr. Lee J.J., “Europe lures students once bound for U.S.”, ibid. 
16 Si veda il sito dedicato: ed.sjtu.edu.cn/rank/2004 2004Main.htm. 
17 Cfr. Dillon S., “U.S. slips in luring world’best students”, Ivi, 22 dicembre 2004, p. 5. La prima delle università italiane è Roma-La Sapienza, al 93° posto, la seconda è l’Università degli Studi di Milano, al 123°, la terza è Pisa, al 156°. Cfr. nota 16. 
18 In questi ultimi anni si è avuto un boom di titoli accademici falsi, rilasciati da fantomatici istituti e università in diverse zone del paese, e di società di servizi finalizzati all’espatrio per motivi di studio, che coprivano traffici clandestini e attività illegali. Cfr. ad esempio, Cui Ning, “Unqualified teaching websites shut down”, in China Daily, 20 luglio 2004 (Internet Ed.). 
19 Sarebbero ben 370 le Agenzie riconosciute dal Ministero dell’Istruzione cinese. Nel sito del Ministero (www.moe.gov.cn) si trovano anche i link con gli Uffici Istruzione di diverse ambasciate straniere in Cina: nell’ordine, Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna, Canada, Russia, Giappone Australia (l’Ambasciata d’Italia non viene citata poiché non ha un Ufficio Istruzione). Tra le strutture che al Ministero fanno capo si segnala il Zhongguo liuxue fuwu zhongxin (Chinese Service center for Scholarly exchange) (www.csc.edu.cn), che ripartisce la materia in tre ulteriori link: per chi vuole andare a studiare all’estero esiste www.chuguo.net.cn (in cinese e inglese), mentre per attrarre gli studenti cinesi che si trovano all’estero www.huiguo.net.cn (in cinese e inglese), e per gli studenti stranieri che vogliono studiare in Cina cfr. www.studyinchina.net.cn (in cinese e inglese). Al Ministero fanno riferimento anche il Dongfang Guoji jiaoyu jiaoliiu zhongxin (Dongfang International center for educational exchange) www.csc-studyabroad.net e il Zhongguo Gaodeng jiaoyu xuesheng xinxi wang (The National information and career center for university students) (www.chsi.com.cn).  
20 Cfr. il rapporto di Bulfoni C., “Beijing International Education Expo 2004”, in Mondo cinese, n. 121, ottobre-dicembre 2004, pp. 63-68. 
21 Cfr. Watts J., “China’s new consumers get a taste for luxury gods”, in The Guardian, 18 giugno 2005, p. 3. 
22 Cfr. il mio “Dove vanno gli studenti cinesi’”, in Mondo cinese, n. 119, aprile- giugno 2004, pp. 47-53.  
23
Cfr. Shi Kedong, cit., nota 1.  
24
In base al progetto, le istituzioni competenti dei due paesi istituiranno rispettivamente in Italia e in Cina uffici di rappresentanza, specialmente per fornire servizi di consulenza agli studenti cinesi che desiderano andare in Italia per specializzarsi. Agli studenti e dottorandi cinesi che progettano di recarsi a studiare in università italiane, verranno fornite informazioni su condizioni di accoglienza, organizzazione delle specialità, lingua e cultura; la CRUI e la Confindustria, sviluppando la cooperazione tra Cina e Italia, forniranno facilitazioni agli studiosi di università e istituti di ricerca e permetteranno a studiosi cinesi di recarsi presso istituti di ricerca scientifica italiani a svolgere attività di ricerca. La Confindustria farà in modo che alcuni laureati cinesi, dopo esercitazioni ed esami di lingua, si rechino in aziende in Italia e in aziende italiane in Cina a fare attività di tirocinio nel loro campo specifico. Ulteriori dettagli sul progetto e sulle iniziative si leggono nell’apposito sito www.crui.it/ marcopolo/.  
25
Cfr. Wang Zhuoqing, “Ciao! Italy tries to get into the act”, in China Daily, 14 marzo 2005, p. 5, Anonimo,”Yi Zhong liangguo you wangniannei huren xueli”(Entro fine anno ci sarà tra Italia e Cina il riconoscimento reciproco delle carriere accademiche), in Xin Jing bao, 28 febbraio 2005, p. D67. 
26 Cfr. Shi Kedong, cfr. nota 1.
27 La nostra Ambasciata a Pechino ha recentemente aperto il sito www.studyinitaly.cn.

 

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