[“Cong boyilun kan ‘fan fenlie fa’
de gongneng”, Zheng ming, n. 4
(330), aprile 2005, pp. 83-86.]
Un’interessante chiave interpretativa
della situazione
venutasi a creare nello Stretto
di Taiwan in seguito all’approvazione
della “Legge antisecessione”
1 è fornita da questo
lavoro di Yan Jiaqi, noto accademico
e politologo, oppositore al
regime dopo la repressione di
Tian’anmen e attualmente residente
negli Stati Uniti. Questo saggio,
utilizzando un modello della teoria
dei giochi, ipotizza che nello
Stretto si svolga un gioco a più
agenti, cui prendono parte anche
gli Stati Uniti e il Giappone. Tuttavia
questa legge potrebbe modificare
l’impostazione del gioco, trasformandolo
da un gioco “a quattro” e “a tre” in un gioco “a due a
somma diversa da zero”.
(M.M.)
*******
L’approvazione della “Legge antisecessione”,
avvenuta il 14 marzo
2005 da parte dell’Assemblea
Nazionale del Popolo, dal punto
di vista della teoria dei giochi,
costituisce una mossa dell’”
agente” Cina nel gioco “a più
parti” della politica nell’area Asia-Pacifico. Sebbene sia gli Stati Uniti
che la Repubblica Popolare Cinese
ritengano che Taiwan sia parte
della Cina, tuttavia, dal punto
di vista della teoria dei giochi,
Taiwan è un “agente” dotato di
capacità d’azione autonoma. Il
gioco incentrato sul problema
dello Stretto di Taiwan può configurarsi
come un gioco “a due”,
“a tre” o “a quattro” elementi, in
base al diverso numero degli
agenti territoriali che vi partecipano,
suddivisi in questo articolo
in “agenti nazionali” e “non nazionali”.
La teoria non esclude
però il possibile intervento di altri
soggetti.
Il gioco “a somma zero” e “a
somma diversa da zero”
La teoria dei giochi presuppone
che ogni persona e ogni agente
partecipante al gioco possieda
una propria tattica e persegua i
propri obiettivi, ispirandosi a criteri
di razionalità. I modelli di gioco
si suddividono in due tipi: il
gioco “a somma zero” e “a somma
diversa da zero”. Nel primo
tipo alla vittoria di un agente corrisponde
la sconfitta dell’altro,
cosicché la somma risulta uguale
a zero. E’, per esempio, il caso di
numerose crisi internazionali, dello scontro di due armate, della
contesa tra due candidati o di una
partita a scacchi. Quando, invece,
nel confronto fra due o più
“agenti”, la vittoria di uno non
comporta la sconfitta dell’altro,
la somma finale non è nulla, per
cui si parla di gioco “a somma
diversa da zero”. In questo tipo
di gioco, in cui il conflitto e la
cooperazione sono entrambi possibili,
si verifica spesso una vittoria
bilaterale.
Il gioco tra la Repubblica Popolare
Cinese, Taiwan, gli Stati Uniti
e il Giappone può essere descritto
come un gioco “a somma diversa
da zero” fra quattro soggetti,
le cui coordinate sono mutate
in seguito all’approvazione
della “Legge anti-secessione”.
La strategia dell’equilibrio delle
forze
Dopo il ripristino ufficiale delle
relazioni diplomatiche con la Repubblica
Popolare Cinese, gli Stati
Uniti, pur riconoscendo il principio
di “una sola Cina”, hanno
spesso svolto un ruolo
equilibratore e di bilanciamento
tra la Cina continentale e Taiwan.
Poiché la prima supera la seconda
per popolazione, superficie e
forza militare, gli Stati Uniti hanno
costantemente aggiunto
“peso” sulla parte più debole,
Taiwan.
La politica equilibratrice americana
tra le due sponde dello Stretto
poggia su tre grandi pilastri: il
primo consiste nel riconoscimento
del principio di “una sola Cina”,
in base al quale Taiwan è parte
della Cina stessa e il governo della
Repubblica Popolare Cinese è
l’unico governo legittimo; il secondo
si basa sulla protezione della
sicurezza dell’Isola da parte degli
Stati Uniti, attraverso la fornitura
di armamenti, in conformità al
Taiwan Relations Act del 1979; il
terzo consiste infine nella risoluzione
pacifica del problema di
Taiwan.
Nei ventisei anni dalla
stipulazione del Taiwan Relations
Act, la funzione equilibratrice
svolta dagli Stati Uniti è cambiata
in base alle diverse situazioni;
nella maggior parte dei casi, comunque,
si è trattato di semplici
riaggiustamenti.
Il Taiwan Relations Act
Nel riallacciare i rapporti diplomatici
con gli Stati Uniti, Pechino,
pur non essendosi impegnata
a “non usare la forza”, ha manifestato
tuttavia con chiarezza il
desiderio di risolvere il problema
di Taiwan in modo pacifico. Il 9
gennaio del 1979, di fronte a
quattro senatori americani2 Deng
Xiaoping riconosceva il diritto del
popolo di Taiwan a scegliere la
propria forma di governo e l’impegno
della Cina a non interferire
in tale decisione. Sei giorni
dopo, il Segretario di Stato Cyrus
Vance si faceva portavoce di una
comunicazione del Presidente degli
Stati Uniti, in base alla quale
Washington si impegnava a mantenere relazioni diplomatiche con
Pechino solo a condizione che esse
non ledessero il benessere degli
abitanti di Taiwan e non riducessero
la possibilità di una risoluzione
pacifica del problema dell’Isola.
Cento giorni dopo veniva approvato
dal Congresso ed entrava
ufficialmente in vigore il Taiwan
Relations Act, in base al quale: “la
decisione degli Stati Uniti di stabilire
rapporti diplomatici con la
Repubblica Popolare Cinese è fondata
sull’aspettativa che il futuro
di Taiwan venga deciso con mezzi
pacifici” (seconda sezione, secondo
comma, terzo punto). Il punto
successivo dello stesso comma
chiariva che gli Stati Uniti avrebbero
considerato “ogni sforzo volto
a influenzare il futuro di Taiwan
con mezzi diversi da quelli pacifici,
incluso il boicottaggio e
l’embargo, come motivo di seria
preoccupazione”. Il sesto punto
aggiungeva che l’America si impegnava
a “sostenere la capacità
di resistere all’uso della forza o
di altre forme di coercizione che
possano mettere a rischio la sicurezza
o il sistema sociale e economico
degli abitanti di Taiwan”3.
“L’operazione freccia” induce gli Stati Uniti a rafforzare il proprio peso
Essendo gli Stati Uniti uno stato
di diritto, finché resteranno in vigore
i tre comunicati congiunti
con la Cina4 e non verrà abolito
il Taiwan Relations Act, non vacilleranno
i tre grandi pilastri su cui
poggia la politica statunitense di
“una sola Cina” e del mantenimento
dell’equilibrio tra le due
sponde dello Stretto. Per quanto
riguarda i rapporti diplomatici tra
gli USA e la RPC, la politica americana
di “una sola Cina” potrebbe
essere messa in discussione o
abbandonata solo a condizione
che nello Stretto si verificasse uno
scontro o un conflitto su ampia
scala che contrapponesse i cinesi
ai cinesi.
Nel 1996, prima che a Taiwan
avessero luogo le prime elezioni
presidenziali dirette, l’esercito cinese
svolse esercitazioni di lancio
di missili terra-terra in direzione
dello spazio marittimo a nord e a
sud dell’Isola, a una distanza non
superiore a 50 miglia marine dai
due porti di Gaoxiong e Jilong.
Tale operazione non era volta solo
a intimidire una qualsivoglia “forza
per l’indipendenza di Taiwan”,
quanto piuttosto a minacciare l’intera
popolazione dell’Isola.
In conformità alla seconda sezione
del Taiwan Relations Act, gli Stati
Uniti inviarono immediatamente
due armate navali capitanate
dalle portaerei ammiraglie
Indipendence e Nemis nelle acque
internazionali in prossimità dell’Isola.
Il quinto giorno di esercitazioni
missilistiche dell’Esercito
Popolare di Liberazione, gli Stati
Uniti annunciarono la fornitura a
Taiwan di 150 aerei da guerra F16
prodotti appositamente dalla
Società di aviazione Lockheed per
un valore di 1.150.000.000 dollari.
Lo stesso giorno, il comandante
della Settima Flotta, Archie
Clemins dichiarò che, nel caso in
cui la Cina fosse passata all’attacco, in base al Taiwan Relations
Act l’America avrebbe “reagito duramente”.
Il sesto giorno di esercitazioni, il
Congresso adottò la Risoluzione
comune n. 148, che impegnava
gli Stati Uniti a contribuire alla
difesa di Taiwan, di modo che
essa non subisse l’attacco della
Cina. Lo stesso giorno gli USA
approvarono la vendita di missili
guidati terra-aria di tipo Stinger
e di numerosi altri armamenti all’esercito
taiwanese.
“L’operazione freccia” voluta da
Jiang Zemin nel 1996 di fatto
modificò la politica nei confronti
di Taiwan adottata nel periodo di
Deng Xiaoping. Il giorno dopo il
lancio missilistico verso le acque
internazionali prospicienti la città
di Gaoxiong, il quotidiano
Minzhong ribao della stessa città
sulla prima pagina non scrisse che
una parola, “combattere!”. Da
allora, la situazione all’interno
dell’isola è progressivamente cambiata
a favore del Partito Democratico
Progressista, che alla fine
è andato al potere, mentre ad
una settimana dai lanci
missilistici, Li Denghui veniva eletto
Presidente.
Sebbene gli Stati Uniti sapessero
che le esercitazioni effettuate dall’Esercito
Popolare di Liberazione
nelle vicinanze di Taiwan non costituivano ancora una “minaccia
incombente”, si trattava pur sempre
di una vera e propria “minaccia
armata”; essi incrementarono
quindi il loro peso su Taiwan,
secondo la politica di
bilanciamento delle forze nello
Stretto.
La “Legge anti-secessione” induce gli USA a calibrare il proprio peso
Dal momento che i lanci missilistici
del 1996 avevano chiaramente
superato la “linea rossa” del
Taiwan Relations Act, gli Stati Uniti
avevano avuto una reazione
immediata.
Tale “linea rossa” non è stata, invece,
superata dalla “Legge antisecessione”,
approvata da Pechino
nel 2005. Infatti, sebbene la
sua adozione abbia posto tre premesse
per “l’uso della forza contro
Taiwan” e per la “soluzione
non pacifica” del problema5, ciò
di per sé non equivale all’”uso
della forza”, né costituisce una
“minaccia armata” diretta. Il Dipartimento
di Stato e la Casa
Bianca si sono pertanto limitati a
descrivere l’evento come “infausto,
increscioso e inopportuno”,
reiterando l’invito ad un “dialogo pacifico” tra le due parti, senza
per questo decidere di inviare
una flotta da combattimento nelle
vicinanze di Taiwan come era
stato fatto nel 1996. In seguito
all’adozione della “Legge antisecessione”
da parte di Pechino,
il “peso equilibratore” degli Stati
Uniti è stato solo “leggermente
ricalibrato”.
A Pechino piace confrontare la
“Legge anti-secessione” con le
“Risoluzioni anti-secessione” adottate
in America nel 1861. La differenza
principale tra tale “Legge”
e le “Risoluzioni” americane
risiede nel fatto che, mentre queste
ultime erano rivolte a gruppi
o a individui con scopi
secessionisti, la legge cinese è rivolta
all’intera isola di Taiwan e
non a gruppi specifici o singoli
individui.
Il gioco “a tre” diventa un gioco “a due”
Il politologo americano Karl
Deutsch, nell’opera The Analysis
of International Relations, illustra
un modello di gioco in cui due
automobili avanzano ad alta velocità
sulla stessa strada, l’una in
direzione dell’altra. Prima di partire i due conducenti hanno stabilito,
come regola di gara, che
quello che sterza per primo per
evitare la collisione venga chiamato
“fifone”, mentre il più temerario, che rifiuta di lasciar passare
l’altro, venga considerato un
“eroe”.
In questo gioco, l’iniziativa di sterzare
per evitare l’impatto é una
strategia “di cooperazione”, mentre
quella di andar diritto a dispetto
di tutto può essere considerata
una strategia “di scontro”.
Se entrambi i conducenti adottano
nello stesso istante una strategia
“di scontro”, essi segnano la
propria rovina; qualora ambedue
optino invece per la cooperazione,
avranno salva non solo la vita,
ma anche l’onore, perché non
saranno oggetto di derisione;
questa può dirsi una “vittoria
bilaterale a somma diversa da
zero”. Nel caso in cui uno dei due
scelga la strategia della “cooperazione”
e l’altro quella dello
“scontro”, si salveranno entrambi,
ma il primo dei due sarà considerato
un “fifone” e perderà la
faccia, mentre l’altro diverrà un
“eroe”. Per Deutsch “quando uno
scontro in politica internazionale
viene ad assomigliare ad un gioco
del fifone, gli statisti razionali,
secondo questa teoria, dovrebbero
scegliere una politica ‘morbida’,
piuttosto che una ‘linea dura’”.6
Nel confronto sullo Stretto, la
Cina continentale e Taiwan non
possono certo dirsi due veicoli di
dimensioni simili; il loro rapporto
può piuttosto essere descritto
come quello tra un imponente tir
a diciotto ruote e un’utilitaria. In
questo caso parlare di “fifone” e
di “eroe” perde ogni senso, si tratta
di un confronto assolutamente
impari, nel quale all’utilitaria non
rimane che una scelta ragionevole,
ovvero la strategia della “cooperazione”,
senza che per ciò
essa possa essere considerata alla
stregua di un “fifone”. Nel caso
in cui anche il tir sia indotto a
frenare e non avanzi diritto travolgendo
quanto incontra, questo
tipo di gioco condurrebbe ad
una “vittoria bilaterale”. In una
situazione in cui tutti, a Taiwan,
conoscono l’esistenza della “Legge
anti-secessione”, malgrado si
organizzino continuamente cortei,
marce, manifestazioni di protesta
ed altre attività simili per invocare
l’indipendenza dell’Isola, è sufficiente
che Taiwan come unità
“agente” distinta non mostri di
voler oltrepassare le “tre linee rosse”
della “Legge anti-secessione”
perché la situazione sullo Stretto
si mantenga di fatto inalterata.
Taiwan, la Cina continentale, gli
Stat Uniti e gli “agenti” simili non
sono come gli esseri umani, che
possono tenere nascoste le proprie
mosse e non far capire all’avversario
la strategia adottata.
Gli agenti dotati della “caratteristica distintiva di un territorio”
non possono celare completamente
la loro tattica; dalla decisione
dell’attacco all’azione è infatti generalmente
necessario incrementare
la capacità bellica effettiva e
dispiegare le forze; tale processo,
che richiede tempo, viene
chiamato “tempo morto tra la decisione
e l’azione”. A causa di
questo tempo morto, tramite ricognizioni,
i preparativi dell’attacco
possono essere scoperti. Mentre
nel modello di gioco di Deutsch
il “tempo morto” è uguale a zero,
nel gioco tra le due parti dello
Stretto non è tale, ma può anzi
estendersi a diversi giorni o addirittura
a diversi mesi. Qualora gli
Stati Uniti scoprissero che la Cina
continentale, violando la “Legge
anti-secessione” da essa stessa
adottata, avesse compiuto o intendesse
compiere un’aggressione
armata contro Taiwan, il gioco
“a due” nello Stretto diverrebbe
immediatamente un gioco “a
tre”.
Tre periodi, tre tipi di gioco
Nel periodo di Deng Xiaoping, in
quello di Jiang Zemin e in quello
successivo all’entrata in vigore
della “Legge anti-secessione”, il
gioco tra i due “agenti nazionali”
Cina e America e “l’agente territoriale
non nazionale”, costituito
dall’isola di Taiwan, ha subito una
notevole evoluzione.
Nel periodo di Deng Xiaoping, sia
che si trattasse di un gioco “a due”
tra le opposte sponde, sia che si
trattasse di un gioco “a tre” tra
la Cina continentale, Taiwan e gli
Stati Uniti, ogni parte ha generalmente
adottato la strategia
della “cooperazione”, dando così
luogo ad un gioco “a somma diversa
da zero” con “vittoria
bilaterale” o “trilaterale”.
Nel periodo di Jiang Zemin, in
particolar modo dopo “l’operazione
freccia” del marzo 1996, il
gioco “a tre” si è fatto progressivamente
più aggressivo. Poiché il
“peso equilibratore” degli Stati
Uniti è andato spesso a poggiare
sulla parte taiwanese, quest’ultima
ha di volta in volta scelto strategie
di “divergenza” o di “opposizione”;
l’influenza del Movimento
indipendentista di Taiwan si è
fatta via via maggiore. Li Denghui
e Chen Shuibian hanno tratto
vantaggio dall’”operazione freccia”
per essere eletti, mentre il
principio “un paese, due sistemi”
perdeva rilevanza.
L’adozione della “Legge antisecessione”
ha posto una limitazione
al potere dell’esercito cinese;
anche le interferenze di alti
ufficiali nella politica e le loro sollecitazioni
ingiustificate per “l’uso
della forza contro Taiwan” verranno messe a freno. Gli Stati Uniti
potrebbero ancora in qualsiasi
momento esprimere preoccupazione
per la pace nello Stretto e
utilizzare il metodo della
“calibrazione” per mantenere
l’equilibrio nell’area. Certo, Pechino
non può ancora impegnarsi
verbalmente a “non usare la
forza contro Taiwan”, ma di fatto
le norme restrittive della “Legge
anti-secessione” avranno il loro effetto:
finché Taiwan ha fede nel
principio della non aggressione,
le clausole della “Legge antisecessione”
sull’”assorbimento
pacifico” (heping xiaohua) potrebbero
essere per la maggior parte
accettate dalla stessa; l’assorbimento
pacifico unilaterale potrebbe
allora divenire una “fusione
pacifica” bilaterale (heping
ronghe). Con la conclusione ufficiale
dello stato di ostilità tra le
due parti in causa, l’unificazione
pacifica troverà una nuova strada,
sia essa all’interno di un
reinterpretato schema “un paese,
due sistemi” oppure in base ad
un modello federale. Ma ciò a
condizione che, nel caso in cui
Taiwan superi le “linee rosse” della
“Legge anti-secessione”, Pechino
non arrivi a sanzionare il fatto
come una violazione.
Il gioco “a due” nello Stretto potrebbe
così condurre alla collaborazione
e alla vittoria
bilaterale. Perché ciò si realizzi è
importante che, dopo che il gioco
“a tre” sarà diventato un gioco
“a due”, il conducente dell’utilitaria,
andando incontro all’imponente
tir, faccia una scelta sola,
ovvero quella di trasformare lo
“scontro” in “cooperazione”.
Il gioco “a quattro” stenta a trovare una composizione
Il 19 febbraio di quest’anno gli
USA e il Giappone hanno annunciato
di aver inserito la risoluzione
pacifica del problema di Taiwan
tra gli obiettivi strategici comuni;
7 é questa la prima volta che
Tokyo gioca in alleanza con gli
Stati Uniti la “carta di Taiwan”.
Nella partita dello Stretto, il Giappone
ha per lungo tempo operato dietro le quinte; il comunicato
congiunto della Commissione
Consultiva per la Sicurezza di Stati
Uniti e Giappone ha fatto per la
prima volta uscire quest’ultimo
allo scoperto. Il gioco “a tre” del
problema dello Stretto è così diventato
un gioco “a quattro”.
Per motivi storici e geografici, gli
obiettivi strategici di Tokyo e di
Washington in tale gioco coincidono
solo parzialmente: entrambi
desiderano che Taiwan conservi
la situazione attuale. Gli Stati
Uniti si oppongono fermamente
all’annessione dell’Isola da parte
della Cina continentale attraverso
l’uso della forza, senza però
con questo contrastare l’unificazione
pacifica delle due parti; il
Giappone, invece, non desidera
affatto che ciò avvenga.
Un punto chiave della politica
nipponica del XXI secolo nei confronti
della Cina consiste nell’opporsi
strenuamente alla sua
riunificazione, ma ancor più nell’impedire
che essa, una volta
unificata, diventi il Paese forte del
Pacifico occidentale. Il problema
centrale dello scontro sino-giapponese
di questo secolo risiede nel
fatto che Tokyo intende affermare
la sua posizione egemonica
nell’area del Pacifico occidentale,
indebolendo il più possibile la
Cina. Una ragione fondamentale
della mancata partecipazione del
Giappone al gioco “a tre” nello
Stretto per così lungo tempo è dipeso
proprio dal suo desiderio di
vedere non solo le due sponde
scontrarsi, combattere ed uscirne
entrambe danneggiate, ma anche
gli Stati Uniti perdere influenza
nel Pacifico occidentale attraverso
un conflitto con la Cina, con
la speranza di trarre vantaggio
dalle perdite cui sarebbero andati
incontro i partecipanti del gioco
“a tre”. Per contro, con l’unificazione
pacifica verrebbe meno
l’antagonismo di fondo tra la Repubblica
Popolare Cinese e gli Stati Uniti e l’amicizia sino-americana
creerebbe un ambiente internazionale
favorevole per l’ascesa
pacifica della Cina nel XXI secolo.
Dal 19 febbraio anche il Giappone
è entrato nominalmente a far
parte del gioco dello Stretto. Finché
Taiwan conserverà la pace, gli
Stati Uniti potranno al massimo
venderle armamenti senza però
poter effettuare azioni militari; il
Giappone è ancor meno autorizzato
ad intervenire. Nell’Isola potranno
farsi sentire voci
indipendentiste, senza però che
vengano oltrepassate le “tre linee
rosse” della “Legge antisecessione”;
sul problema dello
Stretto, il gioco “a quattro” stenta
a trovare una composizione.
Problemi interpretativi nel futuro della “Legge antisecessione”
Le tre premesse dell’articolo 8
della “Legge anti-secessione” contengono
diversi punti ambigui.
Qualora a Taiwan si verificassero
“incidenti gravi” e l’opinione pubblica
delle due sponde ne fornisse
letture completamente diverse,
a Pechino il Comitato Permanente
dell’Assemblea Nazionale del
Popolo potrebbe “interpretare la
Legge”. Se l’interpretazione portasse
a rilevare una violazione, la
situazione potrebbe complicarsi.
Il gioco “a due” dello Stretto di
Taiwan potrebbe in un attimo diventare
un gioco “a quattro”: gli
Stati Uniti sarebbero forse indotti
ad intervenire come fecero nel
marzo del 1996 - se non addirittura
in modo ancor più massiccio - e anche il Giappone, in base al
meccanismo consultivo per la sicurezza
nippo-americano, potrebbe
entrare in scena.
L’ambiguità della “Legge antisecessione”
consiste nel fatto che
essa lascia un margine di spazio
alla guerra, spazio che dovrebbe
invece essere colmato. Un conflitto
su ampia scala tra la Cina e gli
Stati Uniti porterebbe grandi vantaggi
al Giappone. Sebbene anche
il Movimento Indipendentista
taiwanese possa subire un grave
colpo, non appena nella Cina
continentale dovessero verificarsi
disordini, la sua influenza tornerebbe
certo a farsi sentire. Tutto
ciò potrebbe non solo condurre
alla reale indipendenza di Taiwan
(si tratterebbe di una “reazione
inversa”, simile a quella verificatasi
nel 1996, quando “l’operazione
freccia” portò all’elezione di
Li Denghui e al rafforzamento del
Movimento Indipendentista), ma
anche far sì che la Cina venga
relegata dal Giappone ai margini
del Pacifico occidentale. L’ascesa
pacifica di Pechino nel XXI secolo
subirebbe così un grave ritardo.
MONDO CINESE N. 123, APRILE-GIUGNO
2005
Note
1 Si veda il precedente numero 122 di
Mondo Cinese, (Gennaio-Marzo 2005),
pp.14-21.
2 L’invio di tale delegazione, guidata
da Sam Nunn, precedette di circa tre
settimane la prima visita ufficiale di
Deng Xiaoping negli Stati Uniti, svoltasi
tra il 28 gennaio e il 4 febbraio 1979.
Sulla delegazione, cfr. Dreyer June
Teufel, “China’s Attitude toward the
Taiwan Relations Act”, intervento
all’International Conference on United-
States-Taiwan Relations: Twenty Years
after the Taiwan Relations Act, patrocinato
dall’Academia Sinica, Taipei, 9-10
aprile 1999 [ndt].
3 Il testo della legge, varata il 10 aprile
1979, è reperibile sul sito del Consolato
generale degli Stati Uniti di Hong
Kong e Macao,
(www.usconsulate.org.hk). La traduzione
qui riportata è tratta dalla versione
inglese [ndt].
4 Oltre al Taiwan Relations Act, tre documenti
vengono citati di frequente
come costituenti la base giuridica della
politica americana nei confronti della
Repubblica Popolare Cinese, ovvero il
comunicato di Shanghai del 28 febbraio
1972, il comunicato congiunto del
15 dicembre 1978 e quello del 17 agosto
1982. Cfr. Hung Chien-chao, A
history of Taiwan, Il Cerchio, Rimini,
2000, pp. 317-18. Il primo comunicato,
redatto in occasione della visita del
Presidente Nixon a Pechino, impegnava
in primo luogo le due parti a non
perseguire politiche egemoniche nella
regione dell’Asia-Pacifico e a non ope
rare per la divisione del mondo in bloc
chi; in merito a Taiwan dichiarava che
gli Stati Uniti prendevano atto che “tutti
i cinesi, da ambo i lati dello Stretto di
Taiwan sostengono che non esiste che
una Cina e che Taiwan ne fa parte”.
Anticipando di poco il Taiwan Relations Act, il secondo comunicato dichiarava,
con toni molto più fermi e netti del precedente,
che “gli Stati Uniti riconoscono
il governo della Repubblica Popolare
Cinese come l’unico governo legittimo
della Cina e accettano la posizione
cinese secondo la quale non c’è che
una Cina e Taiwan ne fa parte”. Il terzo
comunicato toccava il tema degli armamenti,
affermando che gli Stati Uniti
“intendono ridurre gradualmente le
vendite di armi a Taiwan, per arrivare
in un certo periodo di tempo ad una
risoluzione conclusiva”. Cfr. Jonathan
D. Pollack, “The Opening to America”,
in The Cambridge History of China, a cura
di Denis Twitchett, John K. Fairbank,
vol. 15, Cambridge University Press,
Cambridge, 1991, pp. 402-72, in particolare
pp. 423, 442 e 465 [ndt].
5 Tali premesse - successivamente indicate
nel testo come “le tre linee rosse”
della Legge anti-secessione - prevedono
la possibilità di una soluzione
non pacifica del problema dello Stretto
qualora, per azione del Movimento
indipendentista taiwanese 1) “a qualsiasi
titolo e in qualsiasi maniera si producesse
l’effettiva separazione di
Taiwan dalla Cina”, 2) “si verificassero
incidenti gravi (zhongda shishi) capaci di
condurre alla separazione”, 3) “venissero
completamente a mancare le condizioni
per l’unificazione pacifica”. Secondo
l’analisi di Wu Xianbin,
Rcercatore dell’Accademia cinese delle
scienze sociali, la prima premessa fa
riferimento all’adozione, da parte di
Taiwan, di norme di legge che sanciscano
l’esistenza di “due Cine”, la seconda
a fatti e azioni significative, come
l’elezione di un Presidente con dichiarati
scopi separatisti, la terza al rifiuto
dichiarato, da parte delle autorità
taiwanesi, del percorso di riunificazione.
L’analisi di Wu Xianbin, contenuta in
un’intervista pubblicata con il titolo di
“Cao’an suiping he sandao hongxian
heran” sul Xianggang shangbao del 9
marzo 2005, è consultabile in rete sul
sito http://bbs.cctv.com.cn [ndt].
6 Karl Deutsch, Le relazioni internazionali,
ed. it. a cura di Gianfranco
Pasquino, traduzione di Cristina Cerchio,
Il Mulino, Bologna, 1970, p. 186
[ndt].
7 Sabato 19 febbraio, il Segretario di
Stato Condoleeza Rice e il Segretario
del Dipartimento della Difesa Donald
Rumsfeld hanno ospitato a Washington,
in un incontro a quattro, il Ministro degli
Affari Esteri del Giappone Nobutaka
Machimura e il Direttore Generale dell’Agenzia
per la Difesa Oshinori Ohno.
In seguito all’incontro, la Commissione
Consultiva per la Sicurezza di Stati
Uniti e Giappone ha rilasciato un Comunicato
congiunto. Secondo tale Comunicato
le due parti concordano sulla
necessità di rinforzare la loro alleanza
bilaterale sulla sicurezza in base
a una serie di nuovi obiettivi, tra i quali
quello di “incoraggiare la risoluzione
pacifica delle questioni concernenti lo
Stretto di Taiwan attraverso il dialogo”
e di “incoraggiare la Cina ad aumentare
la trasparenza sugli affari militari”.
Il testo del Comunicato può essere
consultato sul sito del Consolato degli
Stati Uniti presso Hong Kong,
www.hongkong.usconsulate.gov [ndt].
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