La mostra, organizzata dalla Fondazione Carisbo, curata da Vittoria
Coen e ospitata nelle due importanti sedi di San Giorgio in
Poggiale e Palazzo Saraceni di Bologna fino allo scorso 6 marzo, è
giunta ora nel Palazzo Monte di Pietà di Padova, dove resterà fino al
25 maggio 2005.
Le circa quaranta opere presentate raccolgono diciassette artisti compresi
fra i trenta e quaranta anni, maggiori esponenti di quella tendenza
chiamata “pittura fotografica cinese”. Tale tendenza si esprime
attraverso un apparente “realismo descrittivo”, dato da una minuziosa
riconoscibilità del soggetto rappresentato con la realtà e un taglio
fotografico da reportage. “Dipingo come si scatta una foto” dichiara
Xie Wanxing nei suoi paesaggi urbani sfocati e scarni.
Ma la “pittura fotografica cinese” non è che un atteggiamento di fondo
sul quale si costruiscono questioni profonde.
Nella prima grande esposizione storica, China Avant Garde, inauguratasi
nel febbraio del 1989 al Museo di Belle Arti di Pechino, facevano la
loro comparsa due linee di ricerca dominanti: il “Realisme cynique”2 e
la “pop politique”3. Entrambe dirigevano la loro protesta contro il realismo
socialista dell’arte di regime, desumendone le forme per poi
distorcerle e sbeffeggiarle tramite nonsense e decontestualizzazioni4.
Queste tendenze si sono poi arricchite di nuovi aspetti, come il “vulgairekitsch”5, in altre parole il trattamento di immagini porno-erotiche tratte
dai mass-media enfatizzandone l’aspetto patinato, o il citazionismo,
la rivisitazione, a volte esplicita, di certe invenzioni dell’arte contemporanea,
soprattutto occidentale.
Lo sperimentalismo di cui è ora protagonista l’arte contemporanea
cinese si muove su due fronti. Uno trova spazio nelle accademie stesse,
dove l’istituzione di corsi sugli attuali mezzi artistici, dal video al digitale,
ha in qualche modo inserito gli artisti nel dibattito culturale del concettuale: la tendenza che considera l’arte come idea, come linguaggio, come definizione dell’arte, come conoscenza attraverso il pensiero
anziché attraverso l’immagine. L’altro si muove invece al di fuori
delle accademie, nelle ex-fabbriche riconvertite a spazi espositivi, nei
neonati quartieri degli artisti, e fa oggetto della propria ricerca il mondo
ai margini, il disagio esistenziale, il ruolo della contemporaneità su
quello dell’artista.
Ciò che qui, nelle opere esposte appare, è soprattutto la trama di tutte
queste relazioni, un miscuglio di generi e atteggiamenti.
“Realizzo corrispondenze tra la realtà delle immagini e quella sperimentata
personalmente”6: Fu Hong lavora sulla documentazione,
sull’archiviazione d’immagini per creare una sorta di database della
fantasia.
Wang Xingwei lavora appunto sui riferimenti espliciti, citando, non
senza ironia, Courbet, Hopper, e Fischl, rispettivamente in Untitled
(2003), in The Night of Shangai (2004) e in The Decadence and Emptiness
of Capitalism 2 (2000).
“Sono molto interessato a ciò che è astratto”. Gli individui di Zeng
Fanzhi sono immobilizzati tra due emisferi dell’azione: il volontario e
l’involontario. Ricordano gli Attendants di Bacon, disperati e muti, fermi
immobili nell’esatto istante dell’insensatezza. Yang Qian è invece
interessata all’erotismo nascosto nel gesto quotidiano. Le sue donne si
svelano a frammenti di corpo, nella nebbia del vapore che le avvolge
nel bagno. Ed è nel diradarsi improvviso di quella nebbia fitta, quando
si scopre un lembo di nudità, che l’osservatore, voyeur esclusivo, ha un
sussulto.
Le figure di Wu Yiming, sagome spettrali, dal volto bianco senza tratti, si
muovono in un’atmosfera surreale. Hanno la freschezza del tratto degli
antichi scrolls cinesi, e un fare inquietante che ricorda i volti di Munch.
Sul fronte della provocazione c’è Zhou Thiehai che ripropone, dipinti a
spray, i capolavori dell’arte rinascimentale, da Leda e il cigno di Correggio,
alla Dama dell’ermellino di Leonardo coronati dal volto di Joe Camel,
cammellino antropomorfo, protagonista della campagna pubblicitaria
della Camel; e Shi Xinning nelle cui opere Mao Zedong è ritratto in
cinquanta anni di storia occidentale, da Yalta al funerale di Che Guevara;
accanto alla coppia Mastroianni-Ekberg della Dolce Vita di Fellini; di
fronte all’Orinatoio di Duchamp. O ancora i volti cyborg-copertina delle
bellissime donne di Feng Zhengjie e i fluttuanti preservativi sopra un
fondo ricoperto di figurine kamasutra, di Zhang Xiaotao.
Di matrice quasi informale, per il trattamento della pittura, i quadri di
Li Songsong. A differenza del descrittivismo dominante negli altri, azzarda
la percezione di una sensualità del mezzo, di un contatto voluto
con la materia.
Un ultimo elemento individuabile in queste opere è quello del perturbante,
la categoria freudiana del senso di spaesamento e disagio
proveniente dal contatto, anche solo visivo, con quanto normalmente si è abituati a vedere; contatto che squarcia improvvisamente
un’abitudine costituita e insinua il sospetto che qualcosa non sia
effettivamente come appare. Il perturbante prorompe nei ritratti grotteschi
di Ma Liuming, dove l’artista si ritrae col volto adulto sul
corpo di bambina o nei personaggi ambigui di Zhang Xiao Gang,
dove i volti o le mani che scrivono un messaggio sono invasi da
piccole macchie come nelle Memorie di Magritte. Le macchie che
solcano il presente sono la dolorosa ombra del passato, il ricordo
delle sofferenze del regime.
La necessità dell’opera d’arte di sfuggire alla propria organicità, al
proprio status di organismo interpretabile, la necessità di aprire i propri
confini a infinite relazioni per disperdersi nei contesti, annientando
la possibilità di ritrovare una primigenia identità e ammettendo come
effettivo solo lo spostamento da un senso all’altro di qualsivoglia campo
semantico, è da diverso tempo l’avventura dell’arte contemporanea.
Rilke diceva che “le opere d’arte sono sempre il prodotto di un
rischio in corso”. Ora, la rottura con la tradizione e l’impatto con le
innumerevoli suggestioni del mondo occidentale, seppure riconoscibili,
non sono che ipotesi di lettura. Rimangono l’importanza del rischio in
atto, del confronto, del fermento della creazione che fanno di un gesto,
qualunque esso sia, un’opera d’arte.
Il panorama offerto da questa mostra, curata da Vittoria Coen, costituisce
un importante approfondimento nei confronti del vivo interesse
per l’arte contemporanea cinese, per poterne godere al di là di ogni
interpretazione.
MONDO CINESE N. 123, APRILE-GIUGNO
2005