È innegabile che dal 1998, quando si è aperta a New York la
mostra Inside Out: New Chinese Art1, gli artisti cinesi hanno avuto
grande spazio sulle testate dei giornali internazionali e all’interno
di numerose mostre che sono state proposte ovunque nel mondo occidentale.
Questa prima ed importante mostra internazionale, curata da Gao
Minglu2, celebrità nell’ambito del movimento dell’avanguardia cinese,
era stata organizzata con l’intento di esplorare l’impatto degli enormi
cambiamenti economici, sociali e culturali, apparsi in ogni provincia
della Cina a partire dall’inizio degli anni ’90, sulla produzione artistica
contemporanea. Inutile dire che quella frenesia di cambiamento, che
ha investito tutti gli strati sociali cinesi, ha causato una incredibile
esplosione di creatività tanto tra gli artisti della Repubblica Popolare, di
Hong Kong e di Taiwan, quanto tra quelli emigrati in occidente già
dalla fine degli anni ’80.
D’altra parte l’apertura e la disponibilità del mondo occidentale a
capire l’arte contemporanea cinese, e a crearne un mercato, ha rappresentato
senza dubbio per gli artisti cinesi uno stimolo a nuove ed
incessanti produzioni.
Dalla metà degli anni ’90, e dal ’98, cioè in soli sette anni da quella
prima ed importante mostra, si sono visti progredire a velocità sostenuta
autori già affermati e si continua, esterrefatti, ad osservare il germogliare
di nuove firme.
In questo dinamico mondo di produzione artistica, ci accorgiamo che il
mezzo prediletto dagli autori contemporanei cinesi per esprimere la
propria arte è la macchina fotografica, tendenza questa assai diffusa
anche in altre parti del mondo, ma l’esperienza cinese è ancora una
volta molto interessante: durante i primi trent’anni di Repubblica Popolare,
la fotografia era ridotta a puro strumento di propaganda, e solo
alla fine degli anni ’80 comincia ad essere utilizzata come un importante
strumento espressivo diventando immediatamente molto attraente
per un vasto pubblico. In seguito, nella seconda metà degli anni ’90,
la fotografia cinese entra in una nuova fase strettamente legata al
movimento artistico dell’avanguardia cinese. Da allora, la fotografia è
riconosciuta da critici ed esperti, come “fotografia sperimentale” shiyan
sheying. In effetti, ciò che osserviamo sono spesso lavori ambiziosi che
posseggono una natura tipicamente sperimentale. Probabilmente, ciò
può essere interpretato come il risultato di una serie di risposte, per lo
più individuali, che i singoli autori hanno trovato per sostenere quei
cambiamenti sociali così radicali e repentini.
L’attenzione del mondo occidentale per questo nuovo fenomeno si è
concretizzata con Between Past and Future: New Photography and video
from China3, la prima grande mostra, un totale di 130 lavori di 60
artisti cinesi, alcuni dei quali per la prima volta esibiti negli Stati Uniti,
che ha raggruppato autori significativi, impegnati già a partire dalla
seconda metà degli anni ’90, e fornito una visione piuttosto completa
della produzione di fotografia e video degli autori cinesi.
Anche Roma è interessata alle nuove tendenze e, dopo l’edizione del
2003 che ha visto la mostra collettiva di fotografi cinesi dal titolo Collettività
Cinesi, la quarta edizione del festival internazionale FotoGrafia,
che si è svolto tra maggio e giugno 2005, ha proposto una collettiva di
fotografi cinesi dal titolo Cattura l’Ombra. Del resto Marco Delogu,
direttore artistico del festival, per questa quarta edizione ha scelto
come titolo Orient-ed. Uno sguardo ad oriente, con la ed finale in
corsivo per sottolineare la volontà di un festival sempre più “orientato”
e dunque implicato a comprendere i grandi temi dell’uomo contemporaneo.
Cattura l’Ombra è stata curata da Filippo Salviati, della Facoltà di Studi
Orientali di Roma “La Sapienza”, che ha raccolto 11 autori cercando
nel ritratto, elemento espressivo storicamente presente nella cultura
cinese, il comune denominatore tra le produzioni dei vari artisti.
Scatti dal sapore antropologico, come quelli di Jin Yongquan che presenta
un estratto del suo lavoro sulla minoranza Nuo del villaggio di
Shiyou al confine tra le province dello Jiangxi e del Fujian; o come
quelli di Li Lang che indaga la minoranza Yi a nord della provincia
dello Yunnan; o ancora come quelli di Jiang Jian che si sofferma sui
contadini Han evidenziando i simboli della loro cultura (ritratti di Mao
sbiaditi dal tempo, scritte augurali tradizionali fanno da cornice ai
nuovi idoli della televisione), sono affiancati ai “nuovi soggetti” della
società cinese, come i cinesi di Zheng Nong colti nell’esercizio di turismo
interno, i freaks di Han Lei o i transessuali di Jia Yuquan.
Ma lo spirito sperimentale che anima gli autori cinesi è da ricercare
soprattutto nei lavori di Liu Yiwei, fotografo assai noto al mondo occidentale,
che usando un formato tipico della tradizione cinese, quello
dello scroll montato in orizzontale, ci racconta la vita contemporanea
dei cinesi consumata tra centri commerciali e luoghi di spettacoli musicali,
oppure nel lavoro di Wang Ningde che espone, con tonalità quasi
pittoriche, ritratti di personaggi addormentati, immersi nell’oblio. Enigmatica
anche l’ultima serie di Weng Fen, per la prima volta esposta in
Europa, che reiterando con sistematicità formale il tema a lui caro di
personaggi solitari affacciati sulla nuova realtà, questa volta propone
gruppi di persone fotografate di spalle che osservano orizzonti lontani
e ben definiti. Paesaggi urbani fanno da sfondo anche alle fotografie
di Aniu che ritrae gruppi di persone che sembrano passare il loro tempo
libero inconsapevoli di ciò che sta accadendo intorno a loro.
Il lavoro di Shi Guorui si differenzia dagli altri anche per la tecnica
usata nella sua ricerca sulla luce: una tecnica molto antica che si basa
su un principio ottico della “camera obscura” e che l’autore adatta a
grandi strutture. Già famosa è la fotografia, ottenuta dopo ore di
esposizione, che riuscì a creare trasformando una delle torri della Grande
Muraglia in un ambiente tale da permettere l’uso di tale tecnica.
Infine, merita forse una particolare attenzione il lavoro di Chen Nong,
un autore che da poco usa la fotografia come espressione artistica. La
serie proposta è composta da scatti bianconero acquerellati dove tradizione
ed innovazione trovano un giusto equilibrio sostenuto da una
cornice composta da vera calligrafia tutta manuale. Il risultato è un
insieme di immagini quasi surreali dove l’onirico e la realtà si confondono
creando una narrazione estetica in cui l’individuo si trasforma in
figura divina.
A cura di Mary Angela Schroth, il festival di Roma ha, infine, proposto
un’altra interessante mostra di due giovani autori cinesi Shao Yinong &
Mu Chen, una coppia che vive a Pechino e che ha presentato The
Assembly Hall: un lavoro che mette in moto meccanismi che fanno leva
sulla sfera della memoria e della documentazione. Le sale delle assemblee
erano dei luoghi di riunione nei quali, specialmente durante il
periodo della Rivoluzione Culturale, si svolgevano incontri anche pieni
di passione, zelo, responsabilità. Ci possiamo immaginare quanti sentimenti
di dolore e di gioia si siano animati in quelle sale quanto rumore
abbiano contenuto. Oggi restano delle strutture abbandonate, degli
scheletri silenti. Gli autori hanno viaggiato a lungo in svariate province
della Cina per poter ritrovare questi luoghi e poterli fotografare con
colori accesi dandone una visione piena di dignità. Questa serie è stata
esposta alla biennale di Shanghai del 2004.
MONDO CINESE N. 123, APRILE-GIUGNO
2005